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Carta sismo-tettonica e franosità della Valle Crati

Presentazione della Carta sismotettonica e della franosità della Valle del Fiume Crati con Carlo Tansi.
Concluderà i lavori il Governatore della Calabria. Interverranno i Sindaci e gli Ordini Professionali Continua la lettura di Carta sismo-tettonica e franosità della Valle Crati

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Frana la Calabria, è la “peste” idrogeologica

La frana in località Foresta del Comune di Petilia Policastro, in provincia di Crotone, dove sabato 31 gennaio è crollata un’intera palazzina e altre tre sono state evacuate, è l’ennesimo esempio di eventi – talora anche più disastrosi – che, ogni qualvolta piove un po’ di più, si generano diffusamente per tutto il territorio calabrese.

Un territorio che, come ha ricordato l’attuale presidente dei geologi calabresi e come da tempo ci dice la scienza ufficiale, ha il 100% dei comuni con aree a rischio frana e/o alluvione.

di Giuseppe Candido

Una storia, quella di Petilia, che si ripete sistematicamente e che, per commentarla, basterebbe ricordare ciò che il presidente dell’ordine dei geologi scriveva, oltre quarant’anni fa, a seguito degli eventi alluvionali del dicembre del 1972 e gennaio ’73 in Calabria : già allora, i custodi della terra,ravvisavano nell’erroneo, distorto e  speculativo uso del suolo, la causa prima Dello sfasciume idrogeologico“.
E a queste parole aggiungevano che “l’aver sempre trascurato la natura del suolo, la consistenza e la distribuzione delle risorse naturali, ha portato a scelte urbanistiche che sono entrate in contraddizione con il territorio stesso”. Continua la lettura di Frana la Calabria, è la “peste” idrogeologica

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I costi della mancata prevenzione del rischio sismico e idrogeologico

di Giuseppe Candido

Pubblicato su “il Domani della Calabria” del 23 novembre 2010

Che l’Italia, con regioni come la Calabria in testa, sia un paese ad alto rischio idrogeologico e sismico è ormai sotto gli occhi di tutti. Quello che invece spesso non è chiaro è quanto ci costa il non governo e il malgoverno dei territorio. Il rapporto sullo stato del territorio italiano 2010 curato dal Centro Studi del Consiglio nazionale dei Geologi e titolato “Terra e sviluppo”, tra rifiuti, problema energetico e consumo di suolo nel nostro bel Paese affronta proprio il tema dei costi. Nello studio curato dal Gruppo ricerche Cresme coordinato da Paola Riggio e diretto da Lorenzo Bellicini, si cerca di definire proprio quanto il dissesto idrogeologico e i terremoti abbiano inciso sui costi nel nostro paese, il tutto in una chiave storica. Con i dati raccolti è stato fatto “il punto sui costi complessivi dei fenomeni idrogeologici e sismici a partire dal 1944 al 2009, sulla spesa effettiva per interventi per l’assetto idrogeologico e la difesa del suolo tra il 1996 e il 2008 e sul mercato dei bandi di gara per lavori per il dissesto idrogeologico e i terremoti tra il 2002 e il 2009”.

Il quadro dei costi complessivi del dissesto idrogeologico e dei terremoti a partire dal 1944 al 2009 fa paura. Nell’esaminarli si è tenuto conto – come si legge nel dossier – “delle spese per l’emergenza e il pronto soccorso necessari per far fronte all’evento calamitoso, da attuare nel breve termine e con particolare riferimento ai disagi delle popolazioni interessate, per la ricostruzione post-evento delle opere infrastrutturali e del patrimonio edilizio danneggiato o distrutto, nonché i contributi finalizzati alla ripresa delle attività economiche interrotte e per lo sviluppo del territorio e in alcuni casi gli oneri connessi alle agevolazioni di carattere fiscale e contributivo”.

Le cifre del rischio sismico e idrogeologico in Italia snocciolate nel rapporto tengono conto dei dati del lavoro pubblicato da Vincenzo Catenacci nel 1992 e che prende in considerazione gli eventi avvenuti tra il 1944 e il 1990. “Centocinquanta due eventi calamitosi tra terremoti tettonici, fenomeni idrogeologici, ovvero dissesti idrogeologici e frane, il bradisismo flegreo, l’inquinamento acquifero e le eruzioni vulcaniche, per i quali sono stati stanziati nel complesso oltre 142 mila miliardi di lire a prezzi 1990 che attualizzati a valori 2009, sulla base degli indici ISTAT di rivalutazione monetaria, ammontano a circa 127 miliardi di euro”. Ovviamente, c’è scritto nello studio, “la principale voce di spesa riguarda i terremoti: oltre 95 miliardi di euro di risorse stanziate tra il 1944 e il 1990, pari al 75% delle risorse destinate a tutti gli eventi calamitosi censiti”. La seconda voce di spesa in ordine d’importanza è quella dei fenomeni idrogeologici, che con quasi 30 miliardi rappresentano circa un quarto delle risorse stanziate nell’intero periodo considerato.

Questi dati sono stati integrati con quelli a disposizione del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Direzione Generale per la Tutela del Territorio e delle Risorse Idriche, per i costi del dissesto idrogeologico tra il 1951 e il 2009 assieme ai dati del Dipartimento della Protezione Civile e del Servizio Studi della Camera dei Deputati per i costi degli eventi sismici succedutisi dal 1968 al 2009.

Negli ultimi quarant’anni si sono verificati numerosi eventi di dissesto idrogeologico che hanno avuto effetti catastrofici. Tra i principali quello di Firenze nel 1966, a Genova nel 1970, ad Ancona nel 1982, in Val di Fiemme nel 1985, in Valtellina nel 1987, in Piemonte 1994, in Versilia nel 1996, a Sarno e Quindici nel 1998, a Soverato e nel Nord-Ovest dell’Italia nel 2000, in Valbruna nel 2003, a Varenna e a Nocera Inferiore nel 2005, a Cassano delle Murge nel 2005, ad Ischia e a Vibo Valentia nel 2006, a Messina nel 2009. Quelli del 2010 in Calabria, in Veneto e in Campania sono sotto gli occhi di tutti. E, secondo lo studio, “questa crescente incidenza degli eventi catastrofici corrisponde ad un progressivo aumento del rischio idrogeologico legato all’aumento del territorio antropizzato e all’espansione del tessuto urbano spesso in aree instabili che ha interessato il territorio nazionale a partire dal dopoguerra”.

Nel complesso, lo studio “ha portato a stimare i costi complessivi del dissesto idrogeologico e dei terremoti, a prezzi 2009, tra un valore minimo di 176 miliardi di euro e uno massimo di 213”. La differenza – si legge testualmente – “è da attribuire al costo dei terremoti che, a seconda delle fonti informative, varia da un minimo di 124 miliardi di euro a un massimo di 161”.

Dall’inizio del secolo, sempre per quanto riportato nello studio dei Geologi, il dissesto idrogeologico da solo ha provocato nel nostro bel Paese “circa 12.600 tra morti, dispersi o feriti ed il numero di sfollati supera i 700 mila. Gli eventi con danni gravi sono stati oltre 4.000, dei quali 1.600 hanno prodotto vittime”. E come ci accorgiamo un po’ tutti a braccio, “Dall’analisi dei dati storici emerge che la stagione che presenta una maggiore incidenza degli eventi disastrosi è l’autunno, quando aumentano le precipitazioni”.

Ma c’è di più: “Dall’analisi dei dati emerge che tra il 1985 e il 2001 si sono verificati circa 15.000 eventi, di cui 13.500 frane e 1.500 piene, con un picco significativo registrato nella seconda metà degli anni Novanta. Alcuni di questi hanno avuto ripercussioni sulla popolazione, provocando vittime o danneggiando i centri abitati”. Un’apocalisse alla quale si aggiunge quella dei terremoti.

Un capitolo del dossier viene infatti dedicato agli eventi sismici che hanno colpito il nostro Paese. Ogni anno in Italia, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, attraverso le registrazioni della Rete Sismica Nazionale, localizza dai 1.700 ai 2.500 eventi di magnitudo pari o superiore a 2,5. Nel rapporto si legge che “in media in Italia ogni 100 anni si verificano più di 100 terremoti di magnitudo compresa tra 5,0 e 6,0 e dai 5 ai 10 terremoti di magnitudo superiore a 6,0”.

Tra i terremoti italiani più rovinosi del ’900, nello studio presentato dai geologi, si ricordano esplicitamente quello del 1905 in Calabria (M=6,8 – I=X – 557 vittime), quello del 1908 Calabro Messinese (M=7,1 – I=XI – 80.000 vittime), nel 1915 ad Avezzano (M=6,9 – I=XI – 33.000 vittime), nel 1930 Irpinia (M=6,7 – I=X – 1.404 vittime), nel 1976 Friuli (M=6,6 – I=X – 965 vittime), e nel 1980 Irpinia-Basilicata (M=6,8 – I=X – 3.000 vittime).

Ma la notizia è che “L’Italia,” – come si legge testualmente nel dossier – “se paragonata al resto del mondo, non è tra i siti dove si concentrano né i terremoti più forti né quelli più distruttivi. La pericolosità sismica del territorio italiano può considerarsi medio-alta nel contesto mediterraneo e addirittura modesta rispetto ad altre zone del pianeta”. Insomma, il nostro problema è il patrimonio edilizio assai vulnerabile. Quello che infatti stupisce nel dossier è che “Il rapporto tra danni l’energia rilasciata nel corso degli eventi è elevato rispetto ad altri Paesi. Ad esempio, il terremoto del 1997 in Umbria e nelle Marche ha prodotto un quadro di danneggiamento confrontabile con quello della California del 1989, malgrado fosse caratterizzato da un’energia circa 30 volte inferiore. Ciò è dovuto principalmente all’elevata densità abitativa e alla notevole fragilità del nostro patrimonio edilizio”. Insomma, quello che fa aumentare il rischio sismico del nostro territorio è proprio la vulnerabilità sismica del patrimonio edilizio italiano che, costruito nella maggior parte durante il boom edilizio degli anni ’50 e ’60 precedentemente l’entrata in vigore della normativa del ’74 per le costruzioni in zone sismiche, risulta inadeguato a resistere alle scosse. E anche i fabbricati di più recente costruzione, come testimoniano i crolli di strutture come l’Ospedale de l’Aquila, non sempre sono stati costruiti rispettando i criteri antisismici più severi.

Davanti a tutte queste cifre spese per l’emergenza e la ricostruzione che incutono timore viene da chiedersi se investire su la prevenzione non sarebbe stato decisamente più conveniente.

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