Concussione, confermata in appello condanna a ex preside 

Concussione finalizzata all’ottenimento (mai conseguito) di favori sessuali. É  questa l’accusa confermata – martedì 10 marzo dalla Corte d’appello di Catanzaro (Marchianò presidente, Saul è Bravin a latere) – all’ex dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo di Cropani, Pietro Catanzaro, già condannato in I grado,  nel 2011, a due anni di reclusione, al pagamento dei danni morali (15mila €) e all’interdizione dai pubblici uffici per un tempo equivalente.”

A precisarlo in una nota è il prof. Giuseppe Candido, sindacalista della Gilda insegnanti e compagno della parte civile, che ha seguito la vicenda dall’inizio.
“Dopo nemmeno quattro ore di discussione”- prosegue la nota – “in cui sono intervenuti sia gli avvocati dell’imputato (avv.ti Funaro e Casalinuovo) sia quello della parte civile (avv. Raffaelli),  i giudici dell’appello hanno confermato la <<credibilità intrinseca ed estrinseca>> della parte civile denunciante così come già rilevata nelle motivazioni della condanna di primo grado, confermando i due anni e condannando in appello l’ex preside anche al pagamento di ulteriori 1.400 € alla parte civile oltre le spese processuali del grado.
Molestie maltrattamenti sul posto di lavoro che – per i giudici – sono stati utilizzati dall’ex preside durante l’espletamento delle sue funzioni e mediante la sua posizione di superiorità gerarchica, – per tentare di costringere l’insegnante a fornirgli favori sessuali, tra l’altro mai ottenuti, ma che – proprio per la posizione dirigenziale- stanno alla base della più grave accusa e condanna per concussione. Come si legge dalle motivazioni di I grado, l’insegnante era arrivata a un punto di tale da chiedere il proprio trasferimento in un altro istituto scolastico, benché più distante dalla sua residenza, e questo pur di non dover stare più a “contatto” con quel “datore di lavoro” trasformatosi nel suo “molestatore”.
L’ex preside venne rinviato a giudizio il 30 aprile del 2010 dopo oltre due anni di indagini condotte dal pubblico ministero Simona Rossi che aveva inizialmente chiesto tre anni di reclusione.
Stando alle ricostruzioni dell’accusa, il rapporto tra insegnante e dirigente scolastico, si era trasformato in un “braccio di ferro”, in cui la donna si sentiva costretta ad accondiscendere alle richieste del suo superiore e a convivere con provvedimenti lesivi della sua dignità di insegnante e di persona e che nascevano proprio dai suoi continui rifiuti alle avances.

Il difensore dell’insegnante, avv Natalina Raffaelli, nella sua arringa ha ricostruito le “pressanti costrizioni sul piano psicologico che di fatto si concretizzano in un altro è tanto pesante e pressante mobbing” le quali indussero l’insegnante a chiedere trasferimento in un’altra scuola.”
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