Rapporto del Partito Radicale in visita alle dodici carceri calabresi

Amnistia per la Repubblica e Garante dei diritti dei detenuti per la Calabria. Così Candido e Ruffa a conclusione delle visite nelle carceri calabresi effettuate come delegazione del Partito Radicale durante le festività natalizie dal 24/12/2015 al 05/01/2016.

<<Come ogni anno a Natale e Capodanno Marco Pannella e i Radicali – che con l’associazione Nessuno Tocchi Caino si occupano di abolire la pena di morte nel mondo e la pena fino alla morte in Italia – hanno visitato le carceri italiane. Grazie alle autorizzazioni del DAP avute per l’interessamento di Rita Bernardini, nell’ambito dell’iniziativa Spes contra Spem, abbiamo deciso di visitare tutte, una per una, le dodici carceri calabresi con un tour iniziato la vigilia di Natale con la visita alla circondariale di Castrovillari (CS) e terminato il 5 gennaio alla casa di reclusione Luigi Daga di Laureana di Borrello. Il 26 dicembre mattina siamo stati a Palmi e il pomeriggio a Vibo Valentia. Il 27 sono state visitate le due case circondariali di Reggio Calabria, Panzera ed Arghillà. Il 29 dicembre siamo ritornati, dopo averci passato capodanno 2015, alla casa circondariale Ugo Caridi di Catanzaro e il 30 abbiamo visitato quella di Crotone. Capodanno mentre Marco Pannella visitava Rebibbia noi lo abbiamo passato con i detenuti ergastolani ostativi e non del carcere di Rossano Calabro, il 2 gennaio con i ristretti nel carcere di Locri e il 3 a Paola la mattina e a Cosenza il pomeriggio. Abbiamo infine concluso il giro delle carceri calabresi con la visita il 5 gennaio ai detenuti della casa di reclusione di Laureana di Borrello (RC)>>.
È quanto si legge in un comunicato di Rocco Ruffa membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani e Giuseppe Candido militante del Partito Radicale, segretario dell’associazione Non Mollare a capo delle delegazioni delle visite effettuate nelle dodici carceri calabresi.

Oltre a Giuseppe Candido e Rocco Ruffa per alcune visite si sono aggiunti alla delegazione altri militanti e simpatizzanti del Partito Radicale: a Castrovillari: Claudio Scaldaferri, Emilio Quintieri, Gaetano Massenzo ed Ernesto Biondi; a Palmi: Gianpaolo Catanzariti; a Reggio C.: Gianpaolo Catanzariti, Giuseppe Mazza, Santo Cambareri e Gernando Marasco; a Catanzaro: Antonio Giglio ed Emilio Quintieri; a Crotone si è aggiunto – con funzione ispettiva – il Senatore Francesco Molinari di Alternativa Libera ed Emilio Quintieri quale suo accompagnatore; a Rossano C. Emilio Quintieri; a Paola Sabrina Mannarino, Carmine Curatolo, Emilio Quintieri, Claudio Scaldaferri ed Ernesto Biondi; a Cosenza Gaetano Massenzo, Emilio Quintieri, Claudio Scaldaferri, Ernesto Biondi e Valentina Moretti; a Laureana di Borrello Luca La Gamba e Gernando Marasco.

<<Le visite hanno avuto lo scopo, in primo luogo, di verificare le condizioni di detenzione e di incontrare i detenuti per portare il messaggio del Partito Radicale con il quale è stato titolato il congresso di Nessuno Tocchi Caino svoltosi nel carcere di Opera il 18 e il 19 dicembre: “spes contra spem“, essere speranza contro ogni speranza, come Abramo ebbe fede “sperando contro ogni speranza”.

Durante le visite abbiamo provveduto alla raccolta dei dati con un questionario carceri elaborato da Rita Bernardini, riguardante agenti, personale medico, educatori e detenuti detenuti presenti distinti per grado di giudizio. Ciò ha reso possibile, per ogni istituto, valutare la percentuale di sovraffollamento, quella delle persone detenute in attesa di giudizio e quelle di coloro che hanno la possibilità di lavorare.
Ch’altri l’appella antro di Polifemo, palazzo altri d’Atlante e chi di Creta il labirinto e chi l’Inferno estremo, io ti so dir, del resto tutto tremo, ch’è rocca sacra a tirannia segreta” … scriveva Tommaso Campanella nella poesia filosofica dedicata “Al Carcere”.

Noi potremmo chiamarlo “Carcere Calabria”: palazzo d’Atlante senza direttore, dedalo di “labirinti” fatto di dodici carceri sparse tra le “Calabrie” di cui solo dieci hanno direttori effettivi perché due sono affidatiti a direttori “reggenti” che devono dirigere più di un istituto; un dedalo di labirinti – dicevamo – in cui lavorano – ristretti pure loro, spesso ignorati dalla famosa quanto assente società civile – 1342 tra agenti e graduati della polizia penitenziaria, oltre a educatori, personale medico sanitario, direttori e direttrici; tutti senza un provveditore regionale la cui reggenza, anche questa a scavalco, è affidata al provveditore regionale della Basilicata, dott. Salvatore Acerra (dopo il suicidio del dott. Quattrone).

Dovrebbero esserci 1473 agenti di polizia penitenziaria ma in realtà assegnati sono 1342 di cui 198 impegnati nel nucleo traduzioni. La pianta organica degli educatori sarebbe di 56 unità ma effettivamente in servizio sono solo 42!

Con 2.385 persone detenute presenti al momento delle visite (di cui 60 donne) ed una capienza regolamentare di 2.692 posti (2.519 i posti effettivamente disponibili; alcune celle sono inagibili e il carcere di Arghillà ha due intere sezioni chiuse per carenza di personale) nel carcere “Calabria” il problema del sovraffollamento sembra superata (il valore medio si attesta al 95% rispetto alla capienza regolamentare).

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Detenuti in attesa di giudizio (%) nelle dodici carceri calabresi

Ci sono però istituti sottoutilizzati come quelli di Crotone e Laureana ed altri, invece, che hanno superato la capienza regolamentare: Palmi (169 detenuti su 135 posti realmente disponibili – sovraff. 124%), Locri (92 detenuti su 89 posti), il Panzera (249 detenuti in 186 posti – sovraff. 134%) e Arghillà (178 detenuti in 176 posti) di Reggio Calabria. Quest’ultimo, in particolare, avrebbe una capienza regolamentare di 306 posti ma due intere sezioni sono chiuse (in realtà non sono mai state aperte) per mancanza di personale e i posti realmente disponibili sono 176.

Tassi di affollamento riferiti alla capienza effettivamente disponibile riscontrata durante le visite (escluse celle e sezioni chiuse per carenza di personale o perché inagibili
Tassi di affollamento riferiti alla capienza effettivamente disponibile riscontrata durante le visite (escluse celle e sezioni chiuse per carenza di personale o perché inagibili

 

La cosa che fa specie è che di 2.385 detenuti presenti al momento delle visite solo 1.189 (il 49,85 %) hanno una sentenza definitiva di condanna. Gli altri, il 50,15 % circa della popolazione detenuta nelle calabre galere sta lì in attesa di giudizio.

Ma questo è il dato “regionale” medio e la media se riguarda le persone non sempre è adatta a fotografare una realtà: nel carcere di Palmi, ad esempio, le persone detenute in attesa di giudizio sono il 75% della popolazione carceraria, il 68% ad Arghillà. Persino in una casa di reclusione come Rossano, dove in teoria dovrebbero starci solo detenuti con condanne definitive, più del 10% dei ristretti è in attesa di giudizio.
“In molti casi appare urgente” – ha scritto Papa Francesco nel messaggio inviato in occasione della giornata mondiale della pace – “adottare misure concrete per migliorare le loro condizioni di vita nelle carceri, accordando un’attenzione speciale a coloro che sono privati della libertà in attesa di giudizio avendo a mente la finalità rieducativa della sanzione penale e valutando la possibilità di inserire nelle legislazioni nazionali pene alternative alla detenzione carceraria”.

Numero detenuti in attesa di giudizio e con condanna definitiva presenti al momento delle visite nelle dodici carceri calabresi

 

In Calabria invece non solo non ci sono misure alternative alla detenzione ma c’è anche un eccesso di custodia cautelare, oltre 500 sono solo imputati.

L‘irragionevole durata dei processi per la quale l’Italia è condannata da trent’anni dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per violazione dell’articolo 6 della Convenzione EDU, per i detenuti in attesa di giudizio si traduce spesso in irragionevole durata di una ingiusta detenzione considerato che, come nota l’avvocato Deborah Cianfanelli nel dossier giustizia del Partito Radicale, i processi per ingiusta detenzione o errore giudiziario sono oltre 2000 all’anno e, nel 2011, lo Stato ha pagato risarcimenti per 46 milioni di euro.

Altra problematica delle carceri calabresi è quella dei mediatori culturali: assenti in ben nove dei dodici istituti visitati. Hanno un mediatore solo il carcere di Arghillà (dove però c’è è un volontario) di Reggio Calabria, il Caridi di Catanzaro dove ci sono 136 detenuti stranieri e un solo mediatore e quello di Paola in provincia di Cosenza. Ma il mediatore non c’è – ad esempio – a Rossano C. dove i detenuti stranieri sono 44 e dove – tra l’altro – c’è un’intera sezione di imputati per terrorismo internazionale unica nel suo genere in tutta Italia.

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Detenuti presenti al momento delle visite

Anche dal punto di vista sanitario le cose non vanno bene da quando la sanità in carcere è passata dalle dipendenze del DAP alle Regioni e, di conseguenza, da queste alle Aziende Sanitarie Provinciali. Innanzitutto in molte carceri visitate non c’è il servizio medico H24; c’è a Rossano C ma in alcuni istituti, come Laureana di Borrello, il medico è presente solo tre ore al dì. Ci sono pure casi positivi come Arghillà con ambulatori specialistici aggiornati, ma in molte carceri rimangono forti criticità.
Nonostante ci siano 108 tossicodipendenti per lo più da cocaina visto che solo diciotto sono in terapia con metadone, 138 persone sono affette da epatite C, 11 disabili motori e 513 sono i casi psichiatrici trattati per lo più con ansiolitici.

Il diritto alla salute – in Calabria già poco tutelato fuori dal carcere – per per le persone private della libertà diventa un miraggio. A Laureana di Borrello per un banale mal di denti si passa la nottata: detenuti e agenti; bisogna chiamare il 118; l’ambulatorio odontoiatrico e gli altri ambulatori della struttura sono lasciati senza materiale di consumo. E per una visita odontoiatrica esterna può capitare che il detenuto debba aspettare oltre sette mesi per avere l’autorizzazione del magistrato di sorveglianza.

Perché il magistrato di sorveglianza è stracarico di lavoro e spesso non gira tra le celle come dovrebbe. Emblematico il caso di Biagio, detenuto a Palmi, che essendo stato operato al colon-retto vive con un pannolone e soffre per non potersi lavare adeguatamente in cella dove non c’è bidè né doccia, soprattuto i giorni del processo quando deve essere portato fuori dal carcere prima dell’ora delle docce comuni.
Sempre a Palmi – solo per citare un altro esempio – non c’è uno specialista cardiologo e non hanno nemmeno la possibilità del tele consulto cardiologico. Un qualunque sintomo deve perciò essere preso come ‘caso grave’ e tradotto in ospedale.

In alcuni istituti – come in particolare quelli di Palmi e Castrovillari – le condizioni strutturali degli ambienti detentivi sono mediocri, con umidità sia nelle celle sia nei corridoi; le docce, in violazione del Regolamento penitenziario del 2000, sono ancora “docce comuni” ed esterne alle celle con tre posti doccia e il soffitto e le pareti verdi dalla muffa. Si riesce a garantire una doccia giornaliera ma l’acqua calda, in molti istituti non viene erogata tutto il giorno. Come a Palmi e Castrovillari pure a Vibo Valentia, dove le celle hanno il bagno con doccia, l’acqua calda arriva mezz’ora al giorno.

A questo quadro generale vanno aggiunti 161 atti di autolesionismo in due anni: 99 nel 2014, 62 nel 2015, nove agenti vittime di aggressioni, due detenuti e un agente suicidi nel 2014 e nel 2015.

Dovrebbero esserci 56 educatori in pianta organica ma assegnati effettivamente in servizio nel “carcere Calabria” sono solo in 42. Pure per ciò che attiene la finalità rieducativa e di reinserimento sociale dei detenuti nelle carceri calabresi si è lontani dal dettato costituzionale: come il diritto alla salute anche il lavoro in carcere resta un miraggio.

Di 2.385 persone detenute solo 587 (il 24,6%) lavoravano alle dipendenze del DAP facendo, tra l’altro, mestieri come scopino e porta vitto poco spendibili all’esterno del carcere.

Altri dieci soltanto lavorano in carcere per imprese o cooperative esterne e solo sedici lavorano all’esterno in condizioni di semi libertà: quattro per conto proprio e dodici dipendenti da datori di lavoro esterni. Solo 75 detenuti hanno permessi premio e ben 661 di loro non effettuano regolari colloqui: oltre gli stranieri ci sono persone totalmente abbandonante anche dalle loro famiglie. Numeri che tradotti in percentuale stanno allo zero virgola e che palesano il fallimento della funzione rieducativa e di reinserimento sociale della pena detentiva.

Un ultimo aspetto riguardante i diritti dei detenuti è che, in molti istituti, manca il regolamento (spesso è in fase di approvazione da parte del DAP, dicono) ma in tutti c’è una carta dei diritti e dei doveri disponibile anche nelle lingue di appartenenza quando ci sono detenuti stranieri.

L’impressione che rimane al termine di queste visite è che, sebbene vi sia un miglioramento grazie alla deflazione delle condizioni di sovraffollamento (che comunque permane in alcune carceri) ed alla buona volontà di direttori, comandanti ed educatori, molto resta ancora da fare per porre termine alle violazioni del diritto e dei diritti umani.

In particolare, oltre ai problemi infrastrutturali di molti istituti, restano insufficienti – marginali – le misure volte alla formazione e al reinserimento dei detenuti rendendo così le carceri luoghi dove spesso si impara o si consolida la tradizione criminale.
Il carcere è un luogo dove ci si può perdere per sempre o dove, invece, ci si può ritrovare per sempre. Dovrebbe almeno in teoria essere un luogo dove rieducarsi e reinserirsi a pieno titolo nella società. È necessario ripensare il carcere, rendendo effettive ed incentivando misure alternative alla detenzione.

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Delegazione Partito Radicale all’uscita dalla CC di Arghillà: da sx Santo Cambareri, Giuseppe Mazza, Gernando Marasco, Giuseppe Candido, Gianpaolo Catanzariti e Rocco Ruffa. In divisa il vice comandante Paino che ci ha accompagnato la delegazione durante la visita.

Come Partito Radicale anche dalla Calabria ribadiamo però che una riforma strutturale della giustizia in Italia deve necessariamente partire da un provvedimento di amnistia ed indulto come aveva suggerito Napolitano nel messaggio inviato alle Camere nell’ottobre 2013 rimasto totalmente inascoltato; amnistia e indulto che sarebbero in grado – da soli – di creare le condizioni affinché, grazie all’alleggerimento dei carichi giudiziari ed alla deflazione penitenziaria, si possa uscire dalla attuale situazione di irragionevole durata dei processi. Solo così è possibile ripensare la funzione stessa del carcere come istituzione formativa e dove la detenzione in cella sia prevista se vi è reale necessità di non nuocere ad altri e per il minor tempo possibile; carceri in cui si possa lavorare e dove il tempo è impiegato per migliorare sé stessi e non perduto nell’ozio forzato in cella. Quello che la politica regionale può invece far subito è evidente: istituire (e nominare) anche in Calabria la figura del garante dei diritti delle persone private della libertà personale>>.

A breve pubblicheremo dossier visite carcere per carcere che consegneremo al Presidente del Consiglio Regionale Nicola Irto per chiedere subito il garante dei detenuti in Calabria dove non c’è ancora neanche la legge regionale che lo istituisca.

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