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Non è mai troppo presto per Ispirare il cambiamento.

di Maria Elisabetta Curtosi

 

A detta di Pericle, celebre uomo politico ateniese (495 circa – 429 a.C.), “la più gran virtù della donna era quella che di lei si parlasse il meno possibile”.

Uno degli aspetti molto utile di questa storia è il fatto che essa mostra come il cammino verso l’emancipazione sia tutt’altro che “irreversibile”.

“Ripensare alle idee dei Greci sulla identità femminile aiuta a ragionare sul peso e i molteplici aspetti della loro eredità. Insieme alla democrazia, al teatro, all’arte e ai tanti lasciti originali per i quali, giustamente, continuiamo a celebrarli, ai greci dobbiamo anche una codificazione della differenza sessuale le cui conseguenze sulla condizione femminile offrono spunti di riflessione che sarebbe un errore sottovalutare là dove e quando riemergono – quali che esse siano – concezioni sociali, teorie filosofiche e pratiche giuridiche che ripropongono visioni ‘essenzialiste’ delle diverse identità”.

Eva Cantarella lo afferma nello scritto Identità, genere e sessualità nel mondo antico (in Diritto e Società in Grecia e a Roma, a cura di A. Maffi e L. Gagliardi, Milano-Giuffré, 2011, p. 951). Ovviamente, nessun parallelo è possibile tra quei tempi e quelli in cui viviamo: la storia non si ripete mai, il suo cammino non è così lineare, non sempre procede verso situazioni più progredite. Oggi, molti riconoscimenti, molte conquiste fatte dalle donne sono messi in discussione, e una mentalità che sembrava finalmente e definitivamente superata sembra riemergere dal passato… I termini del problema sono cambiati, ma quella che una volta veniva chiamata la ‘questione femminile’ esiste ancora?

Nel nostro tempo è indispensabile cercare di capire cosa è cambiato nelle relazioni tra sessi, e in che direzione e perché. Nei modestissimi limiti in cui è possibile, ci auguriamo che questo nostro impegno possa contribuire a farlo. Tuttavia la storia delle donne e dei sessi non era interesse della comunità accademica ma negli ultimi 30 anni, comunque, l’orizzonte dei classicisti si è esteso, fino ad includervi questi temi e per dedicare sempre più attenzione al problema della costruzione sociale del genere come principio della organizzazione politica. Ricordiamo, non a caso, il mito greco di Pandora che venne mandata sulla terra – dove sino a quel momento gli uomini vivevano felici – per punirli del furto commesso da Prometeo che aveva sottratto il fuoco agli dei per darlo agli esseri umani. Ne scaturisce una immagine del tutto negativa della donna vista appunto come “punizione”.

L’idea di far parlare le donne dell’antichità, per essere presente nel suo tempo nelle battaglie femminili di uguaglianza e laicità ci consegna del mondo antico è una nuova sfida alla lotta per l’eguaglianza delle donne, diffidando da chi giustifica la “differenza” che oggi come ieri si traduce nella pratica dell’inferiorità. Spostando questo principio nel dibattito aperto anche in Italia, la questione della condizione femminile nell’antichità reclama una società dove le donne non vengano protette, come gruppo discriminato e diverso, ma pretendano di agire paritariamente, nello spazio pubblico come in quello privato, ringraziando, ma staccandosi definitivamente, e senza sensi di colpa, dai miti di Eva e Pandora.

Quest’anno il Comitato Internazionale per l’8 marzo ha scelto per questa giornata, lo slogan Ispirare il cambiamento, con l’intento di incoraggiare l’attivismo delle donne e tutelare le conquiste fatte, ispirando ripetuti cambiamenti.

Persistere nell’eguaglianza, nella parità nell’istruzione, nella giustizia, nella rappresentanza politica, nell’indipendenza economica e nel raggiungimento di posizioni di leadership in ogni ambito; respirare libere da indumenti imposti come gabbie e da mutilazioni feroci; influenzare il cambiamento perché stanche di espiare colpe originarie e peccati mai commessi, stanche di essere abusate e uccise da uomini violenti.

Le Biblioteche di Roma celebrano l’8 marzo, su questi e altri temi, con incontri, proiezioni, presentazioni di libri, musica e letture, a partire dai bambini e dalle bambine, perché non è mai troppo presto per cominciare ad ispirare il cambiamento.

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La rivincita della lingua

di Maria Elisabetta Curtosi

 

Stampa e massmedia  alcuni cambiamenti li hanno fatti o quanto meno usano sempre più espressioni “mediatrici”. Quindi sarà stato utile la pressione  esercitata allora? La pigrizia o l’inerzia della lingua, coma la definiscono i linguisti, non è insensibile a qualche scossa ogni tanto.  Marcella Mariani nel “mestiere del giornalista” ci racconta che intorno al 1990 nacque un coordinamento di giornaliste venete che lanciò un “patto linguistico”  dove potevano aderire tutte coloro che intendevano avviarsi su questa strada di ricerca e di confronto. L’iniziativa doveva portare alla ricerca oltre che di contenuti più pertinenti, anche di uno stile e di un registro che più rispecchiava la soggettività femminile di chi parla e di chi scrive come pure delle interlocutrici, perché erano evidenti gli stili stereotipati e indifferenziati che poco caratterizzavano il parlare e lo scrivere delle donne. Tanti sono stati i segnali giunti di cambiamento e questo è importante perché se è vero che la lingua contribuisce alla formazione dell’immagine e in primo luogo alla percezione cognitiva, è evidente che la scelta di un linguaggio invece che un altro influisce molto sull’opinione pubblica e poi perché a livello personale, se una donna o persona in genere, sente la necessità di esprimere e ed esprimersi in maniera specifica e quindi di esaltare la propria differenza anche per mezzo della parola vuol dire che lo scarto tra la sua identità e il suo modo di rappresentarsi nel mondo si sta annullando.

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Realtà deformata

di Maria Elisabetta CUrtosi

 

La televisione cominciò a muovere i primi passi sperimentali poco prima della seconda guerra mondiale, per poi affermarsi alla fine degli anni Quaranta, aprì sicuramente una nuova fase del giornalismo. L’informazione o meglio ala comunicazione delle notizie per mezzo delle immagini nel tempo cosiddetto “reale” cioè la telecamera lo registra e lo trasmette in “tempo reale” che tiene conto di passaggi dal filtro politico a quello giornalistico così l’immagine che giunge all’occhio dello spettatore può essere assolutamente deformata. Ma è quell’immagine a diventare realtà, perché è quella stessa immagine che diventa “ fonte d’informazione” per il giornalista-scrittore, tenuto lontano dagli avvenimenti.

 

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Pasolini, pensatore europeo.

di Maria Elisabetta Curtosi

In questi giorni Roma ospita tre grandi capitali europee  Barcellona, Parigi, Berlino.  L’occasione  è celebrare (dal 15 aprile al 20 luglio 2014 presso il Palazzo delle Esposizioni in Via Nazionale n. 194) una mostra tra cinema, arte, fotografia, letteratura, poesia e critica su di uno dei massimi intellettuali del XX secolo, Pier Paolo Pasolini, di cui tanto si è parlato e a tutt’oggi suscita un gran interesse tra i giovani.

Un progetto innovativo “reinterpretare l’immagine della città di Roma, incarnandola in chiave poetica”. Così Gianni Bornga, Jordi Ballò e Alain Bergala ci sintetizzano chiaramente la visione di Roma per Pasolini, la quale non fu semplicemente uno scenario cinematografico o un luogo in cui vivere.

“Con questa città egli ha avuto una relazione passionale, fatta di sentimenti misti di amore e odio, di fasi di attrazione e rifiuto, di voglia di allontanamento e di piacere del ritorno. Le circostanze difficili del suo arrivo a Roma lo hanno catapultato in un mondo e in una lingua non suoi, appartenenti ai sottoproletari delle borgate in cui la precarietà della sua situazione economica lo costringeva a vivere. Dalla scoperta di questo universo del tutto nuovo nascerà un’ispirazione potente ed è lì che Pasolini troverà, senza doverli cercare, i soggetti dei suoi primi romanzi e film. In seguito, per il Pasolini uomo pubblico e analista instancabile dell’evoluzione della società italiana, Roma sarà il principale punto di osservazione, il suo permanente campo di studio, di riflessione e di azione. Sarà anche il teatro delle persecuzioni che il poeta dovrà sempre subire da parte dei poteri di ogni genere, e dell’accanimento dei media che per 20 anni lo trasformeranno nel capro espiatorio, nell’uomo da demolire, a causa della sua diversità e della radicalità delle sue idee sulla società italiana”.

 

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Il cinema e il giornale

di Maria Elisabetta Curtosi

 

Il cinema aveva provocato un terremoto nel sistema della comunicazione, già nel 1915-18 aveva fatto la sua apparizione nel mondo giornalistico con l’affermazione del “giornale cinematografico” che portava le immagini della guerra e i volti dei soldati in tutti i paese industrializzati. Nel 1919 Pasquale Parisi nel suo libro “Il giornale e il giornalismo” scriveva: << Nel passato le guerre si combattevano e si vincevano col valore dei condottieri, con lo slancio e l’eroismo dei soldati e con le armi che, di guerra in guerra, si andavano trasformando, perfezionando e moltiplicando. L’ultima grande guerra, nella quale quasi tutti i popoli della terra sono stati in vario modo travolti, ha gettato nel furore della battaglia molte armi nuove e tutte le conquiste della scienza e della civiltà; ma un arma inusitata, formidabile invincibile è stata impegnata; un’arma che ha costituito una forza indomabile, da non potersi contenere né valutare, e quest’arma è stata il Giornale …>>. Così è stata data la possibilità alla gente di vedere le immagini vere, tuttavia “trattate”, censurate e controllate in modo tale che la verità voluti si identificasse con il realismo inoppugnabile di ciò che passava sullo schermo.

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La censura sui mezzi d’informazione

di Maria Elisabetta Curtosi

 

Sulla censura sui mezzi d’informazione si è soffermato un altro storico del giornalismo, Georges Weill: << La guerra del 1914 mostrò la forza e la debolezza della stampa politica; la sua forza, perché giammai gli uomini, nel mondo intero, provarono un simile desiderio di leggere i giornali ridussero o soppressero la sua libertà, le imposero una sorveglianza minuziosa … frenare la stampa come organo d’informazione, svilupparla come organo di propaganda …>>. Pertanto le guerra hanno influito  sullo sviluppo e sul sistema di informazione. Anche la Guerra del Golfo fu vissuta dal mondo intero attraverso immagini censurate, controllate, filtrate, velinate e addirittura prefabbricate. Indirizzare l’opinione pubblica verso il volere della propaganda con una novità assoluta: la centralità dell’informazione.

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La società ha bisogno di innovatori ed innovatrici

di Maria Elisabetta Curtosi

 

L’attenzione delle lettrici e dei lettori si è spesso concentrata solo sulle raccomandazioni da usare quando si scrive, forse perché è più facile presa o perché la parte più operativa, certo le raccomandazioni non sono da intendere nel loro autentico significato se estraniate dal conteso che la precede. La rilevazione delle dissimmetrie non intende essere una sterile e lamentosa protesta fine a sé stessa, ma piuttosto vuole essere documentazione di una situazione che si ritiene debba cambiare. La lettura dovrebbe suscitare, in particolare nelle donne, un senso di fastidio convinto per come la lingua le condiziona, oscura, occulta.

A questo punto acquistano il giusto significato le raccomandazioni, le quali non vogliono rappresentare una rivoluzione linguistica, né la cancellazione di una lingua per inventarla un’altra. Esse suggeriscono una scelta più attenta delle forme grammaticali e sintattiche, e magari richiedono un po’ di innovazione. Ma tutte le società hanno avuto bisogno di innovatori e di innovatrici per progredire.

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Alcune “Raccomandazioni….”

di Maria Elisabetta Curtosi

 

Uno spazio particolare è dedicato ai titoli e a quelle enunciazioni in cui la strumentalizzazione dell’immagine femminile quale richiamo. E’ evidente anche l’importanza su altre parti incluse nel testo. E’ interessante soffermarci, però,  nelle “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua” che è indirizzato a chi scrivendo o parlando intende eliminare le deformazioni di una lingua così strutturata e usata. Questo è un testo che sia per la personalità dell’autrice sempre proiettata verso innovazione e libera da condizionamenti che riteneva immotivati, sia per l’epoca in cui uscì –  1985  – portava con sé un preciso intento provocatorio. Anche se le raccomandazioni appaiono molte volte forti perché prive di una loro logica e di una potenziale attuabilità. Ma dal punto di vista del senso comune, che per quanto riguarda la lingua risente di quell’alone di sacralità che troviamo nei dizionari e grammatiche, anche se a tutti p noto che sono proprio questi che attestano la non neutralità della lingua e la perpetuano.

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“Il sessismo mentale”

di Maria Elisabetta Curtosi

 

Prendendo in cosiderazione le dissimmetrie semantiche, l’analisi investe soprattutto l’uso della lingua, vale a dire il << il sessismo mentale>> che si esplicita con le sue forme stereotipate, patriarcali, attraverso aggettivi, sostantivi e forme alterate come diminuitivi, vezzeggiativi che sono numeroso quando il discorso verte su donne/personaggio. Un esempio lo troviamo in un periodico dell’epoca:<<  il tragitto terreno di Indira Ganndhi sarebbe stato già straordinario se lo avesse percorso un uomo. Diventa unico perche lo ha percorso una piccola donna fragile mite minuta e rotondetta una piccola donna fisicamente Indira proseguì con un tocco… di femminile nevrosi>>.

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Come sustituire forme linguistiche “sessiste”

di Maria Elisabetta Curtosi

Si dice, ma non si dica più… I diritti  umani non i diritti dell’uomo; le popolazioni primitiva non l’uomo primitivo ecc…

E’ certo che allora uscire pubblicamente con un discorso sul “sessismo della lingua” servì a far riflettere molti e molte sul fatto che questa non è né neutra né ingenua e che il genere grammaticale maschile identificandosi con il genere universale contribuisce all’occultamento della differenza sessuale e quindi della specificità femminile. Le dissimmetrie grammaticali che vengono rilevate rigurdano infatti l’uso frequente del maschile per dimostrare fino a che punto esso sacrifichi il femminile e come possa condurre ad espressioni che a volte rasentano il ridicolo, in nome di regole e strutture codificate da uomini e legittimate dall’uso; è emblematica una frase come “l’uomo alla i suoi piccoli” in un testo di biologia. Sono forme espressive del genere che se non fossero supportate dalle nostre facoltà deduttive, difficilmente potrebbero condurci alla implicita presenza della donna.

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