La relazione della DNA, la necessità di depenalizzare, la “notizia” scomparsa

di Valter Vecellio
(Pubblicato sabato 7 marzo su Cronache del Garantista)

“…Spetterà al legislatore valutare se, in un contesto di più ampio respiro (ipotizziamo almeno europeo, in quanto parliamo di u mercato ormai unitario anche nel settore degli stupefacenti), sia opportuna una depenalizzazione della materia…”.

La “materia” di cui si auspica la depenalizzazione sono le sostanze stupefacenti; l’invito che il legislatore valuti “se” e “come”, viene dalla Direzione Nazionale Antimafia. Si ammetterà che se un simile auspicio, un simile invito, viene dalla DNA, l’unica cosa che non si può fare è proprio quella che si fa: ignorare la notizia, censurarla, evitare di discuterla, magari per dire: che scempiaggini dicono Franco Roberti, i magistrati della DNA; che corbellerie scrivono nella relazione che consegnano al Parlamento.
In questo documento, consegnato al legislatore non solo si scolpisce quello che si è appena citato. Si parla anche di “oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo”, contro lo spaccio e l’uso di droghe leggere. Se ne dovrebbe fare una traduzione e trarne conclusioni: da una parte una profonda revisione delle modalità e delle misure concrete più idonee a garantire, anche in questo ambito, il diritto alla salute del cittadino; ma anche la loro sicurezza e incolumità; e soprattutto “pesare”, le ricadute che la depenalizzazione indiscutibilmente comporta in termini di “alleggerimento” del carico giudiziario: libererebbe energie umane (magistrati, poliziotti), e risorse da utilizzare più utilmente per il contrasto delle mafie nazionali e internazionali che, se ci si pensa bene, hanno tutto l’interesse a che il proibizionismo resti in vigore.
Ora direttamente ai direttori dei giornali e dei mezzi di comunicazione, ai giornalisti, ai commentatori di ogni colore politico e tendenza: le affermazioni della DNA sono o no una “notizia”?

Se la risposta è no, per favore spieghino perché non lo è. Se al contrario è una notizia, per favore spieghino perché non l’hanno riferita, non l’hanno commentata. Hanno lasciato lo scoop a questo al “Garantista”, alla segretaria di Radicali Italiani Rita Bernardini che questo giornale ha ospitato; e a un paio di giornali on line: “Linkiesta” e “ibtimes.com”.

Dal momento che quella relazione si è parlato e scritto, i casi possono essere: a) hanno parlato, scritto e commentato quella relazione senza leggerla, fidandosi dei bignamini forniti dalle agenzie di stampa, facendo riassunti di riassunti; ma non sono andati direttamente alla fonte; questo può dare la misura delle pigrizie, delle superficialità, che spesso sono la cifra della categoria cui chi scrive appartiene sempre meno orgogliosamente; b) la notizia la si voleva dare, commentare, discutere, ma una superiore volontà, una sorta di “Big brother” lo impedisce.
C’è poi una terza possibilità: queste sono notizie sgradite, sgradevoli: ragionare sul fallimento della politica proibizionista implica una serie di conseguenze che si vogliono accuratamente evitare; ma ormai non c’è quasi più bisogno di impartire la “direttiva”, modello agenzia Stefani.

Ormai il riflesso può dirsi pavloviano, e vale per questo come per mille altre questioni. Per fare un esempio paradigmatico: qualcuno sa dire perché tutte le esternazioni, i messaggi, le comunicazioni dell’ormai presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano sono state tutte ampiamente pubblicizzate, dibattute, condivise o respinte; per una sola presa di posizione non c’è stato nulla: quella relativa allo stato della Giustizia in Italia, il solenne messaggio costituzionale inviato al Parlamento: non è solo la denuncia degli orrori e degli abomini che vengono consumati “in nome del popolo italiano”; contiene precise, inderogabili, obbligate soluzioni, se si vuole come si deve, ottemperare alle prescrizioni delle giurisdizioni nazionali ed internazionali.
Un altro esempio: riguarda il presidente della Repubblica in carica Sergio Mattarella; e ci si riferisce a quello che appare quasi un inciso nell’intervento alla Scuola Superiore della Magistratura a Scandicci del 24 febbraio scorso: “…L’ordinamento della Repubblica esige che il magistrato sappia coniugare equità e imparzialità, fornendo una risposta di giustizia tempestiva per essere efficace, assicurando effettività e qualità della giurisdizione…”. Acqua fresca in un paese normale. Ma l’Italia non è un paese normale; e infatti il presidente della Repubblica, con la souplesse che è la sua cifra, sente la necessità di sottolineare la “straordinarietà” di quest’ “acqua fresca”; la cosa dovrebbe pur far riflettere: Mattarella dice è che la giustizia, per essere tale, deve essere ragionevolmente rapida; un qualcosa che è in continuità con l’“irragionevole durata dei processi” denunciata dal suo predecessore.

Nessuno vuole tirare per la giacchetta il presidente; ma è pur significativo quello che ha detto. Non meno indicativo che sia stata lasciata cadere.
Per tornare alla questione sollevata dalla DNA, qualche altra non inutile “divagazione”: concentrare gli sforzi sui pesci grossi, e non occuparci di quelli piccoli, buoni per rimpolpare le statistiche sulle operazioni condotte brillantemente e con successo, circa diecimila persone uscirebbero dal carcere; oltre che giusto (si tratta quasi sempre di persone bisognose di cure, ed è notorio che nel carcere non ci si cura), si decongestionerebbe la situazione delle nostre prigioni; il criminologo Federico Varese calcola un risparmio di 1.124.640 euro al giorno, che potrebbero essere utilizzati più utilmente. Ovviamente se ne dovrebbe e potrebbe discutere. Non lo si fa.
Questa miscela di censura, superficialità, letterale ignoranza non è la prima volta che produce i suoi micidiali risultati. E’ il 1998 quando l’allora Procuratore Generale della Corte di Cassazione Ferdinando Zucconi Galli Fonseca, nella solenne cornice dell’apertura dell’Anno Giudiziario, rileva che una politica esclusivamente repressiva, come quella attuata fino ad oggi in Italia, non basta a stroncare il fenomeno, che “occorre dunque trovare nuove strade, nuove soluzioni al problema…è necessario considerare con grande attenzione le nuove impostazioni criminologiche e terapeutiche condotte in alcuni paesi, mediante iniziative non di liberalizzazione, ma di somministrazione controllata delle droghe, sulla base di prescrizioni mediche, inserite in programmi di assistenza e di reinserimento dei tossicomani”. Anche allora nessuno si accorge di quel “passaggio” della relazione; solo l’occhiuto Marco Pannella coglie l’importanza dell’affermazione, e la “rivela”. Ma anche allora, dopo le rituali polemiche dei soliti Gasparri e Giovanardi, nessun vero dibattito, nessun vero confronto.
Del resto…trent’anni fa in un libro che non stranamente non suscita particolare clamore, si può leggere che

“…Se le droghe fossero legalmente disponibili, ogni possibile profitto da questa inumana attività, sparirebbe in larga misura, perché il tossicomane potrebbe comperare da una fonte meno cara…il singolo tossicomane avrebbe netti vantaggi dalla legalizzazione della droga. Oggi le droghe sono sia estremamente care sia di qualità molto incerta. I tossicomani sono spinti a collegarsi con i criminali per ottenere la droga e diventano criminali essi stessi per finanziare l’abitudine. Corrono costantemente rischi di morte e di malattia…Si stima che da un terzo a metà di tutti i reati di natura violenta o contro la proprietà negli Stati Uniti siano commessi o da tossicomani dediti ad attività criminali per finanziare la loro abitudine, o da scontri tra gruppi rivali di spacciatori o nel corso dell’importazione e della distribuzione di droghe illegali. Con la legalizzazione delle droghe, la criminalità di strada crollerebbe immediatamente. Di più, tossicomani e spacciatori non sono il soli ad essere corrotti. Quando sono in gioco somme immense, è inevitabile che qualche poliziotto relativamente sottopagato o qualche altro funzionario pubblico – anche tra quelli ben pagati – soccomba alla tentazione del facile arricchimento…per quanto le droghe siano dannose per quanti le usano, è nostra ponderata opinione che cercare di proibirne l’uso fa ancora più male sia a chi le usa sia a noi. La legalizzazione delle droghe ridurrebbe simultaneamente il numero dei delitti e migliorerebbe il rispetto della legge. E’ difficile immaginare qualunque altro singolo provvedimento che possa dare un maggiore contributo alla promozione della legge e dell’ordine…”.

Questo libro non è stato scritto da Pannella, come pure potrebbe sembrare. Questo libro si chiama “Contro lo Status Quo”, ed è stato scritto da un premio Nobel dell’economia americano e da sua moglie, dichiaratamente conservatori, sia pure venati da libertarismo, come solo negli Stati Uniti può accadere, dei Clint Eastwood dell’università, per capirci. Si chiamavano Milton e Rose Friedman. Pensarci sopra non sarebbe male; su quello che dicevano, valido anche oggi; e sul perché non lo si è fatto e non lo si continua a fare. Vedi un po’ a che approdi ci può portare la relazione della DNA al Parlamento…


Leggi la relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia

Oppure leggi, sullo stesso argomento … anche altro

cannabis2

Articolo di Giuseppe Candido pubblicato da Cronache del Garantista 20/ottobre/2014
Articolo di Giuseppe Candido pubblicato da Cronache del Garantista 20/ottobre/2014

 

Share