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Un altro “caso Italia” per portare la questione delle carceri all’attenzione dell’Europa

A cura di Giuhseppe Candido (*)

Il rapporto sulle Carceri italiane inviato dal Consiglio di Europa dal Partito Radicale Nonviolento lo scorso 16 dicembre. Il rapporto – in particolare – è indirizzato al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che ha il compito di vigilare sull’esecuzione delle sentenze di condanna nei confronti degli Stati comminate dalla Corte EDU in violazione della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo.

La condanna dell’8 gennaio 2013 per violazione dell’articolo 3 (trattamenti inumani e degradanti) della Convenzione Europea per i Diritti Dell’Uomo (CEDU) era tecnicamente una “sentenza pilota” che doveva applicarsi a tutto il territorio nazionale e a tutte le nostre carceri perché la Corte Europea s’era accorta che la violazione dei diritti umani era sistematica.

Per l’avvocato Giuseppe Rossodivita, membro della presidenza del Partito e presidente del Comitato per la Giustizia “Piero Calamandrei”, il “nuovo” rapporto che il Partito Radicale ha inviato al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa “Si è reso necessario per portare a conoscenza del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa qual è l’effettiva situazione delle carceri italiane”. Una situazione effettiva che per Rossodivita il Comitato non conoscerebbe perché i membri “sono stati turlupinati, sono stati truffati attraverso le parole dei precedenti Governi e sono stati portati a ritenere che la questione carceri in Italia fosse superata”. É questo il punto. Dopo la sentenza “Torregiani” del 2013 che ha visto condannare l’Italia dalla CEDU per violazione dell’articolo 3 della Convenzione, ci sono stati tre anni di “sorveglianza” e, nel 2016, il Comitato del Ministri ha ritenuto chiuso il “caso Torregiani”. Ma per l’avvocato Rossodivita e per il Partito Radicale il caso Italia non è affatto chiuso e, per questo, è stato necessario trovare un altro “caso” da sottoporre al Consiglio d’Europa come caso strutturale di violazione dei diritti umani.

Ma andiamo con ordine. Ad inizio 2016 ciò che lo Stato italiano ha “raccontato” all’Europa è stato ritenuto sufficiente e convincente a far chiudere la procedura.

Effettivamente i detenuti – dal 2013 al 2015 -, grazie ad alcuni provvedimenti adottati dal Governo, erano diminuiti. Il problema è che, dal 2016, le presenze dei detenuti hanno ripreso ad aumentare e, al 30 novembre 2018, erano ben 7.800 in più rispetto alla capienza regolamentare.

Quali sono stati i provvedimenti adottati dai Governi che hanno funzionato di più? Una cosa dal rapporto è chiara: per Rita Bernardini che lo scorso 20 dicembre ha presentato il rapporto inviato al Consiglio d’Europa, il primo provvedimento deflattivo da considerare è senz’altro la legge 199 del 2010 – a prima firma dell’allora ministro della Giustizia Alfano – che ha consentito di scontare il periodo finale di detenzione (gli ultimi 12 mesi di pena poi estesi a 18 mesi) agli arresti domiciliari e che ha consentito di far uscire dalle nostre affollate patrie galere ben 25.000 persone.

Un altro provvedimento “veramente efficace” per la deflazione del sovraffollamento carcerario (che ha portato l’Italia ad essere condannata per trattamenti inumani e degradanti) è stato quello che ha introdotto la c.d. “liberazione anticipata speciale”, che ha consentito lo “sconto” di 75 giorni di pena per ogni sei mesi, ed è chiaro che questo ha fatto diminuire le presenze. Questa legge però non era una misura strutturale ma una legge con un termine di scadenza (31 dicembre 2015) e quindi – come nota la stessa Bernardini durante la conferenza stampa – cessato il provvedimento dalla stessa data sono cessati anche gli effetti deflattivi.

Un altro fattore che ha avuto grande efficacia e ha contribuito a far diminuire molto i detenuti fino al 2015 è senz’altro la Sentenza della Corte Costituzionale che, nel 2014, ha dichiarato incostituzionale la Legge Fini-Giovannardi sulle droghe che aveva equiparato per le pene le droghe pesanti e le droghe leggere. Ritornando alla legislazione precedente, cioè al D.P.R. 309 del 1990, che distingue, in termini di pene, le droghe leggere e le droghe pesanti, si sono ridotte le pene edittali minime e massime per i reati relativi alle droghe leggere (si è passati da pene minime e massime da 6 a 20 anni, a pene che per le droghe leggere potevano essere da 2 a 6 anni massimo) e molti detenuti per reati connessi alla cannabis, migliaia, sono usciti perché hanno potuto richiedere il ricalcolo della pena.

Adesso si è ritornati all’emergenza. Nei centonovanta istituti penitenziari italiani sono presenti ben sessantamila detenuti rispetto a poco più di 45 mila posti regolamentari.

Un dato singolare è che sono ben 4.600 i posti inagibili (che alzano quindi il tasso di sovraffollamento medio nazionale dal 118% calcolato tenendo conto dei posti inagibili al 130% se si escludono). Ma le medie certe volte ingannano, come i polli nella poesia di Trilussa. Perché, in realtà, ci sono ben 94 carceri delle 190 che sono molto più sovraaffollate rispetto alla media nazionale.

In questi 94 istituti più affollati della media sono stipati, sottolinea Rita Bernardini durante la conferenza stampa, ben 37.506 detenuti in 26.166 posti regolamentari. Quindi il sovraffollamento quì è del 143%.

Fin qui il “dato” del sovraffollamento. Nel rapporto inviato al Consiglio d’Europa spunta pure una denuncia nuova: il “caso Cirillo”, il caso cioè di un detenuto che non ha potuto curarsi in carcere proprio a causa del sovraffollamento strutturale. Un caso di cure mancate che, come fu per il caso Torregiani, potrebbe indurre la CEDU a un’altra sentenza pilota.

La Corte EDU ha infatti stabilito un legame diretto fra assenza di cure regolari e sovraffollamento carcerario. Da qui la denuncia.

Ricordiamo che, il diritto alla salute, anche quando si è detenuti, è un diritto umano universale che non viene “sospeso” e deve essere rispettato.

L’altro aspetto che pure viene evidenziato nel dossier del PRNTT è quello dei suicidi nelle patrie galere. Sono almeno 67 i detenuti che quest’anno si sono tolti la vita, superando così tristemente gli anni 2010 e 2011 che avevano contabilizzato entrambi 66 suicidi.

Poi, nel rapporto, si osserva l’aspetto “salute in carcere”. E anche su questo aspetto “i dati sono allarmanti”, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto psichiatrico. Da quando sono stati chiusi gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), i detenuti che hanno problemi psichiatrici sono molto aumentati. Ma non perché nelle carceri siano state realizzate delle strutture psichiatriche idonee a tenerli lì. Vengono tenuti assieme agli altri detenuti, a volte persino nell’Alta Sicurezza. Quando entri in un carcere, in effetti, ti rendi subito conto che i detenuti in trattamento come casi psichiatrici stanno lì, assieme agli altri detenuti, e spesso i loro problemi non vengono per nulla presi in considerazione.

E ancora. Nel dossier si sottolinea un altro aspetto che lede il diritto alla rieducazione e al reinserimento sociale di chi ha sbagliato: la mancanza strutturale di lavoro in carcere.

Su questo, però, Rita Bernardini, nel presentare il rapporto, fa una precisazione su quella che definisce “propaganda”: se è vero com’è vero che la cosa che più domandano dalle carceri i detenuti è la possibilità di lavorare, è ancor più vero che non c’è detenuto che – avendone la possibilità – non vorrebbe scontare la condanna con una pena alternativa al carcere.

Comunque il dato è che, attualmente, solo il 30% dei detenuti in carcere ha la possibilità di svolgere una qualche attività lavorativa. Tutti gli altri – al netto dei passeggi e dell’ora d’aria – girano i pollici nelle celle dalle 20 alle 16 ore al giorno.

Poi l’assurdità dei “liberi sospesi”. Una platea vasta: almeno 22 mila persone solo a Roma e Milano, che sono “libere sospese”. Cosa vuol dire? Si tratta di persone che hanno una pena minore di 4 anni (6 se tossicodipendenti) ai quali è stata sospesa la pena in attesa della decisione del Magistrato di Sorveglianza che può decidere se fargli scontare la pena in carcere o affidarli ai servizi sociali. molti di questi potrebbero e “dovrebbero” uscire, ma il problema è che non sempre i Magistrati di Sorveglianza chiudono per tempo la decisione, queste decisioni “li mettono in coda”, e queste persone stanno lì, in carcere, in attesa – anche per anni – di una decisione che, invece, dovrebbe essere subito adottata.

Ma nel dossier inviato al Consiglio d’Europa dal Partito Radicale non ci sono solo i numeri e la denuncia del nuovo caso “cirillo”. Nel dossier si ricorda anche ciò che è avvenuto nell’ultima legislatura: iniziata con gli Stati Generali delle Carceri (voluti dal Ministro Orlando e che avevano generato molta speranza nella popolazione detenuta poiché riguardavano il miglioramento di diversi aspetti della vita penitenziaria) che avrebbero dovuto sfociare nella riforma dell’ordinamento penitenziario e che, per motivi elettorali, è stato approvata ma non attuata con i successivi decreti. Il governo li ha lasciati da compiere passando la “patata bollente” al nuovo esecutivo. Che invece pensa di risolvere il problema costruendo nuove carceri.

Per questo, come militanti del Partito Nonviolento di Pannella e come Associazione Radicale Nonviolenta calabrese continuiamo ad occuparci di carcere, non molliamo, e il prossimo 6 gennaio ricominciamo il giro di tutte le carceri calabresi con visite autorizzate dal DAP, anche perché sappiamo che, oltre ai tempi biblici come insegna il “nuovo” carcere di Arghillà, costruire un carcere di 250 posti costa  25 milioni di euro circa. E ciò significa che – ad oggi, senza aumenti di detenuti – servirebbero circa 40 nuovi istituti di medie dimensioni per una spesa complessiva di 1 miliardo di euro. E servirebbe inoltre più personale, più risorse, e ci vorrebbe comunque molto tempo.

(*) Giuseppe Candido, militante Partito Radicale, già componente del Comitato Nazionale di Radicali Italiani, è segretario dell’Associazione Radicale Nonviolenta “Abolire la miseria – 19 maggio”, e candidato a Garante Regionale delle persone private della libertà personale per la Regione Calabria.

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Carceri Calabria. Manzi, Ruffa (Radicali italiani): Elezione Garante detenuti deve essere priorità del Consiglio regionale

In una nota congiunta Silvja Manzi, segretaria di Radicali Italiani, e Rocco Ruffa, militante radicale, valutano positivamente la rosa dei candidati al ruolo di Garante regionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, figura istituita dalla Legge Regionale della Calabria n.1 del 2018, e dichiarano:

La Legge regionale approvata lo scorso mese di gennaio, su proposta del presidente del Consiglio regionale Nicola Irto, ha poco meno di un anno ma la Calabria – per la criticità in cui versa il sistema penitenziario nonché quello di custodia degli immigrati e viste le emergenze dettate dalla nuova legge sulla “sicurezza” – non può attendere oltre l’elezione di questa importante e fondamentale figura di garanzia e tutela dei diritti. Per questo, è urgente che la votazione sui candidati ammessi sia all’ordine del giorno della prossima seduta del Consiglio regionale e, una volta eletto, il Garante regionale dei detenuti diventi immediatamente operativo.Del resto, in un incontro con una delegazione radicale nel luglio scorso, il presidente della Commissione Affari costituzionali, Franco Sergio, aveva garantito che entro l’autunno la Calabria si sarebbe dotata del proprio Garante delle persone private della libertà personale. Contiamo perciò di non dover attendere il nuovo anno”. 

——Silvja Manzi, è segretario di Radicali Italiani

____Rocco Ruffa già membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani, oggi è tesoriere dell’associazione Radicale Nonviolenta “Abolire la Miseria-19 maggio

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Ruffa (Radicali, +Europa): “Il Consiglio Regionale rispetti sua stessa legge e parola data e ponga subito all’ordine del giorno”.

Rocco Ruffa, (+Europa): “Il Consiglio Regionale rispetti sua stessa legge e parola data e ponga subito all’ordine del giorno”.

Rocco Ruffa, militante del Partito Radicale e già candidato alle scorse elezioni politiche con “+ Europa con Emma Bonino” rivolge sulla questione del Garante regionale dei diritti delle persone private della libertà un appello al Consiglio regionale della Calabria e, in particolare, alla Presidenza del Consiglio Regionale della Calabria:

Nel corso del sit-in dello scorso Luglio presso la sede del Consiglio di Reggio Calabria, in occasione dell’incontro tra la delegazione dell’associazione radicale nonviolenta Abolire la miseria – 19 maggio costituita dal segretario Giuseppe Candido e dal politologo Antonio Stango e il Presidente della I Commissione On. Franco Sergio, quest’ultimo aveva garantito -anche a nome del Presidente Nicola Irto che era assente per ragioni istituzionali- che “la Calabria avrebbe avuto entro questo autunno due figure di grande importanza: il garante dei diritti delle persone private della libertà e il garante della salute”.

L’autunno è quasi interamente trascorso e restano pochi giorni affinché la Presidenza del Consiglio mantenga i suoi impegni istituzionali e la parola data. Per questo” – aggiunge Ruffa nel suo appello – “prego il Presidente del Consiglio Regionale e i consiglieri tutti, di voler inserire subito all’ordine del giorno della prossima seduta l’elezione del c.d. Garante dei detenuti e andare avanti finché la Calabria non si sia dotata di questa importante figura”.

Nel suo appello Ruffa, che in passato ha fatto un prolungato digiuno perché la Calabria si dotasse della legge, ricorda come:

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Ferragosto 2018. Visita di una delagazione del Partito Radicale Nonviolento al Carcere di Crotone

Ferragosto una delegazione dell’associazione Radicale Nonviolenta “Abolire la miseria – 19 maggio” che fa esplicito riferimento al Partito Radicale Nonviolento di Marco Pannella, si è recata in visita al carcere a Crotone. Come ha insegnato Marco Pannella.

Visita di ferragosto al Carcere di Crotone. Articolo di Giacinto Carvelli su Il Quotidiano della Calabria del 17 agosto 2018

La delegazione era composta da Giuseppe Candido, segretario dell’associazione Abolire la miseria-19 maggio, dal tesoriere Rocco Ruffa componente del Comitato Nazionale di Radicali Italiani e militante del Partito Radicale Nonviolento, Giovanna Canigiula, docente di latino e greco presso il liceo Classico Pitagora di Crotone e Antonio Stango, presidente della Federazione per i Diritti Umani. Continua la lettura di Ferragosto 2018. Visita di una delagazione del Partito Radicale Nonviolento al Carcere di Crotone

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Abolire la miseria. Il Congresso del 26 e 27 maggio 2018

Pubblichiamo – grazie al sito di Radio Radicale che ne ospita i contenuti indicizzati per intervento – le registrazioni video delle due giornate congressuali che si sono tenute a Lamezia Terme (CZ) presso il Grand Hotel di Lamezia Terme

Prima giornata del Primo Congresso Ordinario dell’Associazione Radicale Nonviolenta “Abolire la Miseria – 19 maggio”, in programma il 26 ed 27 maggio 2018.

La FIDU si associa alla richiesta di nominare i garanti dei detenuti e della salute in Calabria.
La FIDU si associa alla richiesta di nominare i garanti dei detenuti e della salute in Calabria.

Il Convegno riguarda la legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento che necessita di esser meglio conosciuta e sul fatto che in Italia manca ancora una legge per l’eutanasia.

Inoltre, in Calabria, dopo oltre dieci anni dalla istituzione per legge, non è mai stato nominato il Garante della salute. Continua la lettura di Abolire la miseria. Il Congresso del 26 e 27 maggio 2018

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Non solo Dell’Utri … nelle carceri calabresi

Non solo Dell’Utri
di Rocco Ruffa (*)
La visita al carcere di Catanzaro che la delegazione del Partito Radicale ha svolto il giorno di Natale è la cartina di tornasole del sistema penitenziario italiano in generale e di quello calabrese in particolare.
Una delegazione composta da membri dell’associazione radicale nonviolenta Abolire la Miseria -19 Maggio della quale facevano parte Giuseppe Candido (che ne è il segretario), Rocco Ruffa (tesoriere della stessa nonché membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani), Gernando Marasco (coordinatore della provincia di Vibo Valentia di Sinistra Italiana) e Daniele Armellino (membro della direzione nazionale della Gioventù Federalista Europea).
Una visita, la nostra, autorizzata dal vice capo del dipartimento dott. Marco Del Gaudio ai sensi dell’art. 117 del D.P.R. 230/2000 che regolamenta l’Ordinamento Penitenziario. Ordinamento Penitenziario che ha più di 40 anni (Legge n. 354/1975) e che in questi giorni è stato oggetto di importanti modifiche avendo il Consiglio dei Ministri, dopo un lungo iter, approvato i decreti delegati che lo riformano. Continua la lettura di Non solo Dell’Utri … nelle carceri calabresi
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Natale 2017, visita delegazione Partito Radicale al Carcere di Catanzaro

Natale, 25 dicembre 2017. Una delegazione del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito, autorizzata dal DAP e composta da Giuseppe Candido, segretario dell’Associazione Radicale Nonviolenta Abolire la miseria – 19 maggio, Rocco Ruffa, tesoriere della stessa associazione e membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani, Gernando Marasco e Daniele Armellino – come da consuetudine radicale appresa da Marco Pannella – si è recata in visita ai detenuti e al personale della polizia penitenziaria della casa circondariale di Siano a Catanzaro.



Ascolta anche l’intervista a Giuseppe Candido andata in onda durante il notiziario delle 14:00 di Radio Radicale il 25 dicembre 2017. …

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Spes contra spem – Liberi dentro. Presentato il 5 aprile nel carcere di Catanzaro il docu-film di Ambrogio Crespi e NTC

di Giovanna Canigiula

Nel primo pomeriggio del 5 aprile scorso Rita Bernardini e Sergio d’Elia, rispettivamente Presidente onorario e Segretario dell’associazione Nessuno tocchi Caino, hanno proiettato nella casa circondariale di Catanzaro, alla presenza della direttrice, dott.ssa Paravati, e di un nutrito gruppo di detenuti, il docufilm Spes contra spem. Liberi dentro di Ambrogio Crespi. Continua la lettura di Spes contra spem – Liberi dentro. Presentato il 5 aprile nel carcere di Catanzaro il docu-film di Ambrogio Crespi e NTC

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Quanti di voi sanno che Rita Bernardini è in sciopero della fame da 24 giorni?

di Rocco Ruffa

In questi giorni molti hanno saputo -attraverso i mezzi di informazione- della morta di Dj Fabo e di come essa sia avvenuta: Fabiano Antoniani si è tolto la vita in una clinica svizzera dove ha ingerito un veleno ovvero ha potuto ricevere l’eutanasia.

La sua morte, sicuramente, sarebbe passata in silenzio se non fosse stato per l’azione nonviolenta di disobbedienza civile di Marco Cappato – tesoriere dell’associazione Luca Coscioni – che lo ha accompagnato fino in Svizzera. 

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