01 gennaio 2017 – Visita alla Casa circondariale di Crotone
Direttore: Dott.ssa Maria Laura Mendicino; Comandante: Commissario dottor Giuseppe Laforgia. (non presenti al momento della visita)
Delegazione del PRNTT: Giuseppe Candido, Ernesto Mauro, Rocco Ruffa.
Come da programma alle ore 8:55 ci presentiamo alla porta della Casa circondariale di Crotone. Aperto dal 1983, l’istituto è stato chiuso per lavori dal 2010 al 2014. Al gabbiotto di presidio al cancello d’ingresso non c’è nessuno e i pulsanti del citofono sono stati strappati dal tempo e dall’usura. Ci facciamo notare sbracciando un po’ davanti la telecamera che sorveglia il cancello e, dopo un po’, sopraggiunge l’ispettore capo Mattia Frisenda che ci accompagna durante tutta la visita. Mentre ancora stiamo per entrare e dobbiamo farci identificare, ci da’ subito compilato il questionario predisposto da Rita Bernardini per il rilevamento dei dati. I 47 agenti assegnati, di cui – in ragione dei lunghi periodi di malattia – solo 36 effettivamente in servizio e 7 impegnati nel nucleo traduzioni, sono di più rispetto alla pianta organica che ne prevede trentatré.
Ma, ci spiega l’ispettore Frisenda, c’è il trucco: la pianta organica di 33 è quella che era stata prevista in funzione del fatto che la struttura sarebbe dovuta divenire, dopo la riapertura avvenuta nel 2014, una Casa a custodia attenuata, con celle aperte, ecc. Invece, il carcere viene utilizzato come casa circondariale e con gli agenti effettivamente in servizio – costretti spesso a lavorare per otto ore anziché sei ore – non si riesce a garantire ai detenuti le attività rieducative/trattamentali. Questi turni, a lungo andare, ci spiega ancora l’ispettore Frisenda, incidono pesantemente sulla salute degli agenti della polizia penitenziaria che ha il compito istituzionale di “ben custodire” le persone che, magari anche innocenti, vengono loro affidate.
Pure gli agenti della polizia penitenziaria si ammalano: “dei 47 assegnati, otto agenti sono assenti per lunga malattia”, ci dice ancora l’ispettore Frisenda. Dopo essere stati visitati all’ospedale militare di Messina (a cui fa capo tutta l’Italia meridionale), sono risultati affetti da ansia. Malattia che – verosimilmente – hanno potuto contrarre sul luogo di lavoro.
Addirittura è uno stesso detenuto di origine rumena che ci fa notare come, agli agenti, molto spesso non viene dato il dovuto riposo: “finiscono un turno e ne devono ricominciare un altro”, ci dice.
I primi detenuti che incontriamo sono lavoranti e si trovano in cucina. Li vediamo dalla finestra della porta che però è chiusa perché, ci spiega ancora l’ispettore Frisenda, non essendoci agenti per fare la guardia li tengono chiusi lì a lavorare, evitando che – dalla cucina – esca qualche coltello o altro oggetto pericoloso.
C’è un campo sportivo, c’è la palestra utilizzabile solo un giorno alla settimana (tra l’altro in un orario che non permette ai detenuti di seguire la scuola se vanno in palestra), c’è la scuola media ma gli stessi detenuti ci dicono che ancora a gennaio “si stanno organizzando”, e c’è pure un teatro con degli strumenti musicali dove i detenuti potrebbero svolgere molte attività, ma il problema è che mancano gli agenti per potergliele fare svolgere. Idem per la falegnameria e il laboratorio dei “fabbri”, anche questi pressoché inutilizzati per carenza di agenti e di cooperative esterne.
C’è il servizio medico diretto dal dottor Verrina per l’ASL 202, ma il medico di guardia che incontriamo, il dottor Lamanna, ci dice che funziona soltanto per dodici ore al giorno.
Incontriamo tutti i detenuti, li salutiamo ad uno ad uno porgendogli gli auguri per Capodanno e ringraziandoli per il digiuno di due giorni fatto a sostegno della Marcia per l’amnistia del 6 novembre 2016 intitolata a Papa Francesco e Marco Pannella. Molti detenuti li incontriamo mentre sono ai passeggi, altri invece nelle celle dove pure passiamo.
Quando li ringraziamo per il digiuno e gli diciamo – cosa che già hanno sentito da radio radicale – che se il Partito Radicale Nonviolento non fa tremila iscritti entro il 2017 lo stesso sarà costretto a chiudere ci chiedono come possono fare ad iscriversi. Ci chiedono se abbiamo i bollettini, ma l’ispettore ci fa segno di evitare di darli. Pertanto ci segniamo i nomi dei detenuti che ce li hanno chiesti e glieli spediremo per posta. Il problema più grosso che – “coralmente” -, praticamente tutti, ci rappresentano è legato alla pressoché totale assenza di attività lavorativa. Solo in sedici riescono a lavorare alla dipendenze del DAP, facendo lavori tipici di un penitenziario come lo scopino. o il porta vitto, assai poco spendibili fuori; solo tre detenuti sono in articolo 21 e uno che la vora da semi-libero in proprio. Tutti gli altri – praticamente – stanno chiusi e oziano per 16 ore al giorno nelle celle.
La capienza regolamentare di 120 detenuti, al momento della visita, è superata dai 128 presenti tutti ristretti per reati comuni (ex. circuito Media Sicurezza). Ben 40 detenuti (il 31% del totale) sono in attesa di un giudizio definitivo e, di questi, 26 detenuti (il 20% del totale) sono solamente imputati, in carcere per esigenze di custodia cautelare. Ci segnalano i detenuti che incontriamo ai passeggi che, nella cella numero 12 del secondo piano, in un cubicolo che sarebbe da tre persone ci stanno in sei: andateli a vedere, ci dicono. Poi, in realtà, ci accorgiamo che, praticamente, è così in tutte le celle: sia nei cubicoli da due ci vivono in quattro, sia nelle celle da tre posti dove stanno in sei.
Erano ben informati della nostra visita e in moti ascoltano radio radicale. Tra questi c’è Ally Said Kihingi, originario del Burundi, che ci dice addirittura d’essere un “tifoso” di radio radicale, che l’ascolta sempre e che qualcuno dei suo compagni di sventura lo prende in giro per questo.
In tutto ciò, anche a Crotone, notiamo che, scorporando i metri quadri occupati dalle brande come stabilito dalla recente sentenza della Cassazione, nelle celle dove sono presenti 6 detenuti con tre letti a castello, probabilmente non risulta rispettato il valore minimo dei tre metri quadrati per detenuto sotto i quali scatta automaticamente il trattamento inumano e degradante.
Sessantasei detenuti sono stranieri, ma anche a Crotone non c’è il mediatore culturale. Settantadue detenuti risiedono fuori regione e, dei presenti, solo 30 detenuti effettuano colloqui regolari. Dulcis in fundo: a fronte di una pianta organica che ne prevede tre, ci sono solo due educatori effettivamente in servizio. Ernesto Mauro che è alla sua prima visita, quando usciamo, ci dice di aver provato tristezza, molta tristezza, nel vedere quelle condizioni in cui vivono i detenuti e, soprattutto, sentirli continuamente lamentare perché non hanno lavoro e non fanno attività rieducative serie.
Quello che abbiamo visto a Crotone, rappresenta il quadro di quello che potremmo chiamare galere da Stato canaglia, carceri lontane dallo Stato di diritto, lontane da regole e dichiarazioni internazionali che a suon di dichiarazioni solenni si promette di rispettare e, soprattuto, dal dettato costituzionale stesso che, all’articolo 27, prevede espressamente che la pena detentiva abbia come fine la rieducazione e al reinserimento sociale dei detenuti. Tutti, nessuno escluso.
N.B. Le visite natalizie del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito in Calabria proseguono, martedì 3 gennaio 2017 – con la presenza di Rita Bernardini – alla casa circondariale G. Panzera a Reggio Calabria; mercoledì 4 gennaio – sempre Rita Bernardini con Gianpaolo Catanzariti, saranno in visita alla casa circondariale di Arghillà (RC) mentre Giuseppe Candido e Rocco Ruffa visiteranno la casa di Reclusione di Rossano Calabro. Giovedì 5 gennaio, Rita Bernardini visiterà anche il carcere di Palmi (RC).