di Maria Elisabetta Curtosi
Stampa e massmedia alcuni cambiamenti li hanno fatti o quanto meno usano sempre più espressioni “mediatrici”. Quindi sarà stato utile la pressione esercitata allora? La pigrizia o l’inerzia della lingua, coma la definiscono i linguisti, non è insensibile a qualche scossa ogni tanto. Marcella Mariani nel “mestiere del giornalista” ci racconta che intorno al 1990 nacque un coordinamento di giornaliste venete che lanciò un “patto linguistico” dove potevano aderire tutte coloro che intendevano avviarsi su questa strada di ricerca e di confronto. L’iniziativa doveva portare alla ricerca oltre che di contenuti più pertinenti, anche di uno stile e di un registro che più rispecchiava la soggettività femminile di chi parla e di chi scrive come pure delle interlocutrici, perché erano evidenti gli stili stereotipati e indifferenziati che poco caratterizzavano il parlare e lo scrivere delle donne. Tanti sono stati i segnali giunti di cambiamento e questo è importante perché se è vero che la lingua contribuisce alla formazione dell’immagine e in primo luogo alla percezione cognitiva, è evidente che la scelta di un linguaggio invece che un altro influisce molto sull’opinione pubblica e poi perché a livello personale, se una donna o persona in genere, sente la necessità di esprimere e ed esprimersi in maniera specifica e quindi di esaltare la propria differenza anche per mezzo della parola vuol dire che lo scarto tra la sua identità e il suo modo di rappresentarsi nel mondo si sta annullando.