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Un duro attacco alla scuola e alla libertà di insegnamento.

Non più aggiornamento professionale continuo ma formazione obbligatoria. Ecco a cosa punta il Governo con la buona scuola.

Con il nuovo documento dedicato alla formazione obbligatoria per i docenti il governo si propone di mutare completamente la metodologia didattica sino a oggi utilizzata dagli insegnanti. Continua la lettura di Un duro attacco alla scuola e alla libertà di insegnamento.

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Libero come un uomo

di Maria Elisabetta Curtosi


“La libertà non è star sopra un albero

non è neanche il volo di un moscone

la libertà non è uno spazio libero

libertà è partecipazione.

 

Vorrei essere libero, libero come un uomo.

 

Come l’uomo più evoluto

che si innalza con la propria intelligenza

e che sfida la natura

con la forza incontrastata della scienza

con addosso l’entusiasmo

di spaziare senza limiti nel cosmo

e convinto che la forza del pensiero

sia la sola libertà.”

 

Quasi quarant’anni orsono, così cantava il signor G, per gli amici estimatori delle sue note, ed era solo il 1973. C’è da dolersene se canticchiandola magari rabbrividiamo? Magari con questo repentino arrivo d’autunno per l’aria fresca questo è normale.

O magari invece viene da porsi qualche domanda, tra un “ddl” e l’altro, non siamo tanto sicuri che la nostra libertà sia veramente protetta e preservata, quasi come fosse la foca monaca dei caraibi ormai in via d’estinzione. La Natura è equilibrio e l’uomo non fa altro che metterlo in serissimo pericolo.

E per questo possiamo permetterci di dubitare di essere liberi per natura. Magari dobbiamo sottometterci al fato come  il “pius” Enea o chissà abbiamo la fortuna di essere noi gli artefici: homo faber fortunae suae.

Io so questo: che chi pretende la libertà, poi non sa cosa farsene. Dixit Pasolini.

 

 

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Nati per crederci liberi: il divinatore Tolstoj

di Maria Elisabetta Curtosi

Lev Nikolaevič Tolstoj

Il celebre autore russo Lev Tolstoj ancora una volta ci regala una delle sue più brillanti profezie. Si tratta di testo ritrovato, per nostra grande fortuna, da Roberto Coaloa che lo ha presentato a Gorizia nel corso di un festival, in cui Tolstoj riflette sugli aspetti politici e sociali di inizio Novecento auspicando una ‘rivoluzione’ basata su <<L’euguaglianza di tutti gli uomini e di una libertà autentica, quella proprio degli essere ragionevoli >>.

Una nuova visione del vivere e di comunione tra gli uomini.

 

Il testo è per noi tanto fondamentale quanto mai divinatorio. Da esso scaturisce, da un lato il momento storico a lui contemporaneo quindi la guerra del 1904 e la successiva rivoluzione del 1905, dall’altra possiamo ritrovare il nostro spirito di rinnovamento politico e sociale che è diventato necessità, l’urgenza di cambiare rotta, e quindi la nostra di ‘rivoluzione’; tutto ciò dopo che è trascorso poco più di un secolo soltanto.

Non è forse attuale l’epoca di Tolstoj dove << è sorto un inganno che ha riconfermato i popoli nella loro condizione servile . Ed esso si manifesta mediante un complesso sistema d’elezione, dove degli uomini eletti da un dato popolo, divengono delegati entro le varie istituzioni rappresentative, entro le quali eleggeranno a loro volta o senza alcun criterio dei candidati sconosciuti, o i propri rappresentanti secondo personali interessi; il popolo stesso sarà allora una delle cause del potere del governo, e pertanto, obbedendo ad esso, crederà in effetti di obbedire a se medesimo, supponendo di vivere quindi in un regime di libertà >>.

I governi sono ingannatori sottolinea lo scrittore e continua << Chiunque avrebbe potuto accorgersi che tutto ciò non era altro che un imbroglio, sia in teoria sia in pratica, giacché anche nel più democratico dei sistemi e anche laddove vige il suffragio universale, il popolo non può comunque esprimere la propria volontà. E non può esprimerla, in primo luogo, perché una simile volontà collettiva di tutt’un popolo, di molti milioni di persone, non esiste e non può esistere; in secondo luogo, perché, anche se esistesse tale volontà collettiva, una maggioranza di voti non potrebbe comunque esprimerla pienamente in alcun modo >>.

L’immoralità dei governanti, la decadenza atroce delle società cosiddette civile.

<< Questo inganno – anche a tacere del fatto che gli uomini eletti in tal modo, partecipando al governo del loro Paese, approvano leggi e governano il popolo non in vista di ciò che è bene per esso, ma lasciandosi guidare per lo più, unicamente, dall’intento di mantenere salda la propria posizione di privilegio e il proprio potere frammezzo alle lotte dei vari partiti, e per tacere altresì della depravazione che questo inganno diffonde tra il popolo mediante le menzogne, lo stordimento e le corruzioni che sono caratteristica costante dei periodi elettorali >>.

Queste parole risuonano come un tonfo spaventoso nel silenzio oramai assordante della nostra società dove il popolo presume di autogovernarsi in una selvaggia lotta tra partiti, degli intrighi, della sete di potere e dell’interesse personale e poco importa della volontà e dei desideri del popolo tutto. << Gli uomini si imbattono in questa trappola s’immaginano davvero d’obbedire a se stessi ogni volta che ascoltano il governo >> .

Questo è un popolo che si illude di essere libero << sono come uomini rinchiusi in carcere che s’immaginano di esseri liberi perché viene concesso loro il diritto il diritto di votare per l’elezione dei carcerieri delegati all’amministrazione interna dello stesso carcere >>.

Cosicché gli uomini immaginandosi di essere liberi, proprio a tale sforzo di immaginazione finiscono per non sapere nemmeno più in cosa consista l’autentica libertà. Questi individui, mentre credono di liberare se stessi, si condannano in realtà a divenire sempre più profondamente schiavi del loro governi.

In difinitiva è la forma del tolstojanesimo: non c’è altra “via d’uscita” o così o la rivoluzione e quindi la rovina “la fine di un mondo”. Ma si preoccupa Tolstoj di precisare il suo “rifiuto ad ogni violenza”, il “credo” che poi spingerà il giovane Gandhi nel 1909, a scrivere all’ormai famoso e anziano scrittore.

 

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Siamo tutti liberali?

di Giuseppe Candido

Pubblicato su “Il Domani della Calabria” del 16 novembre 20110

Sinistra e Libertà, il Popolo della Libertà, Futuro e Libertà. Poi ci sono anche le fondazioni come Libertiamo e i giornali come Liberamente e Liberal. L’attualità delle riflessioni sul concetto di liberalismo ci mostrano – come scrive la rivista Critica Liberale – “Un fervore intellettuale neppure immaginabile sino a qualche tempo addietro. Oggi, tutti (o quasi) si dicono liberali e come tali tutti (o quasi) si mostrano solleciti per le sorti della libertà”. Poiché c’è però davvero il rischio che, nel “siamo tutti liberali”, proprio un concetto cardine della democrazia come quello di liberalismo rimanga indefinito sembra opportuno ricordare qualche definizione per ridurre la possibilità di equivoci.

Carlo Rosselli, ne Socialismo liberale, molto di più di un’utopia ci suggerisce l’idea di Libertà come supremo fine scrivendo che “Il liberalismo può definirsi come quella teoria politica che, partendo dal presupposto della libertà dello spirito umano, dichiara la libertà supremo fine, supremo mezzo, suprema regola della umana convivenza”. E spiega: “Non si nasce, ma si diventa liberi. E ci si conserva liberi solo mantenendo attiva e vigilante la coscienza della propria autonomia e costantemente esercitando le proprie libertà”.

Ma se per Rosselli la libertà è un fine per Piero Gobetti, giornalista, politico antifascista e promotore della rivista culturale Energie Nuove, la libertà diventa anche metodo. “Il metodo del liberalismo, lo si consideri nella sua sostanza economica o etica o costituzionale, consiste nel riconoscimento della necessità della lotta politica per la vita della società moderna. L’importanza di un’opposizione per l’opera del governo, la tutela delle minoranze, lo studio dei congegni più raffinati per le elezioni e per l’amministrazione pubblica, le conquiste costituzionali, frutto di rivoluzioni secolari sono il patrimonio comune della maturità politica e devono intendersi come problemi di costume politico propri dei liberali, come dei loro eredi o avversari che non siano ingenuamente teneri per gli anacronismi o per le esercitazioni oratorie di filosofia politica”. Già nel 1923 sulla rivista La Rivoluzione liberale, Gobetti sottolineava un particolare discriminante: “Se concediamo ai conservatori di chiamarsi liberali non sapremmo più che cosa obbiettare ai nuovissimi tiranni che parlano, per demoniache tentazioni di dialettici fantasmi, della libertà vera come libertà contenuta nei limiti della legge (mentre nel caso specifico ci accontenteremo di ricordare maliziosamente al Gentile che raramente i filosofi seppero sottrarsi al fascino dell’autorità per le stesse ragioni per cui le donnicciuole più espansive venerano il bastone)”. E ancora: “Il nostro liberalismo, che chiamammo rivoluzionario per evitare ogni equivoco, s’inspira a una inesorabile passione libertaria, vede nella realtà un contrasto di forze, capace di produrre sempre nuove aristocrazie dirigenti a patto che nuove classi popolari ravvivino la lotta con la loro disperata volontà di elevazione, intende l’equilibrio degli ordinamenti politici in funzione delle autonomie economiche, accetta la costituzione solo come una garanzia da ricreare e da rinnovare. Lo Stato è l’equilibrio in cui ogni giorno si compongono questi liberi contrasti: il compito della classe politica consiste nel tradurre le esigenze e gli istinti in armonie storiche e giuridiche. Lo Stato non è se non è la lotta”. L’animo liberale ha in se dunque il germe stesso della laicità e dalla libertà di religione costruisce nella sua quotidiana lotta una religione della libertà.

“La dottrina dello Stato liberale” – ci dice ancora Norberto Bobbio nel volume Dalla libertà dei moderni comparata a quella dei posteri, ora pubblicato da Einaudi – “si presenta al suo sorgere come la difesa dello Stato limitato contro lo Stato assoluto. Per Stato assoluto si intende lo Stato in cui il sovrano è legibus solutus e il cui potere è quindi senza limiti, arbitrario. Lo Stato limitato è per contro lo Stato in cui il supremo potere è limitato sia dalla legge divina e naturale (i c.d. diritti naturali inalienabili e inviolabili), sia dalle leggi civili attraverso la costituzione pattuita (fondamento contrattualistico del potere). ” Per maggiore chiarezza Bobbio distingue “due forme di limitazione del potere: una limitazione materiale, che consiste nel sottrarre agli imperativi positivi e negativi del sovrano una sfera di comportamenti che sono riconosciuti per natura liberi (la c.d. sfera di liceità); e una limitazione formale che consiste nel porre tutti gli organi di potere statale al di sotto delle leggi generali dello Stato medesimo”. Non può perciò definirsi liberale colui che spera soltanto lontanamente di evadere queste limitazioni. Perché, aggiunge Bobbio, “La prima limitazione è fondata sul principio della garanzia dei diritti individuali da parte dei poteri pubblici: la seconda sul controllo dei pubblici poteri da parte degli individui. Garanzia di diritti e controllo dei poteri sono i due tratti caratteristici dello Stato liberale”.

C’è da chiedersi, volendo rispettare queste definizioni, quanti possano davvero dirsi, nei fatti, liberali.

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