Il presidente del Senato Pietro Grasso, persona a suo modo simpatica e di spirito (per come ho avuto modo di conoscerlo), alle spalle, com’è noto un passato di magistrato impegnato in importanti e delicate vicende di mafia (e non solo giudice a latere del maxi-processo alla Cosa Nostra), amico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; anche lui nel mirino mafioso, e scampato miracolosamente ad attentati e agguati; autore di libri non banali; interviene sulla polemica innescata dalla sentenza della Corte di Cassazione a proposito dello stato di salute di Totò Riina. Dice una cosa che mi inquieta, preoccupa; e soprattutto preoccupa che non vi siano reazioni inquiete al suo dire.
Rivoltata come un calzino la sentenza di I grado. Il fatto non sussiste e Berlusconi, con Ruby, non ha commesso nessun reato. Chissà come faranno a fare i titoli i giornali forcaioli.
Lui, Berlusconi, ha diramato via internet la presente nota che riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Sono profondamente commosso: solo coloro che mi sono stati vicini in questi anni sanno quello che ho sofferto per un’accusa ingiusta e infamante.
Per questo il mio primo pensiero oggi va ai miei affetti più cari, che hanno sofferto con me anni di aggressione mediatica, di pettegolezzi, di calunnie, e che mi sono stati accanto con serenità e affetto ineguagliabili.
Un pensiero di rispetto va poi alla Magistratura, che ha dato oggi una conferma di quello che ho sempre asserito: ovvero che la grande maggioranza dei magistrati italiani fa il proprio lavoro silenziosamente, con equilibrio e rigore ammirevoli.
Penso anche ai tanti, tantissimi amici, collaboratori, sostenitori, e soprattutto ai milioni di italiani che hanno continuato a credere nelle nostre battaglie politiche e a starmi vicino nonostante tutti i tentativi di infangare il mio nome e la mia onorabilità.
E’ grazie a loro che ho potuto resistere, sul piano umano e sul piano politico.
E infine un caloroso ringraziamento ai miei avvocati, al prof. Coppi, all’avv. Dinacci, all’avv. Ghedini e all’avv. Longo che hanno saputo fare il loro lavoro non soltanto con altissima professionalità e competenza, ma anche con quella passione civile, con quella sensibilità umana, con quella sete di verità che hanno dato ancora più valore al loro eccellente lavoro.
Da oggi possiamo andare avanti con più serenità. Il percorso politico di Forza Italia non cambia. Credo che questo sia nell’interesse dell’Italia, della democrazia, della libertà.
Firmato
Silvio Berlusconi
In realtà, osservando attentamente i dati pubblicati dal Centro di Ascolto dell’informazione radiotelevisiva, con l’overdose mediatica che i cittadini hanno subito dal PD e dal Premier in prima persona, non era difficile prevederlo. Ma i sondaggi non c’hanno azzeccato.
Il Movimento 5 Stelle, che alle politiche 2013 aveva potuto contare su ben 8 milioni e 691.406 voti pari al 25,56%, per queste elezioni europee, dal suo blog Beppe può lanciare solo 5milioni e 804.810 di grazie (corrispondenti esattamente 2milioni e 886.596 voti in meno!)
In realtà, i voti presi dal M5S sono un po’ meno: il Viminale ne da’ per validi 5milioni e 792.865 (21,6%) contro gli 11milioni e 172.861 (40,8%)!
Tutti davano Beppe a un passo da Matteo, che invece …come notano quelli de Il Fatto quotidiano il dato elettorale parla chiaro:
TrionfoRenzi, ridimensionamentoGrillo, delusioneBerlusconi. Le elezioni Europee e Comunali si sono trasformate in un vero plebiscito per il Partito democratico, il cui consenso (seppur con i dati ancora parziali) è andato al di là di ogni più rosea aspettativa.
(…) Il Movimento 5 stelle, da più parti indicato come vero spauracchio per il Pd, si è fermato poco sopra il 20% (20,84%), il che significa quasi 22 punti di distacco. Altro che testa a testa, altro che #vinciamo noi: i 5 Stelle sono stati doppiati, il che pone seri dubbi sulla bontà della strategia elettorale di Grillo e company. E se il M5s non ride, Forza Italia è costretta a piangere. L’impatto diSilvio Berlusconi sul voto, infatti, è stato pressoché nullo: Forza Italia è ferma al 15,60%, in netto calo rispetto alle scorse politiche. Netto ridimensionamento degli azzurri e fine definitiva del berlusconismo?
Commosso e determinato. Anche il commento del premier fatto a caldo con un Tweet è altrettanto chiaro:
Il voto alle europee non lascia margini di dubbi.
Il PD è al massimo storico e, secondo il dato ITALIA, fonte Sky, vola sopra un più 14% rispetto alle europee del 2009.
I Numeri … in Calabria: Forza Italia e il Centro Destra resistono più che altrove mantenendo un 19% (FI), il M5S è al 21,46% e diventa così il 2° partito in Calabria dopo il PD che si attesta al 35,8% …
Sotto, il voto alle europee in Calabria provincia per provincia.
I comuni in rosso sono quelli dove il PD è il primo partito, in giallo quelli dove è il M5S a raggiungere il primo posto come partito, in blu quelli in cui il primo partito è Forza Italia in violaFratelli d’Italia e, in azzurro, quei comuni “fedelissimi” al NCD con cui, in Calabria, è candidato il governatore uscente Scopelliti.
a Catanzaro
a Cosenza
a Crotone
a Vibo Valentia
a Reggio Calabria
a Lamezia Terme
Di seguito, i risultati alle elezioni europee in alcuni comuni calabresi della provincia di Catanzaro.
Nel comune di Catanzaro
Nel comune di Sellia Marina
Nel comune di Cropani, il Partito Democratico (25,7%) è il primo partito seguito dal M5S (22,38%) e da Scelta Europea che, per la presenza di un candidato locale, salta al terzo posto con il 17,52%. Tutti voti persi perché, su base nazionale, Scelta Europea non supera lo sbarramento del 4% arrestandosi allo zero virgola.
Nel comune di Simeri Crichi, invece, è il Movimento 5 Stelle a conquistare l’aureola di primo partito.
Nel comune di Botricello, rimane Forza Italia il primo partito
Al link sottostante si trovano le mappe interattive sul voto alle europee in aggiornamento continuo per tutti i comuni d’Italia sia per le europee e, tra poco, per le amministrative … http://youtrend.it/m/mappa-elettorale/#/c/2013-02-24/r/italy
Erosione delle coste, crollano altari e muri antica Kaulon
Papa Francesco e la riflessione "appannata" sulla Calabria
Siria: all'ONU le immagini scioccanti, rese pubbliche da Marco Perduca, provano l'uso di armi chimiche come in una linea di produzione.
La buona scuola, Governo interviene su retribuzioni, carriere e stato giuridico dei docenti per decreto? Di Meglio (Gilda ins.): Ho inviato domenica 1 marzo 2015 un appello al Presindete Mattarella affinché intervenga
Rifiuti e veleni in Calabria - L'Europa ci condanna per quella che è diventata vera peste ecologica
Se si tiene conto della sovraesposizione pediatrica consentita a Matteo Renzi come presidente del Consiglio, anche durante i giorni di campagna elettorale ci si accorge della disparcondicio che hanno subito le diverse forze politica.
Giudicate voi (in attesa che – a seguito delle denunce dei Radicali – lo facciano la CEDU e le altre giurisprudenze internazionali cui pure i Radicali intendono adire).
Infine, ma non in ultimo, una considerazione non di poco conto: se è vero, come sembra non infondato al Tribunale di Venezia, che la soglia di sbarramento al 4% sia incostituzionale, è prevedibile l’impugnazione dei verbali di proclamazione degli eletti che, invece, terranno conto dello sbarramento vigente. Anche queste elezioni, che di democratico finora hanno visto ben poco, rischiano di concludersi nelle aule dei tribunali che dovranno giudicare la legittimità costituzionale dello sbarramento e della relativa proclamazione degli eletti in parlamento.
Comunque, volendo ricordare le promesse fatte in campagna elettorale, eccone una: “Su una cosa non ho dubbi: o vinciamo, o stavolta davvero me ne vado”.
Nel 2011 il governo Berlusconi fu vittima di un complotto internazionale. Lo nota stamane Paolo Mastrolilli, inviato a New York per La Stampa con l’articolo intitolato “chiesero a Obama di far cadere Berlusconi”.
Nella mail fatta circolare dal responsabile Internet di Forza Italia.
Anche l’ex segretario del Tesoro americano, Timothy Geithner conferma l’ipotesi non infondata viste le considerazioni che anche Friedman ha fatto sul come andò lo spread
Nel suo libro di memorie, ‘Stress test’, Geithner adesso rivela:
“Ad un certo punto, in quell’autunno, alcuni funzionari europei ci contattarono con una trama per cercare di costringere il premier italiano Berlusconi a cedere il potere; volevano che noi rifiutassimo di sostenere i presti dell’Fmi all’Italia, fino a quando non se ne fosse andato.
Parlammo al presidente Obama di questo invito sorprendente, ma non potevamo coinvolgerci in un complotto come quello. ‘Non possiamo avere il suo sangue sulle nostre mani’, io dissi.”.
In realtà, come notano nel partito di Berlusconi, :
Questa è l’ultima di una serie di conferme, venute alla luce in questi mesi.
Oggi scandalizzarsi sembra andare di moda. Il fatto è che molti hanno una pessima mira, e dunque mancano il bersaglio. Nella fattispecie, invece di scandalizzarsi per la proposta d’una legge elettorale che, qualora passasse, penalizzerebbe ulteriormente i partiti più piccoli, lasciandoli fuori dal Parlamento e condannandoci ad un sistema tripolare, ci si scandalizza poiché per fare in modo che si potesse avere il consenso più ampio possibile in Parlamento, Matteo Renzi ha dovuto cercare l’appoggio di Silvio Berlusconi.
Nemmeno a dirlo, comunisti e non si sono messi le mani fra i capelli, gridando allo scandalo, all’inciucio, eccetera eccetera. Ahimè, oggi la parola compromesso – non senza responsabilità addebitabili in buona parte alla nostra classe politica – ha assunto un significato negativo. Eppure il problema – tra virgolette – non sarebbe neppure questo. La cosa veramente strana è che oramai ci si scandalizza per tutto, senza conservare troppa memoria degli eventi passati.
Per farla breve, non è certamente la prima volta che un leader del centrosinistra scende a patti con Silvio Berlusconi. Lo avevano già fatto – per dirne due – Massimo D’Alema e Walter Veltroni (due ex comunisti) rispettivamente per mettersi d’accordo sulla bicamerale e sull’elezione di Ciampi alla Presidenza della Repubblica. La cosa avrebbe forse dovuto destare maggior scandalo allora, visto che si trattava di due politici di spicco posizionati – sulla carta – molto a sinistra, e invece il clamore scoppia oggi, con Matteo Renzi (che in passato ha militato nel PPI e nella Margherita, per intenderci).
Certo, le motivazioni che resero necessari i vari accordi erano diverse, ma sempre di compromessi si trattava. Non si spiega dunque la differenza di trattamento. Forse l’ascesa di Matteo Renzi è così temuta dai suoi stessi “compagni” di Partito, che alcuni ritengono sia necessario mettere il nuovo Segretario sotto una luce negativa, sempre e comunque. Stranissimo ad esempio l’atteggiamento di Gianni Cuperlo, dimessosi dalla carica di Presidente dopo aver avuto dei contrasti col Segretario. Una carica – quella di Presidente – che Cuperlo avrebbe forse fatto meglio a non accettare mai, visto che il ruolo di garante mal si presta ad un esponente che ha idee politiche ben precise per quanto riguarda la concezione di Partito – che cozza con quella di Renzi – e che solo l’8 Dicembre del 2013 è stato sonoramente sconfitto alle Primarie del PD, superato di gran lunga dallo stesso Renzi.
Forse – curiosamente – anche Renzi ha comunque ben pochi motivi per stare allegro. Infatti, volendo ritornare alle analogie fatte con D’Alema e Veltroni, costoro sono accomunati da una cosa in particolare: Entrambi, come leader, non sono politicamente sopravvissuti a Silvio Berlusconi. Un brutto segno.
Niente da fare. A nulla sono servite le operazioni di ingegneria politica che avrebbero dovuto risolvere la crisi: il Centrodestra si è spaccato. Da una parte Silvio Berlusconi e i lealisti – con Forza Italia 2.0 – e dall’altra Alfano, con una pattuglia di parlamentari – anche importanti – dalla sua.
Motivo della diaspora sarebbe la deriva estremista di Berlusconi e dei suoi sodali, che mirerebbero a buttar giù il governo per fini meramente elettorali. Questo – secondo Alfano – sarebbe inammissibile, in quanto avrebbe delle ripercussioni sulla pelle degli italiani, già duramente provati dalla crisi economica ch’ancora imperversa.
Uno scenario che sarebbe riduttivo definire caotico, nel quale si grida al traditore, al cane che morde il padrone, ma che nel contempo lascia aperte, come sempre, delle porte di servizio dalle quali si può sempre rientrare, magari con un abbraccio e qualche bacetto.
Dopo le vicissitudini che Berlusconi ebbe con Casini e Fini, Alfano era divenuto il suo erede naturale, tanto da divenire anche segretario del Popolo delle Libertà. Oggi però, Alfano sembra aver tagliato il cordone ombelicale che lo teneva legato ad un agonizzante Berlusconi, che dopo le sue vicende giudiziarie ha perso consenso e credibilità.
Alfano e i suoi si sono praticamente allontanati da una posizione divenuta, a loro parere, oramai troppo scomoda da difendere e sostenere. In questa pattuglia, infatti, militano non a caso esponenti politici di matrice moderata. Ci torneremo a breve.
Spostiamo invece la lente su un’altra scissione: quella avvenuta in Scelta Civica.
La storia la conosciamo tutti. Dopo aver dato rassicurazioni riguardo la sua intenzione di non candidarsi alla Presidenza del Consiglio, il Professor Monti – oggi Senatore a Vita – fece il contrario di quello che aveva detto, e supportato da due pezzi da novanta come Fini e Casini, presentò il suo progetto.
Scelta Civica ottenne un buon risultato – anche se leggermente sottotono, rispetto alle aspettative – e tutto sembrava procedere per il verso giusto, fin quando il Professor Monti non decise di dimettersi, ritenendo che gli ideali di Scelta Civica fossero stati traditi, e che il progetto avesse preso una rotta sbagliata a causa dei volponi politici presenti al suo interno.
Era prevedibile, ma d’altronde il Professor Monti – per sua stessa ammissione – politicamente è ancora molto inesperto. La crisi è culminata quando i suddetti volponi hanno deciso di abbandonare Scelta Civica per formare gruppi parlamentari autonomi. Dopo pochi mesi di governo, insomma, compagini politiche che si erano unite in occasione delle elezioni, si separano: un classico.
Monti ha comunque affermato di essere, nel complesso, soddisfatto, sostenendo che da adesso, Scelta Civica potrà muoversi – yuppi ye -senza il freno a mano tirato. Magra consolazione, visto cheil suo gruppo parlamentare – che già prima della scissione, non aveva molto peso – conta relativamente poco. Fin’ora, il percorso di Scelta Civica può essere paragonato a quello di un bambino delle elementari che ha un’ora di tempo per scrivere un tema, e che nel primo quarto d’ora ha lasciato la pagina in bianco. Tutto può ancora accadere, insomma. Ad ogni modo, anche in questo caso, un gruppo composto da moderati riconquista autonomia, e se ne va per i fatti suoi.
Una coincidenza ed un’analogia preoccupante, quella che intercorre fra la scissione avvenuta in Forza Italia e quella verificatasi in Scelta Civica, dove due ali moderate si separano, muovendosi apparentemente in maniera autonoma, senza progetti o accordi fatti in qualche stanza buia.
E se invece così non fosse? Se i moderati dell’UdC e quelli del PdL stessero per intraprendere una strada comune? Sarebbe un buon modo per sopravvivere agli sbarramenti della legge elettorale, qualora facessero sul serio. Vorrebbe anche dire, però, che dei politici che si sono detti – almeno negli ultimi anni –-antiberlusconiani, andrebbero ad unirsi a dei colleghi che con Berlusconi, fino a ieri, facevano merenda.
La stabilità di governo è un bene se si nutre di due cose: un governo capace di lavorare bene e una maggioranza unita sulle cose da fare e fondata sul rispetto reciproco.
Invece nelle ultime settimane abbiamo avuto un governo capace solo di rinviare, di proporre il blocco dell’Iva aumentando altre tasse, di tagliare l’Imu solo a metà per ricattare il Pdl e costringerlo a stare al governo, un governo prono rispetto ai diktat dei burocrati dell’Unione europea.
Abbiamo avuto il nostro maggior alleato, il PD, che si vergogna di stare in un governo “contro natura” e che per bocca di tutti i suoi esponenti di vertice annuncia l’intenzione di buttare fuori dal Parlamento il leader del partito alleato, violando la Costituzione. In questo modo assecondano gli istinti della loro base, nutrita da venti anni nell’odio contro di me e pensano di chiudere una partita che dura dal 1994.
Abbiamo pazientemente offerto soluzioni a ogni livello istituzionale per evitare di fare precipitare la situazione. Non ci hanno voluto ascoltare.
Per questo ho deciso di chiedere ai ministri PDL di dare le proprie dimissioni. So bene che è una scelta dura e impopolare. Ho previsto tutte le accuse che mi stanno rovesciando addosso in queste ore e anche lo sconcerto di parte del nostro elettorato, preoccupato giustamente della situazione economica e sociale.
A loro dico di non credere a coloro che da vent’anni hanno bloccato le nostre riforme per cercare di eliminarmi dalla scena politica. Sono gli stessi che oggi mi dicono di non anteporre me stesso al bene dell’Italia. Ciò non è mai stato in discussione per me e per la mia forza politica, in tutti questi anni.
Noi siamo quelli che negli anni Novanta hanno salvato i governi della sinistra quando non avevano maggioranza sulla politica estera. Noi siamo quelli che hanno voluto Monti, Bonino, Prodi in posizioni di vertice in Europa, perché italiani. Noi siamo quelli che non abbiamo mai lavorato all’estero contro il governo italiano quando eravamo all’opposizione. Noi siamo quelli che due anni fa hanno votato contro l’arresto di un senatore del PD, nello stesso giorno in cui loro votavano per far arrestare un nostro deputato, che fu peraltro scarcerato dopo alcune settimane. Noi siamo quelli che hanno voluto il governo Monti e il governo Letta, sperando potesse essere un governo di riforme e di pacificazione.
So e sappiamo distinguere il reale interesse dei cittadini. Per questo motivo, se il governo proporrà una legge di stabilità realmente utile all’Italia, noi la voteremo. Se bloccheranno l’aumento dell’Iva senza aumentare altre tasse noi lo voteremo. Se, come si sono impegnati a fare, taglieranno anche la seconda rata Imu, noi voteremo favorevolmente. Noi ci siamo e ci saremo su tutte le altre misure utili, come il rifinanziamento della cassa integrazione, delle missioni internazionali, il taglio del cuneo fiscale.
A chi mi chiede di farmi da parte e accettare con cristiana rassegnazione la mia sorte giudiziaria, presente e futura, dico con la mia consueta chiarezza che lo farei senza esitazione, se ciò fosse utile al Paese, se il mio sacrificio significasse una svolta positiva nei rapporti tra politica e “giustizia”.
Invece per come si sono messe le cose darei semplicemente il mio avallo a una situazione di democrazia dimezzata, dove non il popolo ma i magistrati politicizzati decidono chi deve governare, dove i governi sono fatti dai giornali-partito e dalle gazzette delle procure e le leggi riscritte a colpi di sentenze.
Non sono sceso in campo per questo; non ho messo a repentaglio una vita di lavoro, di successi e di sacrifici per lasciare in queste condizioni il mio Paese.
Per questo ritengo mio dovere continuare a restare in campo, per offrire una alternativa ai poteri non democratici – perchè non eletti dal popolo – che loro sì irresponsabilmente vogliono mettere in ginocchio il nostro Paese.
Silvio Berlusconi
L’Italia non è più uno Stato di Diritto. Quando quest’affermazione l’ha fatta il Senatore Silvio Berlusconi nel suo video messaggio dello scorso 12 settembre è sembrata essere l’ennesima esagerazione, incauta, di chi ha il dente avvelenato con la Magistratura e non accetta le sentenze neanche quando queste, dopo il terzo grado, sono definitivamente passate in “giudicato”. Eppure, in quelle parole che all’apparenza possono essere considerate una grossa bugia per coprire i propri personali problemi giudiziari, nascondono una cocente verità. Se non bastassero le continue e ormai trentennali condanne dell’Europa inflitte al nostro Paese per l’eccessiva lunghezza dei processi al ritmo di oltre duecento sentenze all’anno, è più recente la notizia che l’Italia rischia la procedura d’infrazione europea anche per non aver dato attuazione alla legge e alle direttive che esigerebbero la effettiva responsabilità civile dei magistrati. Il 26 settembre l’Unione avrà aperto un procedimento d’infrazione perché l’Italia non si è ancora adeguata alla legge europea riguardante il risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati. Ma questa, parlando di leggi non rispettate dallo Stato Italia, sorvegliato speciale in tema di giustizia, è solo una pagliuzza rispetto alla più grossa trave nell’occhio costituita dalla sentenza della CEDU, la c.d. Sentenza “Torregiani e altri”, dello scorso 8 gennaio 2013 divenuta ormai definitiva lo scorso 28 maggio dopo il rigetto, da parte della Grand Chambre, del ricorso presentato dal Governo italiano perché “la questione carceri è di grave rilevanza istituzionale, non soltanto sociale ed economica”. Una sentenza pilota di rilevanza istituzionale che potrebbe, se il nostro Paese non provvederà entro il prossimo 28 maggio, applicarsi a tutti i detenuti che si trovano nelle medesime condizioni. Una sentenza che ha visto condannata l’Italia non per occasionali ma per “sistematiche e strutturali violazioni” dell’articolo 3 della Convenzione Europea per i Diritti Umani che vieterebbe quei trattamenti inumani e degradanti che, invece, avvengono quotidianamente nelle nostre patrie galere. Uno Stato cessa di essere Stato di Diritto quando cessa, esso stesso, di rispettare la sua stessa Legge fondamentale e le convenzioni internazionali su temi così importanti come la violazione dei diritti umani. Quando Marco Pannella invoca l’amnistia per la Repubblica lo fa non per caritatevole compassione per chi subisce i trattamenti inumani, ma anche e spora tutto, lo per chiedere alle Istituzioni, al Parlamento in primis, di far rientrare lo Stato nell’alveo della propria legalità. Giustizia lentissima, magistrati non responsabili dei propri errori e carceri sovraffollate in cui sistematicamente e strutturalmente avvengono trattamenti inumani e degradanti dei detenuti e, ricordiamolo, delle persone che ivi lavorano. Sono queste le motivazioni che hanno indotto Giacinto Marco Pannella, quale presidente del Partito Radicale, e l’Avv. Giuseppe Rossodivita, presidente del comitato Radicale per la Giustizia, Piero Calamandrei, ad inviare ben 675 “atti di significazione e di diffida” a tutti i Presidenti dei Tribunali Italiani, ai Procuratori Capo di tutte le Procure Italiane, ai Presidenti degli Uffici GIP di tutti i Tribunali Italiani, ai Direttori delle Carceri italiane, e a tutti gli Uffici di Sorveglianza della Repubblica. Partendo dal contenuto della citata sentenza pilota della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, le diffide inviate spiegano il perché, attualmente, decine di migliaia di detenuti, sia in esecuzione pena, sia in custodia cautelare, sono sottoposti ad una pena o ad una misura, tecnicamente, illegali. Il senso delle diffide è che, come vuole la nostra Giustizia, non può esistere pena se non quella che viene eseguita secondo la legge.
Già la CEDU, emettendo la sentenza Torreggiani per violazione sistematica e strutturale dell’articolo 3 della Convenzione, ha sottolineato come lo Stato, fino a quando la politica non avrà risolto il problema strutturale del sovraffollamento carcerario, è comunque tenuto a garantire che l’esecuzione delle pene avvenga nelle forme previste dal codice penale, dalla costituzione e dalle convenzioni sui diritti fondamentali dell’uomo che non possono (o non potrebbero) essere mai derogati. “Lo Stato”, si legge nella sentenza, “è tenuto ad organizzare il suo sistema penitenziario in modo tale che la dignità dei detenuti sia rispettata”. Come ha sottolineato anche la Corte Costituzionale già nel 1966, proprio in riferimento al 3° comma dell’articolo 27 della Costituzione, “Una pena è legale solo se non consiste in un trattamento contrario al senso di umanità”. Articolo 27 della Costituzione che, sempre per la Corte Costituzionale, deve essere integrato da quanto previsto dalla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo. E lo stesso discorso è valido, ovviamente, anche per chi, ancora da presunto innocente, si trova in carcerazione preventiva in ragione dell’esecuzione di una misura di custodia cautelare. Tuttavia, come spiegano Pannella e Rossodivita nella diffida inviata anche al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quale Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, nonostante gli auspici della Corte europea la sentenza Torreggiani sembra essere caduta nel vuoto. I magistrati continuano ad applicare misure di custodia cautelare in carcere anche quando non sarebbe strettamente necessario e i direttori eseguono ordini di custodia fuori dalla legalità costituzionale. La diffida si conclude invitando tutti i Procuratori Capo, i Presidenti degli uffici GIP, i Presidenti di Tribunale, a voler conformare – mediante la doverosa e necessaria riorganizzazione del lavoro degli uffici – l’emissione degli ordini di esecuzione pena e delle ordinanze applicative di misure cautelari di custodia agli artt. 3 della CEDU, 27, comma 3, e 117 della Costituzione della Repubblica Italiana. Come? Verificando, prima dell’emissione di un ordine di esecuzione o di custodia cautelare, la disponibilità da parte delle Case di reclusione e/o delle Case circondariale a poter accogliere il destinatario in condizioni tali da non violare il precetto di cui all’art. 3 della CEDU. E, nella diffida, Pannella e Rossodivita invitano pure tutti i direttori delle carceri della Repubblica a voler informare doverosamente i Procuratori della Repubblica, i Presidenti di Tribunale, i Presidenti degli Uffici GIP, in ordine alla possibilità o meno di accogliere i detenuti in condizioni tali da non violare l’art.3 della CEDU che, ricordiamolo, è un diritto umano che non può e non dovrebbe essere mai derogato, neanche in caso di guerra o per motivi di sicurezza nazionale. Speriamo che la ragion di Stato non prevalga, ancora una volta, contro quello Stato di diritto che in Italia più che morto sembra essere dimenticato.
—
Giuseppe Candido
www.giuseppecandido.it
Londra comincia a domandarsi il perché Giuliano Ferrara continui a liberare le sue sciocchezze “speciali” dai microfoni del servizio pubblico radiotelevisivo italiano “millantando” di parlare da una città europea, liberale e democratica. Nel giorno stesso in cui il governo affossa ufficialmente il Nucleare Giuliano Ferrara, col suo “messaggio” odierno (25 maggio 2011) da radio Londra, pur di sostenere sempre, e a spada tratta, il Presidente del Consiglio preferito si muove pericolosamente sul parallelismo con il duce e ricorda come, dopo aver governato per un ventennio, Benito Mussolini fu “fatto fuori” dall’interno dello stesso regime il 25 luglio del ’43. Il partito unico del fascio fece fuori – ricorda ancora Ferrara – da un ordine del giorno votato dal suo stesso partito. “Berlusconi è molto diverso da Mussolini” si affretta a precisare (ha evitato di allearsi con Hitler anche se ha stretto un patto di amicizia con Gheddafi e con Putin ci va a braccetto) ma, spiega ancora il Ferrara, “vive anche lui una sorta di permanente 24 luglio”. Dopo Gianfranco Fini oggi che in gioco c’è Milano, la città in cui Berlusconi è nato anagraficamente e politicamente, la città da cui sono partite le televisioni commerciali, oggi il rischio – secondo Ferrara – è che gli amici più vicini (leggisi Lega anche se la parola è stata dal Ferrara abilmente evitata) riescano a farlo fuori. Secondo l’autorevole giornalista de il Foglio,Berlusconi deve farsi venire un’idea. Una sorta di “piano B” per portare la legislatura al suo naturale termine. Giustizia? Lavoro? Legge elettorale? Ferrara non specifica l’idea che Berlusconi dovrebbe avere. Fa intendere, però, di averla lui stesso un’idea. Ci viene il dubbio che l’idea non voglia suggerirgliela lui.