Marco Pannella

Amnistia? No, chi ha sbagliato deve pagare !

di Giuseppe Candido

È questo il bisogno “ruvido” di giustizia, di cui parla oggi Massimo Adinolfi su l’Unità. Pratico, comodo da propagandare sia dalle pagine dei giornali sia nelle aule parlamentari, che si va diffondendo nel Paese ma che porta con sé la triste concezione della pena con mero fine “vendicativo” e perciò assai lontana dalla nostra Costituzione (la più bella del mondo, ma la più disattesa) e dal diritto internazionale. Non può esistere pena se non quella che viene eseguita secondo la legge. Per questo motivo, lo scorso 23 settembre, Marco Pannella, quale presidente del Partito Radicale Nonviolento, e l’Avv. Giuseppe Rossodivita, presidente del comitato Radicale per la Giustizia, Piero Calamandrei, forti della sentenza pilota “Torregiani e altri” che ha condannato l’Italia ed è divenuta definitiva, hanno inviato ben 675 “atti di significazione e di diffida” a tutti i Presidenti dei Tribunali Italiani, ai Procuratori Capo di tutte le Procure Italiane, ai Presidenti degli Uffici GIP di tutti i Tribunali Italiani, ai Direttori delle Carceri italiane, e a tutti gli Uffici di Sorveglianza della Repubblica. Partendo dal contenuto della sentenza pilota della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, le diffide inviate spiegano ai Giudici e ai direttori delle carceri, il perché, attualmente, decine di migliaia di detenuti, sia in esecuzione pena, sia in custodia cautelare, sono sottoposti ad una pena o ad una misura, tecnicamente, illegali.

Dopo il messaggio di Napolitano alle Camere, Marco Pannella che dal 2005 porta avanti questa battaglia, da Potenza coi suoi compagni rilancia ancora una volta la lotta non violenta per l’amnistia con uno sciopero totale della fame e della sete.

Ma sembra invece che solo la parola “amnistia” pronunciata dal Presidente provochi, in alcune forze politiche, gli istinti giustizialisti più reconditi da morale un po’ reazionaria. Per costoro non c’è sovraffollamento delle carceri, non c’è trattamento inumano o tortura che valga quel discorso di Napolitano. Quello che stupisce non è certo la posizione da sempre forcaiola della Lega. Quello che invece stupisce è la posizione del M5S espressa prima ancora che il Presidente inviasse il messaggio alle Camere, dai deputati grillini della Commissione Giustizia e pubblicato lo scorso 2 ottobre dal Tempo col titolo “Basta malapolitica, servono galere a cinque stelle”.

Non sentendomi rappresentato dalla definizione di “malapolitica”, da ex candidato alla Camera per la lista “Amnistia Giustizia Libertà”, ma anche da simpatizzante un po’ grillino, rispondo ai deputati penta-stellati proprio con le parole che Beppe Grillo usò poco tempo addietro: “Marco Pannella” – scriveva sul suo blog nel 2011 – “si sta battendo per una causa giusta, contro le morti in carcere, ogni anno più di 150. Non ci vogliono più carceri,” – sosteneva a furor di blog – “ma meno detenuti”. E aggiungeva: “Va abolita la legge Fini-Giovanardi che criminalizza l’uso della marijuana. I reati amministrativi vanno sanzionati con gli arresti domiciliari e un lavoro di carattere sociale. Inoltre, quando questo sia possibile, gli stranieri, extracomunitari o meno, devono poter scontare la pena nel loro Paese d’origine”.

Oggi invece, quando il suo movimento è in Parlamento e potrebbe fare qualcosa per cessare subito, nei tempi che l’Europa ci impone, quella che è una situazione inumana e degradante, Beppe Grillo tuona: di amnistia non se ne deve neanche parlare. Solo perché, sostiene, potrebbe essere un regalo a Berlusconi. Ma è il Parlamento che dovrebbe decidere su quali reati concedere l’amnistia. Magari partendo proprio da quelli che si vuole depenalizzare perché non destano allarme sociale. Quello di Berlusconi però è davvero un chiodo fisso; non si vuol comprendere o si fa finta di non capire che un provvedimento di amnistia e d’indulto, così come prevede la nostra Costituzione e così come di recente ha ricordato pure il Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, sono gli unici in grado, da subito, di far rientrare l’Italia nell’ambito della propria legalità costituzionale e del diritto europeo. Ed evitare le pesanti condanne di risarcimento. I Deputati a 5 Stelle sostengono di aver “studiato e approfondito” bene il problema e che che si sarebbero “accorti” che questa “supposta emergenza carceri è stata provocata dalla stessa politica e dalla stessa burocrazia che la doveva risolvere”. Purtroppo però, l’ha spiegato bene anche il Presidente, la loro proposta di ristrutturazione delle patrie galere sarebbe pronta, proprio come loro stessi affermano, solo alla fine del 2015 e perciò ben oltre il tempo ultimo che l’Europa ci ha concesso per uscire dalla strutturale e sistemica violazione dell’articolo 3 della CEDU. E intanto che facciamo? Deroghiamo i diritti umani? Proseguiamo a violare la convenzione? Ce ne infischiamo della nostra Costituzione? Mentre discutiamo i detenuti intanto sono torturati, si suicidano, le violenze in carcere aumentano e aumentano pure i disagi di chi in carcere ci lavora essendo costretto, quotidianamente, a torturate i propri simili. Senza contare che chi esce da queste galere è peggiore di prima, con buona pace del fine rieducativo della pena che dovrebbe tendere al reinserimento sociale.

Lo scorso 8 gennaio l’Italia è stata condannata con una sentenza definita “pilota” dall’Europa per violazioni dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che vieta trattamenti inumani e degradanti, non occasionali ma addirittura “sistematiche e strutturali”. Il 28 maggio 2013, rigettato il ricorso dell’Italia avverso quella condanna, la stessa è divenuta definitiva. L’Italia deve adeguarsi subito entro il 28 maggio 2014 perché dopo, perdurando le condizioni attuali, anche gli altri ricorsi ora pendenti, assieme ai tanti che si potranno produrre, saranno accolti dalla Corte. Quando Marco Pannella chiede l’amnistia per la Repubblica non lo fa solo per “caritatevole compassione” verso chi quei trattamenti inumani e degradanti li subisce; sopratutto lo fa per chiedere alle Istituzioni, al Parlamento in primis, di far rientrare lo Stato nell’alveo della propria legalità. Casomai la compassione la si ha, dice Pannella, verso uno Stato di Diritto che smette di essere tale.

Oggi che il Presidente Napolitano, nella sua veste più alta, ha inviato alle Camere il messaggio sulle disumane condizioni delle carceri e sulla condizione della giustizia, l’ottavo reso ai sensi dell’articolo 87 della Costituzione in tutta la storia repubblicana, sarebbe proprio il caso di valutarlo con molta attenzione; magari con minore enfasi elettorale, perché se è vero che elettoralmente parlando l’amnistia è poco popolare, è vero ancor di più che è dalla vita del Diritto che scaturisce il diritto alla vita. Non viceversa.

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