Il ddl “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e deleghe per il riordino delle disposizioni legislative vigenti” arriva in discussione al Senato con una serie di osservazioni e proposte di modifiche depositate in VII Commissione Cultura dalle sigle sindacali del personale della scuola.
In questi mesi di scioperi, nonostante mobilitazioni e manifestazioni in tantissime piazze d’Italia, coloro che hanno elaborato la proposta di riforma, non solo non hanno tenuto conto delle richieste delle donne e degli uomini che la scuola la fanno, ma, durante l’approvazione alla Camera, – secondo la Gilda Unams – addirittura “l’hanno modificato in peggio”.
Adesso – scrive l’associazione degli insegnanti nella sua nota di osservazioni e proposte – “i tempi di approvazione del ddl pregiudicano la stabilizzazione dei precari e la determinazione degli organici dell’autonomia mettendo a rischio il regolare avvio dell’anno scolastico 2015/16.
Per questo, dopo aver ricordato la sentenza della Corte di Giustizia europea dello scorso 26 novembre di cui la Gilda è stata parte attrice, e “le lentezze dei governi che negli ultimi anni non hanno saputo dare risposte chiare e strutturali al problema del precariato storico”, tra le proposte della Gilda c’è al primo punto “lo scorporo” della parte relativa alle stabilizzazioni e alla formazione dell’organico dell’autonomia”, da fare con urgenza con “una sessione parlamentare” dedicata alla definizione di un “piano triennale di assunzioni (2015/16 – 16/17 – 17/18)” che consenta “la stabilizzazione di tutti i precari in possesso di abilitazione e con più di trentasei mesi di servizio nella scuola pubblica statale” e ricordando agli Onorevoli membri della VII Commissione, che “nel prossimo quinquennio andranno in pensione circa duecento mila docenti di ruolo”.
Inoltre, in premessa si fa notare come “la riforma della scuola” in discussione, in realtà, sia di fatto “la modifica (con annessa mortificazione, ndr) dello stato giuridico degli insegnanti e lo stravolgimento della professione docente”.
Per questo, sempre in premessa delle osservazioni della Gilda, si ricorda come “la funzione docente” abbia in realtà “caratteristiche assai diverse da quelle che identificano la funzione impiegatizia” e che “la valenza pubblica dell’insegnante risiede nella Carta Costituzionale all’articolo 33” da cui deriva nel TU della scuola (D.L. N°296/94 e s.m.i.) nel quale, alla Parte III – Titolo I – primo Capo, la previsione è che “la funzione docente è intesa come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della personalità”.
E si ricorda che, “a questa funzione è legata la libertà d’insegnamento tutelata dalla Costituzione”.
Valore ripreso sia dal TU del ‘94, sia dalla normativa del ‘97 che ha introdotto l’autonomia nelle Istituzioni Scolastiche e che aveva sancito che tale libertà fosse tutelata sia in ambito collegiale sia in quello individuale, prevedendo il “rispetto delle scelte metodologiche minoritarie o individuali”. Un’autonomia scolastica da valorizzare ma che, invece, scrive la Gilda alla Commissione Cultura dei Senatori, nel ddl in discussione si traduce “ponendo quasi totalmente nelle mani del dirigente scolastico la gestione del servizio” e creando “una sorta di sistema formato da entità autoreferenziali”.
“Un’autonomia pretestuosa”, – viene definita – “che incide sulla libertà d’insegnamento, garanzia per il futuro delle nuove generazioni” e che “prefigura un ritorno a una forma di gerarchizzazione dei poteri che svilisce la partecipazione attiva e la responsabilità dei docenti nel progetto educativo”.
Una visione sbagliata della scuola statale. “Le scuole aziende”, – scrivono gli insegnanti della Gilda – “con il loro dirigente manager diventeranno soggetti in competizione atomistica per accaparrarsi iscritti, i ‘migliori docenti’, le risorse aggiuntive sul territorio e presso l’utenza, perdendo così la visione di sistema”. Con buona pace del diritto degli studenti tutti ad avere una istruzione di qualità e omogenea sul territorio nazionale.
Poi, dopo aver espresso fiducia nella possibilità che il Senato emendi le parti più critiche del ddl “affinché si eviti lo stravolgimento dello stato giuridico e della professione docente”, la Gilda Unams ha messo nero su bianco – nello spirito di dialogo costruttivo – le principali proposte di emendamento del testo.
Al primo posto si legge che “è ancora inaccettabile”, testualmente, “la visione del ruolo del dirigente scolastico che assume forti poteri in merito alla formazione dell’organico, e della gestione autocratica della scuola”. E, a tal proposito, si sottolinea “il rischio del clientelismo che è ancora elevato come elevatissimo è la possibilità che si creino delle ‘scuole ghetto’ dove collocare il personale docente residuale non gradito in prima battuta”.
Secondo: “L’introduzione della chiamata discrezionale è da rigettare” – riporto anche in questo caso testualmente – “perché elimina la titolarità del docente sulla cattedra o sul posto della scuola”. In pratica, si spiega che “ciò determinerà di fatto la sudditanza dei docenti ai desiderata della dirigenza di fronte al pericolo di perdere dopo il triennio la cattedra, con evidente forzatura della libertà di insegnamento con la creazione di scuole in cui non saranno garantiti il diritto di tutti gli studenti ad avere una scuola di qualità in tutti i contesti e in tutto il territorio nazionale”.
Al terzo punto si ribadisce la necessità di “riformulare i criteri di reclutamento dei dirigenti che oggi assumono una funzione subordinata al MIUR e per questo si propone di aggiungere uno specifico articolo (rubricato art. 9 bis, nella proposta depositata dalla Gilda insegnanti) con il quale la scelta e/o la riconferma da appositi albi regionali dei dirigenti scolastici, ogni tre anni, avvenga sulla base di uno specifico progetto di gestione e valorizzazione degli istituti scolastici condiviso con i docenti e con l’utenza. Al quarto posto, tra le proposte, trova spazio quella relativa al precariato da affrontare con piano triennale e tenendo conto, come già detto, dei pensionamenti che ci saranno.
Si ribadisce l’inaccettabilità di una “valutazione” da parte di un comitato di valutazione “privo delle competenze e delle professionalità che dovrebbero essere alla base di qualsiasi seria procedura di valutazione”, soffermandosi – su questo punto della valutazione del merito – a far osservare agli Onorevoli Senatori che, caso mai, più urgente sarebbe affrontare il tema della “valutazione del demerito”, “sollevando dall’incarico di insegnamento attivo” quei docenti che non sono in grado di garantire standard di qualità e competenza professionale nell’insegnamento.
Infine, si bolla come assolutamente “non condivisibile” l’intero articolo 22, quello fatto di un gran numero di “ampie deleghe al Governo” per “intervenire autonomamente – con decreti legislativi – in ambiti sensibili” come sono quelli del reclutamento (per il quel addirittura, si vorrebbe introdurre la figura del docente apprendista che, dopo aver vinto il concorso, resta apprendista per tre anni e retribuito secondo regole cui il governo viene anche delegato ad emanare in barba a qualsiasi forma di contrattazione collettiva), e temi come quelli dei bisogni educativi speciali e del sostegno, oltreché sulla scuola dell’infanzia, di cui potremmo parlare in (un altro articolo) altra puntata, e sui quali, come sarebbe normale in un Paese normale, la Gilda degli insegnanti propone che si intervenga con specifici progetti di legge che consentano una riflessione e un minimo di dibattito.