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#Radicali chiedono dimissioni di Renzi e denunceranno danno erariale

Non è più tollerabile che sia a rappresentare il governo italiano, oggi, proprio coloro che sono mobilitati contro la CEDU

La riunione è stata convocata dai Radicali, proprio il 28 maggio quando è scaduto l’ultimatum della Corte europea dei Diritti dell’Uomo sulla sentenza Torregiani, per discutere se “sollecitare le dimissioni da Presidente del Consiglio il grande Renzi”.

Per Marco Pannella che aveva preannunciato la riunione alle 10 e 30 dai microfoni di Radio Radicali, il motivo è molto semplice:

 

Pannella, i Radicali e lo scontro tra Stato di Diritto, Diritti Umani e la Ragion di Stato in Italia
Pannella, i Radicali e lo scontro tra Stato di Diritto, Diritti Umani e la Ragion di Stato in Italia

Abbiamo, adesso, un Presidente del Consiglio italiano che rappresenta ufficialmente una posizione anti CEDU, perché la CEDU ci ha indicato termini ma anche obiettivi precisi e, soprattutto, anti Presidente della Repubblica e i suoi atti formali come grande magistrato, il più alto magistrato della Repubblica italiana in termini di diritto. Credo che dovremo svolgere -aveva aggiunto Pannella- anche i motivi formali per i quali non è più tollerabile che sia a rappresentare il governo italiano, oggi, proprio coloro che sono mobilitati contro la CEDU e contro le posizioni e le statuizioni del nostro presidente della Repubblica

 

In realtà, poi, quello che viene realmente discusso è se chiamare in causa Presidente del Consiglio e Ministro della Giustizia (anche precedenti) per danno erariale provocato dalle continue omissioni e non azioni, relativamente all’altro aspetto delle violazioni dei diritti umani per cui l’Italia è pluri condannata: l’eccessiva lentezza dei processi e la conseguente (e ormai anche questa sistemica) violazione del diritto ad avere un processo in tempi ragionevoli.

I risarcimenti ottenuti dai cittadini italiani negli anni, in virtù della ex legge Pinto (Legge 24.03.2001 n° 89) per l’eccessiva durata dei processi prevedendo norme per l’adeguata riparazione economica da parte dello Stato che non è in grado di garantire una giustizia tempestiva.

La legge dice chiaramente, all’articolo 1, che ”

chi ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione

Eque riparazioni che, annualmente, costano ai cittadini italiani la bellezza di 500 milioni di euro.

Deborah Cianfanelli @dCianfanelli - Direzione Nazionale Radicali Italiani
Deborah Cianfanelli @dCianfanelli – Direzione Nazionale Radicali Italiani

Dopo l’annuncio, nel pomeriggio, poi, durante la riunione al Partito Radicale sull’eventuale richiesta di dimissioni da presidente del consiglio Renzi, l’avvocato Deborah Cianfanelli della Direzione Nazionale spiega il perché, secondo il suo parere, questa iniziativa sia estremamente importante  (intervista andata in onda su Radio Radicale nella serata alle 21) e, per farlo, cita la risposta ottenuta alla richiesta di uno specifico parere, dal Procuratore capo della Sez. Regionale Lazio della Procura generale della Corte dei Conti del Lazio, Raffaele De Dominicis: i danni erariali causati da comportamenti di malagiustizia saranno oggetti di attenta valutazione e potranno determinare l’apertura di un’inchiesta giudiziaria.

 

“Innanzitutto -spiega Cianfanelli anche in risposta a chi obietta la comprensibilità da parte dei cittadini dell’iniziativa che, in pratica, vuol citare Renzi e il governo per il danno erariale arrecato alle casse dello Stato- quest’iniziativa non vedo perché non dovrebbe essere comprensibile dalla maggior parte dei cittadini. Non sottovalutiamoli. Le cose basta spiegarle nel modo più chiaro possibile e in termini meno tecnici e giuridichesi.
Il danno erariale non è altro che un danno che viene causato all’economia nazionale, e quindi riguarda tutta la collettività. Non è che dobbiamo considerare i cittadini italiani come li considerano gli altri partiti ossia degli stupidi cui gli diamo € 80 in busta paga di elemosina e si scorgono tutto e tutti gli altri problemi.

Stiamo parlando di danni economici enormi. Quindi, si spieghiamo alle persone che vogliamo denunciare i responsabili dello Stato, a partire, appunto, dal presidente del consiglio al ministro della giustizia, ai ministri della giustizia anche precedenti e ai presidenti del consiglio precedenti, e chiunque per la sua competenza di partecipazione alla reiterazione costante di recidiva di questi comportamenti che hanno portato l’Italia ad essere il paese più condannato in Europa con la Turchia e la Serbia per quanto riguarda le carceri.
Non vedo perché non dovrebbero comprendere che gli vengono offerti € 80 come elemosina mentre gli vengono rubati miliardi, in quanto, come abbiamo avuto modo di evidenziare già nel 2007, la commissione tecnica per la finanza pubblica indicava in 500 milioni di euro all’anno il rischio economico dello Stato per le future e probabili condanne ex legge Pinto.
Quindi questa stima di 500 milioni di euro annui che è già superata di per sé dai calcoli fatti dalla Banca d’Italia che ne stima il danno economico di questi risarcimenti nella misura dell’1% del Pil; non vedo per quale motivo i cittadini non dovrebbero immediatamente recepirla nella sua gravità.
E questi erano dati che già venivano diffusi nel 2007. Dopodiché sappiamo che hanno chiuso la possibilità di accedere a questi dati e sappiamo che queste future e probabili condanne così definiti allora sono stato altro che probabili. Sono attuali e a questi si vanno a sommare anche tutti i procedimenti conseguenti risarcimenti sulla situazione delle carceri. Quindi, quello che c’è da spiegare i cittadini per rendere comprensibile e ritengo molto popolare quest’iniziativa è proprio che questo danno va ad influire sull’economia di tutti.
È uno dei motivi per cui l’economia dell’Italia non può rilanciarsi.
In riferimento alla coesione del partito, chi ritiene che prima di fare una qualunque iniziativa sarebbe necessario di dare coesione al partito io dico che ritengo che proprio su quest’iniziativa potrà essere ritrovata la coesione del partito perché può riunire la collaborazione dei due fronti. Stiamo discutendo e perdendo energie, ribadisco, da troppo tempo e da troppi anni su chi, come me, è più propenso a vedere come la battaglia, come lotta principale, quella della giustizia, probabilmente anche perché per mie competenze personali sono più portata ad affrontare un’analisi che uno studio su questi settori e altri che, per loro competenze e preparazioni, sono più propensi e portati ad analizzare la situazione del nostro paese, dello specifico del nostro paese, da un punto di vista più strettamente economico. Io non ho mai denigrato queste battaglie. Posso dire che magari posso parteciparvi più a traino. Non posso essere io motrice di queste però l’apporto anche per la stesura di questo esposto che mi accingo a. Predisporre e che limiterò al più presto a disposizione sia importante l’apporto anche di chi ha maggiori competenze dal punto di vista dell’economia. Perché questa racchiude veramente tutto e della dimostrazione di come la mala giustizia interagisca, preferisca e causi un danno economico e può essere analizzato anche da un punto di vista di esperti più economici e giuridici. Quindi ritengo che possa essere anche e proprio questa la lotta che possa ridare commissioni al partito.
Volevo rileggere per rendere ridotti anche i partecipanti a questa riunione allargata e magari non hanno sentito, non hanno vinto ancora questa notizia in merito all’esposto alla procura generale della corte dei conti. Sia io che Marco abbiamo scritto e preso contatti con Angelo Raffaele de Dominicis e il procuratore capo della sezione regionale Lazio presso la corte dei conti e illustrato, personalmente gli ho mandato una sintesi più sintesi che potessi, l’idea dell’esposto che intendiamo fare. E ha risposto oggi. Io gli ho riscritto chiedendo di poter divulgare e rendere pubbliche queste sue parole che ritengo molto importanti e che vorrei rileggere. Non ho ancora avuto una sua autorizzazione a prenderli ovviamente per la stampa però nella nostra riunione penso che sia necessario.>>

Rita Bernardini a questo punto la interrompe dicendole che la riunione allargata e anche in diretta da RadioRadicale.

<< E allora per il momento magari evito. Però diciamo che alla richiesta di un parere ha fatto sapere che non ritiene fondato e che potrebbe quindi aprirsi un’inchiesta giudiziaria in questo senso. Abbiamo una forte possibilità di poter far scoppiare finalmente questo grandissimo scandolo. Non so se è l’ultima, magari ce ne inventeremo tutti quanti insieme anche delle altre. Cronologicamente è l’ultima idea. Personalmente mi è venuto questo flash>>
A questo punto interviene Pannella per dare a Deborah Chan fanelli un’importante informazione: << il comunicato -dice Pannella- che tu per il momento ritenevi opportuno non leggere in realtà attraverso RadioRadicale e stato letteralmente reso pubblico e di conseguenza vorrei invitarti visto che questo è accaduto visto che sono poche righe di grande chiarezza se mai di ripeterle. Credo che non sia solo opportuno ma anche corretto.>>

L’avvocato Debora Cianfanelli allora legge la mail ricevuta da De Dominicis in richiesta di un parere:

<<I motivi che anticipano il contenuto dell’esposto per danno erariale causato da comportamenti di malagiustizia saranno oggetti di attenta valutazione e potranno determinare l’apertura di un’inchiesta giudiziaria. L’onorevole Marco Pannella mi ha trasmesso un voluminoso dossier che tratta la stessa materia. Spero di poter agire nell’interesse della giustizia e del nostro non molto fortunato paese. Molti Cordiali saluti, Raffele de Dominicis>>.

Poi l’avvocato Cinfanelli si rivolge a Marco:

<<Il dossier che marco ha allegato, non so bene se si tratti di quello sulla giustizia o quello sulle carceri che è stato inviato a Strasburgo …>>

E Pannella interrompendola le dice: <<Tutti e due. Per non sbagliare…>>.

Debora Cianfanelli, allora prosegue:

<< Perfetto, perché saranno le sintesi di entrambi questi dossier che formeranno le basi di questo esposto. Tutti i dati che sono lì contenuti dimostrano la flagranza criminale del nostro Stato, la reiterazione e il menefreghismo di tutti i massimi vertici che andremo a citare, di fronte a tutti gli auspici, gli interventi, gli inviti più o meno formali provenienti dalle giurisdizioni internazionali, dalle giurisdizioni nazionali e dallo stesso presidente della Repubblica. Ritengo che non ci sia da aver timore di stuzzicare un conflitto tra le istituzioni dello Stato, ma che questo sia proprio il momento in cui un conflitto tra queste istituzioni vada sollecitato proprio per far tornare queste istituzioni, che sono ormai sono soltanto istituzioni criminali, e lo dico anche in diretta radio radicale, perché hanno causato e stanno causando con questi malfunzionamenti, con il menefreghismo, con il mancato rispetto della legalità, della giustizia, del diritto del nostro Paese che è sempre stato la culla della diritto da Beccaria in poi.

E il caso Italia è collegato a questo. Quindi io la ritengo -proprio questa idea- riassuntiva, il concentrato di Ianni delle nostre lotte e di quelle future. Un estremo tentativo di urlare la necessità di riportare le istituzioni, tutte quante, nella legalità, nel rispetto della legalità. Pertanto se è per arrivare questo, a provocare uno scontro tra queste istituzioni, ben venga! E quindi penso che non dovremmo avere nessun timore di affrontare questo che può essere coesivo per il partito >>

Giuseppe Di Leo
Giuseppe Di Leo

Per Giuseppe Di Leo, giornalista vaticanista di Radio Radicale, prima ancora dei “conflitti istituzionali tra i poteri, in politica c’è un momento che precede questo potenziale conflitto istituzionale di poteri. Ed è il conflitto di concezioni sul Potere”.

Per il vaticanista radicale, la proposta di Marco Pannella di chiedere le dimissioni di Renzi e di denunciare il danno erariale arrecato per le non azioni e le omissioni del governo e dei governi precedenti, “si incunea in una ferita molto aperta e ancora sanguinante, perché” – spiega ancora Di Leo – “quando lui (Marco Pannella, ndr) chiede le dimissioni al recentissimo trionfatore – almeno secondo i dati apparenti – … non è riducibile, a mio modo di vedere, soltanto al fatto di lasciare una poltrona, quanto piuttosto – ed è qua il significato dirimente lancinante della denuncia di Marco – quanto la disponibilità a dismettere quella visione della politica che tradisce la stessa formazione di Renzi. Perché nell’analisi di queste ultime quarantotto ore del successo di Renzi mi hanno colpito quelle tre, quattro analisi fatte da esponenti che provengono da storiche culture politiche del ‘Novecento. Ieri è uscita – prosegue Di Leo – un’analisi di Cirino Pomicino (sul Foglio, ndr) il quale ha detto  che il giovane Renzi deve dimostrare di essere erede della cultura politica di (Giorgio, ndr) La Pira e di Giuseppe Lazzati“.

Lasciando perdere per un momento La Pira, Giuseppe Di Leo si sofferma a notare che Lazzati è lo storico Rettore della Università Cattolica che Marco (Pannella, ndr) conosce bene e di cui è avviato anche il processo di beatificazione e che al suo 75° compleanno i suoi allievi hanno scritto un volume in onore di; trent’anni fa:Paradoxa Politeia, il modo paradossale della Politica. Un volume in cui, per Di Leo,

<< Si mette in sintesi il punto di vista di Lazzati che era uno studioso di Sant’Agostino, della Patristica (la filosofia degli antichi patres, ndr) del pensiero politico della tarda latinità e in cui si dice: la crisi dei sitemi politici deriva nel momento in cui, come insegnava Agostino d’Ippona, i regimi politici non rispettano la legge che si sono dati e diventano “magna latrocinia”. Questa è l’espressione di Sant’Agostino>>.

Poi Di Leo conclude il suo intervento dicendo che:

“Lo sforzo del partito più anziano del panorama politico italiano non sia tanto quello di occuparsi della teoria dell’organizzazione, perché allora ci limiteremmo soltanto a una visione di conflitto di poteri. Che di per sé può essere utile, ma secondo me in questo momento può essere anche solo riduttivo, quanto alla teoria del fatto. E cioè, sfidare Renzi a riscoprire la propria cultura politica”.

Testo a cura di Giuseppe Candido.

A questo link, le opinioni di alcuni costituzionalisti intervistai da Radio Radicale

http://www.radioradicale.it/le-richieste-di-dimissioni-di-renzi-lopinione-dei-costituzionalisti

Per riascoltare e rivedere la riunione straordinaria clicca sul link sottostante:

Riunione straordinaria sulla richiesta di dimissioni al Presidente del Consiglio Matteo Renzi di Marco Pannella

Sullo stesso argomento puoi ascolta anche le interviste su RadioRadicale.it all’avvocato Deborah Cianfanelli sulla questione.

Carceri: i radicali annunciano una denucia alla Corte dei Conti per danno erariale. Intervista a Deborah Cianfanelli

Dossier radicale sulle carceri al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa – Intervista a Deborah Cianfanelli

Verso il 28 maggio 2014. Una sempre più prepotente urgenza

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Pannella, i Radicali e lo scontro tra Stato di Diritto, Diritti Umani e la Ragion di Stato in Italia

MP&MB_18maggioC’è, da una parte, dettato una linea, un comportamento formale che le autorità magistrali formalmente ribadiscono, richiedono e, da questa parte, è la posizione del Partito Radicale … invece … ci ritroviamo attorno, in tutte le cloache della politica quotidiana

Marco Pannella e i Radicali non sono presenti a queste elezioni europee ma non sono certo assenti, anzi non molliamo nel denunciare lo Stato italiano in tutte le sedi magistrali possibili e rilanciamo una campagna iscrizioni al Partito come l’unica campagna di speranza, contro ogni vana speranza: Spes contra spem. Di seguito pubblichiamo il testo dell’intervento di Marco Pannella1  che ritrovate nella versione audio su Radio Radicale a questo Link

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Marco Pannella

Eccoci in collegamento, certo, ma vorrei dire anche, cercando di scollegarmi da tutto sto casino che anche al nostro interno rischia, qualche volta, di farci perdere la chiarezza che Rita costantemente ci ripropone in modo molto forte. Cosa intendo dire? In questo momento, quello che sta accadendo è qualcosa che proprio non si vuole registrare. Che cosa?

Abbiamo, in questo momento, la politica italiana del governo, dei sottogoverni, e via dicendo, che si manifestano contro la legalità, contro la legalità proclamata, confermata, e tutta la politica cerca, con Renzi con quell’altri di Grillo o Grallo e via dicendo, di sfuggire alla realtà anche giuridica ormai chiara. Che cosa intendo dire? Le massime autorità magistrali nazionali, europee, internazionali si sono pronunziate, si pronunziano e ribadiscono che oggi il problema centrale è quello dell’attuazione del diritto e dei diritti, mentre c’è tutta una “roba” di regime di fatto che si contrappone a questa chiarezza, a questo obiettivo. Con tutte le cose di Renzi1, Renzi2, Renzi5, quell’altri e tutti quanti.

La situazione invece è chiara: Presidente della Repubblica, CEDU, via via le altre autorità magistrali che si stanno pronunciando, sottolineano che il problema è ch’è uno solo lo spartiacque. C’è, da una parte, dettato una linea, un comportamento formale che le autorità magistrali formalmente ribadiscono, richiedono e, da questa parte, è la posizione del Partito Radicale. Cioè, oggi, al centro della politica deve esserci: sì o no, l’articolo 3 (Tortura, ndr) e l’articolo 6 (eccessiva durata dei processi), oggi quello che è lo scontro ritengo anche formalmente ed è irrimediabilmente anche istituzionale, perché di questo si tratta, non solo politico, per discutere: è vero o no che le autorità magistrali hanno dettato in modo non equivoco una politica legata alla necessità e alle necessità del rispetto del diritto, o no? C’è il programma, di già: ed è quello per cui deve essere posto al centro i diritti della CEDU (articoli 3 e 6), articolo quindi, innanzitutto, sullo stato di diritto e gli altri sui diritti umani. Punti costituivi della forma e della sostanza del diritto vigente in questo momento e al quale esplicitamente le autorità magistrali italiane ed anche, per noi, europee ci richiamano e ci ordinano. Altrimenti, questi, poi stanno a discutere di leggi elettorali, di tutte le altre pisciatone, pisciatine. Consentitemi di dirlo: anch’io avrei voglia di dire, come qualche compagno: beh, però adesso mi piacerebbe andare a votare, per esempio, anche per Marco Boato o cose del genere. Ma non si capisce che, in questo momento, è in causa, come nel ’44, ’45, ’46, quindi, l’alternativa dello stato di diritto dei diritti umani del diritto vigente contro quello del persistere delle realtà statuali opposte a tutti questi principi. Quelli che noi evochiamo con le “ragion di Stato nazionali” ed altro. Ma è su questo, quasi, che non esiste consapevolezza. Il confronto c’è ed è uno solo: fra la difesa del diritto e dei diritti, lo ripeto, proclamato, ribadito, lo ripeto ancora perché naturalmente ci sono i politici, diciamo i politici democratici, i politici “anti” di tutti i tipi, che invece di questo non ci vogliono sentire. C’è questo confronto, non è solo il 28 maggio o le altre cose. Il confronto è questo. In Italia, in ogni luogo del nostro Paese anche, il confronto è fra i diritti umani e il diritto da Stato di diritto contro quello da Stato di fatto che, adesso, anche in Italia è uno stataccio criminale tecnicamente sfasciato e sfasciante.

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M. Pannella

E vorrei, quindi, su questo ribadirlo: questo è lo scontro. Non se ne parla per nulla! Io vorrei dire: va beh, si può pure chiacchiera’ e non vorrei troppo sembrare saccente quando ricordo che, comunque, la posizione del nostro partito è stata quella di dire che, comunque, questo è importante. Non si possono ignorare non solo le ipoteche gravissime, ma le evidenze contrarie oggi rispetto allo Stato quale si comporta rispetto alle partitocrazie, il 30% di Renzi, il 30% de Grillo, il 30% di Berlusca col seriale … come si chiama quello che lo insidia, quello del Nuovo Centro Destra, questa roba. Quindi questo va ribadito, questa va confermata: questa è la posizione Radicale. E vorrei dire che questa posizione Radicale comporta la consapevolezza che la storia radicale è, da tempo, chiaramente messa a morte dalla ufficialità della politica che stiamo vivendo e, di conseguenza, la campagna iscrizioni al Partito Radicale è l’unica campagna che è campagna che preannuncia e da’ forma all’avvenire e a un avvenire alternativo a quello nel quale stiamo precipitando in questa fase, come dire, di putrefazione del basso impero e dell’impero partitocratico. Di questo occorre essere ben chiari e, a questo punto, mi auguro che il mondo dei credenti in altro che nel potere e nei poteri, credenti nei valori, quelli credenti, per esempio, nella fiducia, come l’abbiamo evocata, (Spes contra spem, gli ricorda la voce fuori campo di Matteo Angioli) contra quello che viene smerciato come l’obbiettivo pratico dei politicanti oggi di regime. Termino qui, ma vorrei dire: la nonviolenza, l’approfondimento degli aspetti anche giuridici della attuale situazione alla quale dobbiamo dare corpo, sia chiaramente quella che, appunto, è stata evocata un momento fa: Spes contra spem. Queste “spem” che ci ritroviamo attorno, in tutte le cloache della politica quotidiana, io spero che sia soprattutto dal mondo dei credenti, dei credenti in altro che nel potere e credenti, anche, nella ascesi, nei comportamenti che non riducano la Spes a vili spem ed altro che possa essere individuata come quella del nostro Partito e spero che Cardinali arrivino da tutte le parti a dare corpo esemplare umile e glorioso a questa campagna per le iscrizioni al Partito Radicale perché nel ’14-’15 il mondo possa continuare.

1Testo estratto dall’intervento di Marco Pannella durante il secondo collegamento telefonico (12minuti circa) realizzato nello spazio del notiziario del pomeriggio su Radio Radicale il 22 maggio 2014 “Spes contra spem: lo scontro tra Stato di Diritto, Diritti Umani e la Ragion di Stato in Italia. Collegamento telefonico in diretta con Marco Pannella” – Pannella rilancia la campagna di iscrizioni al Partito Radicale. Trascrizione a cura di Giuseppe Candido, in Satyagraha

Spes contra spem
Ascolta l’audio su RadioRadicale.it … Spes contra spem

 

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Napolitano alle Camere: Amnistia per far tornare lo Stato nella legalità

Carceri, il messaggio integrale di Giorgio Napolitano alle Camere

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Giorgio Napolitano

Onorevoli Parlamentari,

nel corso del mandato conferitomi con l’elezione a Presidente il 10 maggio 2006 e conclusosi con la rielezione il 20 aprile 2013, ho colto numerose occasioni per rivolgermi direttamente al Parlamento al fine di richiamarne l’attenzione su questioni generali relative allo stato del paese e delle istituzioni repubblicane, al profilo storico e ideale della nazione.
Ricordo, soprattutto, i discorsi dinanzi alle Camere riunite per il 60° anniversario della Costituzione e per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. E potrei citare anche altre occasioni, meno solenni, in cui mi sono rivolto al Parlamento. Non l’ho fatto, però, ricorrendo alla forma del messaggio di cui la Costituzione attribuisce la facoltà al Presidente.

E ciò si spiega con la considerazione, già da tempo presente in dottrina, della non felice esperienza di formali “messaggi” inviati al Parlamento dal Presidente della Repubblica senza che ad essi seguissero, testimoniandone l’efficacia, dibattiti e iniziative, anche legislative, di adeguato e incisivo impegno.

Se mi sono risolto a ricorrere ora alla facoltà di cui al secondo comma dell’articolo 87 della Carta, è per porre a voi con la massima determinazione e concretezza una questione scottante, da affrontare in tempi stretti nei suoi termini specifici e nella sua più complessiva valenza. Parlo della drammatica questione carceraria e parto dal fatto di eccezionale rilievo costituito dal pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Quest’ultima, con la sentenza – approvata l’8 gennaio 2013 secondo la procedura della sentenza pilota – (Torreggiani e altri sei ricorrenti contro l’Italia), ha accertato, nei casi esaminati, la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea che, sotto la rubrica “proibizione della tortura”, pone il divieto di pene e di trattamenti disumani o degradanti a causa della situazione di sovraffollamento carcerario in cui i ricorrenti si sono trovati.

La Corte ha affermato, in particolare, che “la violazione del diritto dei ricorrenti di beneficiare di condizioni detentive adeguate non è la conseguenza di episodi isolati, ma trae origine da un problema sistemico risultante da un malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano, che ha interessato e può interessare ancora in futuro numerose persone” e che “la situazione constatata nel caso di specie è costitutiva di una prassi incompatibile con la Convenzione”.
“Contro il sovraffollamento pene alternative” – Per quanto riguarda i rimedi al “carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario” in Italia, la Corte ha richiamato la raccomandazione del Consiglio d’Europa “a ricorrere il più possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione, allo scopo, tra l’altro, di risolvere il problema della crescita della popolazione carceraria”.

In ordine alla applicazione della Convenzione, la Corte ha rammentato che, in materia di condizioni detentive, i rimedi ‘preventivi’ e quelli di natura ‘compensativa’ devono considerarsi complementari e vanno quindi apprestati congiuntamente. Fermo restando che la migliore riparazione possibile è la rapida cessazione della violazione del diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti.

La stessa decisione adottata, con voto unanime, dalla Corte di Strasburgo ha fissato il termine di un anno perché l’Italia si conformi alla sentenza ed ha stabilito di sospendere, in pendenza di detto termine, le procedure relative alle “diverse centinaia di ricorsi proposti contro l’Italia”; ricorsi che, in assenza di effettiva, sostanziale modifica della situazione carceraria, appaiono destinati a sicuro accoglimento stante la natura di sentenza pilota.

Il termine annuale decorre dalla data in cui la sentenza è divenuta definitiva, ossia dal giorno 28 maggio 2013, in cui è stata respinta l’istanza di rinvio alla Grande Chambre della Corte, presentata dall’Italia al fine di ottenere un riesame della sentenza. Pertanto, il termine concesso dalla Corte allo Stato italiano verrà a scadere il 28 maggio del 2014.

Vale la pena di ricordare che la sentenza del gennaio scorso segue la pronunzia con cui quattro anni fa la stessa Corte europea aveva già giudicato le condizioni carcerarie del nostro Paese incompatibili con l’art. 3 della Convenzione (Sulejmanovic contro Italia, 16 luglio 2009), ma non aveva ritenuto di fissare un termine per l’introduzione di idonei rimedi interni.

Anche perciò ho dovuto mettere in evidenza – all’atto della pronuncia della recente sentenza “Torreggiani” – come la decisione rappresenti “una mortificante conferma della perdurante incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena e nello stesso tempo una sollecitazione pressante da parte della Corte a imboccare una strada efficace per il superamento di tale ingiustificabile stato di cose”.
L’art. 46 della Convenzione europea stabilisce, invero, che gli Stati aderenti “si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti”. Tale impegno, secondo l’interpretazione costante della Corte costituzionale (a partire dalle sentenze n. 348 e 349 del 2007), rientra nell’ambito dell’art. 117 della Costituzione, secondo cui la potestà legislativa è esercitata dallo Stato “nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

In particolare, la Corte costituzionale ha, recentemente, stabilito che, in caso di pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo che accertano la violazione da parte di uno Stato delle norme della Convenzione, “è fatto obbligo per i poteri dello Stato, ciascuno nel rigoroso rispetto delle proprie attribuzioni, di adoperarsi affinché gli effetti normativi lesivi della Convenzione cessino”.

La cessazione degli effetti lesivi si ha, innanzitutto, con il porre termine alla lesione del diritto e, soltanto in via sussidiaria, con la riparazione delle conseguenze della violazione già verificatasi. Da qui deriva il dovere urgente di fare cessare il sovraffollamento carcerario rilevato dalla Corte di Strasburgo, più ancora che di procedere a un ricorso interno idoneo ad offrire un ristoro per le condizioni di sovraffollamento già patite dal detenuto.

Questo ultimo rimedio, analogo a quello che la legge 24 marzo 2001 n.89 ha introdotto per la riparazione nei casi di violazione del diritto alla durata ragionevole del processo, lascerebbe sussistere i casi di violazione dell’art. 3 della Convenzione, limitandosi a riconoscere all’interessato una equa soddisfazione pecuniaria, inidonea a tutelare il diritto umano del detenuto oltre che irragionevolmente dispendiosa per le finanze pubbliche.

Da una diversa prospettiva, la gravità del problema è stata da ultimo denunciata dalla Corte dei Conti, pronunciatasi – in sede di controllo sulla gestione del Ministero della Giustizia nell’anno 2012 – sugli esiti dell’indagine condotta su “l’assistenza e la rieducazione dei detenuti”. Essa ha evidenziato che il sovraffollamento carcerario – unitamente alla scarsità delle risorse disponibili – incide in modo assai negativo sulla possibilità di assicurare effettivi percorsi individualizzati volti al reinserimento sociale dei detenuti. Viene così ad essere frustrato il principio costituzionale della finalità rieducativa della pena, stante l’abisso che separa una parte – peraltro di intollerabile ampiezza – della realtà carceraria di oggi dai principi dettati dall’art. 27 della Costituzione.

Il richiamo ai principi posti dall’art. 27 e dall’art. 117 della nostra Carta fondamentale qualifica come costituzionale il dovere di tutti i poteri dello Stato di far cessare la situazione di sovraffollamento carcerario entro il termine posto dalla Corte europea, imponendo interventi che riconducano comunque al rispetto della Convenzione sulla salvaguardia dei diritti umani.

La violazione di tale dovere comporta tra l’altro ingenti spese derivanti dalle condanne dello Stato italiano al pagamento degli equi indennizzi previsti dall’art. 41 della Convenzione: condanne che saranno prevedibilmente numerose, in relazione al rilevante numero di ricorsi ora sospesi ed a quelli che potranno essere proposti a Strasburgo. Ma l’Italia viene, soprattutto, a porsi in una condizione che ho già definito umiliante sul piano internazionale per le tantissime violazioni di quel divieto di trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei detenuti che la Convenzione europea colloca accanto allo stesso diritto alla vita. E tale violazione dei diritti umani va ad aggiungersi, nella sua estrema gravità, a quelle, anche esse numerose, concernenti la durata non ragionevole dei processi. Ma l’inerzia di fronte al dovere derivante dalla citata sentenza pilota della Corte di Strasburgo potrebbe avere altri effetti negativi oltre quelli già indicati.

Proprio in ragione dei citati profili di costituzionalità, alcuni Tribunali di sorveglianza hanno, recentemente, sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 147 del codice penale (norma che stabilisce i casi di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena), per la parte in cui non prevede che si possa ordinare il differimento della pena carceraria anche nel caso di un prevedibile svolgimento della pena (in relazione alla situazione del singolo istituto penitenziario) in condizioni contrarie al senso di umanità. Il possibile accoglimento della questione da parte della Corte costituzionale avrebbe consistenti effetti sulla esecuzione delle condanne definitive a pene detentive.

Sottopongo dunque all’attenzione del Parlamento l’inderogabile necessità di porre fine, senza indugio, a uno stato di cose che ci rende tutti corresponsabili delle violazioni contestate all’Italia dalla Corte di Strasburgo: esse si configurano, non possiamo ignorarlo, come inammissibile allontanamento dai principi e dall’ordinamento su cui si fonda quell’integrazione europea cui il nostro paese ha legato i suoi destini.

Ma si deve aggiungere che la stringente necessità di cambiare profondamente la condizione delle carceri in Italia costituisce non solo un imperativo giuridico e politico, bensì in pari tempo un imperativo morale. Le istituzioni e la nostra opinione pubblica non possono e non devono scivolare nell’insensibilità e nell’indifferenza, convivendo – senza impegnarsi e riuscire a modificarla – con una realtà di degrado civile e di sofferenza umana come quella che subiscono decine di migliaia di uomini e donne reclusi negli istituti penitenziari. Il principio che ho poc’anzi qualificato come “dovere costituzionale”, non può che trarre forza da una drammatica motivazione umana e morale ispirata anche a fondamentali principi cristiani. Com’è noto, ho già evidenziato in più occasioni la intollerabilità della situazione di sovraffollamento carcerario degli istituti penitenziari.

Nel 2011, in occasione di un convegno tenutosi in Senato, avevo sottolineato che la realtà carceraria rappresenta “un’emergenza assillante, dalle imprevedibili e al limite ingovernabili ricadute, che va affrontata senza trascurare i rimedi già prospettati e in parte messi in atto, ma esaminando ancora con la massima attenzione ogni altro possibile intervento e non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria”. Orbene, dagli ultimi dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP) del Ministero della Giustizia – aggiornati al 30 settembre 2013 – risulta che il numero di persone detenute è pari a 64.758, mentre la “capienza regolamentare” è di 47.615.

Secondo i dati statistici relativi alla percentuale dei detenuti sul totale della popolazione dei diversi Paesi, pubblicati dal Consiglio d’Europa, nell’anno 2011 in Italia vi erano 110,7 detenuti ogni 100.000 abitanti. Nel confronto con gli altri Paesi europei tale dato è sostanzialmente pari a quello della Grecia e Francia (rispettivamente, 110,3 e 111,3) e viene superato da Inghilterra e Spagna (entrambe oltre quota 150). Peraltro, l’Italia – nello stesso anno 2011 – si posizionava, tra i Paesi dell’Unione Europea, ai livelli più alti nell’indice percentuale tra detenuti presenti e posti disponibili negli istituti penitenziari (ossia l’indice del “sovraffollamento carcerario”), con una percentuale pari al 147%. Solo la Grecia ci superava con il 151,7%.

Per il 2012 non sono ancora disponibili i dati del Consiglio d’Europa; da una ricerca di un’organizzazione indipendente (International Center for prison studies), risulta comunque confermato l’intollerabile livello di congestione del sistema carcerario italiano che, nonostante una riduzione percentuale rispetto all’anno precedente, ha guadagnato il – non encomiabile – primato del sovraffollamento tra gli Stati dell’Unione Europea, con la percentuale del 140,1%, mentre la Grecia ci seguiva con un indice pari al 136,5%.

E vengo ai rimedi prospettati o già in atto. Per risolvere la questione del sovraffollamento, si possono ipotizzare diverse strade, da percorrere congiuntamente.

A) RIDURRE IL NUMERO COMPLESSIVO DEI DETENUTI, ATTRAVERSO INNOVAZIONI DI CARATTERE STRUTTURALE QUALI:

1) l’introduzione di meccanismi di probation. A tale riguardo, il disegno di legge delega approvato dalla Camera e ora all’esame del Senato, prevede, per taluni reati e in caso di assenza di pericolosità sociale, la possibilità per il giudice di applicare direttamente la “messa alla prova” come pena principale. In tal modo il condannato eviterà l’ingresso in carcere venendo, da subito, assegnato a un percorso di reinserimento;

2) la previsione di pene limitative della libertà personale, ma “non carcerarie”. Anche su questo profilo incide il disegno di legge ora citato, che intende introdurre la pena – irrogabile direttamente dal giudice con la sentenza di condanna – della “reclusione presso il domicilio”;

3) la riduzione dell’area applicativa della custodia cautelare in carcere. A tale proposito, dai dati del DAP risulta che, sul totale dei detenuti, quelli “in attesa di primo giudizio” sono circa il 19%; quelli condannati in primo e secondo grado complessivamente anch’essi circa il 19%; il restante 62% sono “definitivi” cioè raggiunti da una condanna irrevocabile. Nella condivisibile ottica di ridurre l’ambito applicativo della custodia carceraria è già intervenuta la legge n. 94 del 2013, di conversione del decreto legge n. 78 del 2013, che ha modificato l’articolo 280 del codice di procedura penale, elevando da quattro a cinque anni di reclusione il limite di pena che può giustificare l’applicazione della custodia in carcere;

4) l’accrescimento dello sforzo diretto a far sì che i detenuti stranieri possano espiare la pena inflitta in Italia nei loro Paesi di origine. In base ai dati del DAP, la percentuale dei cittadini stranieri sul totale dei detenuti è circa il 35%. Il Ministro Cancellieri, parlando recentemente alla Camera dei Deputati, ha concordato sulla necessità di promuovere e attuare specifici accordi con i Paesi di origine dei detenuti stranieri (l’Italia ha aderito alla Convenzione europea sul trasferimento delle persone condannate e ha già stipulato nove accordi bilaterali in tal senso). Ella ha tuttavia dato notizia degli scarsi (purtroppo) risultati concreti conseguiti sinora. Nel corso del 2012 solo 131 detenuti stranieri sono stati trasferiti nei propri Paesi (mentre nei primi sei mesi del 2013 il numero è di 82 trasferimenti). Ciò, secondo il Ministro, dipende, in via principale, dalla complessità delle procedure di omologazione delle condanne emesse in Italia da parte delle autorità straniere. Il Ministro si è impegnato per rivedere il contenuto degli accordi al fine di rendere più rapidi e agevoli i trasferimenti e per stipulare nuove convenzioni con i Paesi (principalmente dell’area del Maghreb) da cui proviene la maggior parte dei detenuti stranieri. Tra i fattori di criticità del meccanismo di trasferimento dei detenuti stranieri, va annoverata anche la difficoltà, sul piano giuridico, di disporre tale misura nei confronti degli stranieri non ancora condannati in via definitiva, che rappresentano circa il 45% del totale dei detenuti stranieri;

5) l’attenuazione degli effetti della recidiva quale presupposto ostativo per l’ammissione dei condannati alle misure alternative alla detenzione carceraria; in tal senso un primo passo è stato compiuto a seguito dell’approvazione della citata legge n. 94 del 2013, che ha anche introdotto modifiche all’istituto della liberazione anticipata. Esse consentono di detrarre dalla pena da espiare i periodi di “buona condotta” riferibili al tempo trascorso in “custodia cautelare”, aumentando così le possibilità di accesso ai benefici penitenziari;

6) infine, una incisiva depenalizzazione dei reati, per i quali la previsione di una sanzione diversa da quella penale può avere una efficacia di prevenzione generale non minore.

B) AUMENTARE LA CAPIENZA COMPLESSIVA DEGLI ISTITUTI PENITENZIARI.

In tale ottica è recentemente intervenuto il già richiamato (e convertito in legge) decreto-legge n. 78 del 2013, che ha inteso dare un nuovo impulso al “Piano Carceri” (i cui interventi si dovrebbero concludere, prevedibilmente, entro la fine del 2015). Il Ministro della Giustizia, Cancellieri, ha dichiarato, intervenendo alla Camera, che “entro il mese di maggio 2014 saranno disponibili altri 4 mila nuovi posti detentivi mentre al completamento del Piano Carceri i nuovi posti saranno circa 10 mila”. In una successiva dichiarazione, il Ministro, nel confermare che al completamento del Piano Carceri la capienza complessiva aumenterà di 10.000 unità, ha precisato che “entro la fine del corrente anno saranno disponibili 2.500 nuovi posti detentivi” e che “è in progetto il recupero di edifici oggi destinati ad ospedale psichiatrico giudiziario e la riapertura di spazi detentivi nell’isola di Pianosa”. Ma, in conclusione, l’incremento ipotizzato della ricettività carceraria – certamente apprezzabile – appare, in relazione alla “tempistica” prevista per l’incremento complessivo, insufficiente rispetto all’obbiettivo di ottemperare tempestivamente e in modo completo alla sentenza della Corte di Strasburgo.
Tutti i citati interventi – certamente condivisibili e di cui ritengo auspicabile la rapida definizione – appaiono parziali, in quanto inciderebbero verosimilmente pro futuro e non consentirebbero di raggiungere nei tempi dovuti il traguardo tassativamente prescritto dalla Corte europea.

Ritengo perciò necessario intervenire nell’immediato (il termine fissato dalla sentenza “Torreggiani” scadrà, come già sottolineato, il 28 maggio 2014) con il ricorso a “rimedi straordinari”.

C) CONSIDERARE L’ESIGENZA DI RIMEDI STRAORDINARI

La prima misura su cui intendo richiamare l’attenzione del Parlamento è l’indulto, che – non incidendo sul reato, ma comportando solo l’estinzione di una parte della pena detentiva – può applicarsi ad un ambito esteso di fattispecie penali (fatta eccezione per alcuni reati particolarmente odiosi). Ritengo necessario che – onde evitare il pericolo di una rilevante percentuale di ricaduta nel delitto da parte di condannati scarcerati per l’indulto, come risulta essere avvenuto in occasione della legge n. 241 del 2006 – il provvedimento di clemenza sia accompagnato da idonee misure, soprattutto amministrative, finalizzate all’effettivo reinserimento delle persone scarcerate, che dovrebbero essere concretamente accompagnate nel percorso di risocializzazione. Al provvedimento di indulto, potrebbe aggiungersi una amnistia.

Rilevo che dal 1953 al 1990 sono intervenuti tredici provvedimenti con i quali è stata concessa l’amnistia (sola o unitamente all’indulto). In media, dunque, per quasi quaranta anni sono state varate amnistie con cadenza inferiore a tre anni. Dopo l’ultimo provvedimento di amnistia (d.P.R. n. 75 del 1990) – risalente a ventitré anni fa – è stata, approvata dal Parlamento soltanto una legge di clemenza, relativa al solo indulto (legge n. 241 del 2006). Le ragioni dell’assenza di provvedimenti di amnistia dopo il 1990 e l’intervento, ben sedici anni dopo tale data, del solo indulto di cui alla legge n. 241 del 2006, sono da individuare, oltre che nella modifica costituzionale che ha previsto per le leggi di clemenza un quorum rafforzato (maggioranza di due terzi dei componenti di ciascuna Camera), anche in una “ostilità agli atti di clemenza” diffusasi nell’opinione pubblica; ostilità cui si sono aggiunti, anche in anni recenti, numerosi provvedimenti che hanno penalizzato – o sanzionato con maggior rigore – condotte la cui reale offensività è stata invece posta in dubbio da parte della dottrina penalistica (o per le quali è stata posta in dubbio l’efficacia della minaccia di una sanzione penale).

Ritengo che ora, di fronte a precisi obblighi di natura costituzionale e all’imperativo – morale e giuridico – di assicurare un “civile stato di governo della realtà carceraria”, sia giunto il momento di riconsiderare le perplessità relative all’adozione di atti di clemenza generale.

Per quanto riguarda l’ambito applicativo dell’amnistia, ferma restando la necessità di evitare che essa incida su reati di rilevante gravità e allarme sociale (basti pensare ai reati di violenza contro le donne), non ritengo che il Presidente della Repubblica debba – o possa – indicare i limiti di pena massimi o le singole fattispecie escluse. La “perimetrazione” della legge di clemenza rientra infatti tra le esclusive competenze del Parlamento e di chi eventualmente prenderà l’iniziativa di una proposta di legge in materia.

L’opportunità di adottare congiuntamente amnistia e indulto (come storicamente è sempre avvenuto sino alla legge n. 241 del 2006, di sola concessione dell’indulto) deriva dalle diverse caratteristiche dei due strumenti di clemenza. L’indulto, a differenza dell’amnistia, impone di celebrare comunque il processo per accertare la colpevolezza o meno dell’imputato e, se del caso, applicare il condono, totale o parziale, della pena irrogata (e quindi – al contrario dell’amnistia che estingue il reato – non elimina la necessità del processo, ma annulla, o riduce, la pena inflitta).

L’effetto combinato dei due provvedimenti (un indulto di sufficiente ampiezza, ad esempio pari a tre anni di reclusione, e una amnistia avente ad oggetto fattispecie di non rilevante gravità) potrebbe conseguire rapidamente i seguenti risultati positivi:

a) l’indulto avrebbe l’immediato effetto di ridurre considerevolmente la popolazione carceraria. Dai dati del DAP risulta che al 30 giugno 2013 circa 24.000 condannati in via definitiva si trovavano ad espiare una pena detentiva residua non superiore a tre anni; essi quindi per la maggior parte sarebbero scarcerati a seguito di indulto, riportando il numero dei detenuti verso la capienza regolamentare;

b) l’amnistia consentirebbe di definire immediatamente numerosi procedimenti per fatti “bagatellari” (destinati di frequente alla prescrizione se non in primo grado, nei gradi successivi del giudizio), permettendo ai giudici di dedicarsi ai procedimenti per reati più gravi e con detenuti in carcerazione preventiva. Ciò avrebbe l’effetto – oltre che di accelerare in via generale i tempi della giustizia – di ridurre il periodo sofferto in custodia cautelare prima dell’intervento della sentenza definitiva (o comunque prima di una pronuncia di condanna, ancorché non irrevocabile).

c) inoltre, un provvedimento generale di clemenzacon il conseguente rilevante decremento del carico di lavoro degli uffici potrebbe sicuramente facilitare l’attuazione della riforma della geografia giudiziaria, recentemente divenuta operativa.

La rilevante riduzione complessiva del numero dei detenuti (sia di quelli in espiazione di una condanna definitiva che di quelli in custodia cautelare), derivante dai provvedimenti di amnistia e di indulto, consentirebbe di ottenere il risultato di adempiere tempestivamente alle prescrizioni della Corte europea, e insieme, soprattutto, di rispettare i principi costituzionali in tema di esecuzione della pena.

Appare, infatti, indispensabile avviare una decisa inversione di tendenza sui modelli che caratterizzano la detenzione, modificando radicalmente le condizioni di vita dei ristretti, offrendo loro reali opportunità di recupero. La rieducazione dei condannati – cui deve, per espressa previsione costituzionale, tendere l’esecuzione della pena – necessita di alcune precondizioni (quali la non lontananza tra il luogo di espiazione e la residenza dei familiari; la distinzione tra persone in attesa di giudizio e condannati; la adeguata tutela del diritto alla salute; dignitose condizioni di detenzione; differenziazione dei modelli di intervento) che possono realizzarsi solo se si eliminerà il sovraffollamento carcerario.

A ciò dovrebbe accompagnarsi l’impegno del Parlamento e del Governo a perseguire vere e proprie riforme strutturali – oltre le innovazioni urgenti già indicate sotto la lettera A) di questo messaggio – al fine di evitare che si rinnovi il fenomeno del “sovraffollamento carcerario”. Il che mette in luce la connessione profonda tra il considerare e affrontare tale fenomeno e il mettere mano a un’opera, da lungo tempo matura e attesa, di rinnovamento dell’Amministrazione della giustizia. La connessione più evidente è quella tra irragionevole lunghezza dei tempi dei processi ed effetti di congestione e ingovernabilità delle carceri.

Ma anche rimedi qui prima indicati, come “un’incisiva depenalizzazione”, rimandano a una riflessione d’insieme sulle riforme di cui ha bisogno la giustizia: e per giungere a individuare e proporre formalmente obbiettivi di questa natura, potrebbe essere concretamente di stimolo il capitolo V della relazione finale presentata il 12 aprile 2013 dal Gruppo di lavoro da me istituito il 31 marzo che affiancò ai temi delle riforme istituzionali quelli, appunto, dell’Amministrazione della giustizia. Auspico che il presente messaggio possa valere anche a richiamare l’attenzione sugli orientamenti di quel Gruppo di lavoro, condivisi da esponenti di diverse forze politiche.

Onorevoli parlamentari,
confido che vorrete intendere le ragioni per cui mi sono rivolto a voi attraverso un formale messaggio al Parlamento e la natura delle questioni che l’Italia ha l’obbligo di affrontare per imperativi pronunciamenti europei. Si tratta di questioni e ragioni che attengono a quei livelli di civiltà e dignità che il nostro paese non può lasciar compromettere da ingiustificabili distorsioni e omissioni della politica carceraria e della politica per la giustizia.

 

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