Archivi tag: Cultura

#LaBuonaScuola … che non vorrei

di Giuseppe Candido

Con lo slogan “professori scelti dei presidi” e “soldi a chi merita”, durante il Consiglio dei Ministri giovedì 12 marzo e relativa conferenza stampa, “la buona scuola” di Renzi ha finalmente visto la “luce” in un disegno di legge. Dopo aver posto in consultazione online un documento di 136 pagine per oltre due mesi, e dopo aver rinunciato a varare la riforma per decreto legge con procedura d’urgenza, adesso il disegno di legge varato dal Consiglio dei Ministri che dovrà essere approvato in Parlamento, è di sole ventidue pagine. E il grande piano d’assunzioni passa da 148.100 precari a poco più di 100mila. Nella conferenza stampa il premier – da grande comunicatore – l’ha definito “una rivoluzione culturale”. Continua la lettura di #LaBuonaScuola … che non vorrei

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Star bene a scuola … per ridare un senso alla professione docente

Star bene a scuola: è questo il titolo del Convegno Nazionale svoltosi a Lamezia Terme (CZ) lo scorso 7 maggio, organizzato dalla Federazione Gilda Unams della Calabria – Gilda Insegnanti,  in collaborazione con il Centro Studi nazionale e l’Associazione Docenti articolo 33, “per ridare un senso alla professione docente“.

Al convegno è intervenuto anche l’assessore regionale all’istruzione alla cultura Mario Caligiuri: “Il livello di benessere di una civiltà è correlato con il suol livello sostanziale di cultura“; Caligiuri è stato così gentile da rilasciarci anche una breve video intervista. (a cura di Giuseppe Candido)

La federazione Gilda Unams – Gilda degli insegnanti coordinata, in Calabria, dal professor Antonino Tindiglia ha fortemente voluto questo convegno nazionale per affrontare il tema della trasformazione, avvenuta negli ultimi decenni, della professione docente e del disagio correlato al nuovo clima che si vive nelle scuole.

Perché l’usura e lo stress dal lavoro correlato è così alta tra i docenti? E perché intervengono stanchezza e disaffezione, dopo anni di insegnamento?

In pratica queste le domande ai quali i relatori del convegno, tra cui il professor Vittorio Lodolo D’Oria medico specialista esperto in patologie professionali degli insegnanti e autore di numerose pubblicazioni, ti ho parlato di insegnamento come professione al rischio salute mentale, Fabrizio Roberschegg, presidente dell’associazione docenti articolo 33 e membro del centro-sud i nazionali della Gilda degli insegnanti che, nello specifico, ha relazionato sul disagio degli insegnanti e le ricadute sulla professione docente, e Gianluigi Dotti, responsabile del centro studi nazionale della Gilda degli insegnanti e che ha parlato del “clima scolastico” relativamente quello che è emerso da un’indagine sul “disagio della professione docente”.
Un corso riconosciuto dal MIUR con nota del 14 aprile 2014 come specifica attività di formazione“, ma che, per il professor Tindiglia, “molti dirigenti scolastici hanno avuto difficoltà a riconoscere come tale e, in alcuni casi, hanno persino ostacolato la partecipazione dei docenti al corso stesso”.

Di seguito, l’intervista al dott. Vittorio Lodolo D’Oria (a cura di Giuseppe Candido)

Il risultato sono stati un bellissimo convegno e una sala piena di docenti interessati ad aggiornarsi e informarsi sull’importante tema riguardante, appunto, salute e benessere dei docenti, ma anche, indirettamente, degli alunni.

Per vedere l’intero intervento del dott. Lodolo D’Oria, sul sito www.GildaTv.it è disponibile la sintesi della giornata a Lamezia e l’intera giornata a Bari.

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Vincenzo Ammirà e la letteratura.

di Maria Elisabetta Curtosi

Di Ammirà la cronaca e certa letteratura ne hanno fatto oramai un ritratto che sarà molto difficile da scalfire, perché non c’è saggio, memoria e aneddottistica che ha impresso a fuoco: angelo per pochi, demonio per gli altri.

Il giuoco libero della poesia. Tra le voci poetiche fra le più libere ed autentiche  non soltanto della letteratura calabrese del secolo per antonomasia ma della letteratura erotica italiana. E come tale quindi messo al rogo. Parlava allo spirito, Ammirà. Non era amato manco lui da quei “professorini da caffè ”. Lui ricambiava volentieri, anzi nella sua poesia dialettale la pseudo autorità svanisce sotto i colpi della libera voce di Ammirà, tutta volta alla realizzazione dei più alti ideali umani.

Ci ha rimesso solamente la cultura perché le loro opere sono solo per pochi intimi e quei pochi ne hanno fatto uno stereotipo di una poesia pornografica, oscena, sottoposta

continuamente al dominio del potere nelle sue variegate forme.

Invece si tratta a nostro modesto parere di poeta romantico. Egli esprime il carattere del vero calabrese, romantico,irriverente, individualista, sarcastico, ribelle contro ogni tipo di sopruso, insomma quella calabresità tipica dei grandi della nostra terra che ha avuto in Campanella l’espressione più alta. Ammirà non è mai stato un poeta da officina, non sostava nelle biblioteche o nelle sacrestie e questo è un altro punto su cui il poeta monteleonese si distacca  non tanto dagli uomini della generazione poetica coeva. Rispetto ad altri poeti egli ha saputo e potuto essere moderno in modo del tutto diverso dai suoi contemporanei. Negli altri prevaleva il criterio retorico,mentre per Ammirà l’unico criterio restava quello di una funzione naturale che anticipava e annullava le ragioni di un ordine letterario. Il linguaggio di Ammirà non era asettico, rassicurante ma altamente simbolico, efficace e comprensibile a tutti perché linguaggio del dolore e della gioia,della passione, dell’amore sempre naturale, non artificioso, diretto, genuino che nasce e si ciba della cultura popolare.

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La logica della seduzione

di Maria Elisabetta Curtosi

“Nella storia dell’antica Roma, l’esempio piu’ sorprendente di una seductio politico-militare e’ connessa al rituale religioso dell’evocatio”. Mentre le popolazioni semite (Assiri, Babilonesi, Ebrei) combattevano insieme i nemici e i loro dei, i romani concepivano le divinità del nemico come separabili dalle citta’ e dalle popolazioni cui erano connesse. I semiti quindi pensavano alla guerra come qualcosa di totale, che coinvolgeva anche gli dei, i Romani ritenevano di non poter conquistare una citta’, se non dopo avere sedotto, o con termine tecnico, appunto evocato la divinita’ che la tutelava. Questa veniva perciò invitata ad abbandonare la sua residenza e a trasferirsi a Roma, dove riceveva in cambio l’erezione di un tempio e l’organizzazione di un culto”.  – Così scriveva Mario Perniola, ne “La società dei simulacri”, Cappelli 1983 – Inoltre “la condizione indispensabile della riuscita della evocatio è il fatto che la città e il dio fossero designati col loro vero nome. Questo rituale, il cui significato e’ insieme militare, politico, culturale e religioso, si muove in una prospettiva opposta a quella della metafisica occidentale, la cui linea e’ espressa per esempio da Mosè: parlando dei nemici d’Israele, Mosè infatti ordina di votarli allo sterminio, di non fare con essi alleanza, ne’ loro grazia, di demolire i loro altari, spezzare le loro tele, tagliare i loro pali sacri, bruciare nel fuoco i loro idoli.  Mentre gli Ebrei così votano alla distruzione ciò che è loro estraneo, i Romani se ne appropriano: secondo l’evocatio romana la conquista è impossibile se non si assimila il patrimonio spirituale e culturale del nemico, che deve essere oggetto di rispetto e di culto; anzi condizione della sconfitta del nemico è il fatto che egli sia separato dalla propria radice culturale e religiosa, che sia privato della sua identità: egli puo’ cosi’ entrare nella logica della seduzione (…).
Gli dei sedotti non perdono nulla della loro dignità: essi vengono a Roma non come prigionieri, ma con la loro volontà. Il muto annuire della statua era infatti considerato come una condizione del trasporto, che doveva essere effettuato da giovani. La costruzione di un tempio, generalmente sull’Aventino, garantiva loro un’adeguata sistemazione. L’evocatio è il contrario della prevaricazione: Roma non porta i propri dei nella città nemica, ma fa loro spazio nel suo ambito. Stabilisce così con le città vinte un rapporto di seduzione che si trasmette successivamente agli abitatori di queste: essa diventa così la nuova patria, il nuovo centro di attrazione delle popolazioni soggettate. Non un ‘Vaterland’, basato sulla devozione, ma un Kinerland, basato sulla seduzione.”

 

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Calabria Letteraria compie 60 anni

L’anniversario dei 60 anni dalla nascita dell’illustre Rivista calabrese fondata da Emilo Frangella che, nella nostra regione, tiene alta la fiammella della cultura, sarà celebrato sotto le stelle di San Lorenzo, il prossimo 10 agosto alle ore 21, presso il centro benessere delle Terme Luigiane ad Acquappesa di Guardia Piemontese (CS). A darcene notizia sono il suo direttore, Franco Del Buono, assieme al presidente del comitato organizzatore, Attilio Romano che, nel rimetterci l’invito ci raccomandano di dare massima visibilità all’appuntamento che vedrà esibirsi, in un simposio sotto le stelle cadenti, la voce del bel canto italiano, Cesira Frangella.

Calabria Letteraria

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Cenacolo di libertà

di Maria Elisabetta Curtosi

Nel 1847 Vincenzo Ammirà si affiancò ai liberali sotto la guida di Raffaele Buccarelli, tra i quali troviamo Francesco Fiorentino, Luigi Bruzzano, Ottavio Ortona, Francesco Protetti, Giuseppe Augurusa (….) che ebbero su di lui una certa influenza ed in compagnia di questi amici  spesso trascorreva le serate e le notti . Cenacolo di libertà. L’agiografia e la critica che sino ad oggi si è occupata di Ammirà di Donnu Pantu risulta piuttosto caricaturale, di maniera, conformista e quindi falsata. A noi interessano soltanto in quanto ci servono come veicolo per arrivare a capire il perché di una certa produzione, che d’altra parte è presente in Italia e fuori da essa, lungo tutto il percorso della storia letteraria, anche se celata con sufficienza da testi cosiddetti ufficiali.

Tre anni dopo, nel mese di…. lo troviamo al seguito di Giuseppe Garibaldi fino a Soveria Mannelli.

Le lagnanze della “ cultura ufficiale” battono sui soliti argomenti: l’immoralità mostruosa del comportamento del poeta che poteva avere sulle persone la più funesta influenza e,il fatto che il poeta dicesse pane al pane e vino al vino come in uno dei suoi più celebri scritti la “ Ceceide” che canta la vita di una bella e dignitosa buttana di Tropea, frequentata non dai poveri cristi popolani,ma da gente di cultura e di alto lignaggio come il filosofo Pasquale Galluppi e  la “Rivigghiede” che rappresenta una sorte di orationes funebre sempre di una grande buttana, questa volta montaleonese, assaporata,gustata e molto gradita  dai signori altolocati del tempo.  A Francesco Mantella-Profumi, appartenente al nobile casato pannaconese , disse: “Da certi scritti, che non credevo vivessero tanto,  sembro diverso da quel che realmente sono, eppure quando scrivo i miei versi sono sempre mesto”.  Dunque Ammirà, come Donnu Pantu vivevano  una vita castigata, l’uno tutto dedito alla famiglia, l’altro faceva il “mastru missaru”.

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In prima linea

di Giuseppe Candido

Giorgio Napolitano - Wiki

Bisogna che sia chiaro che la Calabria è in prima linea nella lotta contro la criminalità, è in prima linea per la sicurezza e per la libertà del nostro Paese, e tutti, lo Stato nazionale, le sue istituzioni le sue forze, dobbiamo tutti essere in prima linea con la Calabria”.

I fatti di Rosarno dove “non si è saputo prevenire”, l’integrazione e la ‘ndrangheta che dà dimostrazione di forza. Dopo quanto accaduto dall’inizio dell’anno Giorgio Napolitano è a Reggio Calabria ed ha incontrato tutte le istituzioni, un vertice coi Magistrati, l’incontro con il Presidente della Regione Agazio Loiero e con il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. “La mafia in Calabria blocca lo sviluppo”.

Parole cariche del peso della verità quelle del Presidente che poi viene accolto presso il Liceo artistico statale “Mattia Preti” con la manifestazione “Legalità e Sviluppo” organizzata dalla consulta delle associazioni degli studenti calabresi con la presenza del ministro
dell’Istruzione Maria Stella Gelmini. Tutti impegnati a contrastare la criminalità organizzata e a diffondere la consapevolezza della necessità, quanto mai urgente, di combattere questa lotta.
Il Presidente ha ricordato l’alto magistrato Antonino Scopelliti, ucciso dalla mafia nel 1991, e si è rivolto alla Calabria e all’Italia tutta con queste parole: “Guai a pensare che ciò significhi che gli immigrati sono portatori di violenza e che i cittadini di Rosarno sono portatori di razzismo”. E ancora: “Stiamo molto attenti, respingiamo questi luoghi comuni, respingiamo tutti i pregiudizi che rischiano di accumularsi sulla Calabria, che è una regione difficile, una regione per tanti aspetti sfortunata, è anche una regione che deve dare di più, che deve mobilitarsi di più, una società che deve esprimere le sue energie e le sue capacità di reazione e di svolta di più di quanto abbia fatto finora”.

Il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso ha
sottolineato che tutte le istituzioni debbono collaborare e che “la Calabria deve far sentire la sua voglia di riscatto per gli omicidi del Giudice Scopelliti e del vicepresidente del Consiglio regionale, Fortugno”. Nello stesso giorno, però, una santabarbara di munizioni ed esplosivi viene ritrovata parcheggiata vicino l’aeroporto di Reggio Calabria a riprova che la ‘ndrangheta non cade affatto a pezzi. Nella convinzione della necessità di un cambiamento che la Gelmini afferma che “E’ necessario far crescere, proprio dalla scuola, la cultura della legalità, combattendo anche un modo di pensare” . E forse è proprio questa la miseria d’abolire. Ma è anche vero che le istituzioni, scuola a parte, in Calabria sono, per dirla alla Mario Draghi, “pervase” dalle mafie, dalle ‘ndranghete. Le nuove ‘ndrine traggono i loro capitali principalmente dai traffici di droga che poi reinvestono nell’economia legale, nei “café del Paris” o nelle “Milano da bere”. Quei “durissimi colpi inferti alle ‘ndrine” che possono apparire operazioni come il sequestro di beni per 5 milioni di euro sono, in realtà, solo una goccia del mare dei capitali che la ‘ndrnagheta manovra, gestisce, rinveste. E’ vero che di una rivolta c’è bisogno, di una rivolta nonviolenta, ma di una rivolta culturale, sociale, politica e, soprattutto, morale. Ma, come dimostrano i dati forniti dalla stessa direzione distrettuale antimafia, la lotta che ci chiedono di combattere è una lotta impari perché, se anche si considerano i 6 miliardi di euro sequestrati alle mafie nell’ultimo anno, pure quest’importo astronomico rappresenta solamente un misero 10% degli oltre 60 miliardi di euro che la ‘ndrangheta porta a casa ogni anno come proprio “fatturato”. Il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone ha detto di recente la sua: “La ‘ndrangheta – afferma Pignatone – è riuscita a diventare una vera holding del mercato della droga grazie alle sue ramificazioni in ogni parte del mondo. (…) Il fenomeno si è sviluppato da una ventina d’anni (…) anche se ora risulta con tutta evidenza”. Aggredire i capitali mafiosi non può quindi significare limitarsi all’esazione di una tassa, oltretutto assai vantaggiosa. Ma allora, cosa si può fare? Cosa possono fare le istituzioni, la politica, la società civile per sconfiggere le ‘ndranghete?

Mike Gray, lo scorso aprile su “The Washington post”, analizzava il problema del traffico di sostanze stupefacenti: “Negli anni venti – scrive Gray – gli Stati Uniti hanno vietato il consumo di alcol. Il contrabbando è fiorito e la violenza è esplosa. Come oggi sulla droga”.

Che quel business di All Capone fosse il frutto di una sciagurata politica proibizionista oggi non sfugge più a nessuno. Quello che resta ancora da assimilare è però la seconda parte del messaggio: la stessa cosa accade con le droghe illegali che alimentano le mafie in tutto il mondo, dai cartelli colombiani e messicani alla ‘ndrangheta nostrana che aumenta, giorno dopo giorno, il suo potere economico pervadendo, col denaro riciclato, l’economia legale della Calabria, dell’Italia e d’Europa. Forse dovremmo guardare come sta cambiando la lotta al narcotraffico nei paesi che spesso invochiamo ad esempio. “Dopo 40 anni dall’offensiva di Nixon, Obama tira il freno e pensa alla marijuana libera.” Marco Bardazzi lo ha spiegato bene nel suo articolo “La fine della Guerra alla coca” comparso qualche giorno fa su “La Stampa”: “Il presidente fa studiare seriamente al proprio staff la fattibilità di un passo che avrebbe ripercussioni mondiali: legalizzare la marijuana”. “L’America di Barack Obama – spiega Bardazzi – è pronta a dichiarare impossibile da vincere il conflitto, a chiuderlo e a trasformare radicalmente la gestione della lotta agli stupefacenti. Dopo aver speso negli anni oltre mille miliardi di dollari di soldi pubblici in un conflitto che sembra sempre in stallo, gli Usa senza enfasi stanno ritirando gli agenti della Dea (Drug Enforcement Administration) dai fronti in Colombia e in Afghanistan. I fondi per la lotta al narcotraffico vengono deviati verso campagne di prevenzione. In Congresso sono partiti i lavori di una commissione che deve riscrivere completamente la strategia antidroga”. Oggi le carceri sono stracolme di migranti “clandestini” e di ragazzi trovati in possesso di poche decine di grammi di droga la cui detenzione non ha alcun fine di recupero e reinserimento sociale ma, anzi, è criminogena. Senza contare le risorse e gli uomini impiegati in tanti “micro” sequestri, tante “micro” operazioni, che non sconfiggono il problema: i consumi dilagano e la ‘ndrangheta ringrazia anche dovendo pagare una “tassa”.

Un gruppo di esperti britannici della fondazione Beckley ha valutato scientificamente gli effetti della cannabis. Ed ha concluso – come spiegava qualche mese fa la rivista inglese “New Scientist” – che, per limitare i danni ed eliminare i traffici illegali, la soluzione è legalizzarla. Anche se i rischi associati al consumo di marjuana sono accertati, gli esperti della Beckley sono convinti che sia molto meno pericolosa di sostanze legali come alcol e tabacco di cui, stante le giuste e ferree regole come il non mettersi alla guida ubriachi e non fumare nei locali pubblici, non ci sogneremmo certo di proibirne il consumo considerando come andò a finire con Al Capone. Legalizzare il mercato può invece contribuire a ridurre fortemente quel “fatturato” del malaffare che, come dice giustamente Napolitano, “blocca lo sviluppo della Calabria”.

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Il nuovo numero di Abolire la miseria

Periodico nonviolento di storia, arte, cultura e politica laica liberale calabrese

Care amiche e cari amici di Abolire

Abbiamo chiuso ieri, 18 dicembre, alle ore 23.00, il nuovo numero che, in queste ore, è in stampa. Piombo su carta dunque e, ancora per questo numero unico del 2009, sarà distribuito ai nostri sostenitori e, in copia omaggio, con tiratura di 10.000 copie, nelle cinque città calabresi capoluoghi di provincia, nella provincia di Catanzaro a Lamezia Terme, a Soverato e nei principali comuni della fascia ionica catanzarese. Registrato presso il Tribunale di Catanzaro col n°1 il 9 gennaio 2007, Abolire la miseria della Calabria giunge dunque al suo terzo anno di esistenza. Sia pur con pubblicazioni sporadiche, in relazione alla scarsità di fondi, e con vicissitudini ingrate, siamo ancora qui. Completamente rinnovato nei contenuti e, parzialmente nella grafica, Abolire la miseria della Calabria si propone, quale organo d’informazione dell’associazione di volontariato culturale “Non Mollare”, il fine di promuovere la diffusione della storia e della cultura della nostra regione per aumentare il livello di consapevolezza e di coscienza critica, attraverso la collaborazione volontaria degli autori, cui va uno specifico ringraziamento. Siamo cambiati assumendo la dizione di “Periodico nonviolento di storia, arte, cultura e politica laica e liberale calabrese” perché crediamo che, nel periodo che viviamo, che il nostro Paese sta vivendo, di cambiamento ci sia una forte necessità, soprattutto in Calabria, ma crediamo pure che, la rivoluzione necessaria e urgente, debba essere nonviolenta e di tipo culturale.

Abolire la miseria, abolire la povertà degli strati più in difficoltà della popolazione, nazionale e mondiale, è sempre di più cosa urgente e di straordinaria attualità. In Calabria, per farlo, abbiamo bisogno di riappropriarci della nostra storia perché conoscere cosa si è stati significa comprendere meglio ciò che si è e ciò che è l’altro.

L’associazione “Non Mollare” per questi motivi intende promuovere il recupero delle tradizioni popolari e della cultura calabrese attraverso azioni formative, informative ed editoriali anche multimediali, volte ad ampliare la conoscenza e la diffusione delle ricchezze della nostra regione in Calabria, in Italia e nel Mondo. Cercheremo di pubblicare una collana di studi di livello scientifico e che attingono all’ordine culturale del nostro territorio calabrese, con l’intento di riproporre editorialmente le zone meno esplorate del patrimonio culturale calabrese e, allo stesso tempo, affrontare argomenti e aspetti inediti della storia non solo locale. Rivolgendoci ai migranti e, nello specifico, al migrante calabrese, in realtà il progetto culturale che abbiamo in mente prevede il recupero e la valorizzazione editoriale delle tradizioni popolari calabresi e non calabresi, dei migranti di oggi e di ieri, come strumento “politico” in grado di promuovere l’integrazione delle identità culturali di un popolo e quindi di tutti i popoli. Nello specifico il progetto di “Integrazione delle diversità col recupero della cultura e delle tradizioni popolari calabresi” prevede studi, ricerche, pubblicazioni anche multimediali e/o web supportate, l’organizzazione di convegni, seminari di studio, manifestazioni volte alla pro- mozione, qualificazione e sviluppo delle seguenti tematiche:

a) Il teatro popolare in Calabria; b) Il brigantaggio nel decennio francese; c) Emigranti ed immigrazione: il caso dei libertari calabresi; d) Un secolo di stampa vibonese: antologia funzionale delle prin- cipali testate calabresi dagli inizi dell’ottocento agli inizi del novecento; e) Saggi su medicina popolare, usanze e credenze. Prevediamo la stampa di specifiche pubblicazioni, la loro diffusione anche medi- ante internet e la prosecuzione della stampa del bollettino dell’associazione “Non Mollare”, Abolire la miseria della Calabria, (con periodicità trimestrale). Pertanto, nel porgere il nostro sincero augurio per un Buon 2010, vi chiediamo di sostenerci. Abbonandovi o versando un piccolo contributo.

In quest’ottica, anche l’attività editoriale di Abolire la miseria della Calabria si adegua divenendo organo e strumento di informazione e ricerca storico-culturale per la nostra regione. Uno strumento partecipativo cui potranno unirsi altri collaboratori volontari.

Abolire la miseria della Calabria

Anno III Numero Unico



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