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Fitodepurazione, Botricello (CZ) la sperimenta: funziona e conviene

E chiede i soldi alla Regione per l’impianto comunale

di Giuseppe Candido

La fitodepurazione è un sistema di depurazione basato, come lo stesso nome indica, sulla capacità di alcune piante di abbattere gli inquinanti dai reflui urbani. È la stessa normativa vigente in materia ambientale (D. Lgs. 152/2006) che specificatamente la propone come possibile soluzione alternativa o integrativa dei sistemi di depurazione “tradizionali”. Noi che non siamo abituati a protestare l’avevamo proposta al Sindaco di Sellia Marina con una petizione nell’agosto del 2011 dopo avere, tra l’altro, organizzato uno specifico convegno nel dicembre del 2010 durante il quale erano intervenuti come relatori docenti universitari ed esperti tecnici del settore ad indicarne la concretezza e la fattibilità della proposta. Quella proposta non fu presa seriamente in considerazione dall’amministrazione comunale di Sellia Marina nonostante il dott. Fausto Caliò, responsabile autorizzazioni del Settore Tutela e Sviluppo ambientale della Provincia di Catanzaro,avesse inviato un messaggio ad organizzatori e partecipanti al convegno davvero significativo:

Il tema in discussione – aveva scritto in quell’occasione il Dott. Caliò – è certamente in linea con gli obiettivi della tutela e valorizzazione delle risorse idriche, infatti, come i partecipanti ben sapranno, la fitodepurazione rientra tra i trattamenti di depurazione naturale suggeriti dalla vigente normativa (All. 5 alla parte terza del D.lgs 152/06); questi, benché ormai largamente collaudati ed impiegati in vari Paesi mitteleuropei, trovano ancora scarsa applicazione nel nostro territorio. L’argomento (del convegno ndr) – aggiungeva ancora il dott. Caliò ai partecipanti – è tanto più stimolante se si pensa che i pochi esempi del genere esistenti nel territorio provinciale sono utilizzati nel trattamento dei reflui di piccole comunità (perlopiù insediamenti rurali), mentre tali tecnologie sono sono state ancora applicate al trattamento, o affinamento, di acque reflue provenienti da agglomerati urbani di medie dimensioni. Pertanto, – conclude Caliò con riferimento esplicito agli obiettivi del convegno – qualora fosse realizzato l’impianto fitodepurativo proposto nella petizione collegata a tale convegno, esso costituirebbe certamente un interessante prototipo per la nostra provincia, da monitorare attentamente per ulteriori simili applicazioni.” (Sic!)

Niente, dice la tradizione: “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”. L’amministrazione comunale di Sellia Marina restò insensibile a quella proposta sostenuta pure con una petizione. A quel convegno sulla fitodepurazione aveva però partecipato anche uno sconosciuto (solo per chi scrive, ovviamente) consigliere comunale Salvatore Procopio che era intervenuto proprio sollecitato dalla notizia apparsa sui giornali locali.

Oggi, 7 maggio 2013, durante la conferenza stampa tenuta proprio dall’amministrazione di Botricello rappresentata dall’assessore all’ecologia e alla cultura del Comune di Botricello, Salvatore Procopio, finalizzata a presentare i dati di gestione dell’impianto di depurazione, abbiamo scoperto che, anche in virtù dell’interesse che quella petizione e quel convegno avevano scaturito, l’amministrazione di Botricello l’ha sperimentata sui liquami in ingresso al proprio depuratore comunale.

L’assessore Procopio, bisogna dirlo, è anche un tecnico dell’Arpacal molto attento e, dopo aver constato sperimentalmente con analisi condotte dalla ditta che per l’amministrazione gestisce il depuratore, l’amministrazione ha deciso di chiedere uno specifico contributo alla Regione Calabria. Alla conferenza stampa sulla gestione e sulla manutenzione del depuratore comunale e delle stazioni di sollevamento che negli anni passati più volte avevano dato problemi, assieme all’assessore Salvatore Procopio c’era anche l’ingegner Minieri, della Minieri King Elettrica, società che gestisce l’impianto. Dal 2009, ha sottolineato Procopio, la Provincia di Catanzaro ha restituito ai comuni la gestione degli impianti di depurazione e, da allora, ciò ha rappresentato un aggravio per le casse dell’ente. Nel 2011 solo di costi energetici – ha aggiunto Procopio – sono stati spesi 179.750 € e altri 151.000 di costi di gestione veri e propri. Nel 2012, mentre i costi per l’energia sono saliti a quasi 230.000 € quelli per la gestione – ha sottolineato Procopio – sono scesi a 142.000 €. Questi dati, ha spiegato l’assessore Procopio, “c’hanno indotto a cercare una via sperimentale per abbattere i consumi energetici di gestione e manutenzione”.

Come? Con la fitodepurazione. Procopio presenta un rapporto ufficiale dei dati relativo alle acque reflue trattate con il solo “micro” impianto di fitodepurazione sperimentale realizzato dal Comune. I dati evidenziano – aggiunge soddisfatto Procopio – “un’abbattimento del carico inquinante relativo a tutti i parametri analizzati di oltre l’80% e stimabile tra l’84 e l’85%”. Per questo, ha spiegato Procopio, “riteniamo necessario investire sulla fitodepurazione”. L’ingegnere Minieri, con slide e fotografie, ha spiegato di aver cercato, in questi anni in cui la ditta Minieri King Elettrica Srl è stata soggetto gestore dell’impianto di depurazione, di “aumentare l’efficienza dell’impianto di depurazione salvaguardandone l’efficacia”. Dopo una sintetica relazione illustrativa dell’impianto l’ingegnere ha delineato l’andamento dei parametri chimici delle acque depurate dall’impianto negli anni 2011 e 2012. Un depuratore “costruito negli anni ’80 e soltanto di recente adeguato ai più stretti parametri della normativa del 2006. “Da una stazione di arrivo dei liquami l’impianto”, ha spiegato Minieri, “ha una stazione di pretrattamento iniziale per l’eliminazione dei detriti grossolani e una fase di ossidazione cui segue la sedimentazione ulteriore. Le acque vengono disinfettate e immesse nel corpo idrico (torrente Arango, mare Ionio) e i fanghi vengono avviati nei letti di digestione ed essiccamento. Nel 2011”, ha aggiunto Minieri, in località Marina di Bruni, la stazione di sollevamento e i quadri elettrici erano privi di protezione. Abbiamo dato all’amministrazione elettropompe a nolo gratuito e messo a norma l’impianto elettrico. “Si è ad aumentare l’efficienza dell’impianto di depurazione garantendo un flusso depurativo efficace come dimostrano le analisi delle acque certificate dai laboratori e dall’Arpacal di Catanzaro”. “Nel 2010 abbiamo avviato una fase di restyling strutturale e verniciatura delle parti metalliche e ferrose, sono stati attivati di n°4 sedimentatori ed è stato modificato il flusso depurativo per rendere i parametri delle acque conformi alle normative vigenti”. Nei mesi di aprile e maggio 2011 è stata eseguita la messa a norma delle stazioni di sollevamento che, nell’agosto del 2011, la Provincia di Catanzaro e il dipartimento Ambiente hanno verificato e attestatop che le acque in uscita dal depuratore sono conformi al D.Lgs. 152/06 ed ha concesso al comune l’autorizzazione allo scarico”. Infine, lo scorso anno, nel mese di giugno “è stato attivato il terzo circuito depurativo con conseguente aumento della potenzialità dell’impianto al fine ultimo di fronteggiare la stagione estiva”. Oggi l’impianto funziona correttamente, le acque escono ben depurate e rispettano i parametri ma, ha costi energetici elevati e, per questo, “l’amministrazione c’ha chiesto di sperimentare la fitodepurazione che ha bassi costi nell’ordine del 50% in meno rispetto agli impianti tradizionali.” Per questi motivi, ha spiegato ancora l’ingegnere, sollecitati dall’amministrazione comunale “abbiamo sperimentato idee future per una eco-Botricello, realizzando un progetto pilota utilizzando una porzione dei letti di essiccamento per la realizzazione di un impianto di fitodepurazione a sistema flusso superficiale, e ciò anche allo scopo di sensibilizzazione per la popolazione e le Pubbliche Amministrazioni”.

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I soldi per la differenziata e fitodepurazione non ci sono, ma a Sellia Marina si spendono 45.000 euro in attività ludiche

di Giuseppe Candido

Il bilancio comunale è in rosso spietato tanto da necessitare, lo scorso 19 aprile 2013, di una apposita deliberazione del consiglio comunale per “la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale“, non si pagano i conti alla Sorical per l’acqua né al Commissario per l’emergenza per i rifiuti, ma i soldi (ben 45.500,00 €) l’amministrazione di Sellia Marina, con tanto di relazione tecnica, ha la faccia tosta di chiederli alla Regione con le finalità di promozione turistica! Come se si potesse parlare di turismo con la spazzatura che marcisce per strada e la depurazione che funziona a singhiozzo ma fallisce puntualmente quando c’è il carico di punta estivo. Ma stiamo ai fatti. Il 24 di aprile, alle 16:15, dopo appena tre giorni dall’approvazione della procedura di riequilibrio finanziario, la Giunta Comunale di Sellia Marina, nelle persone di Amelio Giuseppe (sindaco), Walter Placida, Tulelli Vincenzo A. e Gallelli Francesco (assenti solo gli assessori Mercurio Giuseppe e Ragusa Antonio), ha approvato con deliberazione n°25 del 24.4.2013, una relazione tecnica illustrativa delle attività che si intendono realizzare entro il 31.08.2013. In realtà alla deliberazione di giunta è allegata una sola tabella riassuntiva dei costi delle singole attività dalla quale, però, si scoprono cose interessanti. 7.500 € vengono richiesti per “manifestazioni teatrali e miusicol” da realizzarsi “a cura delle associazioni teatrali operanti nel territorio”. Così da non scontentare nessuno. Altri 10.000 € (5.000 ciascuna) vengono richiesti per le manifestazioni “Laboratori artigianali in piazza” e “La notte dei desideri“. Poi c’è il “Premio sull’olio extra vergine d’oliva di qualità e valenza interregionale (giunto ormai alla V edizione, corrispondente tristemente al quinto anno della seconda legislatura Amelio): altri 5.000 € !

Ma non finisce qui il programma di spesa per la “cultura”: altri 4.000 € sono infatti previsti per la “Presentazione e degustazione prodotti tipici eno-gastronomici/agro alimentari“, neanche si trattasse di caviale e champagne. 8.000 € sono altresì previsti per “Spettacoli musicali” (folkloristici-muisica leggera – popolare) e 10.000 € per “attività ludico ricreative – caccia al tesoro – giochi in spiaggia – torneo di calcetto – beach volley“.  Poi, sempre perché le casse del comune sono assai floride, per i soli fuochi pirotecnici, che non possono mancare, si prevede di spendere la modica cifra di 3.000 €!

Ovviamente c’è poi da mettere in conto la pubblicità di tutte le manifestazioni che, solo quella, costerà altri 3.000 €.

Mi è stato insegnato che il terzo settore, l’associazionismo e l volontariato, dovrebbero essere d’utilità sociale alla comunità sopperendo laddove le amministrazioni locali non arrivano con la loro forza. In questo caso, invece, pare che ci sia un vero e proprio dedalo di associazioni che, molto spesso con le idee più improbabili che spaziano dai giochi in spiaggia (che un tempo non avevano bisogno di finanziamento alcuno) alla degustazione di prodotti tipici passando dai fuochi pirotecnici, continua solo ad auto finanziarsi.

Il turista, oltre che cassonetti vuoti e depuratori funzionati, sarebbe attratto certo, ma da eventi di un certo spessore culturale. Invece, da anni ormai, si continuano ad organizzare piccolezze utili solo, nel migliore dei casi, a far trascorrere qualche bella serata ai soli turisti nostri concittadini emigranti di ritorno per le vacanze.

Quando con l’associazione di volontariato culturale Non Mollare presentammo il volume La Calabria cui parteciparono il Prof. Luigi Maria Lombardi Satriani, il registra Vittorio De Seta, l’editore Città del Sole, la giornalista Assunta Scorpiniti e altri insegni personaggi, la manifestazione finì su tutti i giornali calabresi e persino sul sito del ministero della Giustizia, il tutto costò al comune, tra palco, luci, amplificazione appena 600,00 compreso le spese di rimborso viaggio al Prof. Satriani che, autore dell’introduzione del volume, venne appositamente dalla sua residenza in Roma. Il libro lo avevamo stampato noi, la ricerca che vi era stata a monte come associazione di volontariato l’avevamo fatta volontariamente senza costare un euro a nessun cittadino e la cultura fece il resto. Eppure la manifestazione di presentazione organizzata come tavola rotonda ebbe grande successo. Spendere 45.500 euro, soprattutto con questi chiari di luna, dovrebbe consentire quantomeno l’organizzazione di un qualcosa di memorabile. Come il Roccella Jazz Fest solo per fare un esempio, che potesse ricordarsi come un evento ed essere in grado di attirare nuovo turismo.

relazione

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Rifiuti, una proposta per uscire dall’emergenza

di Giuseppe Candido

Sellia Marina, come Cropani e Botricello e come quasi tutti i comuni calabresi, sta vivendo l’acuirsi del problem

Rifiuti
Calabria, emergenza rifiuti sotto gli occhi di tutti da 16 anni

a dei rifiuti che straripano dai cassonetti a causa di scelte sbagliate del passato e di un commissariamento per l’emergenza durato 16 anni senza risolvere il problema anzi, in alcuni casi, contribuendo ad aggravarlo. Le discariche sono colme e l’inceneritore di Gioia Tauro brucia Cdr (combustibile da rifiuti) proveniente da altre regioni poiché il rifiuto tal quale, indifferenziato, non può venir bruciato e occorre trattarlo con appositi impianti. Sull’avvio (necessario ma mai fatto) di un ciclo integrato dei rifiuti anche in Calabria, ne vado scrivendo da anni. E già dal 2010 dicevo che in Calabria stava andando a finire come a Napoli. Bando alle polemiche, dunque, troviamo il modo trasformare in risorsa le 4.086,62 tonnellate ogni anno di rifiuti urbani (RSU tal quale) che produciamo nel comune di Sellia Marina. Secondo i dati del rapporto Arpacal 2010 (pubblicato il 12 giugno del 2012), a Sellia Marina si producono, infatti, ben 11 tonnellate di rifiuti ogni giorno, comprese le domeniche e i festivi. Solo 549,093 tonnellate/anno è la parte di rifiuti urbani differenziata (un triste 13,43%) che Sellia Marina riesce a evitare di portare come rifiuto tal quale in discarica. Di questi quasi 550 tonnellate/anno di rifiuti differenziati, l’Arpacal ci dice che 230,13 t. ogni anno sono costituiti da rifiuti ingombranti, 141,4 t. sono i rifiuti provenienti da giardini e parei, 74,72 t. di carta e cartone, solo 37,76 t./anno di vetro raccolto e 25,039 di imballaggi misti (multi materiali) che quindi nessun consorzio sarebbe disposto a comprare. Insomma, una fotografia di una situazione drammatica rilevata dai tecnici, senza nessuna speculazione politica. Solo, dati, impietosi dati che testimoniano il palese fallimento di un’intera classe dirigente, senza distinzione di colore. Allora rimbocchiamoci le maniche e cerchiamo di capire cosa poter fare. L’Europa ci chiede di centrare l’obiettivo del 50% di RD ma, se volessimo, potremmo tranquillamente arrivare al 70 ma anche all’80%. E’ soltanto una questione di volontà e organizzazione!

Innanzitutto, credo bisognerà prevedere, a regime, l’abolizione totale del sistema dei cassonetti, alla revoca di tutte le attuali convenzioni per la raccolta dei rifiuti e alla dismissione degli attuali siti di stoccaggio provvisorio ingombranti.

  • Realizzazione di un centro di raccolta comunale (o intercomunale) (vedi sito modulo-beton.com) modulare prefabbricato che, per costi, tempi e costi di gestione, offre una serie di vantaggi specifici. Sotto, a fine post, c’è il video della presentazione 3D del sistema modulo beton (http://youtu.be/YZzCzR58ZjY);
  • Stipula convenzioni con CoReVe, CoRePla, Comeico, CIAl per il recupero di vetro, plastica, carta e cartone, alluminio e ferrosi; a questo link, giusto a titolo di esempio, c’è una convenzione tipo tra CoReVe e Comune, per il ritiro del vetro differenziato! Sullo stesso sito ci sono tutti i materiali informativi ai cittadini e, persino, un progetto educativo completo per le scuole; non c’è nulla da inventarsi! E se la stessa cosa la si fa con plastica, alluminio e carta, oltreché compost per l’umido, allora quella montagna traboccante ora dai cassonetti che ci fa vergognare, d’estate, d’esser calabresi, accumulata nel centro di raccolta, inizierà ad apparire quello che è: una risorsa;

  • contemporaneo avvio della raccolta differenziata porta a porta di vetro, plastica, carta e cartone, alluminio e ferrosi; aspetto nevralgico del sistema dovrebbe essere affrontato su scala comunale, o anche in unione tra comuni limitrofi, attraverso un’azienda pubblica e trasparente, senza poltrone di prestigio ma in cui i lavoratori siano co-amministratori e soci;

  • per l’umido, servirà avviare un sistema di incentivi per il compostaggio domestico dell’organico e contemporaneo avvio di progetti mirati al recupero di fondi per la realizzazione di una compostiera comunale;

  • avvio in discarica solo dell’indifferenziato (oggi pari al 86,7% dei rifiuti urbani prodotti) ma che, dopo aver portato la RD a livelli almeno del 60-65% in un anno, non dovrà superare il 35-40%, con un notevole risparmio di spesa per le casse comunali che, sommato ai ricavi provenienti dalla vendita degli imballaggi, costituirà un’entrata fissa nelle casse del comune;

  • avvio di azioni di comunicazione e sensibilizzazione dei cittadini e nelle scuole al fine di incentivare la riduzione dei rifiuti prodotti, di informare sulle corrette modalità di differenziazione del rifiuto.

Solo queste azioni mirate di livello comunale e/o concertate in unione tra comuni, se adeguatamente coordinate con un Piano Regionale dei rifiuti che, a differenza di quello attuale, per la parte indifferenziata che comunque sempre avanza anche dal migliore sistema di raccolta differenziata, scommetta sui più moderni e meno inquinanti impianti di Trattamento Meccanico Biologico per la gestione a freddo dei rifiuti che, diffusi sul territorio al posto (e non al affianco come avviene gogi per produrre combustibile da rifiuti) degli inceneritori, ci faranno uscire bene dall’emergenza. Soltanto avviando un serio “ciclo a cinque stelle”, un ciclo integrato dei rifiuti anche in Calabria partecipato dai cittadini, condiviso e incentrato sulla strategia delle “erre proposte della “rete nazionale rifiuti zero” (Riduzione alla fonte, Riutilizzo/Riuso, Raccolta differenziata porta a porta, Riciclo/Recupero dei materiali), sarà possibile smetterla di pagare sanzioni all’Europa perché non trasformiamo la TARSU, la tassa sui rifiuti, in un sistema tariffario più equo, basato sulla quantità e sul grado di differenziazione dei rifiuti, anziché sui metri quadrati dei superficie dell’immobile tassato. E, soprattutto, sarà possibile smetterla di vedere i cassonetti per strada traboccanti di rifuti maleodoranti e putrescenti! Un altro piano di assunzioni, fatto magari in modo clientelare in vista delle prossime elezioni europee del 2014 e regionali del 2015, solo per spendere un po’ di soldi e fare qualche altra opera pubblica totalmente inutile o peggio dannosa, un’altro piano senza una visione d’insieme e senza condivisione, rischia di farci precipitare ancora più nel baratro. La questione è assai complessa e merita sicuramente approfondimenti, contributi e, sicuramente, la condivisione e la partecipazione di tutti i cittadini. Per poterla discutere con qualcuno ho postato la proposta nel Meetup di Botricello dove può essere integrata e modificata per ottimizzarla e renderla operativa.

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Il mare inquinato, la bandiera nera e la fitodepurazione

di Giuseppe Candido

Ancora una volta i dati impietosi di Goletta Verde presentati lo scorso 21 luglio smentiscono i tentativi dell’Arpacal di esaltare la “balneabilità” del mare calabrese e certificano tragicamente la situazione di forte inquinamento del mare e la criticità del sistema della depurazione calabrese. Non militiamo del “partito” del mare sporco a tutti i costi ma, ancora una volta nostro malgrado, affianco alle bandiere blu per alcuni e rari lidi di eccellenza siamo costretti tristemente ad esporre su molti dei nostri litorali la bandiera nera e piratesca per il forte inquinamento. Ci spiace dover leggere sui giornali che, anche quest’anno, il nostro mare risulta inquinato, o addirittura fortemente inquinato proprio a causa di una scarsamente efficiente depurazione. A ridosso della bandiera nera di Legambiente, la Regione stanzia finalmente 38 milioni di euro, ma cosa ne sarà di questi soldi? Altri depuratori che non risolvono e non convengono per gli elevati costi di gestione? Sulla costa ionica catanzarese, solo per fare un esempio stretto sulla realtà che ci sta sotto gli occhi, dai dati presentati da Goletta emerge come Sellia Marina e Cropani abbiano le aree fortemente inquinate proprio nelle zone antistanti le foci delle fiumare Uria e Scilotraco su cui scaricano i due depuratori comunali. Enterococchi ed Escherichia coli fanno da padroni. Ed anche io personalmente, dopo i primi bagni, ho dovuto combattere contro un’infezione oftalmica. Quello che si palesa anche quest’anno nei dati di Legambiente è la assai forte criticità dei sistemi depurativi calabresi che, proprio durante i periodi di picco delle presenze estive, risultano in molti casi sotto-dimensionati e non in grado di svolgere adeguatamente il compito di depurare le acque prima di immetterle nel corpo recettore, sia esso fiume, suolo o direttamente in mare. Eppure una soluzione, un metodo di depurazione alternativo e integrativo a questo evidente “fiasco” tecnico-istituzionale ci sarebbe e si chiama Fitodepurazione: un metodo innovativo per integrare la depurazione tradizionale con un sistema a più bassi costi sia di realizzazione sia, soprattutto, di gestione. Come presidente del “Comitato di tutela dell’ambiente di Sellia Marina”, lo scorso mese di dicembre, in tempi non sospetti ed utili, per l’amministrazione comunale di Sellia Marina per realizzare un intervento concreto avevamo organizzato un convegno-dibattito sul tema “Fitodepurazione: conviene? Risolve?” assieme ad una raccolta di firme per una petizione per chiedere al Sindaco Giuseppe Amelio di Sellia Marina di valutare la possibilità di adottare un sistema fitodepurativo ad integrazione dei due impianti di depurazione già esistenti e che, soprattutto durante il periodo estivo, risultano fortemente sotto-dimensionati. La fitodepurazione rientra fra i trattamenti di “depurazione naturale” suggeriti dalla vigente normativa (Allegato n°5 alla parte terza del D.lgs. 152/06 che purtroppo, nella nostra Regione, risulta scarsamente utilizzato solo per il trattamento di reflui provenienti da piccole comunità (perlopiù insediamenti rurali), mentre tali tecnologie non vengono ancora applicate al trattamento, o affinamento, di acque reflue provenienti da agglomerati urbani di medie dimensioni. Ciò probabilmente a causa proprio dei suoi bassi costi di realizzazione e di gestione che non consentono di lucrare in progettazioni ed appalti. Il dott. Fausto Caliò, geologo responsabile delle autorizzazioni agli scarichi per tutta la provincia di Catanzaro pur non potendo partecipare a quel convegno per ragioni personali ci aveva confortato con una sua nota nella quale si leggeva testualmente che qualora fosse realizzato l’impianto fitodepurativo proposto nella petizione collegata a tale convegno, esso costituirebbe certamente un interessante prototipo per la nostra provincia, da monitorare attentamente per ulteriori simili applicazioni”. Purtroppo ciò nonostante da allora nulla si è mosso e nulla ancora si muove negli uffici comunali: non un progetto, non uno studio di fattibilità per valutarne concretamente i costi di realizzazione e trovare i fondi per finanziare il potenziamento degli impianti. Tutto ciò, pensato per Sellia Marina e la costa ionica del catanzarese ma facilmente estensibile a quasi tutti i comuni in cui la depurazione in estate fa tilt, ci dà in effetti la misura dell’incapacità di una classe politica interessata ed impegnata soltanto a fabbricare consenso, a gestire aziende partecipate, ma non già a risolvere i problemi concreti della gente come il mare inquinato e raccolta differenziata dei rifiuti.

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Trischene, una città immaginata

Il cronista si imbarca in un volo etimologico facendo derivare il toponimo Uria dal presunto greco attico Ur, col significato di “adorazione”

di Francesco Santopolo

Tra medioevo e rinascimento, era consuetudine affidare ad autori di cronache il compito di “costruire” storie per dare lustro ad un casato o ad una città.
Questo ha costretto la storiografia successiva ad un difficile lavoro di ricerca per dimostrare l’attendibilità delle “invenzioni” di alcuni fantasiosi cronisti.
Da una di queste è nata la storia di Trischene città che, secondo le cronache, sarebbe stata edificata tra il Simeri, l’Alli e l’Uria e avrebbe subito l’attacco di corsari saraceni tra l’865 e l’875 (U. Ferrari, 1971), dando luogo ad un trasferimento in massa della popolazione scampata al massacro, il cui nucleo più consistente avrebbe fondato la nuova città di Taverna.
Le cronache, infatti, non erano interessate alle vicende di Trischene, quanto alla glorificazione di Taverna che si pretendeva esserne stata l’erede naturale.
Anche in ricostruzioni storiche recenti (U. Ferrari, 1971; M. Barberio, 1975), le vicende di Trischene, sono solo un passaggio per ricostruire la storia di Taverna.
Tuttavia, proprio perché le cronache più antiche hanno contribuito a creare un circuito cumulativo di inesattezze che hanno messo in secondo piano una ricostruzione storica del territorio, pensiamo che la vicenda meriti un approfondimento e una riflessione che, a partire dalle caratteristiche dell’area in cui la fantasia cronachistica avrebbe immaginato Trischene, ci permetta di capire se ci fossero le precondizioni perché sorgesse una colonia autonoma o una “dipendenza”, durante la grande colonizzazione greca o subito dopo. La storia inizia con la comparsa di un manoscritto del ‘200 che ha interessato, a vario titolo, diversi scrittori in epoca successiva (G. B. Nola- Molise, 1649; F. Ughelli, 1743-1762; G. Franconeri, 1891; G. Minasi, 1896; F. Lenormant, 1976, vol. II).
Nella cronaca, il cui titolo completo è “Chronica Trium Tabernarum, et quomodo Catacensis civitas fuerit edificata, quando Goffredus illustrissimus Catacensis Comes pro restauracione et edificacione Trium Tabernarum Episcopatus Greca undique et vetera coadunavit scripta et privilegia” (in Lenormant, l. c., corsivo nel testo), si narra di una città denominata Trischene, e “Si pretende che ne sia stato autore un certo Ruggiero (Ruggero Carbonello, in M. Giovene, Simeri e i suoi casali, 2000, n.d.r.), diacono e canonico di Catanzaro, il quale avrebbe dedicato il lavoro a Guglielmo II, duca di Puglia” (F. Lenormant, l. c.).
Secondo il cronista, Trischene “era ripartita in tre distinte membra di sito, l’un là ove abbiamo l’Uria, l’altro sotto a Simmari e ‘l terzo sotto Catanzaro”(in M. Barberio, 1975).
E qui il cronista si imbarca in un volo etimologico facendo derivare il toponimo Uria dal presunto greco attico Ur, col significato di “adorazione” (in M. Barberio, l. c.). In realtà, Uria è termine di origine preistorica (G. Rolhfs, 1975), probabilmente legato alla presenza dell’omonimo uccello di cui sopravvivono solo alcune specie come Uria lomvia, Uria grylle o colombo di mare, o dal greco Ũria con cui si designava una specie di anitra o, ancora, dalla radice araba al-hūr che significa “fanciulla dagli occhi neri”.

 

Taverana (Cz)

Ma potrebbe anche collegarsi alla presenza di grosse mandrie di Bos primigenius, Uro per l’appunto, progenitore della razza bovina Podolica, ancora diffusa nel territorio.
Nella versione tramandata dalle cronache, si accrediterebbe l’ipotesi che, tra l’865 e l’875 (U. Ferrari, 971) la città di Trischene, fino ad allora sotto il dominio di Costantinopoli, avesse subito l’assalto di corsari saraceni che avrebbero distrutto i tre siti in cui era ripartita e ucciso gli abitanti che non riuscirono a trovare scampo nella fuga. La maggior parte dei superstiti si spostò in quella che sarebbe diventata Taberna montana o Tabernarum, altri si rifugiarono a Simeri, Catanzaro e Sellia (in M. Barberio, l. c.). Ad avvalorare l’importanza di Trischene nella geografia politica di Costantinopoli, il cronista immagina che, dopo la morte del Duca longobardo, il generale Niceforo Foca inviasse in Calabria il Magister militiae Gorgolano che trovò Tabernarum ricostruita e popolosa (in M. Barberio M. l. c.), la riconobbe unica erede di Trischene e le restituì la sede episcopale (U. Ferrari, l. c.; F. Lenormant, l. c.). La ricostruzione storica successiva non si occupa più del sito di Uria che sarà abbandonato per la posizione facilmente espugnabile.
Nel 1450 Ferrante Galas, nella “Cronaca di Taverna composta per messer F. G. di S. Pietro nel 1450”, compie un ulteriore sforzo di fantasia per risalire alle origine di Trischene, immaginando che “Antenore, fuggendo da Troia distrutta, conducesse con sé tre sorelle di Priamo: Astiochena, Medicastena ed Attila. Giunte in vista di un ampio golfo decisero di sbarcare presso la foce di un grande fiume per un breve riposo” (in Giovene, l. c.). Ma poiché non vi era luogo “migliore di sito né di temperie più soavi, né di campi più ameno, né di biade più fruttifero, né di boschi al di sopra più comodo, né di monti vicini ed aggiogati più sicuro, né di acque più abbondanti” (G. Franconeri, 1891) decidono di fermarsi, mentre Antenore proseguirà il suo viaggio, secondo la Chronica per fondare Mantova ma in realtà fonderà Padova (J. Berard, 1963; R. Graves, 1983).
Il luogo in cui fecero scalo era tra il Crocchio e il Simeri. Nel sito di Uria, Astiochena fondò una città e la chiamò Palepoli, in onore della dea Pale, nume tutelare della pastorizia, dea nella mitologia romana, dio in quella etrusca.
Medicastena, in onore di Hera, fondò Erapoli, alla foce del fiume Crocchio o su quella del Crotalo (Alli), luogo in cui, secondo quanto riferisce Stefano di Bisanzio, Ecateo di Mileto avrebbe immaginato la mitica città di Crotalla. Attila fondò una città alla foce del Simeri e, in onore di Atena, la chiamo Atenapoli, per saldare un debito verso la dea che invano aveva cercato di proteggere Troia.
Per la sua posizione. in prossimità della foce del Simeri, Atenapoli divenne il centro dell’attività commerciale. Nei mesi di aprile e maggio di ogni anno si svolgeva una fiera che richiamava mercanti anche dall’Africa e dal vicino Oriente e costituì la premessa per il formarsi di una forte comunità ebraica.
Presumibilmente si trattava della Floralia o Sacrum Florale che si teneva dal 28 aprile al 3 maggio in onore dell’antica divinità italica Flora, cui si attribuiva la fecondità delle donne e la protezione delle piante da frutto al momento della fioritura. Marziale, Varrone e Seneca parlano di Flora, Ovidio la identifica con una ninfa di origine greca (in L. Biondetti,1997) e Catone scrisse il De Re Flora, opera andata perduta ma ricordata da Gellio.
“Nel 238 a. C., in occasione della fondazione del tempio di Flora sul Quirinale” (A. Ferrari, 2008) la Floralia fu istituita anche a Roma (cfr. anche Plinio il Vecchio, 1972, vol. I).
Sia le date che i personaggi citati nelle “Cronache” vanno riesaminati. La pretesa del cronista che, per liberare Trischene, fosse venuto uno dei tre imperatori bizantini (Niceforo Logoteta, Niceforo Foca o Niceforo Botoniate), è, per l’appunto, solo una pretesa.
Più probabile che questo incarico fosse affidato al generale Niceforo Foca, del quale è certa la venuta in Calabria nell’885 (Ferrari U., l. c.).
Niceforo Foca trovò i nuclei scampati ai Saraceni dispersi nell’interno, lontano dalle zone costiere. La presenza del generale contribuì al rafforzarsi di questi nuclei in villaggi e città.
Fu così che nacquero o si rafforzarono Catanzaro, Settingiano, Simeri, Belcastro, Taverna e altre città (U. Ferrari, l. c.), almeno fino al ritorno degli Arabi che assediarono e conquistarono Squillace, costituendo un emirato indipendente durato fino al 922 (U. Ferrari, l. c.) e da qui mossero per espugnare Tiriolo, Simeri, Taverna, Belcastro e Catanzaro.
Secondo la cronaca, alcuni fuggiaschi, guidati da Giulio Catimeri, raggiunsero Catanzaro, si sistemarono sul monte Zaracontes, il cui nome deriverebbe dal torrente Zarepotamo che corrisponde all’attuale Fiumarella (G. Rolfs, 1974) e il nuovo sito, assegnato loro dal generale Niceforo Foca, si chiamò “Rocca di Niceforo” (l’attuale Bellavista). Trischene prese il nome di Taberna e poi Taverna, chi dice per attirare le popolazioni latine, chi sostiene che non esistendo più le tre chiese non c’era motivo di mantenere la vecchia denominazione (U. Ferrari, l. c.).
Taberna montana o Tabernarum o, più semplicemente, Taverna, accolse il maggior numero di fuggiaschi ed ebbe uno sviluppo iniziale maggiore, rispetto a Catanzaro.
Giovanni Filanzio, nella numerazione dell’Apogrifario dell’anno 1000, riporta 1.232 case e 5.288 abitanti, tra cui 53 sacerdoti, 6 monaci e 28 monache basiliane (M. Barberio, l. c.).
Ancora nel 1601, la distanza tra le due città era minima: Taverna contava 2.064 fuochi, Catanzaro 2.296 (M. Barberio, l. c.).
Circa l’attendibilità storica della Chronica, “Nessun dubbio che colui che la scrisse creò di sana pianta i fatti che racconta, frammischiandoli con mostruosi anacronismi e con documenti impudentemente falsificati”(F. Lenormant, l. c.) e, probabilmente, la ricostruzione di una città denominata Trischene o Trischine è “solo una miserabile supposizione, inspirata da pretese senza valore di vanità locale” (F. Lenormant, l. c.), poiché “nessun antico autore ricorda una città di Trischene o Trium Tabernarum nel Bruzio; nessun cronista autentico, né latino né greco né arabo, attesta la distruzione dell’uno o dell’altro nome ad opera dei Saraceni” (F. Lenormant, l. c.).
La tendenza a “costruire” falsi, anche clamorosi, tendenti a magnificare un sito o un personaggio e la scarsità di fonti, contribuiscono a creare delle nebulose tra le quali è difficile districarsi.
“Questa cronaca- aggiunge un altro cronista- è un vero guazzabuglio d’impostura, di notizie false e contraddittorie, un disordinato racconto di favole, come disordinato e confuso dovea essere il vivere del popolo delle Tre Taverne” (G. Minasi, 1896).
Poiché l’intento del cronachista era anche quello di dimostrare la presunta antichità delle chiese di Catanzaro, il Minasi aggiunge che il “cronista confondendo Giovanni vescovo di Squillace coll’omonimo di Velletri, a cui S. Gregorio Magno affidava nel 502 il governo della chiesa delle Tre Taverne (antica città del Lazio sulla via Appia, ove oggi incontrasi un paesetto chiamato Cisterna) senza badare ad altro, tosto spaccia, che la supposta diocesi delle Tre Taverne in Calabria fu unita nel 502 da S. Gregorio alla chiesa di Squillace” (G. Minasi, l. c.). Altri storici hanno messo in dubbio questa ricostruzione della Chronica (F. Ughelli, l. c.) e anche il Lenormant colloca le Tre Taverne nel Lazio.
Quanto, poi, alla pretesa dello sbarco di Antenore con le tre sorelle di Priamo sulle rive del Crocchio o del Simeri, ci sembra una altra colossale invenzione.
Bisogna ricordare che “Sebbene troiano, Antenore era amico dei Greci […] prendeva sempre le difese dei Greci nei dibattiti e possiamo immaginare che avesse interessi economici, parentele e legami matrimoniali che lo legavano ai Greci” (Strauss, l. c.). Così ce lo presenta Omero: “Primo il saggio Antenòr sì prese a dire: Dardanidi, Troiani, e voi venuti in sussidio di Troia, i sensi udite che il cor mi porge. Rendasi agli Atridi con tutto il suo tesor l’argiva Elèna. Vïolammo noi soli il giuramento, e quindi inique le nostr’armi sono. Se non si rende, non avrem che danno. Così detto, s’assise. (Iliadie, VII)

Per Omero, la figura di Antenore è quella di un eminente troiano che più volte si schiera con le ragioni dei greci, riconoscendone la fondatezza.
Infatti, per diritto consuetudinario, il rapimento di una regina equivaleva ad una dichiarazione di guerra, per cui l’unica via per la pace sarebbe stata quella di riparare al torto di Paride restituendo Elena a Menelao.
Inoltre, in quanto padre di 15 figli maschi, Antenore temeva per la loro vita (durante la guerra ne periranno 10 per mano di Agamennone, Achille, Neottolemo, Aiace Telamonio. Filottete e Megeo).
Ma Antenore era anche uomo del suo tempo e quando va a trattare la pace con Agamennone, cerca di trarre vantaggio da una guerra che considera perduta. In cambio del suo aiuto dall’interno, chiede il regno e la metà del tesoro di Priamo (Ditti Cretese, IV 22 e V 8, in Graves, l. c.), aggiungendo che si poteva contare anche sull’aiuto di Enea (Graves, l. c.).
Ma se, secondo Ellanico, Ditti Cretese e Triflodoro, Antenore tradì i Troiani e, qualche secolo dopo, Dante Alighieri chiamerà Antenora la zona dell’Inferno in cui colloca i traditori della patria: («Or tu chi se’ che vai per l’Antenora,/percotendo» (Inferno, XXXII), Enea non seguì la stessa sorte e sarà immortalato come un eroe nell’omonimo poema di Virgilio. Secondo Tito Livio, invece, Antenore ottenne la libertà grazie al ruolo moderato svolto durante la guerra, e arrivato nel Veneto, fondò Padova che fu chiamata Antenorea (cfr. anche Berard, l. c.).
A parte il diverso itinerario di fuga da Troia distrutta e documentato da storici attendibili, ci sembra assolutamente fantasiaso che Antenore possa essersi preoccupato di salvare le tre sorelle di Priamo, visto il ruolo che gli si attribuisce nelle vicende di Troia.
Resta aperto il problema della possibilità che nell’area in questione possa esserci stata una colonia greca o italiota, o una dipendenza da altra colonia (Crotone, per esempio).
Partiamo dalle cause della colonizzazione greca la cui interpretazione “è rimasta a lungo impantanata nella falsa alternativa tra l’interpretazione delle fondazioni come colonie commerciali e quella che ne fa colonie agrarie e di popolamento” (D. Musti, 1989), tanto da aver dato origine a due scuole di pensiero.
La prima privilegiava la pressione demografica nella terra natale che spingeva verso la conquista di nuovi spazi e la fondazione di colonie. La seconda privilegiava l’aspetto mercantile dell’economia greca, incentrata sulla produzione di beni e sugli scambi. Sul finire degli anni ’60 del secolo scorso, fu quasi del tutto eliminato il termine “pre- colonizzazione” con cui si designavano i contatti precedenti alla fondazione delle colonie (B. D.Agostino, 1985). In sostanza, i contatti tra il mondo greco e gli indigeni in epoca anteriore, sono da ascriversi ad iniziative individuali di mercanti, sul modello dell’emporia comune anche ai Fenici (B. D.Agostino, l- c.), mentre la fondazione di colonie corrisponde ad un disegno politico, di cui sono testimonianza concreta il loro assetto giuridico ed economico, come risulta evidente per la fondazione della colonia di Turi, dopo la distruzione di Sibari, riportata con dovizie di particolari da Diodoro Siculo nella Storia Universale.
L’adozione di uno schema geometrico che tende a segregare i campi coltivati da quelli incolti o destinati a pascolo (E. Sereni, 1987), è affidata a magistrati che operano in base ad un piano, come è stato possibile rilevare dalla Tavole di Eraclea, attraverso le quali Kaibel ha ricostruito la pianta delle terre di proprietà del tempio di Atena Polliade (E. Sereni, l. c.).
In realtà, sull’interpretazione delle cause della migrazione dei greci per fondare colonie fuori dalla madre patria, ha pesato molto un modello di emigrazione noto in epoca moderna e contemporanea, con il quale il modello greco non ha niente in comune, come hanno osservato Finley (1976) e Lepore (1978). Secondo Platone i coloni scaturiscono da una popolazione “divenuta eccedente in rapporto alla possibilità di alimentazione tratta dalla terra” (Leggi, 1967) oppure quando “accade anche che un intero partito di un solo stato sia costretto altrove in esilio per la dura necessità della lotta civile” (Platone, l. c.). Aristotele (Politica, 1973) aggiunge “la limitazione del numero dei cittadini, sul controllo delle nascite, sul mantenimento dei lotti familiari tramite l’adozione e sulla proibizione di alienare la proprietà terriera, in particolare i lotti attribuiti originariamente alla famiglia” (L. Cordano, 1985). In sostanza, “non si tratta di un numero eccessivo di abitanti, ma di un numero troppo grande di aventi diritto, rispetto alla disponibilità fondiaria” (L. Cordano, l. c.).
Quanto all’idoneità del territorio perché potesse sorgere una colonia greca o italiota, vale ricordare che Simeri e l’area attorno a Simeri, percorsa da due fiumi navigabili (Plinio il Vecchio, l. c.), era stata un luogo di traffici, se già nel 14°-13° sec. a.C. vi si lavorava il ferro e alla stessa epoca risalgono ritrovamenti di reperti ellenistici.
Questi contatti erano già iniziati nel XIII secolo a. C., quando le coste calabresi cominciavano a diventare meta di viaggiatori, Fenici e Greci.
Dei Fenici, prima delle guerre puniche, si hanno notizie certe in alcuni toponimi.
Il più noto è sicuramente “Botri”, che significa “fosso” o “burrone”, di cui Plinio riporta un solo toponimo ai piedi del Libano (Plinio il Vecchio, l. c.).
Botro è un toponimo in prossimità del Crocchio, Botricello il centro abitato che vi sorge attorno. Molto più ricca la toponomastica greca per la quale rinviamo alle opere di Gerald Rohlfs.
Il nome dei due torrenti, Scilotraco di Sellia, vicino al Simeri e Scilotraco di Rocca, vicino al Crocchio, ricordano l’antica abitudine di trasportare il legname proveniente dalla Sila.
Scilotraco significa, appunto, “portatore di legna” (G. Rohlfs, l. c.) e il termine deve avere una sua collocazione antica se dobbiamo credere a Strabone quando scrive che il legname “non presenta difficoltà di trasporto, né si trova lontano dai luoghi dove abbisogna, ma è facilmente trasportabile e lavorabile, grazie ai numerosi fiumi” (sta in C. Ampolo et al., 1989).
I motivi per cui si può ragionevolmente ritenere che l’area potesse avere interesse per i coloni greci o italioti sono tanti.
L’area risultava largamente trafficata da almeno 2 secoli prima della grande colonizzazione greca e i territori indicati nelle cronache, per essere territori costieri con un vasto entroterra pianeggiante e collocati lungo il corso di due fiumi navigabili (Semirus e Crotalus), non potevano sfuggire all’interesse dei coloni greci o dei coloni italioti;
Si chiamasse Trischene o in un altro modo, c’era spazio per una colonia ubicata in posizione felice tra Crotone e Palepoli Scolacium, a sua volta ubicata in prossimità di un altro fiume navigabile, il Carcinus (Corace).
Infine, è impensabile un vuoto antropico tra Skylletion-Scolacum e Crotone considerando che oltre che dal Semerus e dal Crotalo, il territorio è attraversato dal Thagines (Tacina), altro fiume navigabile.
Ma le conferme più importanti ci vengono dai ritrovamenti archologici.

Nel 1880, nel corso di scavi per la costruzione di una strada, in località “Donnumarcu” venne allo scoperto una tomba contenente “fibule di filo di ferro cilindrico girato a spirale, dei braccialetti, un anellino, delle catenelle, una cuspide di lancia e dei resti di ossa combuste” (M. Giovene, l. c.), mentre a Timpa delle Gallinelle fu rinvenuta una scure di bronzo e, probabilmente, altri oggetti andati perduti.
Sempre in “località Donnumarco, tra il 1881 e il 1884, furono scoperte altre tre tombe che, oltre al solito corredo, contenevano alcuni scarabei” (M. Giovene, l. c.).
Due degli scarabei ritrovati sono probabilmente di origine egizia e potrebbero essere stati oggetti di scambio nel corso di una Floralia o nelle attività di emporia.
Per concludere, se la pista di una città immaginata- a meno di ritrovamenti storico- letterari meritevoli di approfondimento- non può più essere ragionevolmente riproposta, resta la convinzione che i territori attorno al Simeri siano stati abitati da coloni greci a partire dalla grande colonizzazione o anche prima.
Per provarlo in via definitiva, al di là dei deboli indizi di cui disponiamo, sarebbe necessario ripartire con un lavoro di ricerca e di scavi che invece di dare corpo alle invenzioni, si muova sul terreno scientifico della ricerca storica e archeologica.

Bibliografia Alighieri, D. (2011), Inferno, Milano, Mondadori. Ristampa.
Aristotele (1973), Politica.Trattato sull’economia, Bari, Laterza.
Barberio, M. (1985), Da Uria a Mattia Preti, in Calabria Letteraria, n.10/11/12.
Berard, J, (1961), La Magna Grecia. Torino, Einaudi.
Biondetti, L. (1997), Dizionario di mitologia classica, Milano, Baldini & Castoldi.
Cordano, L. (1985), La fondazione delle colonie greche, in Magna Grecia, vol. I, Milano, Electa.
D’Agostino, B.(1985), I paesi greci di origine dei coloni e le loro relazioni con il Mediterraneo occidentale, sta in Magna Grecia, vol. I, Milano, Electa.
Diodoro Siculo (1991), Storia universale, Torriana, Orsa Maggiore.
Ferrari, A. (2008). Dizionario di mitologia, Milano, De Agostini.
Ferrari, U. (1971), Taverna in epoca bizantina, Archivio Storico per la Calabria e la Lucania.
Finley, M. I, (1974), Gli antichi greci, Torino, Einaudi.
Fiore, G. (1743), La Calabria illustrata.
Franconeri,G. (1891), Memorie storiche di Taverna, Catanzaro.
Galas, F. (1450), Cronica di Taverna composta per messer F. G. di S. Pietro nell’anno 1450, (manoscritto).
Giovene, M. (2000), Simeri e i suoi casali, Catanzaro, Vincenzo Ursini Editore.
Graves, R. (1983), I miti greci, Milano, Longanesi.
Lenormant, F. (1976), La Magna Grecia, 2° Vol., Chiaravalle C., Frama sud.
Lepore, E. (1978), La fioritura dell’aristocrazia e la nascita della polis, in Storia e civiltà dei Greci, vol.I, Milano, Bompiani.
Livio, Tito (1965), Storia di Roma, Bologna, Zanichelli.
Marafioti, F. (1601), Croniche e antichità di Calabria.
Minasi, G. (1896) Le Chiese di Calabria, Napoli, Lanciano e Pinto. Edizione anastatica, 1987, Oppido Mamertina, Barbaro.
Musti, D. (1989), Storia greca, Bari, Laterza.
Nola- Molise, G. B. (1649), Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone e della Magna Grecia, Napoli.
Omero (2010), Iliade, Milano, Mondadori. Ristampa.
Platone (1967), Opere, Bari, Laterza.
Plinio il Vecchio (1972), Storia Naturale, Libro III, pag. 96, Torino, Einaudi.
Rolhfs, G. (1974), Scavi linguistici nella Magna Grecia, Galatina, Congedo Editore.
Strauss, B. (2009), La guerra di Troia, Bari, Laterza.
Ughelli, F. (1743-1762), Italia sacra sive de Episcopis Italiae, Venezia.

 

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Fitodepurazione, conviene e risolve! Il video e il resoconto del convegno e del dibattito

Sellia Marina (CZ) – Si è svolto lo scorso 29 dicembre il convegno-dibattito sul tema della Fitodepurazione organizzato, presso la sala del Consiglio Comunale di Sellia Marina, dal Comitato per la tutela dell’ambiente di Sellia Marina assieme all’associazione di volontariato culturale “Non Mollare” e all’azienda “Vivai Squadrito”. Conviene? Risolve? È a queste domande che si è cercato di dare una risposta. Il tutto nasce da una petizione popolare che chiede al sindaco di adottare la fitodepurazione per l’affinamento dei liquami provenienti dai depuratori quando questi, durante il periodo estivo funzionano malamente a causa del picco delle presenze turistiche.

La fitodepurazione, com’è poco noto, è un sistema di depurazione naturale che può integrarsi, proprio in quei territori in cui è forte il picco estivo delle presenze turistiche, con i sistemi di depurazione tradizionale. Al convegno dibattito oltre ai relatori sono intervenuti, quali amministratori dei territori interessati dalla problematica, il sindaco di Sellia Marina Giuseppe Amelio, l’assessore all’ambiente Giuseppe Mercurio, il Presidente del Consiglio comunale Nicola Giancotti, il dott. Michelangelo Ciurleo assessore al bilancio della Provincia di Catanzaro e Salvatore Procopio già assessore all’ecologia e consigliere comunale di Botricello. Al convegno era stato invitato anche il Dott. Fausto Caliò, responsabile autorizzazioni del Settore Tutela e Sviluppo ambientale della Provincia di Catanzaro, che non essendo potuto intervenire personalmente, ha inviato un messaggio ad organizzatori e partecipanti al convegno: “Il tema in discussione – ha scritto il Dott. Caliò nella sua nota – è certamente in linea con gli obiettivi della tutela e valorizzazione delle risorse indriche, infatti, come i partecipanti ben sapranno, la fitodepurazione rientra tra i trattamenti di depurazione naturale suggeriti dalla vigente normativa (All. 5 alla parte terza del D.lgs 152/06); questi, benché ormai largamente collaudati ed impiegati in vari Paesi mitteleuropei, trovano ancora scarsa applicazione nel nostro territorio. L’argomento (del convegno ndr) – scrive ancora il dott. Caliò ai partecipanti – è tanto più stimolante se si pensa che i pochi esempi del genere esistenti nel territorio provinciale sono utilizzati nel trattamento dei reflui di piccole comunità (perlopiù insediamenti rurali), mentre tali tecnologie sono sono state ancora applicate al trattamento, o affinamento, di acque reflue provenienti da agglomerati urbani di medie dimensioni. Pertanto, – conclude Caliò con riferimento esplicito agli obiettivi del convegno – qualora fosse realizzato l’impianto fitodepurativo proposto nella petizione collegata a tale convegno, esso costituirebbe certamente un interessante prototipo per la nostra provincia, da monitorare attentamente per ulteriori simili applicazioni.”

Sulla base delle “forti criticità” in cui si viene sistematicamente a trovare il sistema di depurazione, e non solo quello selliese, durante il periodo estivo di picco demografico, durante il convegno è stato più volte sottolineato come, il ricorso a tali tecniche di depurazione naturale per il trattamento dei reflui rappresenta una scelta diffusa sia a livello nazionale sia a livello mondiale per i suoi vantaggi sia economici sia di capacità accertata nel trattamento dei reflui provenienti dai depuratori tradizionali. “L’uso della fitodepurazione – ha spiegato il dott. Giuseppe Squadrito – per la depurazione dei liquami ha origini antiche. A Roma, nel periodo imperiale, si usava scaricare la cloaca massima, un canale di flusso dei rifiuti urbani, nelle paludi Pontine con il preciso scopo di sfruttare il loro potere auto depurante. (…) Ma la moderna concezione degli impianti di fitodepurazione ha origine, negli anni ’80, negli Stati Uniti e nel Centro Europa e gli impianti di fitodepurazione vengono definiti a livello internazionale con il termine costructed wetlands cioè sistemi umidi costruiti artificialmente. In Italia – ha ricordato Squadrito – l’entrata in vigore del D.Lgs 152/99 ha introdotto per la prima volta una filosofia del tutto nuova nel campo della gestione e tutela della risorsa idrica, privilegiando, ove possibile, sistemi ad alta naturalità e anticipando la direttiva quadro nel settore delle acque n° 2000/60 della comunità europea. In uso già da tempo negli Stati Uniti, sono recentemente stati introdotti in molte regioni italiane. In Toscana, Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, sono molti gli impianti in attività che forniscono periodicamente risultati estremamente positivi per l’attività depurativa che svolgono”.

Conviene, dunque, e potrebbe anche risolvere. Ma, come sottolineato nella relazione del professor Francesco Santopolo, il metodo è stato scarsamente utilizzato soprattutto perché “poco remunerativo” in termini “progettuali” per cui si è sempre preferito sistemi di depurazione tradizionali. Senza dimenticare – ha aggiunto Santopolo – che in un regione come la Calabria dove l’acqua è scarsa d’estate e tragicamente abbondante d’inverno e in autunno quando è causa del dissesto idrogeologico, il metodo della fitodepurazione potrebbe diventare una risorsa idrica aggiuntiva perché le acque di scarico dei depuratori, affinate, diventerebbero utilizzabili per usi irrigui. Sia il sindaco di Sellia Marina sia l’assessore all’ambiente Giuseppe Mercurio, nei loro rispettivi interventi, hanno plaudito all’iniziativa del convegno recepita come “interessante proposta da sottoporre a future valutazioni tecniche” e non già, come troppo spesso accade in questi casi, quale “protesta pretestuosa e strumentale”. Ed anche se non sono mancati momenti di dibattito in cui l’amministrazione – nella persona del Sindaco – ha sottolineato il suo impegno nella tutela dell’ambiente in generale, il convegno è risultato essere una valida base di partenza per ulteriori valutazioni di fattibilità tecnica che l’amministrazione intenderà compiere recependo le richieste della petizione che sarà quindi presentata ufficialmente all’inizio del nuovo anno con l’augurio di una situazione “balenare” per il 2011 migliore di quella del 2010. Nicola Giancotti, nella sua qualità di Presidente del Consiglio comunale di Sellia Marina che ha gentilmente ospitato la manifestazione, ha sottolineato nel suo intervento che non soltanto “quello della fitodepurazione risulta una interessante proposta come sistema per l’affinamento dei liquami fuoriuscenti dai depuratori ma che potrebbe anche essere incentivato, con eventuali sgravi fiscali sulla tassa della depurazione a beneficio di privati, come i tanti villaggi turistici presenti sul territorio, che decidessero di adottarlo come alternativa allo scarico in fognatura”. “Di fatto – ha concluso Giuseppe Candido, quale presidente del Comitato di tutela dell’ambiente di Sellia Marina, – un risultato lo abbiamo già ottenuto ed è quello, non di poco conto, di far discutere le amministrazioni interessate dal problema prima che la stagione estiva sia avviata e prima che l’emergenza torni ad esplodere. Ci dispiace per l’assenza della minoranza in consiglio che, evidentemente, non ha ritenuto adeguatamente importante l’argomento in discussione stante la valenza oggettiva e l’assenza di colore politico dell’iniziativa che poteva perciò essere accolta in maniera bypartisan”.

Apprendiamo con soddisfazione dalla stampa locale che Salvatore Procopio, consigliere comunale intervenuto al convegno, ha richiesto alla Giunta di Botricello guidata da Camastra di adottare la fitodepurazione per l’affinamento dei liquami del depuratore ubicato sul tratto della foce del torrente “Arango”.

Un buon risultato ed un ottimo augurio per il 2011 per il Comitato per la tutela dell’ambiente di Sellia Marina che, proponendo la fitodepurazione al Sindaco di Sellia Marina attraverso una petizione popolare, ha cercato però di estendere la discussione anche ai comuni limitrofi come Botricello e Cropani. Peccato che non tutte le amministrazioni interessate dal problema si siano interessate alla proposta. Forse troppo impegnati nei festeggiamenti?

Applicare la fitodepurazione ai locali impianti di depurazione” è il titolo dell’articolo firmato r.s. (probabilmente riferibile al giornalista Rosario Stanizzi) comparso oggi, 31 dicembre, su La Gazzetta del Sud che pubblichiamo di seguito. “La proposta del consigliere comunale Salvatore Procopio” l’occhiello.

Botricello. – “Considerare l’opportunità di valutare, attraverso uno studio di fattibilità sui costi e sui benefici, l’applicazione delle tecniche di fitodepurazione all’impianto di depurazione”. E’ quanto chiede, con un’interrogazione-proposta indirizzata al Sindaco Giovanni Camastra, agli assessori Giuseppe Trivolo ed Agostino Viscomi, al capogruppo di maggioranza Angelo Muraca e al responsabile dell’ufficio tecnico comunale, Luigi Mancuso, l’ex assessore all’ecologia del comune di Botricello, Salvatore Procopio, consigliere comunale.

“E’ mio personale convincimento – aggiunge – che le superfici attualmente in disuso all’interno del perimetro dell’impianto sito in località Arango siano quantomeno idonee ad accogliere un sistema di fitodepurazione a monte dell’attuale impianto depurativo. Le vasche della vecchia linea di depurazione, opportunamente rigenerate, sono assai idonee ad ospitare segmenti di fitodepurazione e tecniche modulari in grado di depurare e trattare il carico batterico, soprattuto durante il periodo estivo, in cui il dimensionamento non idoneo dell’impianto può generare dei collassi depurativi (come già avvenuto in passato ndr). L’alta efficienza depurativa, i bassi costi di realizzazione e manutenzione, la rimozione dei batteri coliformi, l’abbattimento del fabbisogno di ossigeno chimico e biologico, dell’ammoniaca e del fosforo, sono indicatori interessanti che la tecnica della fitodepurazione offre e che mi fanno protendere per un’applicazione immediata di tale sistema nel nostro impianto depurativo. Ritengo che l’ipotesi di fattibilità, se supportata da valutazioni tecniche economiche più autorevoli della mia proposta, siano in armonia sia con l’ipotesi di una maggiore efficienza dell’impianto esistente e sia nell’ottica della costruzione di un nuovo impianto di depurazione. Pertanto – afferma ancora Procopio – chiedo che la proposta, maturata all’interno di un recente dibattito scientifico con l’Università della Calabria, il Comitato per la tutela dell’ambiente di Sellia Marina e l’associazione culturale “Non Mollare”, venga immediatamente valutata dai nostri tecnici e vengano allertati i canali di finanziamento più opportuni per la fattibilità dell’intervento.”

Alm ringrazia il sig. Antonio Elia per le riprese amatoriali effettuate e che ci hanno consentito di documentare il convegno e gran parte del dibattito

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Sellia Marina, visita ai depuratori

Dopo le analisi di goletta verde che hanno dichiarato fortemente inquinato, tra gli altri, il tratto di costa antistante il t. Frasso in località Sena di Sellia Marina e i numerosi bagnanti che nei giorni scorsi hanno accusato malori e affezioni alle vie urinarie, abbiamo voluto vederci chiaro e ci siamo recati sul fiume Uria e sul Torrente Frasso dove scaricano i due depuratori comunali “funzionanti”

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SELLIA MARINA – Mare sporco, turisti in corsia

Vacanzieri in rivolta a Sellia Marina, tra villette invase dai topi e strade al buio

Numerosi bambini sono finiti in ospedale con infezioni alle vie urinarie

di Brunetto Apicella

pubblicato su “Il Quotidiano della Calabria” di martedì 3 agosto 2010 a pagina 18

Bimbi con infezioni alle vie urinarie. Topi negli appartamenti. E ancora: viali senza illuminazione e soprattutto strade al limite della percorribilità. Non sono iniziate certo nel migliore dei modi le vacanze estive per i turisti che hanno scelto Sellia Marina e l’hinterland della costa ionica della provincia di Catanzaro per trascorrere le ambite vacanze estive. Perché quelle che dovevano essere le vacanze tanto ambite dopo mesi di duro lavoro si stanno trasformando in un vero e proprio “incubo”. L’estate 2010 presenta gli stessi problemi degli anni precedenti. Si inizia dalla questione depuratore.

Domenica mattina, infatti, il mare di Sellia Marina ha accolto i turisti e i vacanzieri come non mai. “Il mare – hanno denunciato al “Quotidiano” alcuni turisti in trasferta sulla costa – era tutto ricoperto da bollicine. E, di più. Quella di domenica, infatti, non era la solita schiuma. Era un qualcosa di più. Uno spettacolo non certo edificante e che allo stesso tempo è sintomo del fatto che qualcosa nella gestione degli impianti di depurazione non va.

Non solo depuratori. Ma il sentore che serpeggia da sempre nella mente di tutti è che siano ancora troppi i collegamenti abusivi alle reti fognarie. Persone che fregandosene della salute pubblica allacciano il loro impianto direttamente alla rete centrale in modo abusivo. Ed è anche questa una delle ragioni che preclude ogni possibilità di risoluzione del problema depurazione. Un comportamento che aggrava la questione e che contribuisce a sporcare maggiormente il mare. E non è finita qui. Perché negli ultimi giorni sono stati diversi i problemi di bambini che hanno avvertito malessere e che sarebbero collegati proprio alla sporcizia del mare. Sono state diverse le famiglie che si sono rivolte agli ospedali e alle strutture sanitarie a causa dei diversi malesseri riportati dai loro bambini. Mal di pancia e virus, che si sarebbero verificati dopo una giornata trascorsa sulla spiaggia e all’interno del mare. Significativo è, l’episodio, che ha avuto per protagonista una bambina di due anni, figlia di alcuni turisti originari di Monza e che dopo una giornata al mare è finita in ospedale. Infezione alle vie urinarie. È stata questa la diagnosi dei medici, e per la quale, adesso, i genitori sono pronti ad avviare azioni legali contro lo stesso ente comunale.

E non è esclusala possibilità che a essere chiamata in causa sia anche la Regione Calabria. Della vicenda, infatti, è stato interessato il Codacons e il suo vicepresidente nazionale, Francesco Di Lieto. E la piccola turista originaria di Monza non sarebbe la sola. Diversi sarebbero i casi di bambini che hanno avvertito malori dopo una giornata trascorsa al mare.

La questione ambientale, dunque, non finisce al solo mare. Sono gli stessi vacanzieri a denunciare lo stato di l’incuria e di degrado presente all’interno delle strade che conducono ai villaggi della cittadina ionica. Sono stati diversi gli ospiti indesiderati che hanno fatto visita nelle abitazioni dei turisti, dalle vipere ai topi. “Una situazione d’inefficienza” –denuncia la signora Lucia –. Ieri, aperta la porta di casa, ho trovato i topi nella nostra villetta di Rivazzurra. Siamo costretti a convivere con

le bustine di veleno per topi. In uno stato di paura maggiore soprattutto per i bambini, perché siamo completamente invasi sia dentro che fuori le case”.

Non solo topi. Ma anche viali al buio e strade difficili da percorrere. Ieri lo stesso Codacons, con il vicepresidente Francesco Di Lieto, è intervenuto ricordando una delle ultime sentenze della Corte di

Cassazione con cui si ricorda che “le strade comunali dovranno essere più sicure, altrimenti saranno guai seri per i sindaci e per i responsabili degli uffici tecnici. I Giudici – spiega di Di Lieto – hanno avuto modo di evidenziare che se un Cittadino riporta danni fisici a seguito di una caduta, gli Amministratori rischiano una condanna penale per lesioni colpose, laddove risulti che non si siano attivati per la verifica della manutenzione delle strade. Oltre, ovviamente, a dover risarcire economicamente le vittime di tanta incuria. In particolare per il comune di Sellia Marina, che ha una rete stradale in pessimo stato di manutenzione. Ad aggravare la responsabilità di sindaco ed amministratori, numerose diffide da parte di cittadini ed associazioni per spingere il Comune ad occuparsi della situazione delle strade. Abbiamo sollecitato l’intervento del Prefetto –conclude Di Lieto – perché sono numerose le segnalazioni che riceviamo da parte di cittadini (alcuni dei quali giunti a Sellia Marina per trascorrere un breve periodo di vacanza) che lamentano di aver riportato gravissimi danni fisici a causa del pessimo stato in cui si trovano le strade comunali”.

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Figli di nessun Dio e neanche dell’uomo

Milioni di animali, ogni anno, maltrattati e uccisi. In aumento le denunce ma la situazione resta grave

di Giovanna Canigiula

Sellia Marina e la Calabria dovrebbero affrontare il fenomeno del randagismo con maggiore serietà e rispetto per i diritti degli animali. Il randagismo è un fenomeno diffuso ed è, sostanzialmente, di due tipi: per nascita o per abbandono. Fra malattie, denutrizione, rischio di finire sotto una macchina, maltrattamenti, avvelenamenti, uccisioni, l’età media degli animali di strada è breve. In genere le amministrazioni decidono di legalizzare l’eliminazione per avvelenamento o stipulano convenzioni con canili, spesso gestiti da persone senza scrupoli e per le quali l’ospite rappresenta un affare: il contributo per ogni cane può variare da 2 a 7 euro al giorno e gli appalti possono raggiungere cifre altissime. Eppure, proprio nei canili, la mortalità sfiora il 60%: le strutture sono fatiscenti, le gabbie anguste e sovraffollate, i recinti hanno semplici coperture di lamiera, le ciotole per il cibo talvolta sono inesistenti. Come i controlli, del resto. A Sellia Marina, negli anni, sono state seguite entrambe le vie: avvelenamento degli indesiderati –fenomeno culturalmente accettato- e convenzione col canile di San Floro, attiva dal 2000, con un costo di due euro al giorno per animale e perciò poco praticata. Il privato che soccorre il randagio abbandonato si sente impotente: dargli da mangiare ma lasciarlo in balia degli eventi che si indovinano funesti o chiedere l’intervento del comune sapendo che, comunque, non si consegna l’animale ad una sorte migliore? La Lav, che si batte per il riconoscimento dei diritti degli animali, denuncia con sconforto la mancanza di collaborazione sia delle Forze dell’Ordine che degli uffici pubblici e degli ambulatori veterinari delle Asl: ognuno, insomma, scarica le competenze ad altri. La legge n. 189/2004 riconosce ormai come delitto ogni forma di maltrattamento, abbandono, combattimento e doping di animali e sostituisce il vecchio artico 727 del codice penale secondo cui da tutelare non era l’animale, considerato oggetto, ma la morale umana lesa dalla visione di forme di maltrattamento. Le denunce, stando ai rapporti della Lav e dell’Enpa, entrambe dotate di un Osservatorio nazionale che confida nel monitoraggio quotidiano ad opera di reti dislocate sul territorio, sono decisamente inferiori al dato reale: nel 2004, ad esempio, 72.812 animali sono stati vittime di reati che hanno dato come esito la morte di 40.810 di essi, ma solo 1.066 sono stati i casi accertati. In base alle stime, dunque, al 95.6% di eventi corrisponde una sola denuncia. Maggiore sensibilità si registra al nord, in particolare in regioni come la Lombardia, l’Emilia e la Toscana. Esiste poi un sommerso insondabile, collegato non solo al fenomeno del randagismo, che interessa cani e gatti, ma anche alla mortalità negli allevamenti o per bracconaggio. Gli animal killer sono attivi in vario modo: uccidono a bastonate, sbattono gli animali contro un muro, utilizzano sassi, coltelli, archi, colla, armi da fuoco, fili metallici, amputano, scuoiano, seviziano, evirano, bruciano. Allargare lo sguardo non è male: ogni anno, in Italia, 900.000 animali, di allevamento o catturati in natura, sono utilizzati nella ricerca di base e applicata, sono cioè vittime della vivisezione; ogni anno 45.000 animali, in Italia, muoiono sfigurati da rossetti, intossicati da profumi, bruciati da creme e saponi; ogni anno, sempre in Italia, 5.000 animali perdono la vita in combattimenti collegati a scommesse clandestine che comportano un giro d’affari di 775 milioni di euro. Gli animali uccisi da settembre a gennaio da 730.000 cacciatori sono 200 milioni; 30 milioni se ne vanno per le nostre belle pellicce, finiti nelle camere a gas, con la corrente elettrica, tramite colpi al muso e alla nuca, con le ossa cervicali fracassate, scuoiati vivi. Per non parlare degli animali da pelliccia allevati, esposti in ristrettissime gabbie d’inverno al gelo perché il pelo si infoltisca, d’estate al sole sotto il quale possono tranquillamente morire per disidratazione. Ancora: decine di milioni di animali compiono lunghi tragitti fino al macello dall’allevamento – dove magari hanno consumato tonnellate di antibiotici per prevenire o curare malattie legate ai metodi innaturali di crescita- su automezzi, per via aerea o per mare e in condizioni disumane: stipati, sottoposti indifferentemente al caldo e al freddo, spaventati, senza cibo né acqua. Ce n’è abbastanza per dire basta. Nel programma elettorale dell’attuale governo Prodi c’è la promessa di un impegno serio contro la vivisezione, per la revisione delle leggi attuali su allevamento, trasporto e macellazione, sulla caccia, per la conservazione delle biodiversità, Vedremo. Macchine per produrre carne, merci, oggetti, modelli sperimentali: l’antropologa G. Conte stigmatizza alla perfezione i due poli che animano l’Occidente: natura e cultura, animalità e umanità, domestico e selvaggio. E ricorda come, per gli Indigeni d’America, c’è stato un tempo mitico in cui uomini e animali appartenevano ad un’unica famiglia, come Adamo ed Eva fossero vegetariani, come solo dopo il diluvio, che li ha visti viaggiare assieme, sia avvenuta la separazione tra le due specie. L’animale è stato intermediario tra uomo e dio, accompagnatore di anime, spirito guida, divinità. Ma è stato ed è vittima sacrificale. Ha dato anche volto al licantropo, quando abbiamo voluto rappresentare il diverso da noi, appunto l’uomo con connotazioni bestiali. Però torniamo, vista la complessità del tema, agli animali d’affezione, quelli che godono -o dovrebbero- di uno statuto privilegiato: ventidue milioni di italiani hanno in casa un cane o un gatto ma non sempre lo considerano un essere senziente tanto che, quando il giocattolo per i piccoli dà fastidio, decidono di sbarazzarsene. E torniamo ai tanti paesi italiani come il nostro: la legge 281 del 14 agosto 1991 recita, al punto 1 dell’art. 4, che i comuni, singoli o associati, debbono provvedere alla costruzione di rifugi per cani avvalendosi dei contributi destinati a tale finalità dalle regioni. Sarebbe opportuno che ogni comune disponesse di un suo canile come di un suo gattile, intanto perché sarebbe più semplice vigilare a che le condizioni di mantenimento siano accettabili, poi perché potrebbe contare sull’aiuto disinteressato di volontari e cercare forme opportune di collaborazione con i veterinari del posto che, al momento, fanno spallucce se sottoponi loro il caso dell’animale di turno abbandonato. Fra i tanti assessorati ai quali si ambisce o fra i tanti uffici in cui si articola la gestione amministrativa, si potrebbero impiegare risorse affinché i diritti di questi meravigliosi sventurati, colpevoli di essere nati in un mondo a dimensione esclusivamente umana, doppiamente colpevoli se femmine con capacità riproduttiva, siano riconosciuti. Attiviamoci, per favore. E, intanto, cominciano dall’educazione, nostra e dei nostri figli: a una simpaticissima bambina, mia vicina di casa, è stato detto che Dio ha creato gli animali perché gli uomini possano mangiare carne e che, se un animale azzanna un uomo, Dio di notte manda uno spirito a bloccare il suo cuore. La tristezza che si prova, nel sentire simili nefandezze, è infinita. Giovanna Canigiula Milioni di animali, ogni anno, maltrattati e uccisi.

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