Il libro di Giuseppe Candido e Rocco Ruffa (Non Mollare edizioni in condizione con l’Associazione Radicale Nonviolenta Abolire la miseria 19 maggio, Ottobre 2017, p164, ISBN 9788890504051, 12€).
Oltre a raccontare lo spaccato di tutte le dodici carceri calabresi rilevato durante un tour, “Spes contra spem”, che ha visto gli autori – come delegazione del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito, fare visita ai detenuti nelle prigioni calabresi. E oltre fornire dati relativi alle carceri visitate dagli autori, con grafici e tabelle, il volume riporta anche dei contributi molto interessanti: una prefazione di Michele Capano, allora tesoriere pro-tempore di Radicali Italiani, la postfazione di Antonio Giglio, allora consigliere comunale della Città di Catanzaro e delle riflessioni di Don Giuseppe Fiorillo (*)
Pubblichiamo di seguito il testo delle riflessioni di quest’ultimo.
Riflessioni sul “viaggio nelle carceri calabresi”
di Don Giuseppe Fiorillo (*)
“Venite benedetti al Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo, perché … ero carcerato e siete venuti a trovarmi”
Matteo 25, 34-35
Carissimi Giuseppe e Rocco, a lettura finita del vostro manoscritto, “viaggio nelle carceri calabresi”, è affiorata nella mia mente l’ultima parabola che Gesù narra a Gerusalemme, pochi giorni prima di essere preso processato, imprigionato, crocifisso e poi, dopo tre giorni, risorgere.
In questa parabola (alla quale Michelangelo si ispira per il grande affresco della cappella Sistina) Gesù, al giudizio ultimo, non chiede quante lauree abbiamo conseguito, quale matrimonio abbiamo realizzato, che solido conto in banca abbiamo accumulato, ma ci chiede se abbiamo saputo riconoscere Lui nell’affamato, nell’assetato, nel malato, nel carcerato.
Mi piace sottolinea che voi (lo vogliate o no) siete in armonia col progetto di Cristo.
Voi con questo “tour” attraverso le carceri calabresi realizzate il messaggio laico di Cristo, laico perché nella parabola su indicata non si parla di Dio, di culto, di varie pratiche religiose, ma dell’uomo scartato, malato, imprigionato. Questo vostro tour è un invito a scendere nell’inferno delle carceri; inferno nel quale una decina di anni fa, con grande scandalo dei ben pensanti, inizio a scendere Marco Pannella, dotato come lui ripeteva spesso, di spirito francescano. L’iniziativa di Marco è stata provvidenziale, perché ha portato fuori all’opinione pubblica quella porzione di Italia dolente e carica di solitudine, solitudine dei detenuti, della polizia carceraria, degli operatori quali psicologi, assistenti sociali e volontari. C’è tutto un mondo sommerso nelle carceri, e Voi, con la vostra opera tentate di aprire i cancelli e ci accompagnate dentro le realtà per noi inimmaginabili.
Qualche mia esperienza a sottolineare l’importanza dell’opera vostra. Diverse volte sia al vecchio carcere di Vibo che al nuovo, chiamato da qualche detenuto personale, ho varcato i cancelli con un enorme impressione per quelle chiavi che aprono e chiudono, aprono e chiudono, ed il suono ti resta, anche a distanza di tempo, dentro la tua memoria.
Negli anni 2003-2013, parroco della parrocchia di san Leoluca a Vibo, e responsabile della casa di Nazareth, casa di accoglienza per uomini italiani e stranieri, con grandi difficoltà economiche e morali; casa abilitata presso il Ministero di Grazia e Giustizia per accogliere gratuitamente detenuti a fine pena, ho avuto modo di entrare, attraverso i lori racconti, dentro le “segrete mura”. Qualche nome di fantasia per la privacy e qualche storia vera: Alì, Medeo, Mohammed, Gianni, Washington, e tantissimi altri che, al mattino lasciavano il carcere e dopo una giornata passata al Nazareth o nell’ambito della parrocchia, secondo un progetto concordato con le autorità, a sera facevano il rientro. Qualche storia.
Ecco la vicenda di Alì, il marocchino che, per pochi euro, necessari – diceva lui- per guarire la figlia colpita da una rara malattia, a Parigi, all’aeroporto, ingoiava 70 capsule e poi,direzione Milano; ed a Milano l’attesa per l’evacuazione. Va bene la prima volta, la seconda volta, ma la terza a Milano, sempre nell’aeroporto, lo annusa un cane, addestrato a scoprire eventuali stupefacenti nelle valigie o persone, ed Alì scoperto va in carcere e … addio sogno per guarire la figlia negli Stati Uniti.
Ecco Alì è rimasto con noi circa un anno. Poi finita la pena il rientro in Marocco più povero di prima. Toccante la sua storia. Vita povera ma serena nel villaggio, ma la malattia della primogenita, il sogno dell’Europa ricca, i falsi amici di Parigi, il dolore nel riempire lo stomaco di capsule di droga, la paura che qualcuna possa scoppiare e di conseguenza la morte, l’attesa per l’evacuazione e la raccolta nelle feci delle capsule, e poi il cane mansueto che ti annusa e tu lo accarezzi, e poi le catene, la reclusione nel carcere di Opera, con centinaia di altri spacciatori, con litigi, violenze varie, e poi finalmente a Vibo e la grazia di finire la pena con esperienze sociali …. Alì ora vive a Casablanca e fa il tassista, e fa ancora qualche telefonata. Una storia di pena e di Redenzione!
Un’altra storia: la storia di Washington, un afroamericano che, impiegato alla base americana di Aviano, un giorno invitato in città da amici per un caffè ed in seguito ad un improvvisa eruzione della polizia nell’appartamento con rinvenimento di una quantità di droga, viene arrestato soltanto lui, perché gli altri erano riusciti a fuggire. Condannato a 9 anni perché non ha voluto conciliare, a motivo della sua innocenza. Gli ultimi due anni Washington li ha passati con noi alla casa Nazareth ed è stato un tuttofare ed in carcere a Vibo ha catalogato la biblioteca. Ricordo che, quando ha avuto la notizia della fine detenzione, ha voluto che lo accompagnassi dal direttore per un saluto e, lasciato il carcere, fuori si inginocchia e lui, di religione cristiana battista, in ginocchio, intona un canto con gli occhi rivolti al cielo e alla fine grida: “sono libero, sono libero” e piange a lungo, confortato dai secondini che nel frattempo si erano avvicinati. Ora Washington vive in Canada e lavora con il fratello in una rappresentanza di macchine. Una storia finita bene come anche altre finite bene grazie a questa solidarietà e comunione di persone.
E’ importante, Giuseppe e Rocco, e tutta la vostra equipe, quello che fate perché a vostro sostegno recita un cassedim ebraico:
“chi salva una persona salva il mondo”.
Noi uomini e donne di buona volontà dobbiamo umanizzare le carceri con incontri, con progetti che impegnino gli ospiti delle carceri a dare il meglio di se attraverso il lavoro e per fortuna al carcere di Vibo ce ne sono stati realizzati progetti e ci auguriamo che ce ne siano sempre di più. Bisogna credere nella redenzione che avviene soltanto attraverso l’impegno lavorativo, manuale o intellettuale che sia, e quando è possibile attraverso il contatto reale con una comunità.
E’ importante Giuseppe e Rocco carissimi, aprire una battaglia civile affinché vengano riaperte, per piccoli reati, le cosiddette carceri mandamentali. Sono state costruite, come sapete, negli anni 1970-80, e ormai stanno per andare a malora. Queste strutture carcerarie si trovano, per fermarci alla nostra provincia, ad Arena, a Mileto, a Soriano, a Tropea e a Nicotera. Ecco, verso queste carceri si potrebbero indirizzare, come in precedenza, gli autori di piccoli reati, e , avremmo risolto il superaffollamento delle grandi carceri, quali Vibo, Reggio, Palmi, Castrovillari, ecc. ecc.
So che non è di facile soluzione il problema posti, ma se trova spazio nell’agenda dei politici sarà prima o poi, realizzato. E c’è ancora l’attesa spesso lunga dei processi; e c’è il dramma di persone innocenti che marciscono in carcere. Per queste persone e a buon auspicio di voi volontari, vorrei concludere queste poche riflessioni con una lirica di un poeta persiano Hafiz, nato e morto a Shiraz (1320-1390), il quale con la conclusione di questa lirica si rivolge a chi fa qualcosa per gli innocenti: poi ho scoperto una rosa in un angolo di mondo, ho scoperto i suoi colori e la sua disperazione di essere imprigionata fra le spine, non l’ho colta ma l’ho protetta con le mie mani, non l’ho colta ma con lei ho condiviso, il profumo e le spine tutte quante.
Con tanti auguri per un buon cammino per il vostro libro, e cari saluti
Don Giuseppe Fiorillo
Vibo Valentia, 15/settembre/2017
(*) Don Giuseppe Fiorillo è Parroco Emerito del Duomo di Santa Maria Maggiore e San Leoluca in Vibo Valentia
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