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Abolire la miseria. Il Congresso del 26 e 27 maggio 2018

Pubblichiamo – grazie al sito di Radio Radicale che ne ospita i contenuti indicizzati per intervento – le registrazioni video delle due giornate congressuali che si sono tenute a Lamezia Terme (CZ) presso il Grand Hotel di Lamezia Terme

Prima giornata del Primo Congresso Ordinario dell’Associazione Radicale Nonviolenta “Abolire la Miseria – 19 maggio”, in programma il 26 ed 27 maggio 2018.

La FIDU si associa alla richiesta di nominare i garanti dei detenuti e della salute in Calabria.
La FIDU si associa alla richiesta di nominare i garanti dei detenuti e della salute in Calabria.

Il Convegno riguarda la legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento che necessita di esser meglio conosciuta e sul fatto che in Italia manca ancora una legge per l’eutanasia.

Inoltre, in Calabria, dopo oltre dieci anni dalla istituzione per legge, non è mai stato nominato il Garante della salute. Continua la lettura di Abolire la miseria. Il Congresso del 26 e 27 maggio 2018

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Ricordare Marco Pannella con le “cose” radicali di Valter Vecellio

Presentazione del libro di Valter Vecellio, Marco Pannella Biografia di un irregolare (Rubbettino).

A Catanzaro giovedì 24 p.v., ore 18:00 presso la Sala della Giunta Provinciale, Piazza Luigi Rossi.

Con l’autore Valter Vecellio, vice-caporedattore TG2, direttore del giornale telematico Notizie Radicali e già direttore del giornale satirico Il Male, ricordiamo Marco Pannella a sei mesi dalla sua morte.

Intervengono Giuseppe Candido, geologo giornalista, autore del libro La Peste ecologica e il caso Calabria e segretario dell’associazione culturale Non Mollare; Antonio Giglio, Consigliere comunale di Catanzaro e Filippo Curtosi, direttore responsabile (anche se lui preferisce dire irresponsabile) di questa testata.

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Rapporto del Partito Radicale in visita alle dodici carceri calabresi

Amnistia per la Repubblica e Garante dei diritti dei detenuti per la Calabria. Così Candido e Ruffa a conclusione delle visite nelle carceri calabresi effettuate come delegazione del Partito Radicale durante le festività natalizie dal 24/12/2015 al 05/01/2016. Continua la lettura di Rapporto del Partito Radicale in visita alle dodici carceri calabresi

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Wojtyla

Papa condottiero, tanti i no ai diritti: aborto, contraccezione, sessualità,  gay, parità femminile. Lui poté tornare liberamente alla casa del Padre mentre per Piergiorgio Welby si negarono i funerali …

di Valter Vecellio 

Meglio dirlo subito, avvertire il lettore: non ho titoli particolari per parlare di papa Karol Wojtyla. Non sono vaticanista professionale, non sono testimone di eventi particolari “prima”, “durante”, “dopo” il pontificato. 

So poco di stanze vaticane, dei labirinti della diplomazia di Pietro, della corte di quel regno quanto mai terreno dove si coltiva l’arte del dire senza parlare, del fare senza muover muscolo e in cui sono insuperabili cardinali e monsignori; e quel poco, chissà se bene.

Continua la lettura di Wojtyla

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Informazione, democrazia e l’overdose mediatica del turbo premier. Ecco le previsioni per le europee in base ai dati di ascolto

Una propaganda così il regime fascista con le sole radioline non la sognava neanche. Per chiunque guardi un la televisione in questi giorni è evidente il bombardamento mediatico che subisce con Renzi che sta in casa del popolo italiota ogni momento.

(a cura di Giuseppe Candido)

Democrazia, conoscenza e informazione sono direttamente collegati e strettamente interconnessi. Pure nella giurisprudenza. Per la Corte Costituzionale, infatti,

«L’esistenza di un servizio radiotelevisivo pubblico, cioè promosso e organizzato dallo Stato (…) nell’ambito di un sistema misto pubblico-privato, si giustifica … solo in quanto chi esercita tale servizio sia tenuto ad operare non come uno qualsiasi dei soggetti del limitato pluralismo di emittenti, nel rispetto, da tutti dovuto, dei principi generali del sistema (…), bensì svolgendo una funzione specifica per il miglior soddisfacimento del diritto dei cittadini all’informazione e per la diffusione della cultura, col fine di “ampliare la partecipazione dei cittadini e concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese”, come si esprime il citato art. 1 della legge n. 103 del 1975. Di qui la necessità che la concessione preveda specifici obblighi di servizio pubblico (…) e imponga alla concessionaria l’obbligo di assicurare una informazione completa, di adeguato livello professionale e rigorosamente imparziale nel riflettere il dibattito fra i diversi orientamenti politici che si confrontano nel Paese, nonché di curare la specifica funzione di promozione culturale ad essa affidata e l’apertura dei programmi alle più significative realtà culturali.»1

Vi sembra che in questi anni al tema carceri e giustizia, nel nostro Paese, sia stato dato un’adeguata informazione sulle diverse proposte politiche in campo?

E la carta stampata – com’é noto da tempo anche in giurisprudenza – è assai diversa dalla televisione che riesce ad entrare nelle case di tutti i cittadini. Per la stessa Corte Costituzionale, infatti,

«La televisione “per la sua notoria capacità di immediata e capillare penetrazione nell’ambito sociale attraverso la diffusione nell’interno delle abitazioni e per la forza suggestiva della immagine unita alla parola, dispiega una peculiare capacità di persuasione e di incidenza sulla formazione dell’opinione pubblica nonché sugli indirizzi socio-culturali, di natura ben diversa da quella attribuibile alla stampa.»2

Non garantire a tutte le forze politiche un’adeguata presenza televisiva, significa quindi limitarne fortemente l’incisività della proposta politica. “Conoscere per deliberare”, motto che Luigi Einaudi volle a faro guida della sua azione sembra invece assai poco conosciuto al sistema dell’informazione radiotelevisiva italiota.

I dati del Centro d’Ascolto dell’informazione radiotelevisiva diretto da Gianni Betto non lasciano dubbi. Del resto già in passato il Centro ha evidenziato la stretta correlazione tra presenze televisive e risultato elettorale.

Nel periodo 1-20 aprile 2014, tra i primi 20 esponenti politici e istituzionali in voce nelle 120 edizioni di Telegiornali Rai, al primo posto c’è ovviamente il turbo premier Matteo Renzi con 155 milioni di ascolti consentiti, 52 interviste per un tempo complessivo di 37 minuti e 21 secondi, pari al 7% degli ascolti. Al secondo posto, stranamente da quanto si potrebbe immaginare, c’è Beppe Grillo che con i suoi 122 milioni di ascolti avuti nei primi 20 giorni d’aprile, 34 interviste e un tempo di 15 minuti e 49 secondi, si conquista il 5,1% degli ascolti consentiti ai politici italiani.

Al terzo posto dei politici graditi ai TG RAI troviamo Angelino Alfano (106 milioni di ascolti, 35 interviste, 16.41 secondi, pari al 4,8%). Al 4° posto c’é il Ministro Padoan con 65 milioni di ascolti consentiti pari al 3% del totale e a cui segue Giovanni Toti (FI) con 62 milioni di ascolti(2,8%), 18 interviste, 5 minuti e 32 secondi. Al 6° posto della classifica dei politici nei telegiornali c’è poi il buon Matteo Salvini che con 51 milioni di ascolti consentiti raggiunge il 2,3% degli ascolti nei tg. Per trovare Silvio Berlusconi nei TG d’aprile bisogna arrivare al 7° posto: a lui – pregiudicato – sono stati concessi 49 milioni di ascolti (pari al 2,2%), 17 interviste per un totale di 7 minuti e 7 secondi di parola. Subito dietro però c’è Renato Brunetta con 46 milioni di ascolti (2,1%), 16 interviste in 5 minuti e 31 secondi. Seguono Paolo Romani (43 milioni di ascolti, 1,9%) e Lorenzo Guerini (42 milioni di ascolti, 1,9%), mentre Nichi Vendola all’undicesimo posto della classifica con 39 milioni di ascolti viene comunque prima del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al quale, nei TG, è stato dato un tempo di 3 minuti e 12 secondi con 34 milioni di ascolti pari all’1,5% del totale.

La Classifica della dis-parcondicio continua sino al 20° di Giorgia Meloni. Di Marco Pannella o Emma Bonino nei tg, fino al 20 aprile, non c’è traccia. Ora Marco Pannella, magari, avrà un po’ recuperato dopo l’intervento alla aorta addominale che ha messo a rischio la sua salute e la telefonata di Papa Francesco. Ma stiamo sempre parlando dello zero virgola.

Dati pubblicati dal Centro d'Ascolto relativi ai primi 20 giorni di aprile
Dati pubblicati dal Centro d’Ascolto relativi ai primi 20 giorni di aprile

E anche se si fa riferimento ai dati relativi ai partiti e alle forze politiche, ci si accorge che l’informazione pubblica radiotelevisiva italiota adotta disparità di trattamento sistematiche, formando l’opinione pubblica piuttosto che informandola. Di 2.201 milioni di ascolti nei TG, al PD sono stati consentiti ben 398 milioni di ascolti pari al 18,1% del totale. 349 milioni a PDL-Forza Italia (15,8%), 346 milioni al Governo (Ministri e sottosegretari – 15,7%) e 345 milioni al Movimento 5 Stelle (15,7%), altri 155 milioni di ascolti li ha avuti Matteo Renzi come Presidente del Consiglio (in promessa continua). Il Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano ha avuto 85 milioni di ascolti, 74 milioni la Lega Nord, 70 milioni SEL, 46 milioni il Presidente del Senato, 45 milioni d’ascolti per Fratelli d’Italia, 42 milioni per Scelta Civica, 34 milioni al Presidente delle Repubblica, 31 milioni d’ascolti (1,4%) all’Unione di Centro, 17 milioni al Centro Democratico, 15 milioni a Unione Europea, mentre solo 5 milioni di ascolti ciascuno per la Destra di Storace e Futuro e Libertà (0,2%) che precedono i Radicali con 4 milioni di ascolti consentiti pari allo zero virgola due, appunto.

Non ci sono stati ascolti per l’Italia dei Valori né per il Partito Socialista Italiano di Riccardo Nencini.

Sulla base di questi dati è facile fare previsioni su chi arriverà primo e chi invece è a rischio di non farcela a superare il quorum del 4%: partiti come Unione di Centro, Centro Democratico, Sinistra Ecologia e Libertà eccetera, sembrerebbe impossibile che possano farcela se la gente non ne conosce neanche la proposta politica. Idem, ovviamente, per i Radicali che ha fatto bene Pannella a voler fuori da queste elezioni che è sempre più difficile definire democratiche e plurali.

La “classifica”, è bene precisarlo ancora una vota, è fatta non sul mero minutaggio, ma sui dati riferiti agli “ascolti consentiti ai cittadini”, intesi come prodotto del tempo di presenza nei TG per gli ascolti. Assai diverso è infatti andare due minuti nei telegiornali durante l’edizione a pranzo o cena, piuttosto che in quella della notte quando ad ascoltarti sono pochissimi e di una determinata fascia d’età.

Per capire come funziona l’illegalità dell’informazione radiotelevisiva italiota, però, è necessario fare un passo indietro.

A maggio 2013 il Tar del Lazio, con la sentenza n°4539, aveva ordinato perentoriamente all’Agcom di adempiere entro 30 giorni, altrimenti avrebbe nominato un Commissario. Secondo la sentenza del TAR l’Agcom, l’autorità che dovrebbe garantire la pluralità nell’informazione radiotelevisiva, risulta aver eluso una sentenza precedente del novembre 2011 con cui lo stesso giudice amministrativo aveva annullato la delibera di archiviazione dell’esposto radicale. Nel dare ragione all’associazione Lista Marco Pannella, il Tar sottolineò i vizi alla base del provvedimento con cui l’Agcom aveva archiviato l’esposto radicale e, di fatto, “legalizzato” la condotta della Rai, la quale aveva negato qualsiasi presenza dei Radicali nelle trasmissioni Ballarò, Porta a Porta e Annozero, marginalizzandoli anche nei telegiornali.

A questo link la sentenza del Tar Lazio che rimase inapplicata perché l’AGCom no fu commissariata nonostante non abbia mai ottemperato al dispositivo del TAR http://www.almcalabria.org/?p=4703

Negli ultimi giorni l’Agcom ha richiamato La 7 e il telegiornale di Enrico Mentana per “eccesso di minutaggio dato al Presidente del Consiglio”.

Ma è evidente che serve la conoscenza tempestiva dei dati della disparità di trattamento altrimenti la verifica del pluralismo, come giustamente sosteneva Vincenzo Vita su Il Manifesto, “è obbiettivamente impossibile e le sanzioni e i riequilibri arriveranno postumi”.

1 Corte costituzionale, sentenza n. 284 del 2002

2 Corte costituzionale, sentenza n. 148 del 1981

 

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Pannella: annuncio che sarò al congresso. Segretaria? Rita Bernardini è la persona giusta

Elezioni Regionali in Basilicata e Congresso di Radicali italiani sono la stessa cosa: la lotta per la giustizia e il diritto.

Alla trasmissione radio carcere del 29 ottobre su radio radicale, Marco Pannella spazia come al solito, a 360°: dal discorso del Papa ai cappellani delle carceri, al prossimo congresso di Radicali italiani che si terrà venerdì sabato e domenica prossimi a Chianciano; in mezzo la diffida fatta ai pm e ai direttori delle carceri, a non continuare a rinchiudere persone in posti dove le condizioni sono accertate essere condizioni inumane e degradanti. Ma la vera notizia è che Pannella annuncia la sua finora dubbia partecipazione al XII congresso di Radicali italiani: “sarà un confronto chiaro tra chi vorrà succedere l’eredità dell’attuale segretario, Mario Staderini”, che Pannella bolla come autore di “un biennio di vuoto politico” e che pare essere intenzionato a ritornare al suo lavoro di avvocato e chi, invece, – dice Pannella- “ha sostenuto la lotta nonviolenta per l’amnistia, la giustizia giusta e la libertà”. “È su questo che noi abbiamo radicamento sociale”.

Impegnato direttamente nella battaglia di legalità nelle elezioni regionali in Lucania che lo vedono candidato assieme al Ministro Bonino, Elisabetta Zamparutti, Maurizio Bolognetti e altri compagni, per Marco Pannella le due cose non sono affatto slegate. In Lucania, infatti, i Radicali stanno denunciando (in)brogli nella presentazione delle liste da parte di alcuni movimenti politici.

Il congresso di Radicali italiani, che “corre il rischio di trasformarsi di radicali all’italiana”, deve diventare invece il luogo di rilancio della futura battaglia referendaria per la giustizia giusta oltreché per il sostegno a quel messaggio del Presidente Napolitano alle Camere per le disumane condizioni delle carceri. E per questo che Marco Pannella propone al prossimo congresso, come nuova segretaria, proprio l’Onorevole Rita Bernardini, pannelliana ante litteram, deputata dal 2008 al 2013 3 e che già è stata, nel recente passato, segretaria di Radicali italiani. Rita Bernardini, della battaglia per l’amnistia e la giustizia, da anni, insieme ad altri compagni come Maurizio Turco, Maurizio Bolognetti e Antonella Casu, è stata l’alfiere in prima linea. Impossibile dargli torto! Il ragionamento non fa una piega. Al congresso, nel pomeriggio di Sabato 2 novembre, sarà presente anche il Ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri.

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Sopra: Rita Bernardini

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Incoerente e menzognero. Il Sindaco di Firenze e l’Icam, l’istituto di custodia attenuata per donne detenute madri, che a Firenze ancora non c’è

Non soltanto giravolte.  Da Lucia Annunziata aveva detto che a Firenze c’era il primo Istituto di custodia attenuata per madri detenute d’Italia. Falso, per il DAP quello di Firenze non è ancora in funzione e il primo è stato quello di Milano. Poi Venezia.

 di Giuseppe Candido

Che Matteo Renzi non sia campione di coerenza l’ha evidenziato Libero che, ieri 15 e oggi 16 ottobre 2013, ha mostrato ai suoi lettori come, soltanto 10 mesi fa, il Sindaco di Firenze, oggi in corsa per la segreteria del PD, fosse “pro amnistia”. E adesso lo sa tutto il web.

La giravolta manettara, come la chiamano Marco Gorra e Luciano Capone sul quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, è evidente.

Renzi passa dall’appoggio alla “nobile battaglia” di Pannella per l’amnistia già manifestato nel 2005, in occasione della marcia di Natale cui pure il Presidente Napolitano allora partecipò, e ribadito fin nel 2012 sui social network e con la sottoscrizione di un appello, assieme ad altri dirigenti del PD, “affinché Pannella cessasse il suo sciopero della fame” dicendosi “sostenitore” della sua battaglia, alle parole dette contro l’amnistia l’altro giorno, dopo il messaggio del Presidente alle Camere, durante il suo tour elettorale e ribadite, nei concetti essenziali, durante la trasmissione “in 1/2 ora” di Lucia Annunziata. L’amnistia, che per Renzi “è poco seria”, sarebbe oggi diventata persino anti educativa per le giovani generazioni.

Ma oltre alle giravolte di cui la politica è piena, c’è un’altro aspetto del sindaco di Firenze che dovrebbe far riflettere i democratici che andranno a votare per eleggere il nuovo segretario il prossimo 8 dicembre. Pur di avere qualche elettore democratico in più dalla sua parte, Renzi si rivolge direttamente allo stomaco quando serve dicendo d’esser contro l’amnistia, ma poi dimostra di aver “un cuore grande così” vantandosi, in diretta dall’Annunziata, di aver realizzato, da sindaco a Firenze, il primo istituto in Italia di custodia attenuata per le madri detenute. “Noi siamo i primi in Italia ad aver realizzato un ICAM, un’istituto di custodia attenuata per madri”. Peccato che non sia il primo e non sia ancora neanche in funzione. Andatevelo a riascoltare. Dove? Su Radio Radicale, ovviamente .it per riascoltare. Durante la trasmissione di Radio Carcere del 15 ottobre, il conduttore storico Riccardo Arena assieme a Rita Bernardini rendono palese la menzogna detta dal sindaco di Firenze in diretta alla trasmissione di Lucia Annunziata. Per farlo, la già Deputata, On.le Rita Bernardini e Riccardo Arena sono andati a scomodare nientemeno che il Dott. Luigi Pagano, vicario capo del DAP, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Il quale, sollecitato dal cronista, è lapidario. A Firenze non ci sono ancora Icam in funzione. E comunque, il primo ad entrare in funzione – ribadisce Pagano – “è stato quello di Milano, il secondo a Venezia”. Secondo Pagano, per Firenze al momento pare ci sia soltanto il progetto del comune e un finanziamento della Regione. Andatela a riascoltare la trasmissione del 15 ottobre con il dott. Luigi Pagano che, in diretta, smentisce Matteo Renzi.

Quindi non solo giravolte: prima pro amnistia con Pannella poi contro. Ma anche belle e proprie bugie per attrarre più possibile voti dalla sua. Bugie a parte, che però sono indicative, una domanda a Renzi vorrei farla; per quanto riguarda l’aspetto diseducativo verso le giovani generazioni che avrebbero un provvedimento di amnistia e indulto; da insegnante mi chiedo se sia più educativo un’amnistia fatta secondo Costituzione, oppure raccontare ai nostri giovani che l’Italia, il loro bel Paese che con l’istruzione quotidianamente li educa alla convivenza civile e alla legalità, preferisce invece derogare la sua stessa legalità costituzionale, derogare il rispetto dei diritti umani sanciti universalmente, non ottemperare ad una sentenza della CEDU e continuare a torturare, anziché rieducare, i propri cittadini che sbagliano.

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Lungimiranti e ritardatari

di Carmelo Puglisi
Oggi il 40% degli italiani è favorevole all’Amnistia.

E’ un dato rilevante, visto che nel 2009 solo il 3% lo era.
Le cose sono cambiate quando Marco Pannella e i Radicali si sono spesi in una solitaria campagna di sensibilizzazione, per certi versi impopolare, se vogliamo, visto che ha raggiunto il culmine quando quasi tutti parlavano esclusivamente di una crisi Economica, e non di una crisi della Democrazia, composta oggi da un Parlamento di nominati, e non di eletti, con una legge elettorale – ancora immutata – orripilante.
Oggi l’Amnistia si trova sui tavoli dell’attualità politica. Ne parlano tutti, e autorevoli esponenti – scampati alla diffusione della Berlusconite – la appoggiano. Un tempo l’appoggiava anche Grillo, ma poiché anch’egli è ruzzolato nella fossa politica dove berlusconiani e antiberlusconiani si scannano da tempo, ora sembra aver cambiato idea.In realtà, il problema riguardante il sovraffollamento delle carceri era esploso – non nei mass media – da tempo, ma era una battaglia impopolare, appunto, e quasi tutti preferirono nascondere tutto sotto il tappeto.

Non facevano notizia i suicidi nelle carceri. Non facevano notizia le puntuali condanne della Corte di Strasbugo. Non faceva notizia la mancanza della Responsabilità Civile (eccezione negativa, tanto per cambiare, in tutt’Europa). Non facevano notizia i dati secondo i quali oltre il 40% dei detenuti era in galera per l’uso sconsiderato del carcere preventivo, per poi risultare innocente nel 50% dei casi.
Allo stesso modo, non hanno fatto molta notizia i quesiti referendari proposti dai Radicali che si proponevano di abolire il reato di clandestinità, di depenalizzare i reati per droghe leggere, e soprattutto, di abrogare la Bossi-Fini.
Eppure, nonostante non si sia raggiunto il numero necessario di firme, anche questi argomenti si sono imposti con forza sui tavoli della Politica. Purtroppo, a far Luce sulle Bossi-Fini sono state le vittime di Lampedusa.
Ora tutti si destano, si indignano, scalciano, capovolgono il tavolo. Da Matteo Renzi (il nuovo che avanza?) alla Boldrini, eccellenti astenuti. Dov’erano questi illustri signori, quando si raccoglievano le firme? Per quale motivo non hanno firmato? Forse perchè c’erano di mezzo i Radicali? O forse perchè aveva firmato Silvio Berlusconi? Paradossi italiani.

Chi si proclama progressista, arriva in ritardo. Chi si proclama interventista, attende. Chi si proclama vigile ed attento alle problematiche del Paese, dorme.

«Riformisti dei miei stivali», li avrebbe definiti qualcuno.

Costoro ricordano vagamente Luigi XVIII, che dopo essere tornato sul trono, dopo anni di esilio, si assopì.

Mentre i suoi consiglieri lo mettevano in guardia riguardo un possibile ritorno di Napoleone, egli preferiva dedicarsi ai colori da scegliere per le nuove tende del palazzo, sottovalutando il problema. E così fece, di volta in volta, fin quando Napoleone fece ritorno in Francia, con sommo stupore del panciuto sovrano.

Il paragone non regge, per certi versi, visto che in Francia il dominio di Napoleone durò solo per altri Cento Giorni, mentre invece, le riforme che potrebbero riguardare il nostro Paese, incideranno profondamente nelle vite di milioni di italiani per molti anni a venire.

Adesso sono in pochi a ridere, quando si parla dei Radicali, quasi a voler ricordare la validità d’una frase di Mahatma Gandhi : «Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci. »

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Muore lo Stato di Diritto quando prevale la ragion di Stato

L’Italia non è più uno Stato di Diritto. Quando quest’affermazione l’ha fatta il Senatore Silvio Berlusconi nel suo video messaggio dello scorso 12 settembre è sembrata essere l’ennesima esagerazione, incauta, di chi ha il dente avvelenato con la Magistratura e non accetta le sentenze neanche quando queste, dopo il terzo grado, sono definitivamente passate in “giudicato”. Eppure, in quelle parole che all’apparenza possono essere considerate una grossa bugia per coprire i propri personali problemi giudiziari, nascondono una cocente verità. Se non bastassero le continue e ormai trentennali condanne dell’Europa inflitte al nostro Paese per l’eccessiva lunghezza dei processi al ritmo di oltre duecento sentenze all’anno, è più recente la notizia che l’Italia rischia la procedura d’infrazione europea anche per non aver dato attuazione alla legge e alle direttive che esigerebbero la effettiva responsabilità civile dei magistrati. Il 26 settembre l’Unione avrà aperto un procedimento d’infrazione perché l’Italia non si è ancora adeguata alla legge europea riguardante il risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati. Ma questa, parlando di leggi non rispettate dallo Stato Italia, sorvegliato speciale in tema di giustizia, è solo una pagliuzza rispetto alla più grossa trave nell’occhio costituita dalla sentenza della CEDU, la c.d. Sentenza “Torregiani e altri”, dello scorso 8 gennaio 2013 divenuta ormai definitiva lo scorso 28 maggio dopo il rigetto, da parte della Grand Chambre, del ricorso presentato dal Governo italiano perché “la questione carceri è di grave rilevanza istituzionale, non soltanto sociale ed economica”. Una sentenza pilota di rilevanza istituzionale che potrebbe, se il nostro Paese non provvederà entro il prossimo 28 maggio, applicarsi a tutti i detenuti che si trovano nelle medesime condizioni. Una sentenza che ha visto condannata l’Italia non per occasionali ma per “sistematiche e strutturali violazioni” dell’articolo 3 della Convenzione Europea per i Diritti Umani che vieterebbe quei trattamenti inumani e degradanti che, invece, avvengono quotidianamente nelle nostre patrie galere. Uno Stato cessa di essere Stato di Diritto quando cessa, esso stesso, di rispettare la sua stessa Legge fondamentale e le convenzioni internazionali su temi così importanti come la violazione dei diritti umani. Quando Marco Pannella invoca l’amnistia per la Repubblica lo fa non per caritatevole compassione per chi subisce i trattamenti inumani, ma anche e spora tutto, lo per chiedere alle Istituzioni, al Parlamento in primis, di far rientrare lo Stato nell’alveo della propria legalità. Giustizia lentissima, magistrati non responsabili dei propri errori e carceri sovraffollate in cui sistematicamente e strutturalmente avvengono trattamenti inumani e degradanti dei detenuti e, ricordiamolo, delle persone che ivi lavorano. Sono queste le motivazioni che hanno indotto Giacinto Marco Pannella, quale presidente del Partito Radicale, e l’Avv. Giuseppe Rossodivita, presidente del comitato Radicale per la Giustizia, Piero Calamandrei, ad inviare ben 675 “atti di significazione e di diffida” a tutti i Presidenti dei Tribunali Italiani, ai Procuratori Capo di tutte le Procure Italiane, ai Presidenti degli Uffici GIP di tutti i Tribunali Italiani, ai Direttori delle Carceri italiane, e a tutti gli Uffici di Sorveglianza della Repubblica. Partendo dal contenuto della citata sentenza pilota della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, le diffide inviate spiegano il perché, attualmente, decine di migliaia di detenuti, sia in esecuzione pena, sia in custodia cautelare, sono sottoposti ad una pena o ad una misura, tecnicamente, illegali. Il senso delle diffide è che, come vuole la nostra Giustizia, non può esistere pena se non quella che viene eseguita secondo la legge.
Già la CEDU, emettendo la sentenza Torreggiani per violazione sistematica e strutturale dell’articolo 3 della Convenzione, ha sottolineato come lo Stato, fino a quando la politica non avrà risolto il problema strutturale del sovraffollamento carcerario, è comunque tenuto a garantire che l’esecuzione delle pene avvenga nelle forme previste dal codice penale, dalla costituzione e dalle convenzioni sui diritti fondamentali dell’uomo che non possono (o non potrebbero) essere mai derogati. “Lo Stato”, si legge nella sentenza, “è tenuto ad organizzare il suo sistema penitenziario in modo tale che la dignità dei detenuti sia rispettata”. Come ha sottolineato anche la Corte Costituzionale già nel 1966, proprio in riferimento al 3° comma dell’articolo 27 della Costituzione, “Una pena è legale solo se non consiste in un trattamento contrario al senso di umanità”. Articolo 27 della Costituzione che, sempre per la Corte Costituzionale, deve essere integrato da quanto previsto dalla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo. E lo stesso discorso è valido, ovviamente, anche per chi, ancora da presunto innocente, si trova in carcerazione preventiva in ragione dell’esecuzione di una misura di custodia cautelare. Tuttavia, come spiegano Pannella e Rossodivita nella diffida inviata anche al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quale Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, nonostante gli auspici della Corte europea la sentenza Torreggiani sembra essere caduta nel vuoto. I magistrati continuano ad applicare misure di custodia cautelare in carcere anche quando non sarebbe strettamente necessario e i direttori eseguono ordini di custodia fuori dalla legalità costituzionale. La diffida si conclude invitando tutti i Procuratori Capo, i Presidenti degli uffici GIP, i Presidenti di Tribunale, a voler conformare – mediante la doverosa e necessaria riorganizzazione del lavoro degli uffici – l’emissione degli ordini di esecuzione pena e delle ordinanze applicative di misure cautelari di custodia agli artt. 3 della CEDU, 27, comma 3, e 117 della Costituzione della Repubblica Italiana. Come? Verificando, prima dell’emissione di un ordine di esecuzione o di custodia cautelare, la disponibilità da parte delle Case di reclusione e/o delle Case circondariale a poter accogliere il destinatario in condizioni tali da non violare il precetto di cui all’art. 3 della CEDU. E, nella diffida, Pannella e Rossodivita invitano pure tutti i direttori delle carceri della Repubblica a voler informare doverosamente i Procuratori della Repubblica, i Presidenti di Tribunale, i Presidenti degli Uffici GIP, in ordine alla possibilità o meno di accogliere i detenuti in condizioni tali da non violare l’art.3 della CEDU che, ricordiamolo, è un diritto umano che non può e non dovrebbe essere mai derogato, neanche in caso di guerra o per motivi di sicurezza nazionale. Speriamo che la ragion di Stato non prevalga, ancora una volta, contro quello Stato di diritto che in Italia più che morto sembra essere dimenticato.

Giuseppe Candido
www.giuseppecandido.it

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Platì, paese a democrazia sospesa “deluso da una politica che non mantiene le promesse”

Platì è un comune della provincia di Reggio Calabria ubicato in una vallata al centro dell’Aspromonte orientale. Fondato nella seconda metà del XVI secolo venne dichiarato comune autonomo dai francesi nel 1809. Oggi, inutile nasconderlo dietro a un dito, è terra di ‘ndrangheta. Un territorio comunale di 50 Kmq tra i più grandi della provincia e più volte devastato da eventi sismici e alluvionali. Dopo un picco demografico nel 1951 con 6.200 residenti, al censimento del 2011, Platì ha poco più di 3.700 residenti. Sciolto per infiltrazioni mafiose più volte, dal marzo del 2012 sino a tutt’oggi è retto da una commissione straordinaria. Un paesino a democrazia sospesa, in attesa di giudizio. Ma in realtà questa non è la prima volta che l’amministrazione di Platì viene sciolta per mafia. Negli anni ’70 e ’80 le famiglie nobili e borghesi del paese furono costrette dai locali ad abbandonare il centro consegnandolo, di fatto, in mano alle famiglie di ‘ndrangheta che tutt’oggi vi abitano. In quel periodo venivano uccisi l’ex-Sindaco Francesco Prestia, barbaramente trucidato con la moglie nell’abitazione e il Sindaco in carica, Domenico Natale De Maio, vittima di un agguato automobilistico sulla strada provinciale che conduce dalla marina al centro aspromontano. Il 16 luglio 2006 l’Amministrazione comunale di Platì allora in carica veniva sciolta per condizionamento mafioso dal Governo, che vi ha insediato una commissione straordinaria per la gestione del Comune fino al ripristino della legalità fino al giugno del 2009. Dopo le elezioni comunali nel giugno del 2009 che aveva visto eletto democraticamente uno Strangio, cognome assai scomodo da quelle parti, l’Amministrazione Comunale è stata sciolta nuovamente per condizionamento mafioso il 23 marzo 2012.
Alle ultime elezioni politiche del febbraio 2013, dei 2.691 elettori solo 1.006 di loro (il 37,38%) si è recato effettivamente alle urne per votare. La cosa strana, o se volete affascinante, è che 176 elettori, pari al 20 % dei votanti, alla Camera hanno votato per la lista Amnistia Giustizia Libertà guidata, in Calabria, personalmente da Giacinto (detto Marco) Pannella e che, al secondo posto, aveva tra i candidati anche chi ora scrive. Difronte ai 68mila o poco più voti ottenuti a livello nazionale con una media dello 0,2%, il 20% di Platì come anche il 7,88% di Africo (95 voti) e il 7,19% a Palmi (90 voti), rappresentano anomalie positive che colpiscono come sabbia negli occhi. Inizialmente non capisci il perché, né per quale meccanismo. Ma già a ridosso delle elezioni, nel mese di Marzo 2013, Marco Pannella aveva detto chiaramente di voler venire in Calabria, proprio a Platì, per ringraziare i suoi abitanti che, diceva, “ci hanno solo capiti”. Come già era accaduto a Rizziconi per le elezioni europee, quando allora era candidato Enzo Tortora, subito qualcuno ha gridato allo scandalo: Pannella prende i voti della ‘ndrangheta che, secondo i più acuti commentatori, avrebbe persino dato l’ordine di votare per la lista Amnistia Giustizia Libertà.
Pannella invece è convinto del contrario: “lì c’hanno solo capiti. Se la ‘ndrangheta avesse dato l’ordine di votarci avremmo preso almeno l’80%”. D’altronde in un paese con poco più di 2.600 votanti, un comune con una così alta densità mafiosa, più volte sciolto per mafia, dove probabilmente non si riesce a trovare persona che non abbia un qualche parente, un affine, un cugino o un cognato, affiliato o in odor di ‘ndrangheta, se davvero fosse scattato l’ordine, da parte delle ‘ndrine locali, di votare per la lista Amnistia Giustizia e Libertà, il risultato del 20% sarebbe quantomeno deludente. Irrisorio per un’organizzazione criminale abituata a un ben diverso controllo del consenso. Quindi, se i voti alla lista Amnistia Giustizia Libertà (176 voti, 20%) nel comune di Platì non sono arrivati per un ordine ci deve essere qualche altro motivo che ha consentito alla gente di conoscere l’offerta politica: amnistia come provvedimento strutturale e propedeutico per la sempre più necessaria riforma della giustizia. Amnistia, dicevamo in campagna elettorale, come provvedimento necessario per far uscire il nostro Paese dalla sua flagranza criminale contro i diritti umani e contro lo Stato di Diritto. Ma anche amnistia come provvedimento propedeutico alla riforma organica della giustizia che oggi, i Radicali, propongono con i 12 referendum. Una giustizia lenta, lentissima, più volte condannata dall’europa per l’eccessiva lentezza dei processi che, con un provvedimento di amnistia e indulto risulterebbe avere una boccata d’ossigeno. Carceri super affollate di persone che, per il 40%, sono in attesa di giudizio lì, rinchiusi prima di una condanna definitiva. E lì, in quel piccolo comune di Platì, forse grazie proprio alla presenza attiva di qualche parente di qualche detenuto, si sono avute percentuali del 20% che sarebbero logiche e prevedibili se, anche su base nazionale attraverso il servizio dell’informazione pubblica televisiva, il messaggio fosse passato. Adesso però, a sentire qualche abitante di Platì dopo che il leader radicale lo scorso 16 agosto è stato a Gambarie d’Aspromonte e a Reggio Calabria senza però passare da loro, c’è una grande delusione. Un senso, quasi, di rassegnazione nei confronti di una politica, forse anche quella Radicale, capace di fare promesse per poi non mantenerle. E per questo il leader radicale continua ad affermare che vuole organizzare a Platì e “da” Platì, una ripartenza di tutta l’area Radicale attraverso la costituzione di un’associazione radicale tematica per l’amnistia, la giustizia giusta, il diritto e la libertà.
Adesso Pannella, già in sciopero della fame dal 17 agosto ha deciso dal 21 di aggravare la sua forma di lotta nonviolenta anche con lo sciopero totale della sete. L’obiettivo è sempre lo stesso: traferire la propria forza e il proprio sostegno affinché il “Cesare”, lo Stato italiano condannato dall’Europa per i trattamenti inumani e degradanti inflitti ai propri detenuti oltreché per una giustizia lentissima, trovi Lui, nel suo Parlamento a ciò Deputato, la forza per adottare l’amnistia come unico provvedimento “strutturale”. Pannella ha annunciato il suo sciopero dai microfoni di Radio Carcere, la trasmissione che ogni martedì va in onda sulle frequenze di Radio Radicale. Con lui, in collegamento telefonico, anche il Ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri che, dopo aver ribadito come anche per lei il provvedimento di amnistia sia una riforma strutturale e l’unica in grado di far rientrare immediatamente l’Italia agli obblighi europei oltreché costituzionali, lo ringrazia esplicitamente per questa lotta nonviolenta che lui, Pannella in prima persona, e suoi “alfieri Radicali” stanno portando avanti con grande determinazione.

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