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Candido (Partito Radicale Nonviolento): a Roma per giubileo dei carcerati marceremo anche per i detenuti di Vibo, e tutte le persone private della libertà che dalla Calabria chiedono il rispetto dei diritti umani e della Costituzione.

Mentre anche dal carcere di Catanzaro continuano ad arrivarci adesioni alla marcia del 6 novembre organizzata dal Partito Radicale Nonviolento a Roma in occasione del giubileo dei carcerati, leggiamo sulla stampa locale che, nel carcere di Vibo Valentia, “i detenuti della sezione Alta sicurezza hanno intrapreso una protesta pacifica per reclamare trattamenti più umani all’interno dell’istituto di pena e denunciare quelle che a loro avviso rappresentano violazioni dei loro diritti fondamentali”. Continua la lettura di Candido (Partito Radicale Nonviolento): a Roma per giubileo dei carcerati marceremo anche per i detenuti di Vibo, e tutte le persone private della libertà che dalla Calabria chiedono il rispetto dei diritti umani e della Costituzione.

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La Provincia di Cosenza dice no alla violenza sulle donne

La Provincia di Cosenza dice no alla violenza sulle donne
Il 21 ottobre a Reggio Calabria la Provincia parteciperà, con Gonfalone e Fascia, alla manifestazione nazionale indetta dalla Regione 

Cosenza, 19.10. 2016 – La Provincia di Cosenza dice il suo no alla violenza sulle donne, aderendo alla manifestazione nazionale indetta dalla Regione Calabria che si svolgerà il 21 ottobre prossimo a Reggio Calabria. Continua la lettura di La Provincia di Cosenza dice no alla violenza sulle donne

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Satyagraha dei @Radicali: anche in #Calabria il Garante dei detenuti

di Giuseppe Candido (pubblicato su Cronache del Garantista del 8/12/14)

Nella melma partitocratica del malaffare che emerge dalle indagini su Mafia Capitale, ultime dopo quelle di Expò e del Mose, c’è un’altra politica. Una politica altra da questa miseria che ci propone la cronaca.
Durante il mese di agosto siamo stati al carcere di Palmi per fare un sit-in a sostegno del Satyagraha di Rita Beranrdini (che era in sciopero della fame dal 30 giugno) e Marco Pannella (in sciopero anche della sete) per chiedere allo stato, di garantire nelle carceri il diritto alla salute, fermare la mattanza dei suicidi che nelle carceri avveniva e ancora avviene anche per la mancanza di cure psichiatriche adeguate, e fermare la tortura del 41 bis inflitta anche a pazienti come Bernardo Provenzano, incapace di intendere e di volere, indipendentemente dalle condizioni di salute.
Mentre la direzione nazionale antimafia da’ il suo parere negativo affinché al mafioso Bernardo Provenzano sia tolto dal regime del 41bis, come ricordava Domenico Letizia, segretario dell’associazione Radicale di Caserta “Legalità e Trasparenza”, dal 3 dicembre è nuovamente in corso (in realtà non è mai smesso) il Satyagraha, proposta nonviolenta mossa dall’amore e dalla forza della verità, della segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, di Marco Pannella e decine di altri radicali, tra cui anche chi scrive, con obiettivi ancora più precisi e che dalle pagine del Garantista ben sintetizzava Valter Vecellio: Sanità in carcere: garantire le cure ai detenuti; Immediata revoca del 41bis a Bernardo Provenzano; Introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura; Abolizione dell’ergastolo a sostegno della campagna di Nessuno Tocchi Caino; No alle deportazioni in corso dei detenuti dell’alta sicurezza; Diritto alla conoscenza: 1) conoscibilità e costante aggiornamento dei dati riguardanti le carceri 2) conoscibilità dei dati riguardanti i procedimenti penali pendenti; Rendere effettivi i risarcimenti ai detenuti che hanno subito trattamenti inumani e degradanti; Abolire la detenzione arbitraria e illegale del 41-bis; Nomina immediata del Garante Nazionale dei Detenuti; Per gli Stati Generali delle Carceri, preannunciati dal ministro della Giustizia, prevedere la presenza anche dei detenuti.
I Radicali, pochissimi che siamo, ci facciamo però forza dalla verità e cerchiamo di dare, come si dice, “anima e corpo” a una lotta per una giustizia giusta e per un carcere che non violi i diritti umani. Ci facciamo forza di ciò che ha scritto il Presidente Napolitano col suo messaggio alle Camere, e di ciò che ha detto Papa Francesco lo scorso 23 Ottobre all’Associazione Internazionale di diritto penale. E per questo non molliamo.
Chi scrive, militante del partito della nonviolenza che c’ha insegnato a praticare Marco, sin da questa estate, aveva aderito alla mobilitazione e, anche in questa fase di “rilancio” dell’iniziativa, ne sostiene ‘simbolicamente’, ma altrettanto convintamente le motivazioni facendo un giorno alla settimana di digiuno totale (il venerdì digiuno e autoriduco l’insulina perché diabetico); e continuerò a farlo, ad oltranza, fino a quando questa battaglia di civiltà non sarà stata portata, dai grandi media televisivi, alla conoscenza dei cittadini italiani come è giusto che avvenga in una democrazia. Questa è una lotta giusta, cui pure Papa Francesco ha dato coraggio riconoscendo a Pannella il suo impegno verso gli ultimi, dopo quel messaggio, quasi un saggio di diritto, inviato alle Camere da Napolitano secondo Costituzione.
Anche la regione Calabria vede la presenza di 12 strutture penitenziarie, spesso fatiscenti, al collasso, con carenze di organico e dove, come hanno dimostrato le numerose visite ispettive fatte in questi anni con Rita Bernardini, le condizioni spesso rasentano la tortura e il disumano senso. Basti ricordare ciò che, questa estate, l’On.le Enza Bruno Bossio ha scoperto al carcere di Rossano, per capire che – anche in questa regione – sarebbe necessario e urgente istituire il Garante regionale per i diritti delle persone private della libertà. “Una situazione incredibile, drammatica, che” – disse in quell’occasione la deputata del Pd Enza Bruno Bossio uscendo dal carcere di Rossano – “non pensavo esistesse in un carcere italiano”. Invece come quelle ne esistono diverse, e spesso le condizioni inumane sono anche per chi nelle carceri ci lavora e cerca di rendere più giusta la pena. Penso al carcere nuovo di Arghillà a Reggio Calabria dove il 4 settembre abbiamo fatto una visita con Marco Pannella: nonostante la buona volontà della direttrice, e nonostante la ‘capienza regolamentare’ non superata sulla carta, in realtà presentava problemi di sovraffollamento in quanto un intero piano non veniva utilizzato per mancanza di organico.
Per questo, in attesa che sia nominato quello Nazionale, anche dalla Calabria, chiediamo l’aiuto del Garantista, così impegnato sui temi del diritto e della legalità (anche della pena) affinché al neo Presidente della Regione Mario Oliverio arrivi un messaggio semplice e diretto: i Radicali, anche in Calabria, chiedono d’istituire subito il Garante regionale dei diritti delle persone private della libertà. Richiesta che, contemporaneamente, estendiamo a tutti i Sindaci dei comuni calabresi sede di istituti penitenziari: anche loro possono istituire il Garante come del resto ha già fatto Reggio Calabria.

 

PS: Ringraziamo le Cronache del Garantista che ha pubblicato l’appello a pagina 20 lunedì 8 dicembre, per la festa dell’Immacolata.

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Star bene a scuola … per ridare un senso alla professione docente

Star bene a scuola: è questo il titolo del Convegno Nazionale svoltosi a Lamezia Terme (CZ) lo scorso 7 maggio, organizzato dalla Federazione Gilda Unams della Calabria – Gilda Insegnanti,  in collaborazione con il Centro Studi nazionale e l’Associazione Docenti articolo 33, “per ridare un senso alla professione docente“.

Al convegno è intervenuto anche l’assessore regionale all’istruzione alla cultura Mario Caligiuri: “Il livello di benessere di una civiltà è correlato con il suol livello sostanziale di cultura“; Caligiuri è stato così gentile da rilasciarci anche una breve video intervista. (a cura di Giuseppe Candido)

La federazione Gilda Unams – Gilda degli insegnanti coordinata, in Calabria, dal professor Antonino Tindiglia ha fortemente voluto questo convegno nazionale per affrontare il tema della trasformazione, avvenuta negli ultimi decenni, della professione docente e del disagio correlato al nuovo clima che si vive nelle scuole.

Perché l’usura e lo stress dal lavoro correlato è così alta tra i docenti? E perché intervengono stanchezza e disaffezione, dopo anni di insegnamento?

In pratica queste le domande ai quali i relatori del convegno, tra cui il professor Vittorio Lodolo D’Oria medico specialista esperto in patologie professionali degli insegnanti e autore di numerose pubblicazioni, ti ho parlato di insegnamento come professione al rischio salute mentale, Fabrizio Roberschegg, presidente dell’associazione docenti articolo 33 e membro del centro-sud i nazionali della Gilda degli insegnanti che, nello specifico, ha relazionato sul disagio degli insegnanti e le ricadute sulla professione docente, e Gianluigi Dotti, responsabile del centro studi nazionale della Gilda degli insegnanti e che ha parlato del “clima scolastico” relativamente quello che è emerso da un’indagine sul “disagio della professione docente”.
Un corso riconosciuto dal MIUR con nota del 14 aprile 2014 come specifica attività di formazione“, ma che, per il professor Tindiglia, “molti dirigenti scolastici hanno avuto difficoltà a riconoscere come tale e, in alcuni casi, hanno persino ostacolato la partecipazione dei docenti al corso stesso”.

Di seguito, l’intervista al dott. Vittorio Lodolo D’Oria (a cura di Giuseppe Candido)

Il risultato sono stati un bellissimo convegno e una sala piena di docenti interessati ad aggiornarsi e informarsi sull’importante tema riguardante, appunto, salute e benessere dei docenti, ma anche, indirettamente, degli alunni.

Per vedere l’intero intervento del dott. Lodolo D’Oria, sul sito www.GildaTv.it è disponibile la sintesi della giornata a Lamezia e l’intera giornata a Bari.

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La #Scienza è conoscenza s’è pubblica e disponibile

a cura di Giuseppe Candido

Conoscere per deliberare è il motto di Luigi Einaudi che però, anche in materia di dati sull’inquinamento ambientale, viene troppo spesso dimenticato.

Secondo Jürgen Renn1, direttore dell’Istituto Marx Plank per la Storia della Scienza di Berlino, viviamo oggi nell’Antropocene, una nuova era geologica nella quale “più del 75% della superficie terreste non ricoperta da ghiaccio è stata trasformata dall’uomo. L’era in cui la natura incontaminata non esiste più”. Nell’ampia prolusione2 tenuta oggi, 3 marzo del 2014, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico all’Università di Bergamo, l’illustre cattedratico ha posto seri interrogativi “ai responsabili del pianeta”.

“Abbiamo creato cambiamenti irreversibili, consumando le risorse naturali, liberando materiale radioattivo, alterando sia la biosfera sia l’atmosfera. Questo significa che il futuro del nostro pianeta sarà in larga parte forgiato dall’azione umana. Come possiamo essere – si chiede Jürgen – all’altezza delle responsabilità che ci siamo presi? Che tipo di conoscenza serve? Come possiamo essere certi che la conoscenza guiderà la nostra risposta alle grandi sfide che ci attendono?”. E ancora: “chi può garantire che la scienza fornirà le risposte ai problemi creati da questi interessi politici ed economici? E anche se otteniamo le risposte, quali strutture saranno richieste per implementarle?”.

Interrogativi «enormi» di cui, lo stesso Jürgen ammette che «nessuno conosce le soluzioni».

«Nelle società moderne, la scienza interagisce con gli sviluppi economici, politici e culturali».

Per Jürgen, «La scienza è stata spesso vista come un’attività che si svolge in una torre d’avorio, dove si esplorano idee astratte che possono anche non riferirsi al mondo reale».

Eppure, sostiene Renn nella sua lezione,

« Isolando la scienza dai suoi contesti sociali, non si comprendono le sue relazioni effettive. La scienza » – aggiunge Jürgen – « è soltanto una forma particolare di conoscenza. La conoscenza è un aspetto fondamentale della cultura umana, ben più ampio della scienza. La conoscenza deriva dalla riflessione sulle nostre azioni precedenti, consentendoci di progettare quelle future. Se vogliamo comprendere il progresso della scienza, dobbiamo studiare l’evoluzione della conoscenza ». Ai responsabili del pianeta e, in generale, della cosa pubblica, Jürgen Renn fa notare che « la conoscenza non ha soltanto una dimensione cognitiva, ma anche sociale e materiale. Può essere comunicata, condivisa e immagazzinata tramite rappresentazioni esterne come congegni, manufatti e testi».

Con la rivoluzione scientifica di Einstein, per Jürgen Renn, «vi è stata una trasformazione che ha riguardato non solo la scienza, ma più in generale le strutture della conoscenza. L’evoluzione della conoscenza è prodotta dalle strutture sociali ».

Emersa dalle prime società complesse assiro-babilonesi, la Scienza,

« per un lungo periodo rimase comunque un’attività marginale. Agli inizi dell’età moderna, tuttavia, l’esplorazione del potenziale intellettuale si indirizzo verso lacune tecnologie della società, come le infrastrutture urbane, l’architettura, la costruzioni di navi e di armi da guerra. Così, la conoscenza scientifica si rivelò ancor più utile nel miglioramento di queste tecnologie. Inoltre, la combinazione della conoscenza pratica con quella scientifica si trasformò in una matrice ampiamente diffusa, favorita dalla tecnologia delle stampa e da nuove istituzioni. (…) Le società implicano un’economia della conoscenza che produce e distribuisce non solo la conoscenza di cui hanno bisogno, ma anche un eccesso di conoscenza che può innescare sviluppi imprevisti. Alcuni di questi effetti diventano poi le condizioni per nuovi sviluppi. Così, la scienza emersa originariamente soltanto come un effetto collaterale, si è trasformata in una condizione essenziale per l’esistenza delle società moderne. Ma questo non deve farci dimenticare l’importanza delle sue connessioni con le economie della conoscenza delle nostre società e con l’evoluzione della conoscenza». Per Jürgen Renn, «è dunque necessario superare la tradizionale frammentazione della conoscenza scientifica, sfruttando il potenziale del Web per renderla pubblicamente disponibile e connetterla in nuove forme. E sarà cruciale esplorare le modalità in cui essa può essere integrata, con altre, che sono forse forme vitali di conoscenza soltanto a livello locale, per esempio, in merito a come impiegare le risorse in modo sostenibile, a come far fronte alle malattie e alla morte, a come mantenere la pace o, semplicemente, a come condurre una “vita felice” »

La conoscenza dei dati ambientali, la conoscenza dei luoghi a rischio dissesto e della vulnerabilità del patrimonio edilizio, sarebbero fondamentali.

Per capire, invece, quanto poca importanza sia data, oggi, da parte di una regione inquinata come Calabria, devastata dall’emergenza ambientale e dalle mancate bonifiche, alla conoscenza dei dati ambientali e dell’uso delle risorse naturali che pure dovrebbero essere pubblici, è stato sufficiente andare a cercare sul sito ufficiale del Consiglio regionale (www.consiglioregionale.calabria.it) nella sezione dedicata all’amministrazione trasparente. Ci siamo resi tristemente conto che, a fine febbraio 2014, non si trova nulla. Neanche quelle informazioni ambientali la cui trasparenza oltreché dalla convenzione di Aarhus, dovrebbe essere garantita dalla semplice applicazione dell’articolo 40 del D.Lgs. n. 33 del 2013.

Nell’ambito delle informazioni ambientali, sul sito della regione Calabria, sia che si cerchino i dati sullo stato dell’ambiente, sia che si voglia sapere quali siano i fattori di rischio o le misure incidenti sull’ambiente con le relative analisi di impatto, sia che si voglia conoscere le misure adottate a protezione dell’ambiente, sia che si cerchi la relazione sull’attuazione della legislazione o, soprattutto, quella sullo stato di salute e della sicurezza umana, la risposta che, in automatico, costantemente si genera, è sempre la stessa: “Sezione in aggiornamento”. Di dati ambientali, nelle pagine dell’amministrazione trasparente, non ce ne sono.

1  Jürgen Renn è direttore dell’Istituto Marx Plank per la Storia della Scienza di Berlino, docente di Storia della Scienza all’Università Humboldt e Visting, e docente presso la Boston University. Tra i più conosciuti e apprezzati studiosi del pensiero e dell’opera di Albert Einstein, ha scritto e curato numerosi lavori tra cui, in italiano, il libro Sulle spalle di giganti e nani: la rivoluzione incompitua di Albert Einstein, (Bollati Boringhieri, Torino, pp.360)

2  Il testo della prolusione citato è stato anticipato, in sintesi, nella rubrica Scienza e Filosofia, su Il Domenicale, inserto de Il Sole 24 Ore, Domenica 2 Marzo 2014, n°60

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REGIONE: A LAMEZIA TERME L’ASSESSORE MANCINI HA PRESENTATO LA SECONDA FASE DEI PISL

AIUTI ALLE IMPRESE PER 51 MLN DI EURO.
«Perché una regione si sviluppi è importante che sia il pubblico che
il privato si rimbocchino le maniche»

L’Assessore regionale al Bilancio e alla Programmazione Nazionale e Comunitaria, Giacomo Mancini, ha presentato stamattina – alla Fondazione Terina di Lamezia Terme – la seconda fase dei Progetti Integrati di Sviluppo Locale: quella concernente i bandi sugli aiuti alle imprese. Ad affiancare l’Assessore c’erano il direttore e le dirigenti del Dipartimento Turismo della Regione, Pasquale Anastasi, Gabriella Rizzo e Consolata Loddo; il responsabile del procedimento Pisl, Luigi Zinno; Tommaso Calabrò dirigente del Dipartimento Programmazione Nazionale e Comunitaria.
In particolare, alla presenza degli amministratori e degli imprenditori dei territori coinvolti, sono stati illustrati i due bandi relativi ai Pisl “Sistemi turistici locali/Destinazioni turistiche locali” che hanno una dotazione finanziaria complessiva di 51 milioni di euro, provenienti dalle Linee di intervento 5.3.2.3 (quarantuno milioni e sessantaduemila euro) e 5.3.2.2 (dieci milioni 508 mila) del Por Calabria Fesr 2007-2013. Dopo avere siglato le convenzioni Pisl per la realizzazione delle opere infrastrutturali, infatti, è arrivato il momento di dare attuazione alle agevolazioni previste, già finanziate con la delibera di Giunta regionale 466 del 19 ottobre 2012, che ha approvato le graduatorie dei Pisl.
DICHIARAZIONE MANCINI. «Oggi iniziamo la seconda fase dei Pisl , quella che è rivolta agli imprenditori privati – ha detto Mancini -. Dopo aver concluso la prima fase per gli enti pubblici territoriali con i quali abbiamo siglato le convenzioni e ai quali abbiamo erogato le anticipazioni mettendo così nelle condizioni gli amministratori di realizzare le opere pubbliche, adesso lavoriamo sui bandi che sono rivolti ai privati. Questi strumenti sono pensati per gli imprenditori che operano in uno dei 217 comuni compresi tra il partenariato dei 17 Pisl finanziati che riguardano il turismo. Per loro abbiamo stanziato 51 milioni di euro a valere sui fondi comunitari ai quali dovranno aggiungersi i capitali privati investiti dagli imprenditori. Sul territorio ci sarà’ un vero e proprio effetto moltiplicatore. Mettiamo – ha aggiunto ancora Mancini – nelle mani dei calabresi un altro strumento che consentirà di migliorare la ricettività della nostra regione e i servizi turistici. Continuiamo così, dunque, sulla strada tracciata dal Presidente Scopelliti di puntare in particolare sul turismo come volano di sviluppo della Calabria. Perché ciò’ avvenga, è importante che sia il pubblico che il privato si rimbocchino le maniche continuando il lavoro di squadra già da tempo avviato. Adesso – ha concluso l’Assessore – ci aspettiamo che gli imprenditori che aderiscono a questi bandi realizzino progetti capaci di offrire una accoglienza di qualita’ che consenta di raccogliere flussi turistici sempre maggiori”.
I BENEFICIARI. Gli aiuti riguardano investimenti e servizi reali. Ne
possono beneficiare piccole e medie imprese con sede operativa in
tutti i comuni ricadenti nelle aree dei Pisl finanziati con la
delibera 466 del 2012, che ha approvato le graduatorie dei Progetti
integrati di sviluppo locale. Lo strumento individuato è quello dei
Pacchetti integrati di agevolazione (Pia), che consentono la richiesta
di contributi finanziari attraverso la presentazione di piani di
sviluppo aziendale economicamente validi.
I TERRITORI. I Pisl coinvolti sono diciassette (di cui dodici in
entrambi i bandi), con soggetti capofila: nel Catanzarese, la
Provincia, il Comune di Gizzeria, la Comunità montana Monti Reventino,
il Comune di Squillace; nel Cosentino, i Comuni di San Giovanni in
Fiore, Scalea, Amantea, Castrovillari, Cassano allo Jonio e Belvedere
Marittimo; nel Crotonese, la Provincia; nel Reggino, i Comuni di
Gerace, Bagnara Calabra, Santo Stefano in Aspromonte e il Consorzio
Locride; nel Vibonese, i Comuni di Vibo Valentia e di Tropea. Le
Amministrazioni municipali coinvolte, in totale, sono 217, di cui
sessantadue nel Catanzarese, sessantasette nel Cosentino, 23 nel
Crotonese, trentasette nel Reggino e ventotto nel Vibonese.
QUALI INTERVENTI POSSONO ESSERE FINANZIATI: PRIMO BANDO (LINEA
5.3.2.3). Sono finanziabili la qualificazione, il potenziamento e
l’innovazione dei sistemi di ospitalità attraverso interventi per:
migliorare le funzionalità e la qualità dei servizi delle strutture
ricettive esistenti (anche attraverso la realizzazione di impianti e
servizi connessi); realizzare nuova ricettività di alta qualità;
realizzare “alberghi diffusi” nei centri storici.
QUALI INTERVENTI POSSONO ESSERE FINANZIATI: SECONDO BANDO (LINEA
5.3.2.2). Sono finanziabili interventi realizzati da imprese che
operano nel comparto del turismo per la progettazione e la
realizzazione di nuovi prodotti/servizi turistici basati
prioritariamente sugli itinerari tematici (naturalistici, culturali,
enogastronomici). Si possono inoltre ricevere contributi per
interventi che prevedono la nascita e il potenziamento di imprese in
grado di erogare le tipologie di servizi turistici per: organizzazione
di eventi e iniziative; fruizione del patrimonio ambientale,
architettonico e culturale; promozione e gestione di specifici
Prodotti/Pacchetti turistici; servizi alle imprese turistiche
(innovazione tecnologica processi back office e front office, gestione
comune acquisti, promozione e prenotazione, etc.). E’ data priorità
alle imprese di servizi costituite da reti di Operatori turistici.

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IL CONSIGLIO DEI MINISTRI IMPUGNA LA LEGGE DI MODIFICA DELLO STATUTO DELLA REGIONE CALABRIA

(AGI) – Roma, 22 apr. – Il Consiglio dei Ministri ha esaminato tre leggi regionali su proposta del Ministro per gli Affari Regionali, il Turismo e lo Sport. Nell’ambito di tali leggi, il Consiglio ha deliberato l’impugnativa dinanzi alla Corte Costituzionale della legge Regione Calabria “Testo di Legge di Revisione Statutaria approvato con 2a Deliberazione Consiliare ai sensi dell’art. 123 della Costituzione. Riduzione del numero dei componenti del Consiglio Regionale e dei componenti della Giunta Regionale. Modifiche alla Legge Regionale 19 Ottobre 2004, n. 25 “Statuto della Regione Calabria” in quanto contiene disposizioni che contrastano con i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica di cui all’articolo 117, comma 3, della Costituzione. Qui finisce l’agenzia e comincia il commento: perché il CdM impugna la legge approvata dalla Regione Calabria considerandola in contrasto coi principi di finanza pubblica contenuti nella costituzione?

Testo art. 117, 3° comma, per come applicabile a decorrere dal 2014

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario22; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principî fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

“Vecchio” (ma in vigore sino al 2014) testo dell’art.117, 3°comma, della nostra Carata Costituzionale

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principî fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Nella nota 22 riportata in apice alla parola “tributario” si legge testualmente: Periodo così modificato dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 3 della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1. Le disposizioni di cui alla citata legge costituzionale si applicano, ai sensi di quanto prescritto dal comma 1 dell’art. 6 della stessa, a decorrere dall’esercizio finanziario relativo all’anno 2014. V. anche l’art. 5 della suddetta legge costituzionale.

Insomma, non è che ci voleva neanche troppo a capire che le modifiche alla Carata Costituzionale erano da intendersi valevoli a decorrere dal solo esercizio finanziario 2014. Le domande che, per così dire, ci sorgono spontanee sono: perché tanta fretta nel voler dismettere anticipatamente la funzione di “armonizzazione dei bilanci pubblici” da parte del nostro Consiglio Regionale? C’era forse qualche altro rimborso allegro e poco armonizzato nei bilanci creativi dei gruppi del Consiglio Regionale calabrese? E, soprattutto, perché la stampa calabrese e la TV regionale ma di stato, su questo non fanno inchieste e format televisivi per far conoscere la nostra Regione e consentire ai suoi cittadini di deliberare consapevolmente?

 

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Tagliare i costi della partitocrazia e non quelli della democrazia

di Giuseppe Candido

Articolo pubblicato su “Il Quotidiano della Calabria” del 27 agosto 2010

Non c’è dubbio, la questione dei costi della politica e del funzionamento delle istituzioni, anche quelle regionali, è un punto che, in un momento come questo in cui il governo centrale impone una manovra finanziaria lacrime e sangue, tocca profondamente la sensibilità dei cittadini. Ed anche al palazzo Campanella del consiglio regionale si pensa ai tagli. Ma sarà sufficiente ridurre il numero delle commissioni e dei relativi presidenti, diminuire di qualche spicciolo i finanziamenti ai gruppi consiliari e limare le consulenze di giunta e consiglio? E siamo davvero sicuri che tornerà utile alla democrazia rappresentativa, ridurre il numero degli assessori e dei consiglieri regionali? O tutto ciò, ancora una volta, si tradurrà nell’ennesima beffa verso i cittadini ed il rafforzamento della partitocrazia? Sia a livello nazionale sia sul piano delle istituzioni regionali si fa finta di non sapere che il vero costo della politica che i cittadini avevano inteso abolire con la scelta referendaria dell’aprile del 1993, è quello del finanziamento pubblico dei partiti: nel clima di sfiducia che seguì lo scandalo di tangentopoli, il 90,3% dei cittadini si era chiaramente espresso a favore dell’abrogazione. Oggi si limano i costi delle consulenze, si pensa a diminuire il numero di eletti che, tra l’altro, renderebbe ancora più basso il rapporto degli eletti con gli elettori, ma neanche lontanamente si pensa a dimezzare stipendi, indennità e rimborsi elettorali. Secondo chi scrive sono infatti condivisibili le parole di Bobo Craxi quando afferma che “dimezzare il Parlamento equivale a dimezzare la democrazia. La democrazia italiana – ricorda ancora Craxi – è stata già abbastanza lesionata per prestare il fianco a demagogiche ristrutturazioni con l’alibi del risparmio”. Già, perché solo di alibi si tratta e non di vero risparmio. Dopo alcuni scandali del ’65 e del ’73, il Parlamento intese rassicurare l’opinione pubblica che, attraverso il sostegno dello stato, i partiti non avrebbero avuto bisogno di collusioni con i grandi poteri economici. Il finanziamento pubblico ai partiti venne introdotto dalla legge Piccoli nel maggio 1974 ed interpretava il sostegno all’iniziativa politica come puro finanziamento alle strutture dei partiti presenti in Parlamento, con l’effetto di penalizzare le nuove formazioni politiche: si ebbe l’effetto di rafforzare gli apparati burocratici interni dei partiti disincentivando la partecipazione interna. Già nel giugno del 1978 si tenne il primo referendum indetto dai Radicali per l’abrogazione della legge 195/1974. Nonostante l’invito a votare “no” da parte di tutti i partiti che rappresentano il 97% dell’elettorato, il “si” arrivò al 43,6% dei consensi. Secondo i promotori del referendum lo Stato avrebbe dovuto favorire tutti i cittadini attraverso i servizi, le sedi, le tipografie, la carta a basso costo e quanto necessario per fare politica, non garantire le strutture e gli appartati di partito, che invece devono essere autofinanziati dagli iscritti e dai simpatizzanti in maniera trasparente sul modello di quanto avviene in America e in Inghilterra. Ma l’Italia, si sa, non è un Paese anglosassone e la partitocrazia conta più della democrazia. Nel 1981 con la legge n°659 vengono raddoppiati i finanziamenti pubblici e vengono eliminati i divieti, per partiti ed eletti, di ricevere finanziamenti dalla pubblica amministrazione. I Radicali manifestarono in aula facendo ostruzionismo per bloccare la proposta di aumento dei finanziamenti ed ottenere maggiore trasparenza dei bilanci dei partiti nonché dei controlli efficaci. Ma è nell’aprile del 1993, sull’onda degli scandali e del relativo clima di sfiducia di tangentopoli, che il nuovo referendum abrogativo proposto dai Radicali Italiani raggiunse il quorum con il il 90,3% dei voti espressi a favore dell’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti che avrebbero dovuto ristrutturarsi e autofinanziarsi col sostegno dei propri iscritti e simpatizzanti. Niente di tutto questo: già nel dicembre del ’93, appena otto mesi dopo il referendum, la partitocrazia aggiorna, con la legge n°515, la già esistente norma sui rimborsi elettorali definiti “contributo per le spese elettorali”. Subito applicata con le elezioni del 1994, per l’intera legislatura vengono erogati ai partiti la bellezza di 47 milioni di euro in un’unica soluzione. La stessa cosa avviene due anni dopo per le elezioni politiche del 1996. Non ancora soddisfatta dalla fame di soldi, nel 1997 la partitocrazia inventa il 4 per mille ai partiti politici di fatto reintroducendo il finanziamento pubblico ai partiti. La legge n°2 del 2 gennaio del 1997 prevede infatti la possibilità per i contribuenti di destinare il 4 per mille dell’imposta sul reddito al finanziamento dei partiti e movimenti politici (pur senza poter indicare a quale partito destinarli), per un totale massimo di circa 57 milioni di euro da erogarsi ai partiti entro il 31 gennaio di ogni anno. I Radicali, promotori di quel referendum che, appena quattro anni prima, aveva abrogato il finanziamento pubblico tentarono il ricorso rispetto al tradimento dell’esito referendario ma, pur essendo stato riconosciuto in precedenza come potere dello Stato, gli viene negata dalla Corte Costituzionale la possibilità di depositare tale ricorso. Il furto di democrazia si completa nel giugno del 1999 con la legge n°157 che dietro all’altisonante titolo “Norme in materia di rimborso delle spese per le consultazioni elettorali e referendarie” nasconde, ma neanche troppo, la reintroduzione di un finanziamento pubblico dei partiti poiché quello che viene chiamato “rimborso elettorale” non ha nessuna attinenza diretta con le spese effettivamente sostenute per le campagne elettorali. Applicata per la prima volta durante le elezioni politiche del 2001 la norma prevede ben cinque fondi: per l’elezione della Camera, per il Senato, per il Parlamento europeo, per le elezioni Regionali e per i referendum, erogati in rate annuali, per un totale di 193.713.000 € in caso di legislatura completa. Ma al peggio non vi è mai limite e, nel 2002, con la legge n°156 del 26 luglio il fondo diventa annuale, il quorum per ottenere il rimborso scende dal 4% al 1% e l’ammontare complessivo da erogare, per Camera e Senato, nel caso di legislatura completa balza dai precedenti 194 milioni di euro circa a 468.853.675 euro. Il paradosso totale per il finanziamento pubblico ai partiti abolito per referendum e reintrodotto dalla finestra si raggiunge con la legge n°51 del 23 febbraio dei 2006 che prevede che l’erogazione annuale del fondo è dovuta ai partiti per tutti e cinque gli anni di legislatura indipendentemente dalla sua durata. Per cui, con la crisi del 2008 e le nuove elezioni politiche i partiti iniziarono a percepire il doppio dei fondi giacché intascano simultaneamente, le quote annuali relative alla XV e alla XVI Legislatura.

Va benissimo il dimezzamento delle commissioni regionali, dei relativi presidenti e delle loro auto blu. Bene pure il taglio delle consulenze e la riduzione dei componenti di strutture speciali di giunta e consiglio regionale. Ma il dimezzamento del numero dei parlamentari (ed anche quello dei consiglieri regionali), determinando collegi troppo ampi, non solo porterebbe ad un risparmio minimo rispetto alla grossa fetta dei rimborsi elettorali e, tale scelta, vanificherebbe persino l’introduzione di un sistema elettorale uninominale maggioritario, dal momento che il rapporto tra elettori ed eletti diventerebbe troppo elevato, impedendo l’effettivo controllo dei secondi da parte dei primi. Siamo sicuri che, per tagliare i costi che la politica fa gravare sui cittadini, si debba per forza tagliare anche la rappresentanza democratica?

 

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Anche per la Calabria serve una legge elettorale uninominale

di Giuseppe Candido

Articolo pubblicato su “il Domani della Calabria” del …/febbraio/2001

Di modificare la legge elettorale se ne parla da agosto ma ancora non si giunge a farlo e le elezioni sembrano sempre più vicine. Leggendo i giornali, la possibilità che i Radicali entrino nella maggioranza viene ventilata da più parti. Non sempre però le notizie prospettano ai lettori il senso di ciò che Pannella sostiene realmente. Se Silvio Berlusconi si dimettesse oggi come da più parti gli richiedono per il suo rinvio a giudizio il risultato che si otterrebbe, spiega il leader dei Radicali, “sarebbe quello di andare a votare con l’attuale legge elettorale”, il così detto porcellum, “voluto nel 2005 dalla Lega”, ma “sostenuto da Veltroni e dal PD nel 2008” e che ci regalerà un’altro “parlamento di nominati” “fedele” non già agli elettori ma al segretario del partito di turno che, di volta il volta, prometterà al deputato la certa rielezione.

Paradossalmente, le liste bloccate piacciono anche alla partitocrazia calabrese che, mentre si discute di come abolirle a livello di Camera e Senato, vorrebbe introdurle per eleggere il parlamentino nostrano.

In una democrazia avanzata, o che tale si ritenga, la legge che regola il rapporto tra eletto ed elettore non è certo una cosa secondaria. Dovrebbe consentire ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti sulla base del merito, della competenza, della loro storia. Come avvenne nel 2006 e poi ancora nel 2008, se Berlusconi si dimettesse e si andasse a votare con questa legge elettorale avremmo di nuovo un Parlamento di nominati, avremmo sempre nuovi “Responsabili” e nuovi “Futuristi” pronti a fondare nuovi partiti, pronti ad essere fedeli a un nuovo leader ma mai coerenti verso il proprio elettorato. L’assenza di vincolo di mandato del Parlamentare, concepita per garantire piena autonomia di giudizio al Deputato, si trasformerebbe nuovamente in libertà opportunistica di allearsi, di volta in volta, non già con chi si condivide un progetto politico ma con chi offre di più o con chi meglio assicura, per la prossima volta, la tua rielezione. Le liste bloccate convengono ai partiti, soprattutto a quelli più grossi come PD e PDL, perché consentono ai loro segretari e ai loro dirigenti di eseguire vere e proprie nomine di parlamentari con il rischio che, tra le pieghe delle liste, si nascondino personaggi che con la buona politica hanno davvero poco da spartire. Ma soprattutto le liste bloccate ci regalano istituzioni bloccate, un sistema politico partitocratico in cui le gerarchie dei soliti noti si sostituiscono alle scelte democratiche e non permettono il rinnovo della classe dirigente. E pensare che, paradossalmente, il sistema elettorale con liste bloccate lo si vorrebbe estendere anche per le regionali in Calabria con lo scopo, dichiarato dal Presidente Scopelliti, di evitare il fenomeno del “voto di scambio” e le infiltrazioni di personaggi vicini alle ‘ndrine. Siamo sicuri che possa essere questa la soluzione? Siamo sicuri che, anche per la Calabria, non ci siano vere alternative che sostituiscano quel mercimonio delle preferenze che scatena visite dai mafiosi per accattivarsene il sostegno? Bisogna ricordarlo ancora: nel ’93 i cittadini avevano scelto. Con un referendum gli italiani si espressero chiaramente a favore del sistema elettorale maggioritario. Ma poi quel voto referendario – è utile ricordarlo ancora – fu tradito dalla partitocrazia che approvò il famigerato “mattarellum”, la legge che prevedeva non solo un quarto del parlamento eletto ancora con sistema proporzionale ma che, mantenendo la supremazia partitocratica nelle liste proporzionali consentiva di fatto di scegliere e quindi “nominare”, in ciascun collegio, il “rappresentante” dei partiti e non già degli elettori. Forse si potrebbe pensare su una riforma elettorale che, anche per le regionali, consenta ai cittadini di scegliere ma, al contempo eviti il mercimonio delle preferenze. Il sistema elettorale che consentirebbe tutto questo si chiama uninominale maggioritario. Pensiamolo applicato alla Calabria per l’elezione del parlamentino regionale. I sessanta consiglieri regionali sarebbero eletti con sistema maggioritario a turno unico (chi prende più voti sale) in altrettanti collegi in cui verrebbe suddiviso il territorio. Per garantire le minoranze, il sistema dovrebbe prevedere l’elezione dei migliori secondi eletti nei vari collegi. Il risultato sarebbe quello di avvicinare l’eletto all’elettore e contenere il potere delle ‘ndrine che non avrebbero, per i singoli collegi, la forza numerica per garantire l’elezione di nessuno a loro vicino. Nei singoli collegi dove ci si conosce tutti e dove si conosce la vita e la storia personale di ciascuna persona, il piazzamento di candidati vicini ai poteri criminali organizzati, come oggi invece avviene, sarebbe praticamente impossibile.

Questo sistema andrebbe benissimo anche per l’elezione della Camera e del Senato. L’adozione di un sistema elettorale fondato sul principio dei collegi uninominali, cioè sulla regola, ritenuta fondamento democratico nei Paesi di antica democrazia, che ogni collegio elettorale avrà un solo rappresentante in Parlamento. Con questo sistema la votazione avverrebbe non già tra liste concorrenti ma tra candidati singoli. L’eletto è colui che, semplicemente, nel collegio ha raccolto il maggior numero di consensi. Ogni comunità ricadente nel collegio ha quindi un rappresentante parlamentare unico la cui selezione avverrebbe con un sistema che valorizza il rapporto tra eletto ed elettore, riducendo il peso di intermediazione dei partiti. Il collegio uninominale nel sancire, infatti, la proclamazione diretta del candidato, sul quale sia confluito il maggior numero dei voti validamente espressi nell’ambito di una circoscrizione, consente a tutti gli iscritti nelle liste delle sezioni della medesima a considerarlo, nel bene e nel male, precipuamente come il loro rappresentante e non solo del contrassegno sotto il quale sia stata espressa la candidatura. L’eletto farebbe gli interessi degli elettori di tutto il collegio in cui è stato eletto e dove dovrà ritornare per chiederne nuovamente il mandato. Le clientele non funzionerebbero per avere il maggior numero di voti e non funzionerebbe neanche chiedere il sostegno a gruppi criminali dai quali, invece, si cercherebbe di stare ben lontani. Insomma coi collegi uninominali avremmo anche una Calabria oltreché un’Italia caratterizzate da una democrazia più avanzata di tipo anglosassone.

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Calabria: prepensionamenti d’oro ai dirigenti regionali. Reato plitico e morale

di Giuseppe Candido

Un piccolo quotidiano regionale “il domani della Calabria” in questi giorni ha condotto una interessante inchiesta sui costi della politica. Nello specifico, l’inchiesta si è occupata di circa 300 prepensionamenti di altrettanti dirigenti regionali ai quali è stato riconosciuto un’incentivo di circa 570.000 euro oltre a buonuscita e pensione. Risultato: più di 150 milioni di euro come danno alle casse della regione. L’industriale del tonno calabrese, Filippo Callipo ha affermato che se un imprenditore facesse con i propri dirigenti di azienda ciò che la regione calabria ha fatto con i suoi sarebbe considerato un PAZZO. Questo è uno schiaffo al comune senso della decenza istituzionale diciamo noi. Dopo i porta borse assunti con legge speciale anche i dirigenti prepensionati con incentivi che un qualsiasi laureato oggi, minimamente neanche sogna al momento di un suo futuro pensionamento che invece è sempre più aleatorio e affidato a fondi integrativi. W l’Italia.

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