Diario visite @Radicali nelle 12 carceri della #Calabria

Effettuate dalla delegazione del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito durante le festività natalizie 2015/2016.

Il tour calabrese nelle carceri di cui pubblichiamo il rapporto completo delle visite nasce da un’idea di Giuseppe Candido e Rocco Ruffa durante una delle riunioni del mezzogiorno del Partito Radicale, quella del 18/12/2015, che seguiamo da un po’ di tempo.

Grazie all’ex deputata Rita Bernardini sono state ottenute le necessarie autorizzazioni del DAP per effettuare le visite.

Le autorizzazioni sono state rilasciate dal dottor Massimo DE PASCALIS, vice capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ai sensi dell’articolo 117 DPR 230/2000, assieme al “nulla osta” per la compilazione del questionario carceri (predisposto da Rita Bernardini) per il Partito Radicale e i cui dati hanno consentito di rilevare nel dettaglio le condizioni di detenzione e le principali criticità di ciascuno dei dodici istituti visitati e il quadro generale del “carcere Calabria” pubblicato nel comunicato riassuntivo diramato a termine delle visite.

Organizzatore e capo delle dodici delegazioni autorizzate ad entrare per le visite dal 24/12/2015 al 05/01/2016 è stato Giuseppe Candido assieme a Rocco Ruffa anche lui presente in tutte le dodici visite. Altri compagni si sono aggiunti nelle visite, anch’essi autorizzati dal DAP: di questi, visita per visita, sono specificati i nomi.

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Con queste visite oltre a verificare le condizioni di detenzione abbiamo portato ai detenuti il messaggio “spes contra spem”, quello cioè di essere speranza contro ogni speranza.

L’obiettivo è far vivere uno Stato che sia Stato di diritto che perciò rispetti il dettato costituzionale, le convenzione sui diritti umani e mostri nella detenzione non solo l’aspetto punitivo ma soprattutto quello rieducativo.


DIARIO DELLE VISITE AI DETENUTI NELLE CARCERI CALABRESI EFFETTUATE DAL PARTITO RADICALE NEL PERIODO COMPRESO DAL 24/12/2015 AL 05/01/2016

A cura di Giuseppe Candido (*) e Rocco Ruffa (**)


CC. CASTROVILLARI (CS) – 24/12/2015 ore 9.00

(Casa circondariale Rosetta Sica di Castrovillari CS – scheda Dap) – Con Rocco Ruffa, da Sellia Marina arriviamo alla casa circondariale di Castrovillari alle 8.46 dove troviamo ad attenderci Ernesto Biondi, Claudio Scaldaferri, Emilio Quintieri e Gaetano Massenzo.

imageDopo una foto di rito suoniamo al portone dove ci accoglie il vice comandante Di Giacomo. La direttrice e il vice comandante sono in ferie. In tutti i reparti che abbiamo visitato c’è un ambulatorio medico ma il medico c’è solo 12 ore al giorno; i detenuti possono passare circa otto ore fuori dalle celle; son tutte celle singole ma in una di queste ci son due persone; braccio isolamento chiuso; mancano aree verdi per i colloqui; acqua calda arriva solo nelle celle della sezione femminile.

 

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Le principali criticità sono: 1) in violazione del regolamento penitenziario del 2000 non ci sono docce nelle celle ma solo docce comuni (tre-quattro posti), e le stesse presentano il soffitto verde dalla muffa, con il ferro delle travi esposto a vista, quando basterebbe una mano di intonaco e mettere un aspiratore “vortice” che eliminasse l’aria umida; 2) l’acqua calda non arriva nelle celle dei tre bracci maschili, ma solo nel femminile; 3) mancano spazi verdi per i colloqui, anche se la sezione femminile ha l’area asilo per bimbi che adesso, fortunatamente, è inutilizzata; 4) gli educatori che in pianta organica dovrebbero esser tre sono solo in due assegnati, di cui una non è quasi mai presente per cui capita a detenuti come Giuseppe di aver diritto ad un permesso per andare a trovar la madre (confermava la circostanza il vice comandante che ci ha accompagnato) ma l’educatrice non è riuscita a far la relazione necessaria per tempo e quindi Natale lo passa in carcere; 5) i detenuti passano almeno 8 ore fuori dalla cella ma in nessun braccio c’è la palestra; solo un campo da calcetto per novantatré detenuti e inutilizzabile quando piove; 6) le celle sono tutte celle singole (7×8 mattonelle da 40cm) da 2,8mx3,2m= 8,96 mq circa; solo in una di dette celle singole erano in due: nel reparto protetti/promiscui (sex offender) dove -per esigenze di tenerli separati- diceva il vice comandante capita che ci sia qualche unità in più rispetto ai posti disponibili nelle celle single; 7) il reparto di isolamento è chiuso da anni, non ci sono detenuti in regime di 41bis e, in tutti i bracci, c’è un ambulatorio; 8) non c’è un mediatore culturale stante ci siano 23 persone detenute straniere di cui almeno una non capisce nulla: si affidano perciò alla tradizione che gli fa un altro detenuto che parla italiano a malapena; 9) infine, ma non in ultimo, solo 51 detenuti di 93 presenti son lì con una sentenza definitiva (54,8%), il 45% circa è in attesa di giudizio.

Link Intervista a Giuseppe Candido di RadioRadicale


CC PALMI (RC) 26/122015 ore 9.00

Con Giampaolo Catanzariti arriviamo alla casa circondariale di Palmi alle 8:50 circa. Ci accoglie il vice comandante Russo al quale, dopo pochi minuti, si aggiunge il direttore Romolo Pani, vecchia conoscenza che subito ricorda la visita fatta con Rita Bernardini a temine legislatura 2008-2013, e quella fatta col Senatore Francesco Molinari ad aprile 2015.
Il comandante ci dice subito che – secondo lui – l’unico problema è rappresentato da un detenuto islamico che, in assenza di mediatore culturale, rappresenta, appunto, una situazione effettivamente difficile.

imageMa parlando coi detenuti che stavano facendo l’ora d’aria ed erano ai passeggi, tutti avevano fatto il ricorso al magistrato di Sorveglianza che, puntualmente, è stato rigettato a tutti. Tranne ad un detenuto, che si è visto accogliere il ricorso stante il suo compagno di cella non lo avesse avuto nelle stesse condizioni. Stesse condizioni detentive (che pure il direttore Romolo Pani confermava esserci state e da lui attestate con una relazione) ma diverso trattamento del ricorso.

I detenuti si lamentavano pure, relativamente ai colloqui, che nel carcere di Palmi – a differenza del Panzera di Reggio C. dove pure era stato detenuto- contano i bimbi con più di tre anni come “adulti” e, quindi, alcuni non possono incontrare la famiglia al completo. Fino ad un anno fa – nella sala colloqui- c’era il muretto divisorio e allora la direzione consentiva l’ingresso di tre adulti oltre a tre bambini senza guardare l’età. Ora che c’è una relazione sulla sicurezza che esplicitamente lo prevede come divieto – ci spiega il direttore- non possono ignorarla e conseguentemente limitano il numero di ingressi.

Delegazione del Partito Radicale in visita alla casa circondariale di Palmi
Delegazione del Partito Radicale in visita alla casa circondariale di Palmi: Gianpaolo Catanzariti, Giuseppe Candido, Rocco Ruffa

Visitando tutti gli spazi e gran parte delle celle dei diversi bracci, ci accorgiamo che molte son le criticità: sia strutturali, sia legate alla carenza di organico di polizia penitenziaria e di educatori.

Le celle al terzo piano, a differenza di quelle del primo e del secondo recentemente ristrutturate e ridipinte in economia, sono Invece vecchie, spesso c’è poca luce, le pareti sono sporche e le docce (che non sono nei bagni delle celle ma multiple da tre ma in una stanza comune per la sezione) hanno il soffitto verde dalla muffa anche qui come Castrovillari.

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La situazione attuale di non eccessivo sovraffollamento permette di non utilizzarlo ma, in molte delle celle c’è il terzo letto a castello. Cosa grave: nelle celle non c’è l’acqua calda.
Sul diritto alla salute segnaliamo il caso di Biagio che, operato al colon-retto, vive con un pannolone e soffre per non potersi lavare in cella dove non c’è bidè né doccia né acqua calda; soprattuto quando, per il processo, deve essere portato fuori dal carcere prima dell’inizio dell’ora delle docce.

Il direttore ci segnala pure che non c’è la possibilità di avere un cardiologo e, a differenza di Reggio Calabria, non hanno la possibilità di effettuare il tele consulto cardiologico. Un qualunque sintomo deve quindi essere preso come “caso grave” e tridotto all’ospedale per le verifiche del caso.

Le situazioni igienico sanitarie, nel complesso, sono precarie, soprattuto le celle del terzo piano. I detenuti passano nelle celle all’incirca 19 ore al giorno e lamentano il costo eccessivo del sopravvitto, dell’acqua potabile che non c’è ed è a pagamento e che – in celle da 5,2m x 4,2m (=circa 21 mq) – stanno in quattro persone ma che, in precedenza, ci erano stati anche in cinque; si lamentano del fatto che le docce comuni sono utilizzabili solo dalle 8 alle 13 e non pure nel pomeriggio, che nei passeggi non arriva il sole, che nelle celle c’è poca luce, che non c’è una palestra e che i bagni sono senza adeguata areazione. Poi, in ultimo, pure i detenuti notavano che a Palmi non c’è il garante comunale dei detenuti che invece c’è a Reggio.

(Casa circondariale Filippo Salsone di Palmi RC Scheda DAP)

Link Intervista a G. Candido di RadioRadicale

Link servizio TG3 Calabria del 26/12/2015 ed. 19:30


CC VIBO VALENTIA 26/12/2015 ore 14:00

(Scheda DAP)
imagePer la seconda visita della giornata di Santo Stefano ad entrar nella casa circondariale di Vibo Valentia siamo solo in due. In realtà arriviamo alle 13:30 circa e ad attenderci troviamo due operatori del Tg3 Calabria che nell’edizione delle 19:30 fa un bel servizio curato da D’Atri. Tg3 Calabria del 26/12/2015 19:30
Quando entriamo alle 14:00 come previsto nell’autorizzazione ad accoglierci ci sono il vice comandante facente funzioni, dott. Conti e il direttore della casa circondariale, dott. Antonio Galati.

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L’edificio costituto da due distinti padiglioni, uno di tre e l’altro di due piani, è di recente costruzione (1997).

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Nonostante tutto manca una palestra e il campo da calcio, ci dicono i detenuti, è quasi inutilizzabile per la presenza di pietre.

Una cosa interessante che ci dice lo stesso direttore Galati – sindacalista del sindacato “Dirigenza Penitenziaria Sindacalizzata” – è che nel 2001 l’organico di polizia penitenziaria era di 202 agenti; nel 2013 è diventato di 140 unità.

In pratica la cronica carenza di organico è stata resa legale sulla carta, quindi con 134 agenti effettivamente in servizio potrebbe sembrare – aggiunge il direttore- che l’istituto non abbia problemi di organico: ma non è cosi. Con i 342 detenuti presenti e soli 134 agenti in servizio ci assicura che non è cosa semplice da gestire e le difficoltà si riflettono sui detenuti: i tempi per avere un pacco lievitano, ecc.

La struttura ha celle con doccia nel bagno con infisso trasparente che separa l’area wc dal lavabo. L’acqua calda, però, c’è soltanto mezz’ora al giorno e soltanto da un anno dopo che sono stati eseguiti i lavori di potenziamento dell’impianto di riscaldamento. Prima – ci spiega il direttore Galati – l’acqua calda arrivava ai detenuti mezz’ora al dì ma un giorno sì e uno no.

La situazione della pianta organica “ridotta” per decreto nel 2013 causa non poche difficoltà. Soltanto 52 detenuti (dei 342 presenti) lavorano (a rotazione); la cosa paradossale è che ci sarebbero 4 posti per detenuti ex articolo 21 (lavoranti semi liberi) ma non ci sono tali tipologie di detenuti da poter assegnare a detti compiti in dette condizioni.

I detenuti, ci dicono, stanno circa otto ore fuori dalle celle: 2+2 + un’ora d’aria e 3 ore di attività varie. Quello che lamentavano sembrerebbero piccolezze ma, dietro le sbarre, diventano problemi enormi: il tardivo arrivo di pacchi, l’assenza di salette per la socialità, di una palestra e l’assenza di un frigorifero nelle sezioni, ma anche che il dirigente sanitario non parla mai con loro e che aspettano troppo tempo per una visita medica.

Le zone dei passeggi non hanno una area adeguatamente coperta per cui, quando piove, o rinunciano oppure, ci dicono, “torniamo zuppi”.
La lamentela più grave però, ai passeggi, è venuta nei confronti del direttore al quale è stato rimproverato di non essersi fatto vedere per oltre otto mesi e che, i nuovi giunti, stanno una ventina di giorni in isolamento per osservazione iniziale.

Tuttavia gli stessi detenuti ammettono di fare molte attività trattamentali tra cui un laboratorio di pasticceria “rinomato” e una collaborazione con il Sistema Bibliotecario Vibonese che non solo aiuta a rifornire le due biblioteche ma effettua un corso per i detenuti volto alla gestione autonoma della biblioteca e la catalogazione dei volumi.

L’isolamento tra il carcere e la/le comunità circostanti (in special modo l’amministrazione comunale di Vibo Valentia) è allarmante; i familiari e, più in generale, le persone in visita ai detenuti lamentano l’assenza di un area di sosta e di attesa dignitosa fuori dal carcere: al momento esiste solo una piccola pensilina di pochi metri quadri con una seduta indecente.

Delegazione PartitoRadicale visita cc Vibo Valantia (VV)
Delegazione PartitoRadicale visita cc Vibo Valantia (VV)

CC G. Panzera – Reggio Calabria 27/12/15 ore 9.00

image(scheda DAP)  – Dopo un viaggio sulla Salerno Reggio entriamo alle 9:00 nella casa circondariale Giuseppe Panzera di Reggio Calabria assieme a Gianpaolo Catanzariti, Giuseppe Mazza e Santo Cambareri anche loro parte della delegazione autorizzata dal DAP grazie a Rita Bernardini. Ad accoglierci c’è il vice comandante Floresta. La casa circondariale di Reggio Calabria è una struttura molto vecchia che però è stata recentemente ristrutturata con lavori che – ci specifica il vicecomandante Floresta – sono ultimati a gennaio 2015. Con Gianpaolo Catanzariti abbiamo visitato il carcere assieme a Rita Bernardini sia in occasione della raccolta delle firme per i referendum sulla giustizia giusta nel luglio 2013, sia in una delle visite ispettive fatte da Rita a termine della legislatura 2008-2013. Ora entriamo invece come delegazione del Partito Radicale autorizzata dal Dap non avendo parlamentari.

Di seguito due grafici relativi agli organici della polizia penitenziaria e degli educatori effettivamente in servizio.
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La sezione femminile, la prima che visitiamo, è stata totalmente ristrutturata, le celle sono state ampliate ricavandone una da due con doccia nei bagni, pavimenti nuovi, riscaldamento funzionante, con due finestre che consentono l’ingresso di luce naturale sufficiente e l’area dove si cucina con il relativo lavabo è separata sia dal bagno sia dalla camera letti. Le detenute, ci dicono loro stesse, possono stare otto ore fuori dalle celle per l’aria ai passeggi e per le attività trattamentali: c’è il laboratorio di ceramica, quello del mosaico, l’aula pittura e quella per lo strumento musicale. Tutti funzionanti grazie a volontari e alcune detenute lamenta che le attività scolastiche si fermino a corsi per la terza classe della scuola media.

Per quanto riguarda l’aspetto sanitario, durante la visita e ci ha guidati il medico responsabile, il dottore Luciani, che è stato orgoglioso di mostrarci gli ambulatori sia del Panzera sia, nel pomeriggio, quelli del carcere di Arghillá da lui diretti.
Ci ha mostrato gli ambulatori specialistici appena ammodernati con un reparto di oculistica, un ambulatorio odontoiatrico, una stanza attrezzata per l’ecografia (anche per l’ecografia vascolare eco-doppler) e il sistema per il tele consulto cardiologico con il quale l’elettrocardiogramma del paziente viene inviato – in tempo reale- al server regionale dove viene valutata da uno specialista la gravità del caso avvisando, sempre in tempo reale, il medico responsabile del carcere presente 24 su 24. In caso di necessità, ci spiega ancora il dottor Luciani, la casa circondariale Panzera, come pure quella di Arghillá, hanno una convenzione con gli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria che è sempre pronta ad eventuali ricoveri ospedalieri di pazienti detenuti. Al Panzera c’è anche un reparto, dotato di telecamere, per la sorveglianza psichiatrica dove, però, quando facciamo la visita non è presente nessun detenuto. Anche questo reparto, come la sezione femminile, è stato totalmente ristrutturato ma persistono le scale per l’accesso al reparto infermieristico che impediscono l’arrivo in infermeria con una barella o una sedia a rotelle.
Stante questa situazione positiva dei reparti sanitari, Giuseppe – diabetico insulino-dipendente – che porta un infusore elettronico per l’insulina ci spiega di non poter accedere alla tipologia più aggiornata perché necessiterebbe di esser tarata da un tecnico esterno abilitato alla calibrazione. Mentre Franco (Demetrio) affetto da rabdomiolisi, malattia muscolare rara, associata a una forma di ipoplasia midollare diagnosticate da specialisti (ci fa vedere tutta la cartella medica) ci spiega di essere in attesa di una risposta del magistrato di sorveglianza sulla sua evidente – a suo dire – incompatibilità con la detenzione in carcere. Sono oltre sei mesi che ha fatto domanda e non ha ancora ricevuto nessuna risposta.

Di seguito la situazione dei detenuti rilevata tramite il questionario del Partito Radicale predisposto da Rita Bernardini.

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Nella sezione maschile dell’Alta sicurezza abbiamo incontrato i detenuti durante i passeggi: qui lamentano tutti di poter fare solo tre ore e mezza al giorno tra passeggi e socialità. Ma la saletta della socialità, ci spiegano ancora, non c’è. Come pure non c’è (perché ancora in fase di approvazione da parte del Dap) il regolamento dell’istituto e, all’ingresso in carcere, viene consegnata una carta dei diritti, dei doveri e dei divieti tradotta in varie lingue. I detenuti lamentano di non poter tenere neanche un orologio.

intervista a Giuseppe Candido su RadioRadicale

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 27/12/2015 ore 14:00 REGGIO C. ARGHILLÀ (RC)

imageNel pomeriggio, dopo aver visitato la mattina il carcere Panzera, ci spostiamo al nuovo carcere Arghillá di Reggio Calabria. Alla delegazione della mattina si aggiunge anche Gernando Marasco. Assieme al sovrintendente Veltri ci accoglie il comandante Paino che ci ha accompagnato sia nella visita fatta con Marco Pannella a settembre 2014 sia quella, più recente, fatta con il Senatore Francesco Molinari ad agosto 2015.
È lo stesso comandante Paino a spiegarci che, rispetto a questa estate, la situazione non è migliorata perché – rispetto alla capienza regolamentare dichiarata – due sezioni delle cinque presenti, la “Afrodite” (teoricamente dedicata al femminile) e quella “Demetrio”, sono ancora chiuse per la carenza di personale della polizia penitenziaria; pertanto i 171 detenuti presenti al momento della visita (9 sono fuori in permesso premio) restano stipati oltre il limite del sovraffollamento nei circa 180 posti presenti nelle tre sezioni aperte: Apollo, Artemide e Minerva. Pure ad Arghillà, come al Panzera di Reggio e al Salsone di Palmi (RC), e in altre carceri calabresi, anche se non occupati al momento delle visite, ci sono i vietatissimi e altrettanto pericolosi letti-castello a tre piani.
Ci fa notare il vicecomandante Paino che, mentre facciamo la visita, con i 171 detenuti presenti, agenti in servizio sono solo otto di cui uno, tra l’altro, presente fuori dal proprio orario di servizio per dare una mano durante la visita (sic!).
Quaranta persone di religione musulmana (per lo più scafisti presunti), italiani tossicodipendenti e sex offender sono tenuti in celle singole ma nella stessa sezione assieme ai detenuti comuni. (scheda DAP) – intervista a Giuseppe Candido su RadioRadicale

Situazione detenuti, polizia penitenziaria ed educatori rilevate mediante il “questionario carceri” predisposizione da Rita Bernardini.

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Reggio Calabria 27/12/2015 - Delegazione del Partito Radicale in visita al carcere di Arghillà (RC)
Reggio Calabria 27/12/2015 – Delegazione del Partito Radicale in visita al carcere di Arghillà (RC) assieme al V. Comandante Paino

CC – U. CARIDI di CATANZARO (CZ) – 29/12/2015 ore 09:00

(Scheda DAP ) – (Intervista a Giuseppe Candido su Radio Radicale)
Dopo esserci stati lo scorso capodanno, siamo ritornati per verificare le condizioni  e portare gli auguri ai detenuti della casa circondariale Ugo Caridi di Catanzaro.  Questa volta la delegazione è di quattro “chierici”: Antonio Giglio, consigliere comunale di Catanzaro iscritto – con doppia tessera – al Partito Radicale (che tra l’altro ha confermato che si iscriverà al Partito Radicale anche per il 2016), Emilio Quintieri e i sottoscritti.

29/12/2015 - Antonio Giglio, Emilio Quintieri, Giuseppe Candido, Rocco Ruffa (da Sx) in visita alla casa circondariale di Catanzaro "Ugo Caridi"
29/12/2015 – Antonio Giglio, Emilio Quintieri, Giuseppe Candido, Rocco Ruffa (da Sx) in visita alla casa circondariale di Catanzaro “Ugo Caridi”

Ci accolgono il comandante Scalzo che già ci aveva accompagnato durante la precedente visita e la direttrice dell’istituto, dott.ssa Angela Paravati.

Nel piazzale antistante la caserma della polizia penitenziaria abbiamo trovato un gruppo di agenti (una decina) del nucleo traduzioni di Teramo, molto arrabbiati e che, appena ci hanno riconosciuti come delegazione del Partito Radicale, hanno rivolto un saluto a Marco Pannella e ci hanno detto che anche loro sono costretti a lavorare in condizioni che non hanno avuto esitazioni a definire “disumane e degradanti”.

In particolare, il sovra intendente Zanda dopo aver affettuosamente mandato i suoi saluti a Marco, ci ha riferito di aver dovuto pernottare assieme al nucleo traduzioni di Teramo, in delle camere della caserma vergognose e di cui, una sua collega, ci mostra le foto fatte con il telefonino. Pochi minuti dopo, mentre ancora parliamo con gli agenti nel piazzale dell’istituto, ci raggiunge anche la dottoressa Paravati che ci ha già fatto preparare il questionario.

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Quindi iniziamo la visita con la stessa direttrice che “lamenta”, da parte delle Istituzioni comunali e regionali, il completo disinteressamento e -sopratutto- l’isolamento in cui versa il carcere spiegandoci che, dal 2011, l’istituto sarebbe in grado di fornire al Comune detenuti per il lavoro in semi libertà all’esterno del carcere ma è dal 2011, appunto, che manca una convenzione che consenta tale tipologia di lavoro fuori dal carcere.

Dal punto di vista strutturale, il carcere è stato ristrutturato recentemente ed ampliato con un nuovo padiglione che, da quando ha finalmente potuto aprire (nelle precedenti visite denunciavamo che i quasi 280 posti del nuovo padiglione ancora non utilizzato venivano invece dati – sulla carta – già come posti disponibili per la capienza regolamentare mentre non erano affatto disponibili), ha finalmente risolto il problema del sovraffollamento. Restano le altre carenze di educatori e di personale della polizia penitenziaria.

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La capienza regolamentare è (finalmente) di 627, tutti effettivamente disponibili, mentre i detenuti presenti il giorno della visita erano 570.

Il nuovo padiglione (288 posti), a differenza degli altri, è dotato di docce nelle celle, e le camere di detenzione hanno sufficiente luce ed un aspetto dignitoso.

Gli altri padiglioni, seppur ristrutturati, hanno invece docce comuni multiple, da tre posti, dove la muffa verde al soffitto si spreca.

Di seguito i dati sulle person detenute nel carcere di Catanzaro:

 

 

 

 

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Notiamo che ci sono i letti a castello a tre posti e che, in talcune celle, questi erano occupati.

Tra le problematiche più evidenti per le 570 persone detenute di cui 170 in attesa di giudizio sono le condizioni igienico sanitarie: 136 detenuti stranieri con solo due educatori e senza che sia neanche prevista la presenza di un mediatore culturale; 45 detenuti sono tossicodipendenti ed otto di essi sono in terapia con metadone, 125 casi psichiatrici di cui almeno 45 in terapia con ansiolitici, 39 detenuti affetti da epatite C e quattro detenuti sieropositivi.

Solo 145 i detenuti che possono lavorare alle dipendenze del DAP ma l’assenza di convenzione con lente comunale per il lavoro all’esterno del carcere, non permette di impiegare quei detenuti che pur potrebbero lavorare in tali condizioni di semi libertà.

Manca l’area verde per i colloqui e chiamare palestra una panca è un bilanciere messi dentro la sala della socialità appare eufemistico.

Aspetto positivo che emerge dal questionario è che il magistrato di sorveglianza effettua visite periodiche ogni due mesi circa e visita le celle dei detenuti, ma gli stessi detenuti hanno chiarissimamente riferito di non averlo mai visto. Congiura?

Durante la visita abbiamo incontrato – fermandoci a parlare un po’ di più con lui all’interno della sua ordinatissima cella – Salvatore, che sconta da più di 25 anni una condanna all’ergastolo ostativo, quello che porta la dicitura “fine pena mai”, che toglie la speranza, che non dà possibilità di riabilitazione e rieducazione.

In una cella attigua, anche Angelo che portava indosso una bella maglia verde con tanto di foto di Marco Pannella e la scritta: i diritti non si chiedono, si concedono.


30/12/2015 ore 9.00 CC CROTONE (KR)

Raggiungiamo la casa circondariale di Crotone in località Passo Vecchio dove ci accolgono i vice comandanti Tisci e Caligiuri. Non sono presenti la direttrice Mendicino né il commissario La Forgia. Verso le 9.30 si uniscono alla delegazione del Partito Radicale autorizzata dal DAP anche il Senatore Francesco Molinari ed Emilio Quintieri (che quindi entra a Crotone come collaboratore del Molinari, lui in visita ispettiva da parlamentare).

Aperta nel 1983 la casa circondariale di Crotone è rimasta chiusa dal febbraio del 2011 fino a giugno 2015 quando è stata riaperta come casa circondariale completamente ristrutturata e rimodernata. Ha un’area verde per i colloqui molto ben curata con giochi per i bimbi (nuovi e utilizzati) ed un campo sportivo in otrimestre condizioni posizionato accanto l’area verde.

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La prima sezione che visitiamo è quella dei detenuti lavoranti alle dipendenze dell’amministrazione (solo un detenuto semi Libero lavora alle dipendenze di una cooperativa agricola esterna di Isola Capo Rizzuto mentre 11 lavora o alle dipendenze della Amministrazione Penitenziaria e due di questi son pagati con la cassa delle ammende). La sezione dei lavoranti ha celle in cui stavano ospitati, al momento della visita, due detenuti da circa 13 mq (3,6×3,6ml), con lavabo per i piatti e stanzetta bagno separata con doccia e lavandino. L’acqua calda – a causa dei ridotti fondi – viene aperta due ore la mattina e due il pomeriggio.

imageLa capienza regolamentare è di 120 posti e non ci sono celle inagibili. Ottantatré le persone detenute – tutte comuni del circuito di media sicurezza – al momento della visita, di cui 16 in attesa di giudizio, 33 sono stranieri, sei tossico dipendenti, di cui due trattati con metadone. Otto persone detenute sono affette da epatite C e venti detenuti hanno problemi di tipo psichiatrico. Sette le persone detenute di altre regioni e 32 detenuti sono senza fissa dimora e 30 non effettuano colloqui regolari con i parenti.

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In tutto ciò, non c’è il medico H24. A seguito di un malore, raccontava il vice comandante Caligiuri, le guardie hanno dovuto accompagnare all’ospedale loro un detenuto, con la loro auto.
Gli agenti in pianta organica sono 33 ma assegnati, effettivamente in servizio sono 49 (di cui 7 impegnati nel nucleo traduzioni e P.). Il vice comandante Tisci ci fa notare che tale pianta organica è però riferita all’iniziale previsione di apertura come istituto a “Vigilanza Dinamica” e “a regime aperto”, cosa che poi non si è verificata quando, a giungo 2015, la struttura ha riaperto come casa circondariale. Nelle sezioni di detenzione, sia al primo piano sia al secondo, le celle son più grandi (5,1×3,6ml = 18,36 mq oltre al bagno) ma ci stanno in tre o quattro.
La cosa paradossale, ci spiegava il vice comandante, che in una struttura così nuova manchi – da quando ha riaperto nel giugno 2015 – l’impianto anti incendio.
Problemi ci sono anche per il lavoro in carcere: soltanto 11 posti a rotazione bimestrale, e due di questi vengon pagati con la cassa delle ammende. C’è il laboratorio musicale dove si tiene il corso di chitarra e dove c’è persino una batteria. C’è una sala di pittura e sono attivi i corsi scolastici di alfabetizzazione e di scuola secondaria di II grado per il conseguimento del diploma del tecnico alberghiero e del agrario-ambientale. I detenuti che non effettuano colloqui frequenti possono usare la lavanderia dove, oltre alle macchine per il lavaggio delle lenzuola e delle coperte c’è una lavatrice per gli indumenti dei detenuti.

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Le salette della socialità, adeguatamente ampie, oltre ad un biliardino e dei tavoli, hanno un TV a schermo piatto di grandi dimensioni.
La cucina, dove ci lavorano in tre, è molto ben tenuta, pulita, ed organizzata per rispettar la dieta anche delle persone detenute mussulmane. È un detenuto a dirci però che sia la palestra, ben attrezzata dove ci sono 5 macchine per il body building, un tavolo da Ping pong, canestri da basket ecc, sia il campo sportivo spesso non possono essere utilizzati dai detenuti per mancanza di personale, come anche la scuola, ci dice Vincenzo, alcune volete si fa altre no. È inammissibile che la palestra non possa essere utilizzata per mancanza di un istruttore che potrebbe e dovrebbe esser mandato da Coni. Sempre per mancanza di personale i laboratori di falegnameria e di fabbro dove si facevano bei lavori e i detenuti potevano imparare una arte da spender dopo fuori, sono pure questi inutilizzati dal 2011 per mancanza di personale. Stessa sorte tocca alle serre dove pure c’è una officina che però è quasi sempre inutilizzata per mancanza di personale e di fondi per pagare i detenuti che vi lavorassero.
I detenuti stranieri lamentavano di non poter fare colloqui, ma poi specificavano che ciò era dovuto al fatto che non avessero parenti in Italia. Le lamentele dei detenuti riguardano anche il costo di alcuni prodotti acquistabili. In tutto ciò, ci dicono gli agenti, il sindaco di Crotone Vallone, tra l’altro presidente dell’ordine degli Avvocati di Crotone, non ha mai visitato l’istituto. Link intervista a Giuseppe Candido sulla visita al carcere di Crotone

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Delegazione Partito Radicale in visita al carcere di Crotone
Delegazione Partito Radicale in visita al carcere di Crotone

 


01/01/2016 ore 9.00 CR ROSSANO CALABRO (CS)

(scheda Dap)

Alle 6:30 parto da Cropani marina per Rossano calabro dove alle ore nove è prevista la vista alla omonima casa di reclusione. Il navigatore segna 149 chilometri, sulla strada statale 106 nota come statale della morte, si traducono in due ore di macchina. Alle otto e venti sono davanti l’ingresso dove attendo che arrivinoo, Emilio Quintieri e Gaetano Massenzo autorizzati dal DAP, grazie a Rita Bernardini, ad entrare con me e Rocco Ruffa per effettuare la visita. Rocco, come da accordi arriva alle 8 e 30 circa mentre Emilio tarda un po’ e arriva alle 9:17 dicendoci che il quarto chierico, Gaetano, probabilmente a causa dei festeggiamenti fino a notte tarda, non viene. Salta la visita. D’altronde c’era da aspettarselo: non è radicale. Quindi entriamo in tre, numero perfetto. Ci accoglie l’ispettore capo Bennardo al quale, dopo pochi minuti, si aggiunge l’ispettore, vice comandante, Vennari. I detenuti alle 9:30 sono ancora alla messa di capodanno che, però, sta per terminare; difatti dopo aver consegnato i documenti e ci avviamo per incontrare i detenuti, ci imbattiamo prima con Don Piero Padovano, cappellano del carcere al quale, dopo aver portato gli auguri e i saluti di Marco, chiediamo quali sono – secondo lui – i principali problemi: “servono più agenti, più educatori è meglio pagati” ci dice. L’ispettore Vennari conferma e aggiunge che, mentre facciamo la visita, ci sono solo diciotto unità di polizia penitenziaria e i detenuti presenti son 198. Dal punto di vista della struttura l’istituto dà nel complesso un’impressione positiva: ha due biblioteche, una per i detenuti del circuito dell’alta sicurezza (142) e un’altra per i detenuti comuni (56); c’è una fantastica falegnameria, molto grande e dove ci sono macchinari costosi e perfino un impianto di aspirazione e trasformazione dei residui di lavorazione legnosi in pellett di ottima qualità. Peccato che sia totalmente inutilizzata, chiusa da anni perché manca una azienda (o una cooperativa no profit che – dopo aver vinto un appalto – la gestisca. Oltretutto l’ipotetica azienda avrebbe numerosi vantaggi fiscali come i contributi per i dipendenti pagati dallo Stato. Sono 56 i detenuti dipendenti dall’amministrazione penitenziaria mentre soltanto in tre alle dipendenze di una cooperativa esterna che gestisce il laboratorio di ceramica. L’azienda esterna che collabora alla rieducazione delle persone detenute è la “Pirri Ceramiche artistiche” di Bisignano (CS). Funzionando anche la falegnameria, ci spiega ancora l’ispettore, sarebbe auto sufficiente e darebbe lavoro stabile ad altri detenuti. Lavoro in carcere senza il quale difficilmente è possibile rispettare il dettato costituzionale che intende la pena con funzione rieducativa e volta al reinserimento sociale.
imageA fronte di una capienza regolamentare di 215 (ma sul sito c’è scritto 214) al momento della visita, come già detto, ci sono 198 persone detenute di cui 142 in alta sicurezza, alcuni dei quali – circa una trentina – con ergastolo ostativo ai benefici (4bis) e 56 detenuti nei due piani del circuito della media sicurezza. Anche a Rossano C, casa di reclusione, ci sono 21 detenuti in attesa di giudizio di cui 4 soltanto imputati. Sono 44 gli stranieri – perlopiù detenuti nel circuito dell’alta sicurezza 2 accusati di terrorismo internazionale e – in tutto ciò – non è neanche previsto il mediatore culturale. È l’unica sezione, in tutta Italia, che ospita detenuti accusati di tali tipologie di reati, provengono da ogni dove, per lo più iracheni e marocchini, e rendono la situazione un “po’ complessa”. Aggiungasi poi circa cento casi psichiatrici e il caso Rossano è servito.

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Nell’androne ci sono una trentina di detenuti dell’alta sicurezza AS1 che hanno appena finito di ascoltare la messa: c’è un attimo di imbarazzo, di diffidenza, gli sguardi ci scrutano da capo a piedi. Poi – appena dico le parole magiche – la diffidenza si dissolve come nebbia al sole rivelando sorrisi inediti su labbra di ergastolani ostativi: saluti e auguri da Marco Pannella. Aggiungo: siamo i Radicali in visita nelle carceri. Lo sappiamo, dicono. E la diffidenza si trasforma in sorrisi, auguri e strette di mano calorose.
Il primo che si fa avanti a raccontarci un po’ della sua storia è Giovanni Di Giacomo, 77 anni, in galera ininterrottamente dal 1985, da 28 anni senza permessi. È siciliano, “sono nu travagghiaturi” ci dice, un lavoratore, ma ho il 4bis, l’articolo dell’ordinamento penitenziario che osta all’acceso ai benefici. “Voi (Radicali) vi battete per l’amnistia”, ci dice ancora un altro, “ma dite a Pannella di far qualcosa anche per l’articolo 4bis”. Capisco allora di esser circondato da almeno sei sette ergastolani ostativi. Quell’ergastolo che porta la dicitura: fine pena mai e per l’abolizione del quale, gli dico, Nessuno Tocchi Caino, l’organizzazione del Partito Radicale che si batte per l’abolizione della pena di morte nel mondo e per l’abolizione della pena fino alla morte anche nel nostro Paese, ha organizzato un congresso col titolo spes contra spem, e ponendo al centro la questione del “fine pena mai” e dell’ergastolo ostativo che, anche secondo il capo del DAP Santi Consolo, ci pone fuori dal dettato della costituzione e toglie al detenuto ogni speranza. Mentre gli dico questo un altro ancora mi interrompe e mi dice: “Si, lo sappiamo, lo abbiamo sentito su Radio Radicale”. La chiacchierata con gli ostativi continua per una ventina di minuti e dopo molte altre strette di mano proseguiamo la visita nella sezione AS2 dove sono detenuti i (per lo più presunti) terroristi internazionali. Sedici celle singole nelle quali, al momento della visita ci sono 17 detenuti; uno per cella tranne in una dove ce ne sono due. Ma questo è un “periodo fortunato” perché – ci dice l’ispettore – otto detenuti sono fuori regione per processi che li riguardano.

Nella sezione gli agenti hanno consentito di allestire un’area socialità a “Moschea” in modo da consentire la pratica del culto e l’Himam è un tuttofare marocchino che, grazie a una buona conoscenza dell’italiano, aiuta gli agenti nella quotidiana mediazione culturale visto che nella struttura manca proprio il mediatore culturale.
Come pure mancano gli educatori: di quattro previsti nella pianta organica sono in tre sono effettivamente in servizio. Una carenza del 25%. Con 198 del tenuti presenti e tre educatori, la funzione rieducativa e di reinserimento sociale della pena va a farsi friggere.
Nell’area dei detenuti per terrorismo AS2 i passeggeri sono piccoli: 10 passi per 10 passi. Ma alcuni passeggi, quelli più piccoli, larghi solo tre passi e meno per dieci. Quattro mura alte una decina di metri sono sormontate in cima da una rete metallica. Paura che possano prendere il volo? No, ci spiega l’ispettore Vennari: “una misura di sicurezza contro attacchi dall’esterno”. In compenso – ai passeggi – c’è un’area coperta per quando piove e un piccolo bagno di servizio. Tant’è. La Guantanamo italiana ci dice Haachem mentre interrompe per un attimo il frenetico passeggio: “non viene il dentista da sette mesi”. Poi aggiunge: “voglio solo essere curato”. Stessa richiesta che, in un’altra sezione, ci fa pure Giuseppe (Morabito) che prende medicine e deve fare specifiche cure per lo stomaco, vive con un pannolone e deambula con l’aiuto di due stampella: “Voglio andare a curarmi in un luogo adeguato”. Una richiesta del tutto legittima, come ci spiega anche l’ispettore Bennardo: “ha meno di due anni da scontare e dovrebbe andare in una casa di diagnosi e trattamento” (CDT), ci dice. Ma quello che davvero ridicolo è che – al piano superiore – c’è addirittura un reparto sanitario dotato di stanze degenza; Giuseppe non può essere ricoverato lì perché non ci sono infermieri (e medici) a sufficienza.
La struttura è dotata di una grande sala polifunzionale normalmente utilizzata come teatro. C’è la lavanderia di cui, in caso di particolari condizioni di detenuti che non effettuano regolarmente colloqui, ne viene consentito l’utilizzo anche per il lavaggio di indumenti personali.
C’è un campo da calcio dal quale, in passato, ci racconta l’ispettore mentre ci passiamo davanti, è stata tentata una rocambolesca fuga: il detenuto allontanatosi dal campo per riprendere il pallone è salito su dei cassonetti della spazzatura e, con un lenzuolo, è riuscito ad oltrepassare il muro perimetrale di recinzione e facendo, però, un volo d’altra parte del muro, cadendo rovinosamente e venendo subito riacciuffato.
All’estero della struttura, adiacente alla falegnameria (inutilizzata) c’è l’impianto per produrre il pellet (se la falegnameria funzionasse) e persino un impianto di micro compostaggio dell’umido. L’istituto fa la raccolta differenziata e i residui della cucina vengono compostati e trasformati in ottimo fertilizzante organico.
I detenuti lavorano su cinquantasei posti, a rotazione, alle dipendenze del DAP mentre altri tre lavorano per conto dell’unica impresa cooperativa esterna che gestisce il laboratorio di ceramica.
Passando dall’esterno, entriamo nella cucina dove incontriamo Michele Pavone, ergastolano ostativo, che ci riconosce come radicali e ci dice subito: “sono uno di quelli con scritto fine pena mai”. Non ha più una famiglia, la moglie lo ha lasciato per farsi un’altra vita e l’unica richiesta che ci fa, dopo aver chiesto di portare i suoi auguri a Marco, è semplice oltre che comprensibile: “vorrei essere messo in condizioni di lavorare sempre, senza rotazioni”.
Per ora – spiega l’ispettore Vennari – a Rossano riesce a lavorare solo tre mesi l’anno. Michele ci racconta che il suo “caso” era stato preso a cuore dal dott. Cascina al tempo funzionario del DAP, ma da quando ha saputo che tale dottor Cascina non è più al DAP ma è stato trasferito in altro dipartimento, lui – Michele – ha perso la speranza.
Quando gli diciamo se ha saputo del congresso di Nessuno Tocchi Caino ad Opera il cui titolo era proprio Spes contra Spem, e di quello che ha detto il dott. Santi Consolo capo del dipartimento sull’ergastolo ostativo ci aggiunge: “ho seguito da radio radicale. Io voglio solo poter lavorare”. Gli dico allora che segnalerò il suo caso a Rita Bernardini per vedere se si riesce a portare il suo “caso” all’attenzione del DAP. Poi però l’ispettore Vennari ci dice che sia gli ergastolani (ostativi e non) sia i detenuti con condanna definitiva sono tanti e che la rotazione sui posti di lavoro è necessaria per consentire a tutti – seppur a turno – di poter lavorare. La direzione – ci spiega ancora il Vennari – sta cercando di fare di tutto per accontentarlo ma non è cosa semplice.
C’è una palestra, molto più piccola di quella che abbiamo visto nella casa circondariale di Crotone, ma qui almeno viene utilizzata stante l’assenza di un istruttore qualificato. Proprio per cercare di tenerli contenti, ci dice il Vennari quasi un po’ mortificato: “si fa quel che si può”. Nei labirinti delle carceri calabresi ci si arrangia.
Nell’infermeria incontriamo Giuseppe (Potente) e la dottoressa il cui cognome ci è sfuggito a entrambi di appuntare: ci mostrano le celle-camere di degenza sanitaria, tutte col bagno e doccia, una stanza da bagno aggiuntiva ha pure la vasca per i detenuti con particolari problemi e, spiega ancora la dottoressa, c’è sia il medico sia l’infermiere 24 su 24. C’è il servizio del tele consulto cardiologico ma il cardiologo per farlo funzionare non c’è sempre: viene solo se chiamato. Per il reparto sanitario, il vero problema è che mancano gli infermieri (e i medici) per poter ospitare detenuti come Giuseppe che – stante le sue condizioni – deve restare in una cella. E il dentista da sette mesi non si vede.

Nella sezione della media sicurezza, su un intero piano ci stanno i detenuti lavoranti, sono in quattro per cella: completamente ristrutturate e con sufficiente luce entrante da due finestre, hanno una superficie di circa 24 metri quadrati circa (3,9×5,1ml) oltre a 5-6 metri quadrati circa di bagno-cucina con due porte: una che separa la zona cella dalla zona lavabo cucina-bagno e una seconda che separa l’area water con doccia da quella dov’è collocato un secondo lavabo per le stoviglie. Pure i riscaldamenti funzionano. Quando passiamo noi sono tiepidi. A ore prestabilite ma funzionano ci dice Francesco che, dopo averci raccomandato di dare gli auguri di capodanno anche a Marco Pannella ci offre un bel caffè “come solo in carcere sanno fa”. Nella cella sono in quattro e ci offrono una crostata fatta da loro davvero squisita.
Dopo il break caffè e crostata e dopo i saluti, saliamo al secondo piano della media sicurezza. Qui le celle sono un po’ più piccole, circa dieci metri quadrati – per lo più vuote – dove al massimo (al momento della visita) c’è una persona; dentro c’è il lavabo stoviglie a parte, separato dal bagno. Ma, ci spiega il Vennari, “quando c’era maggiore sovraffollamento, ce ne stavano pure due o tre detenuti per celle”.
Qui incontriamo Salvatore (Vitale) tossicodipendente non in terapia con metadone con altri sette anni di pena detentiva da scontare e chiede di poter accedere alternative alla detenzione, ma come molti altri qui detenuti ha anche lui l’articolo 4.bis per reati ostativi all’acceso ai benefici.
Anche Salvatore ci conferma che possono passare otto ore al dì fuori dalla cella e che lui è fortunato perché lavorando come barbiere non è soggetto alla rotazione sul posto di lavoro. Che, effettivamente, in carcere soprattutto, è un lavoro di fiducia.
Infine – nell’ultima cella a sinistra del braccio della media sicurezza- incontriamo Giuseppe (Morabito): si sorregge (a stento) su due stampelle, un aspetto stanco e trasandato, barba lunga e dita ingiallite dal fumo. Come anticipato parlando dell’aspetto sanitario, Giuseppe è costretto a vivere con un pannolone perché incontinente e ci chiede una sola cosa: potersi curare in un luogo adeguato. Ha meno di due anni di pena da scontare e, ci dice lo stesso ispettore Vennari, dovrebbe stare in una casa di diagnosi e terapia.

) (intervista a Giuseppe Candido sulla visita a Rossano Calabro)

Delegazione PartitoRadicale visita Cr Rossano C.
Delegazione PartitoRadicale visita Cr Rossano C.

Ai sensi degli articoli 12 (attrezzature per attività di lavoro, di istruzione e di ricreazione) e 20 “Lavoro” della Legge 354/75 nel carcere è in corso un laboratorio di ceramica. L’azienda esterna che collabora alla rieducazione delle persone detenute è la “Pirri Ceramiche artistiche” di Bisignano (CS).
All’interno dell’istituto penitenziario le persone lamentano l’impossibilità di ricevere Radio Radicale; ne è testimonianza il fatto che pochissimi detenuti conoscessero ed ascoltassero abitualmente la rubrica di Radio Radicale “Radio Carcere” nonostante tra loro ci fossero molti “ergastolani ostativi” (circa 30 persone).
Un ergastolano ostativo comunicava che assieme ad altri detenuti con lo stesso tipo di condanna, era in procinto di intraprendere una “causa collettiva” (class action) contro lo Stato Italiano per l’inumanità del regime carcerario al quale era/erano sottoposto/i.

Il legale che a livello nazionale era impegnato in questa procedura è l’avv. Fabio Federico che a detta della stessa persona conosce e interagisce con “Nessuno Tocchi Caino”.
Tra gli ergastolani ostativi particolare è la testimonianza del sig. Giovanni Musone che diceva come il regime carcerario al quale era sottoposto da 20 anni (art. 4-bis “Divieto di concessione dei benefìci e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti” della citata L. 354/75) avesse “sfasciato” la sua famiglia irrimediabilmente.

C’è da considerare il fatto che la totale assenza della speranza di poter accedere ai benefici (“Affidamento in prova”, “Detenzione domiciliare”, “Regime di semilibertà”) (Capo VI “Misure alternative alla detenzione e remissione del debito” della stessa legge) è di fatto la “condanna a morte” dell’affettività di un intero nucleo familiare.

I detenuti, grazie alla turnazione, possono lavorare per alcuni mesi all’anno: mediamente totalizzano circa 70 ore al mese; fatto questo increscioso perché se solo potessero raggiungere quota 76 ore potrebbero accedere al beneficio della “disoccupazione” (che garantisce uno stipendio anche nei periodi di inattività anche se ridotto).

Un paragrafo a parte merita la sezione di alta sicurezza denominata AS2 dedicata alle persone detenute perché imputate o condannate per reati collegati al “terrorismo internazionale”.
Un detenuto lamentava il fatto che il quantitativo di latte che gli era concesso quotidianamente era solo “mezzo bicchiere” (meno di 10 cl) e che la stessa penuria era relativa ad ortaggi e verdura.
Ai detenuti era di fatto gravemente compromessa la possibilità di praticare attività fisica all’aria aperta: l’uso del campetto di calcio era negato e l’unico spazio che potevano frequentare nelle “ore d’aria” era un cortile di circa 110 metri quadri.
In merito alla (in-)possibilità di ascoltare la radio, riportiamo la testimonianza di un detenuto che segnalava come da circa un anno aveva fatto richiesta di acquistare una radio FM (a modulazione di frequenza) e non era ancora stato accontentato senza saperne il motivo.
Le televisioni di ogni cella sono incassate nella parete sopra l’ingresso della cella ma mentre lo schermo è rivolto verso l’interno della cella, l’amplificazione lo è verso l’esterno (questo limita la possibilità di ascoltare la televisione senza dare fastidio a tutta la sezione se non stando in piedi accanto al cancelletto con il volume basso).
Alcuni detenuti di età compresa tra i 18 e i 25 anni lamentavano l’impossibilità di accedere a corsi di studio superiori ma al più la scuola media (per esempio un corso di informatica); anche la possibilità di acquistare a proprie spese i libri necessari era stata loro negata. Una delle motivazioni che erano state addotte per negare loro questa opportunità – a loro dire – era la presenza di copertine rigide (ndR: ma non si possono tagliare via queste copertine?).
Morad Gazzaui, che tra le altre cose era incapace di parlare italiano, non sapeva di cosa fosse accusato e dal giorno della sua carcerazione non riusciva a parlare con la famiglia. Grazie alla traduzione simultanea di un altro detenuto di lingua araba, lo stesso ragazzo di soli 18 anni riferiva di essere un rifugiato siriano sbarcato in Italia con tutta la sua famiglia: da quando è detenuto non ha contatti con la sua famiglia e per quanto ne sa neanche i suoi parenti sanno dove si trova.
Un detenuto, con riferimento alle condizioni di abbandono, isolamento, grave privazione delle libertà fondamentali sosteneva che quella sezione fosse criminogena; per utilizzare la sue stesse parole: “Questa è la scuola dell’ISIS!”.


02/01/2016 ore 9.00 CC LOCRI (RC)

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Delegazione del Partito Radicale a termine della visita alla casa circondariale di Locri (RC): da sx Gianpaolo Catanzariti, Rocco Ruffa, Giuseppe Candido, Caterina Anna Siclari

(scheda Dap) Con Gianpaolo Catanzariti e Anna Siclari ci ritroviamo davanti la casa circondariale di Locri dove ci accolgono la direttrice, dottoressa Patrizia Delfino e la vice comandante, dottoressa Caterina Pacileo che, a conferma del rapporto collaborativo con il Partito Radicale, al termine di della visita dopo averci fatto vedere tutte le foto della sala conferenze interna al carcere, ci fa dono di uno stendardo della Polizia Penitenza di Locri.

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Il carcere di Locri paga la strutturale carenza di spazi: insufficienti a svolgere tutte le attività auspicabili.

Ci sono due progetti  finanziati con la Cassa delle Ammende e che consentono l’impiego dei detenuti: uno di questi progetti si chiama “Dentro il colore” e riguarda la tinteggiatura e la pitturazione di finiture superficiali, infissi, porte e quant’altro. Il secondo progetto prevede la ristrutturazione della palestra e il rifacimento della pavimentazione del campo da gioco all’aperto.
Altro progetto ammirevole è quello messo a punto dalla direzione del carcere per dare una migliore assistenza sanitaria ai detenuti in ambito odontoiatrico: il progetto si chiama “Un sorriso per te” che – come ci spiega la direttrice – è totalmente a costo zero.

In collaborazione con l’istituto IPSIA (di Locri) vengono fornite ai detenuti delle protesi e/o delle ricostruzioni realizzate dagli allievi dell’IPSIA, appunto, che possono così esercitarsi da odontotecnici realizzando beni che poi – grazie all’odontoiatra e all’odontotecnico del carcere – vengono donate ai detenuti (generalmente gli allievi di questi corsi fanno tali prodotti odontotecnici  come esercitazioni e il “frutto” del lavoro viene gettato via). Si sopperisce così alla mancanza di materiale di consumo dei laboratori sanitari specialistici dentro le carceri che abbiamo riscontrato in altri istituti come il Luigi Daga di Laureana di Borrello (RC).

Il dott. Severo – responsabile dell’area sanitaria ritiene che, in generale in tutti gli istituti di pena, il passaggio delle competenze sanitarie dal DAP del ministero della giustizia alle regioni e quindi alle ASP è stato deleterio: “siamo ben al di sotto degli standard europei”: le figure professionali presenti (ad ore) sono “infettologo”, “cardiologo”, “dentista” e “psichiatra”. Ma spesso manca il materiale di consumo e gli ambulatori non possono funzionare.

ASP che vai situazione sanitaria che trovi, si potrebbe dire.
Questi professionisti – ci spiega ancora il dott. Severo – vengono pagati “ad ore”: viene stabilito (in base al numero di detenuti) quante ore sarà impiegato ogni singola unità professionale ma – aggiunge- “può capitare, come spesso capita, che queste ore vengano pagate anche se lo specialista dedica molte meno ore di quelle pattuite (per esempio per mancanza di necessità o perché non c’è il materiale di consumo e non può comunque effettuare la prestazione).
Alcuni detenuti sostengono di poter accedere ad una custodia attenuata ovvero ai domiciliari ma che la Magistratura di sorveglianza nega loro questa opportunità perché – a loro dire – non sono disponibili i famosi “braccialetti elettronici”. Certo è che di misure alternative al carcere, come in Italia, anche in Calabria non se ne vedono.
All’interno di questo carcere l’acqua calda sanitaria (ACS) è presente 24 su 24 (h24).
Nel corso della visita visitiamo la falegnameria dove sono a lavoro un paio di detenuti: ultimamente i detenuti stanno lavorando con la curia vescovile. In accordo con il vescovo sono stati commissionati alla falegnameria del carcere un imprecisato numero di banchi da messa. Questo evidenzia come il rapporto con la curia sia buono e come sia indispensabile costruire ponti tra il carcere e le comunità in cui lo stesso carcere sorge. Peccato che a supplire alle mancanze delle istituzioni locali e regionali debba essere, dove può, la curia.
Sempre in merito alla falegnameria è degna di nota la testimonianza di Sergio, detenuto a Locri: questa persona a quanto pare è uno dei lavoratori più esperti nel mestiere di falegname; coordina e dirige gli altri detenuti all’interno della falegnameria perché ha appreso questo mestiere nel carcere di “Laureana di Borrello” che abbiamo visitato il 5 gennaio.
Quando parla del lavoro gli si accende una luce negli occhi e quello che dice è davvero significativo: “A Laureana mi hanno dato un seme che lentamente è cresciuto: la speranza. Io non capivo cosa fosse, non capivo cosa stessero facendo, nessuno durante la mia vita mi aveva mai dato la speranza”.
Il lavoro è il trattamento più importante ai fini della rieducazione ma spesso ci si scontra con impedimenti logistici: i costi dell’assicurazione generalmente sono a carico degli enti presso i quali i detenuti lavorano (comuni, provincie ecc.) e con sempre maggiore frequenza è difficile trovare una compagnia assicuratrice disposta ad assicurare detenuti che lavorano all’esterno (che poi “interno” ed “esterno” sono concetti relativi visto che chi ha sbagliato presumibilmente deve essere rieducato e per questo motivo si suppone che debba essere, magari gradualmente, reinserito all’ “interno” della società).
A Locri segnaliamo il mancato funzionamento dei riscaldamenti in larga parte della zona amministrativa. Per questa ragione si è deciso di installare nelle maggior parte delle stanze delle pompe di calore, ma in uno dei corridoi mentre usciamo troviamo una agente che, seppur scherzosamente, ci fa notare di avere le mani e il naso gelati.


C.C. PAOLA (CS) – 03/01/2016 ore 9.00

(scheda Dap). Come previsto nel programma delle visite autorizzate dal DAP, il 3 Gennaio siamo a Paola (CS); la nostra premura nel cercare di arrivare con largo anticipo si rivela più che opportuna perché raggiungere l’istituto non è facile: dire che le indicazioni stradali scarseggiano è un eufemismo.
Dopo aver percorso la Statale n. 18 un paio di volte avanti e indietro scorgiamo in lontananza l’inconfondibile profilo dell’istituto e possiamo finalmente lasciare la macchina nelle adiacenze dell’ingresso.
Per inciso, non osiamo pensare cosa voglia dire per un detenuto essere rilasciato nel bel mezzo del nulla, ad alcuni chilometri dal centro abitato, senza alcun servizio pubblico; anche il sito del DAP non lascia adito a false speranze: “per arrivare alla Casa Circondariale avete bisogno di un taxi!”
Aattendiamo gli altri compagni con cui effettuare la visita; a distanza di qualche minuto si uniscono prima Ernesto Biondi e Claudio Scaldaferri, poi, poco dopo, a completare la delegazione, Emilio Quintieri, Sabrina Mannarino e Raffaele Curatolo.
Veniamo accolti dagli ispettori Spizzirri e Petrusi, non essendo presenti la direttrice, dott.ssa Caterina Arrotta né il comandante dott.ssa Maria Molinaro.

imageIl carcere al momento della visita accoglie 177 persone detenute a fronte di una capienza regolamentare di 182 posti. Tutti uomini e tutti detenuti comuni del circuito della media sicurezza. Cinquantasette di loro sono in attesa di giudizio definitivo di cui 15 sono solo imputati.

L’organico di Polizia appare al completo solo sulla carta!
Come avremo modo di approfondire più avanti, le attività che dovrebbero essere garantite a tutti i detenuti sono ridotte al lumicino anche a causa di un insufficiente numero di agenti di Polizia Penitenziaria, educatori, volontari.

In particolare, dei sei educatori previsti dalla pianta organica assegnati effettivamente in servizio sono solo in quattro.

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Siamo noi ad essere puntigliosi e pretestuosi? Purtroppo no, uno degli ispettori, infatti, ci riferisce che appena poche ore prima della nostra visita (durante la notte trascorsa) a causa di una emergenza sanitaria non meglio specificata, gli agenti di Polizia Penitenziaria si sono ritrovati in difetto di personale al punto da esser costretti a far “rientrare” nel carcere alcuni agenti (3 o 4 unità) che non erano in servizio bensì in “reperibilità” e che, fortunatamente, stavano nella adiacente caserma.
Una evenienza che, a quanto pare, si verifica con una certa frequenza anche ora che gli agenti in servizio presso la struttura sono 119 su di una pianta organica di 113!
Note positive ce ne sono: a cominciare dal medico e infermiere presenti h24 e dalla presenza, anche questa 24 ore su 24, pensate un po’, dell’acqua calda!
Purtroppo, dispiace ammetterlo, ma in troppe occasioni abbiamo constatato che – oltre al medico- anche l’acqua calda è disponibile solo poche ore al giorno.
Per fortuna a Paola questo “standard minimo” di vivibilità è garantito.

Un’altra nota positiva è rappresentata dalle attività socio-ricreative frutto del lavoro di molti volontari: come non citare Padre Aurelio Marino che con la cultura del teatro prova a infondere in queste persone un po’ di speranza; anche suo – a quanto abbiamo capito – il merito di aver reso fruibile e ben fornita la biblioteca.
La biblioteca e il teatro, infatti, sono qualcosa di cui vanno orgogliosi nella Casa Circondariale di Paola e a ragione! Anche grazie al lavoro di Padre Marino, il teatro è stato di recente messo a nuovo e grazie alla collaborazione del sig. Totonno Chiappetta – un artista che volontariamente insegna recitazione alle persone detenute – appena due giorni fa è andata in scena una rappresentazione teatrale.
Non va altrettanto bene con l’istruzione visto che, per circa 200 persone, oltre all’istruzione primaria e secondaria, è possibile seguire, all’interno del carcere, solo studi superiori professionali “enogastronomici” (alias Alberghiero).
Per fortuna, un detenuto, già laureato in giurisprudenza, riesce a portare avanti studi universitari e attualmente si cimenta nell’ultimo anno di “Scienze della formazione”.

Nella scheda dedicata a questo istituto, il DAP, specifica che un altro corso di formazione nel quale i detenuti possono cimentarsi è quello in “apicultura” ma, nel corso della nostra visita, nessuno ne fa menzione e, quindi, non siamo in grado di affermare se attualmente qualcuno stia frequentando questo corso.
La struttura in buono stato di conservazione: l’apertura dell’istituto è avvenuta nel 1992, a distanza di 10 anni dalla sua costruzione (risalente al 1982) (fonte Antigone). Questa Casa Circondariale paga la vicinanza con il mare che la rende più velocemente deperibile. Non a caso, l’unico concreto impiego che i detenuti riescono a svolgere in maniera più o meno continuativa è quello di “Manutenzione Ordinaria dei Fabbricati” alias MOF. Attualmente, coloro che lavorano nella MOF riescono a totalizzare fino a 92 ore di lavoro mensile con due giorni di riposo; sono, infatti, in corso diverse ristrutturazioni, in particolare i passeggi; la ristrutturazione di uno di questi è stata ultimata di recente.
Solo 79 i detenuti che lavorano alle dipendenze del DAP.
Per la stragrande maggioranza dei detenuti, invece, il lavoro resta una chimera; e comunque i detenuti che lavorano difficilmente riescono a lavorare per più di 3 mesi all’anno visto che il lavoro è a rotazione.
In pochi, grazie alla figura del “jolly scopino”, riescono a lavorare per 4 mesi. Ma quale spendibilità ha un lavoro del genere all’esterno del carcere? Possiamo pensare ad un reinserimento nella società di queste persone senza dare loro gli strumenti per un riscatto sociale?
La mancanza di risorse (umane e materiali) si manifesta anche in altre forme: nel carcere, ad esempio, ci sono 2 serre con molte piante a dimora che potrebbero dare lavoro e formare molti detenuti; purtroppo il funzionamento delle serre è impedito dalla carenza di personale e di progetti di cooperazione lavorativa.
Attualmente ci sono centinaia di piante la cui fine è incerta e che anziché abbellire la vicina cittadina di Paola potrebbero andare distrutte.
All’interno del carcere, trova spazio anche una “sezione a custodia attenuata” che nel corso dei decenni ha subito diversi adattamenti.
Inizialmente questa sezione doveva ospitare le donne ma non è mai entrata in funzione in tal senso. Dopo molti anni di utilizzo come deposito, finalmente, si è convertita l’intera sezione a miglior sorte.
I detenuti al suo interno, vivono in maniera molto più dignitosa e il clima tra “detenuti” e “detenenti” è molto più sereno e costruttivo.
Nonostante l’istituto rispetti quasi tutti gli standard di vivibilità minimi previsti dalla “Comitato europeo per la prevenzione della tortura o trattamenti inumani e degradanti” (CPT), una lacuna è rappresentata dalle fitte reti metalliche apposte alle finestre di tutte le sale per la socialità. A causa della loro presenza l’illuminazione naturale viene di molto attenuata.
A detta di alcuni detenuti la Magistratura di Sorveglianza non concede a nessuno misure di detenzione alternative al carcere.
E sempre alla Magistratura di Sorveglianza è ascrivibile almeno un’altra responsabilità: un detenuto, infatti, denuncia il fatto di aver già totalizzato uno sconto di pena – grazie alla buona condotta – sufficiente a garantirgli la scarcerazione preventiva.
Purtroppo, non stupisce il fatto che, a volte, la lentezza della giustizia possa produrre queste ingiustizie.
Altra stranezza riguarda uno dei detenuti che lamenta l’impossibilità di prendere dal proprio “armadietto” (dove sono custoditi gli effetti personali che lo hanno “seguito” dal carcere Siano) un lettore. La cosa non ha una apparente giustificazione visto che quello stesso lettore lo utilizzava già in un altro carcere.
Leonardo F. ci dice di salutare per suo conto l’On Rita Bernardini e Marco Pannella consegnandoci, per la prima, un fiore blu di plastilina fatto con le sue mani.

Delegazione PartitoRadicale visita cc Paola
Delegazione PartitoRadicale visita cc Paola

L’ultimo pensiero però lo rivolgiamo ad un ristretto all’interno della casa circondariale di Paola alla quale tentiamo di infondere un po’ di speranza: ha deciso di sua spontanea volontà di stare in isolamento perché – ci dice lui stesso – “non riesce a mantenere un rapporto confacente con gli altri detenuti”.
Un caso paradigmatico del fatto che spesso il carcere non è la soluzione adatta a tutti: egli è, infatti, un ex-tossicodipendente che ha commesso reati lievi (furto e ricettazione) ed è stato condannato di recente; la pena è stata comminata sommando tanti reati di piccola entità: alcuni dei reati che gli sono contestati sono relativi al 1994. I suoi familiari sono gravemente ammalati e nonostante il SERT abbia dato parere favorevole ad una sua scarcerazione affinché possa andare in comunità, l’Istanza (presentata al Magistrato di Sorveglianza di Reggio Calabria) non ha ancora avuto un riscontro.


03/01/2016 ore 14:00 CC COSENZA (CS)

(scheda Dap)- Sono le 13:45 quando arriviamo a Cosenza davanti la casa circondariale “Sergio Cosmai”. Senza fermarci a mangiare perché Rocco è in sciopero della fame per due giorni alla settimana ed io, che normalmente lo faccio di venerdì, oggi gli tengo compagnia. Un digiuno che ormai prolunghiamo da qualche mese, sempre alternandolo a staffetta, per chiedere al Presidente del Consiglio Regionale Nicola Irto di mettere in calendario subito ed approvare la legge istitutiva – finalmente anche in Calabria – del garante dei diritti delle persone private della libertà personale.

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Dopo qualche minuto arrivano anche Claudio Scaldaferri ed Ernesto Biondi e, dopo ancora qualche minuto, arrivano anche Emilio Quintieri, Valentina Moretti e Gaetano Massenzo presente anche alla visita a Paola la mattina e a Castrovillari il 24 dicembre. La delegazione è al completo.
Quando suoniamo al campanello del carcere sono trascorse da poco le due e siccome la visita è fissata per le 14:30 come da nostra richiesta il direttore Filiberto Benevento non è ancora arrivato e ci accolgono l’ispettore Spadafora e alcuni agenti in servizio facendoci accomodare nella stanza del direttore che ci raggiunge dopo qualche minuto in orario per cominciare la visita come previsto. Prima di iniziare il giro ci consegna il questionario predisposto da Rita Bernardini per la rilevazione dei dati relativi ai detenuti presenti e agli organici della polizia ed educatori. Ci accompagna durante la visita, oltre al direttore e l’ispettore Spadafora anche la educatrice dott.ssa Branca che, tra l’altro, ci spiega che nel carcere c’è il servizio medico H24 con presenza 24 al giorno di un medico ed un infermiere.

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Il primo braccio che visitiamo è il “reparto A” dell’Alta Sicurezza dove ci sono 97 persone detenute. Il carcere è stato recentemente ristrutturato: pavimenti, pareti e blindi delle celle ripitturati ed anche il reparto di isolamento, chiuso al momento della visita perché nessun vice era detenuto e che pure abbiamo visitato, è stato totalmente ridipinto: da 9 a 7 celle per realizzare le docce all’interno delle stesse. Solo per quello dell’isolamento sono stati spesi 40 mila euro.
Nel reparto AS incontriamo i detenuti fuori dalle celle, perché in ora d’aria e, siccome piove, il direttore concede loro su a sorta di sorveglianza attenuata limitando la circolazione dei detenuti al di fuori delle celle dentro i corridoi e la saletta della socialità del piano. Come entriamo c’è un momento di silenzio. Poi, agli auguri di Buon anno da parte di Marco Pannella e dei Radicali l’atteggiamento cambia e si comincia a parlare. Giulio ci dice subito che il dott. Lucente, il Magistrato di Sorveglianza di Cosenza non dà loro i permessi e che non lo vedono mai. Vincenzo ci dice che l’area verde per i colloqui non viene mai data in uso.
I detenuti possono stare fuori dalle celle circa 4-5 ore al giorno. Anche a Cosenza come pure capita in molte altre carceri calabresi, la palestra c’è ma non può essere utilizzata perché manca l’istruttore. Stessa legge ma diversa applicazione da carcere a carcere perché in nessun carcere da noi visitato c’è l’istruttore ma non in tutte (per fortuna) è vietato utilizzare la palestra quando c’è.
Cosa positiva della Sergio Cosmai di Cosenza è che qui, sia nell’alta sia nella media sicurezza, i detenuti con una sentenza definitiva sono tenuti separati.

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05/01/2016 ore 9.00 CC LAUREANA DI BORRERLLO (RC)

(scheda Dap) – La casa di reclusione “Luigi Daga” di Laureana di Borrello è l’ultima delle carceri calabresi che visitiamo. Ad accoglierci l’assistente capo Angelo Macedonio cui si aggiunge, dopo pochi minuti dal nostro arrivo, la direttrice Angela Marcello. Si tratta di una casa di reclusione a custodia attenuata con celle aperte dalle 8:30 alle 20:30 e dove, al momento della visita, a fronte di una capienza regolamentare di 68 posti (effettivamente disponibili 43), ci sono solo 25 detenuti, tutti uomini, tutti con sentenza definitiva e tutti del circuito della media sicurezza. Utilizzata quindi al cinquanta per cento delle sue possibilità.
Dei 25 detenuti in ventuno lavorano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria (di cui 6 fissi in condizione di semi libertà ex Art. 21 e 15 a rotazione semestrale); gli altri quattro pure lavorano ma alle dipendenze di imprese cooperative esterne: due nel laboratorio di falegnameria e due in quello della vetro resina dove si producono componenti per imbarcazioni gestiti dalla cooperativa sociale Onlus Modulus. La struttura è attrezzata con serre per la coltivazione, laboratorio di falegnameria, di ceramica, “ma non si riesce a farli funzionare”, ci spiega la direttrice Marcello, “perché mancano le commesse esterne”; “prima c’era il ministero che ci finanziava”, aggiunge, “poi hanno tagliato i fondi” e adesso bisogna cercare imprese o cooperative sul territorio che in Calabria non è cosa semplice. Pure il comandante, il Commissario dott. Floresta, viene condiviso col carcere Panzera di Reggio Calabria quindi, ci spiega la direttrice, “mi trovo a fare il lavoro del comandante”. Nonostante tutto, aggiunge ancora, “qui i detenuti stanno davvero bene e la nostra preoccupazione è quella di far fare loro le attività lavorative e rieducative, ma se non c’è sufficiente personale tutti gli sforzi a volte diventano inutili. Con tanti commissari calabresi in giro per l’Italia il ministero non ha pensato a fare un interpello nazionale per consentirne la mobilità e, oltre a Laureana, abbiamo carenza di comandanti anche per Locri”. Poi uno sfogo mentre ci avviamo verso le celle: “Laureana non può decollare perché mi hanno tagliato le ruote, al provveditorato regionale (oggi affidato in reggenza al provveditore della Basilicata, dott. Salvatore Acerra, ndr) questa struttura non interessa”. Perché? “Per mera invidia e gelosia dell’ex provveditore Quattrone che della struttura era considerato il padre”.
Il campo sportivo c’è, ma in attesa di ristrutturazione. C’è un teatro utilizzato molto spesso ma anche questo funziona solo grazie ad una volontaria – Anna Fava – con il cui contributo i detenuti effettuano molte rappresentazioni teatrali. Pure la serra c’è ma è per lo più inutilizzata, il laboratorio della vetro resina curato dall’architetto Francesco Zito lavora grazie a qualche commessa di un’azienda che produce barche, ma è anche quello utilizzato al 10% delle potenzialità che invece avrebbe.
Oggi la struttura, ci spiega un impiegato amministrativo, non riesce a funzionare adeguatamente perché sono stati tagliati i fondi: nel 2010 venivano erogati € 40.000 per il funzionamento delle serre, € 250.000 per la falegnameria e il laboratorio di ceramica, e altri € 250.000 per pagare le mercedi. Oggi, invece, dopo i tagli nulla viene erogato per la falegnameria i laboratori per i quali si devono cercare le commesse esterne e le imprese esterne per farli funzionare; soltanto € 150.000 per le serre e € 30.000 per le mercedi. Tradotto significa non aver più la possibilità di far lavorare tutti i detenuti costringendo l’amministrazione a far ruotare le ore lavoro anche ai pochissimi detenuti presenti.
Mentre ci avviamo verso le celle ci imbattiamo nel laboratorio di ceramiche scoprendo che anche questo è praticamente in disuso: funziona saltuariamente e grazie solo alla presenza di un volontario. Nelle due falegnamerie, una più grossa dell’altra, a lavorarci troviamo solo due detenuti e l’architetto Zito della cooperativa Modulus che la fa funzionare assieme al laboratorio di vetro resina dove si producono (ma forse sarebbe più giusto scriver “dove si potrebbero produrre”) componenti per barche.
Oltre al lavoro in carcere, i tagli hanno colpito anche la sanità in carcere. È nella falegnameria che, assieme al sovrintendente Galati, ci raggiunge il dott. Morabito, responsabile del servizio medico, che subito ci anticipa le gravi problematiche sanitarie che ha la struttura: non c’è il servizio medico h24 ma il medico c’è solo tre ore al giorno e l’infermiere sei ore. La legge, invece, per un penitenziario vorrebbe garantito un servizio medico di almeno dodici ore al giorno durante le quali siano presenti sia il medico sia l’infermiere. Questo si traduce nel fatto che anche per dar un analgesico per un mal di testa o per un mal di denti bisogna chiamare il medico del 118. Un problema di costi ma anche di diritto alla salute sospeso, ridotto al lumicino. Altro esempio: Il laboratorio odontoiatrico c’è, non è come si dice di ultima generazione ma c’è. Il problema è che non c’è il necessario materiale di consumo, non può quindi funzionare e succede che Giovanni, detenuto a Laureana, per un problema di denti ha chiesto al Magistrato di Sorveglianza di potersi curare fuori, presso un laboratorio odontoiatrico funzionante. Lo ha chiesto sei mesi fa e ancora non ha nemmeno ricevuto risposta. Per un semplice problema succede che il medico dopo averli visitati, mandi i detenuti al presidio più vicino che è a Tauria Nuova, ma anche lì, ci spiega ancora il dott. Morabito, il detenuto spesso non riesce a veder tutelato il suo diritto alla salute. È la sanità calabrese, bellezza!
Pure la palestra c’è, ma come il campo sportivo è inutilizzato in attesa da un po’ di anni di esser ristrutturato, anche lei è inutilizzata perché si è in attesa di aver tutti i certificati medico-sportivi dei detenuti. Insomma, un cane che si morde la coda.
Quindi, facendo due conti: difficoltà sanitarie, scarsità di lavoro dei detenuti e, dulcis in fundo, scopriamo che il presidio sanitari più vicino è quello di Polistena (RC) a quaranta minuti dall’istituto e che non avendo un nucleo traduzioni (e neanche un mezzo adeguato), in caso di urgenza grave bisogna aspettare 40 minuti il 118 che arrivi al carcere e altri 40 minuti per arrivare in ospedale se il caso lo richiede. Insomma, c’è tutto il tempo … per morire. Ci fosse il servizio medico h24 il problema si sentirebbe meno, ci spiega ancora il dott. Morabito, ma il servizio medico h24 non viene dato perché l’Azienda Sanitaria Provinciale non ha i soldi tanto che gli infermieri son fermi con lo stipendio al mese di agosto. Anche per un semplice mal di testa gli agenti, se non c’è un medico, sono costretti a chiamare il 118.
Se c’è il laboratorio odontoiatrico che non può funzionare perché manca il materiale di consumo, da notare è che tra gli “specialisti” che saltuariamente vengono all’istituto c’è il chirurgo; al che chiediamo di farci vedere la sala operatoria: non c’è, niente sala operatoria ma viene il chirurgo che – ovviamente – sarà pagato pure se non opera nessuno. Esilarante se non fosse che si sta scherzando con la pelle delle persone.
Quando arriviamo nel reparto sanitario il dott. Barbuto vuole che ci sediamo perché vuol spiegarci – secondo suo modo di vedere – quali sono le “vere” cause delle carenze sanitarie che abbiamo visto: “normalmente”, ci dice, “il servizio sanitario del penitenziario dipende dal distretto territoriale che, nello specifico, è quello di Palmi (RC). Poi c’è l’ASP, l’azienda sanitaria provinciale che dipende dal coordinatore sanitario aziendale, un figura che” – spiega ancora il dottor Barbuto – “non esiste in nessun’altra parte d’Italia”. La questione si fa interessante e chiediamo di spiegarci meglio: “È il dottor Luciano Lucania che” – ci fa notare il Barbuto – “è anche responsabile sanitario della casa circondariale di Arghillà, del Panzera di Reggio Calabria nonché specialista di chirurgia alla CR di Laureana di Borrello e specialista ambulatoriale presso la CC di Palmi”. Ed il conflitto d’interessi è servito: il controllore e controllato son la stessa persona. In ultimo, nel reparto sanitario, c’è l’infermiere di turno che – davanti la direttrice e il sovrintendente che ci accompagnano – ci dice la sua: “in tutti gli ambulatori che vedete manca a tutti il materiale di consumo, non ce nemmeno un cerotto. È una vergogna”.
Ma in compenso c’è lo specialista di chirurgia che viene a trovar i detenuti.
Già fuori dalle carceri, in Calabria la sanità è quel che è; nelle celle calabre il diritto alla salute diventa miraggio, anche in carceri come quella di Laureana di Borrello considerata casa di reclusione “modello” in termini di struttura, di organico e di potenzialità.
Mentre ci dirigiamo verso le celle di detenzione per incontrare i fratelli ristretti passiamo davanti la cucina: piccola ma ben tenuta. Ci lavorano in due con rotazione semestrale. Qui incontriamo Giovanni (Passalacqua) che sta preparando un profumatissimo sugo alla bolognese per il pranzo e che manda il suo augurio per un buon anno e i saluti a Marco Pannella. C’è pure una sala refettorio ma l’uso è sospeso perché i detenuti preferiscono mangiare nelle celle e viene utilizzata come sala per la socialità anche se i detenuti possono muoversi liberamente dalle 8:30 alle 20:30 da per tutto.
Anche la scuola non è attiva, ma ci spiega la direttrice che si fanno corsi di FP ad hoc in base alle richieste dei detenuti.
Finalmente arriviamo alle celle: sono le 10:30 e – in condizione di detenzione attenuta – sono tutte aperte, i detenuti passeggiano nel corridoio parlando tra loro o lavorano all’interno delle celle facendo lavoretti con carta e colla. Tutti più o meno giovani, tutti liberi tra corridoi e celle aperte. Angelo, un detenuto, dopo averci ringraziato per la visita e incaricato – anche lui come tutti – di portar i saluti a Marco ci spiega candidamente che qui, nel carcere, i problemi dei detenuti son legati al servizio sanitario che “non esiste” e alle enormi difficoltà che i detenuti hanno nel poter incontrare il magistrato di sorveglianza. E ci dice pure che, come esiste a Reggio Calabria, anche per il carcere di Laureana servirebbe il garante dei detenuti. In realtà, gli spiego io, come Partito Radicale, in Calabria, stiamo sostenendo l’istituzione del Garante Regionale dei diritti delle persone private della libertà. “Siamo fortunati ad essere qui al Laureana”, ci dice Francesco, “ma sono qui da otto mesi e non ho mai visto il magistrato di sorveglianza”, dando ragione ad Angelo e dicendo che il garante dei detenuti potrebbe aiutarli a risolvere molti dei loro problemi, se non altro consentirebbe loro di segnalarli. Poi Angelo ci interrompe: “a voi che parlate di speranza dico che la cosa più brutta è proprio quando un detenuto perde la speranza, quando ha un diritto – come quello alla salute o a un semplice permesso – che non può veder soddisfatto” e che per lui è “intollerabile uno Stato che diventa padre vendicativo”, padre che punisce per vendetta. Poi Francesco ci dice che ha passato la notte col mal di denti. Una nottata. “Abbiamo chiamato la guardia medica due volte: alle 22:30 e alle sei del mattino”, aggiunge il sovrintendente Macedonio per sottolineare ancora una volta il disagio che c’è tra gli operatori della comunità penitenziaria che molto spesso non riescono, loro malgrado, a rispettare i diritti dei detenuti. Un altro detenuto ci dice che ha una richiesta fatta al Magistrato di Sorveglianza da sei mesi per una visita odontoiatrica ma che l’autorizzazione del magistrato a curarsi fuori non arriva e che lui aspetta da mesi curandosi con analgesici. Il problema, ci dice Macedonio, è che il magistrato di sorveglianza è sovraccaricato di lavoro poiché ha in carico i detenuti di ben cinque differenti istituti: oltre a Laureana ci sono i detenuti di Palmi, Locri, Panzera e Arghillà di Reggio Calabria. E l’ufficio del magistrato, aggiunge polemica la direttrice, “non usa neanche la posta elettronica certificata”.
Concludiamo la visita con “la sezione fantasma”. Mentre in alcune carceri, anche in quelle calabresi, viene superata la capienza regolamentare nel casa di reclusione “Luigi Daga” di Laureana di Borrello c’è un’intera sezione con palestra e diciassette celle da dieci metri quadri cadauna oltre al bagno con doccia e bidè e che – ci spiega la direttrice – potrebbero potenzialmente ospitare altri 34 detenuti.
“La speranza” – ci dice la direttrice prima di salutarci e farsi una foto ricordo con la delegazione – “è che arrivi un nuovo provveditore illuminato come l’ex provveditore Quattrone”.

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Delegazione del Partito Radicale al termine della visita alla casa di reclusione Luigi Daga di Laureana di Borrello (RC) con la direttrice Angela Marcello, il vice comandante e Galati l’ispettore Mendicino della PP che ci hanno accompagnato durante la visita che ha concluso il tour spes contra spem nelle carceri calabresi

(*) Giuseppe Candido, capo delegazione delle dodici visite autorizzate dal DAP è docente di matematica, geologo, ecologista, militante del Partito Radicale Nonvioelnto Transnazionale Transpartito, già membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani, segretario dell’associazione Non Mollare e autore del volume “La peste ecologica e il caso Calabria”.

(*) Rocco Ruffa, ingegnere, ecologista, militante del Partito Radicale e membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani.

Al link che segue la puntata di LaC.Tv con Rocco Ruffa e Teresa Bagnato

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