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Rifiuti, una proposta per uscire dall’emergenza

di Giuseppe Candido

Sellia Marina, come Cropani e Botricello e come quasi tutti i comuni calabresi, sta vivendo l’acuirsi del problem

Rifiuti
Calabria, emergenza rifiuti sotto gli occhi di tutti da 16 anni

a dei rifiuti che straripano dai cassonetti a causa di scelte sbagliate del passato e di un commissariamento per l’emergenza durato 16 anni senza risolvere il problema anzi, in alcuni casi, contribuendo ad aggravarlo. Le discariche sono colme e l’inceneritore di Gioia Tauro brucia Cdr (combustibile da rifiuti) proveniente da altre regioni poiché il rifiuto tal quale, indifferenziato, non può venir bruciato e occorre trattarlo con appositi impianti. Sull’avvio (necessario ma mai fatto) di un ciclo integrato dei rifiuti anche in Calabria, ne vado scrivendo da anni. E già dal 2010 dicevo che in Calabria stava andando a finire come a Napoli. Bando alle polemiche, dunque, troviamo il modo trasformare in risorsa le 4.086,62 tonnellate ogni anno di rifiuti urbani (RSU tal quale) che produciamo nel comune di Sellia Marina. Secondo i dati del rapporto Arpacal 2010 (pubblicato il 12 giugno del 2012), a Sellia Marina si producono, infatti, ben 11 tonnellate di rifiuti ogni giorno, comprese le domeniche e i festivi. Solo 549,093 tonnellate/anno è la parte di rifiuti urbani differenziata (un triste 13,43%) che Sellia Marina riesce a evitare di portare come rifiuto tal quale in discarica. Di questi quasi 550 tonnellate/anno di rifiuti differenziati, l’Arpacal ci dice che 230,13 t. ogni anno sono costituiti da rifiuti ingombranti, 141,4 t. sono i rifiuti provenienti da giardini e parei, 74,72 t. di carta e cartone, solo 37,76 t./anno di vetro raccolto e 25,039 di imballaggi misti (multi materiali) che quindi nessun consorzio sarebbe disposto a comprare. Insomma, una fotografia di una situazione drammatica rilevata dai tecnici, senza nessuna speculazione politica. Solo, dati, impietosi dati che testimoniano il palese fallimento di un’intera classe dirigente, senza distinzione di colore. Allora rimbocchiamoci le maniche e cerchiamo di capire cosa poter fare. L’Europa ci chiede di centrare l’obiettivo del 50% di RD ma, se volessimo, potremmo tranquillamente arrivare al 70 ma anche all’80%. E’ soltanto una questione di volontà e organizzazione!

Innanzitutto, credo bisognerà prevedere, a regime, l’abolizione totale del sistema dei cassonetti, alla revoca di tutte le attuali convenzioni per la raccolta dei rifiuti e alla dismissione degli attuali siti di stoccaggio provvisorio ingombranti.

  • Realizzazione di un centro di raccolta comunale (o intercomunale) (vedi sito modulo-beton.com) modulare prefabbricato che, per costi, tempi e costi di gestione, offre una serie di vantaggi specifici. Sotto, a fine post, c’è il video della presentazione 3D del sistema modulo beton (http://youtu.be/YZzCzR58ZjY);
  • Stipula convenzioni con CoReVe, CoRePla, Comeico, CIAl per il recupero di vetro, plastica, carta e cartone, alluminio e ferrosi; a questo link, giusto a titolo di esempio, c’è una convenzione tipo tra CoReVe e Comune, per il ritiro del vetro differenziato! Sullo stesso sito ci sono tutti i materiali informativi ai cittadini e, persino, un progetto educativo completo per le scuole; non c’è nulla da inventarsi! E se la stessa cosa la si fa con plastica, alluminio e carta, oltreché compost per l’umido, allora quella montagna traboccante ora dai cassonetti che ci fa vergognare, d’estate, d’esser calabresi, accumulata nel centro di raccolta, inizierà ad apparire quello che è: una risorsa;

  • contemporaneo avvio della raccolta differenziata porta a porta di vetro, plastica, carta e cartone, alluminio e ferrosi; aspetto nevralgico del sistema dovrebbe essere affrontato su scala comunale, o anche in unione tra comuni limitrofi, attraverso un’azienda pubblica e trasparente, senza poltrone di prestigio ma in cui i lavoratori siano co-amministratori e soci;

  • per l’umido, servirà avviare un sistema di incentivi per il compostaggio domestico dell’organico e contemporaneo avvio di progetti mirati al recupero di fondi per la realizzazione di una compostiera comunale;

  • avvio in discarica solo dell’indifferenziato (oggi pari al 86,7% dei rifiuti urbani prodotti) ma che, dopo aver portato la RD a livelli almeno del 60-65% in un anno, non dovrà superare il 35-40%, con un notevole risparmio di spesa per le casse comunali che, sommato ai ricavi provenienti dalla vendita degli imballaggi, costituirà un’entrata fissa nelle casse del comune;

  • avvio di azioni di comunicazione e sensibilizzazione dei cittadini e nelle scuole al fine di incentivare la riduzione dei rifiuti prodotti, di informare sulle corrette modalità di differenziazione del rifiuto.

Solo queste azioni mirate di livello comunale e/o concertate in unione tra comuni, se adeguatamente coordinate con un Piano Regionale dei rifiuti che, a differenza di quello attuale, per la parte indifferenziata che comunque sempre avanza anche dal migliore sistema di raccolta differenziata, scommetta sui più moderni e meno inquinanti impianti di Trattamento Meccanico Biologico per la gestione a freddo dei rifiuti che, diffusi sul territorio al posto (e non al affianco come avviene gogi per produrre combustibile da rifiuti) degli inceneritori, ci faranno uscire bene dall’emergenza. Soltanto avviando un serio “ciclo a cinque stelle”, un ciclo integrato dei rifiuti anche in Calabria partecipato dai cittadini, condiviso e incentrato sulla strategia delle “erre proposte della “rete nazionale rifiuti zero” (Riduzione alla fonte, Riutilizzo/Riuso, Raccolta differenziata porta a porta, Riciclo/Recupero dei materiali), sarà possibile smetterla di pagare sanzioni all’Europa perché non trasformiamo la TARSU, la tassa sui rifiuti, in un sistema tariffario più equo, basato sulla quantità e sul grado di differenziazione dei rifiuti, anziché sui metri quadrati dei superficie dell’immobile tassato. E, soprattutto, sarà possibile smetterla di vedere i cassonetti per strada traboccanti di rifuti maleodoranti e putrescenti! Un altro piano di assunzioni, fatto magari in modo clientelare in vista delle prossime elezioni europee del 2014 e regionali del 2015, solo per spendere un po’ di soldi e fare qualche altra opera pubblica totalmente inutile o peggio dannosa, un’altro piano senza una visione d’insieme e senza condivisione, rischia di farci precipitare ancora più nel baratro. La questione è assai complessa e merita sicuramente approfondimenti, contributi e, sicuramente, la condivisione e la partecipazione di tutti i cittadini. Per poterla discutere con qualcuno ho postato la proposta nel Meetup di Botricello dove può essere integrata e modificata per ottimizzarla e renderla operativa.

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il difficile cammino dei senza terra

di Giovanna Canigiula

Ieri pomeriggio, con Giuseppe Candido, siamo andati a Cropani a visitare ilresidence Ale.mia, ora contestatissimo centro di prima accoglienza. Ci ha accolti, all’ingresso, un addetto alla sicurezza al quale abbiamo lasciato i nostri documenti e che ci ha consegnato un pass. Le prime cose che ci hanno colpito sono state la bellezza e la pulizia del luogo: abituati alla vista del Sant’Anna -che tra container e filo spinato dà l’idea del carcere per disperati- i sentieri immersi nel verde, la piscina attorno alla quale sedevano chiacchierando alcuni ospiti, i piccoli appartamenti con terrazze da cui altri si affacciavano, ci sono piaciuti. Ci ha ricevuto il responsabile, Domenico, col quale abbiamo avuto modo di scambiare due chiacchiere e che ci ha invitato a ritornare quando avessimo voluto. Gli abbiamo fatto, com’è ovvio viste le polemiche, qualche domanda. Il centro, che ha una capienza massima di 250 persone, ospita attualmente circa 210 richiedenti asilo, tutti africani di aree calde come il Congo, la Costa d’Avorio, la Nigeria, il Gana, la Liberia. La convenzione è stata regolarmente stipulata col Ministero degli Interni, secondo norme previste dalla legge e sulla base, desumiamo, di un calcolo che certamente consente a un residence, inattivo durante la stagione invernale, di garantirsi delle entrate, ma che, a conti fatti, va in direzione del rispetto della persona. “Siamo abituati” dice Domenico “a catalogare secondo criteri di povertà e del minimo di sussistenza e non secondo criteri di dignità. Noi proviamo a fornire un servizio che abbia dei contenuti e speriamo, pian piano, di avviare forme di collaborazione con le autorità pubbliche”. La gestione è affidata alla Cooperativa 29 giugno. Attorno al centro, che offre opportunità di lavoro alla gente del posto, ruota il mondo del volontariato. A formare il personale scendono periodicamente, da Roma, gruppi che hanno esperienza nel settore. All’interno dell’area sono stati individuati due settori, uno per l’alloggio dei maschi e l’altro per quello delle donne. Le coppie sposate sono state separate. Per ogni ospite la convenzione prevede 35 euro, cifra interamente destinata al vitto, all’alloggio, al vestiario di primo soccorso e al presidio sanitario, che garantisce un monitoraggio costante e che smentisce, di fatto, l’allarmismo della popolazione riguardo a presunte malattie che i richiedenti asilo potrebbero avere portato con loro dai luoghi di fuga. Il volontario che ci accompagnerà a fare un giro, Ghigo, confermerà quanto detto dal responsabile: tutto ciò che è acquistato, dal calzino al maglione al pantalone, è nuovo. Chi si reca al supermercato, inoltre, spende danaro proprio, inviatogli da qualche familiare o amico e ha l’obbligo di non acquistare alcolici (compresa la birra), pena sanzioni: anche l’illazione della paghetta giornaliera di venti euro, dunque, è smentita. Ghigo ci racconta storie drammatiche di giovani costretti a lasciare il proprio paese, il lavoro, lo studio, la casa, le abitudini, i parenti, gli amici, in fuga da guerre, rappresaglie, torture, uccisioni, mutilazioni, irruzioni di miliziani nelle abitazioni. Uno dei ragazzi  porta il segno di un profondo taglio sul braccio, inferto con un machete. E non è il solo.  Fra le cose che hanno sorpreso il volontario, è il grande senso della pulizia degli ospiti: appena arrivati, nonostante gli appartamenti fossero stati puliti, hanno chiesto prodotti e stracci e si sono rimessi al lavoro. Sono loro stessi a occuparsi  dei percorsi e delle zone verdi senza che nessuno glielo chieda, tanto che io e Giuseppe, d’improvviso, ci vergogniamo dei mozziconi che stiamo lasciando in giro. Mentre chiacchieriamo incontriamo Gianluca, un amico che è al suo primo giorno di lavoro nel centro, forte dell’esperienza maturata a Catanzaro con laPromidea, cooperativa che da anni si occupa di rifugiati. Gli chiedo cosa pensa dell’allarmismo fra la popolazione che io, francamente, continuo a trovare ingiustificato:  secondo lui va capito il disorientamento della comunità, che si ritrova a fronteggiare una simile novità e, comunque, bisogna  adoperarsi  per favorire l’integrazione.

Comincia a imbrunire, arrivano i carabinieri, è la sera in cui ha inizio  il presidio delle forze di pubblica sicurezza.  Ghigo ha ancora da montare dei letti a castello, due ragazze litigano, noi decidiamo di andare via.  Superata la diffidenza iniziale, gli ospiti ci salutano cordialmente. Sono di passaggio, il futuro è incerto, i loro volti si perderanno e le loro tracce pure, mi piace che la sosta sia dignitosa. Ce ne andiamo sapendo di poter tornare, ancora una volta senza preavviso e senza che nessuno ci allontani. La sensazione, certo, è che il centro, pur se aperto, resti un luogo chiuso. Tuttavia una piccola, spartana, linda oasi per chi non ha più una casa in cui fare rientro. Il posto giusto per riprendere fiato prima di ricominciare il cammino. Mentre saliamo in macchina, mi sforzo di capire chi teme contagi, imbrogli, crolli nel settore turistico. E, però, non ci  riesco. Sono adulti, con tanto di figlioletti magari della stessa età di chi né guardano né accettano. Fra ciechi e visibilissimi invisibili, pertanto, continuo a scegliere i secondi.

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