di Maria Elisabetta Curtosi
“Mi han detto
che questa mia generazione ormai non crede
in ciò che spesso han mascherato con la fede,
nei miti eterni della patria o dell’ eroe
perchè è venuto ormai il momento di negare
tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura,
una politica che è solo far carriera,
il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto,
l’ ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto ”
Anche se sono cambiate molte cose da quando fu scritta questa canzone, era il 1965, rimase comunque come un punto fermo nella produzione di Guccini e di tutta la canzone d’ autore in Italia.
Fu perfino censurata dalla Rai che pensò al titolo (di carattere nietzschiano) come blasfemo e non capì il testo della canzone, evidentemente interpretato in maniera erronea.
Ma è lo stesso Guccini che chiarisce i contenuti: << E’ una canzone di protesta, italiana a temi ulteriori rispetto a quello del pacifismo, e più precisamente veicola un’opposizione radicale all’autoritarismo, all’arrivismo, al carrierismo, al conformismo >>.
Alla fine la speranza di un futuro migliore rimane, e a questa speranza ci aggrappiamo anche noi giovani, sebbene le possibilità di trovare un lavoro stabile siano poche e incerte, dobbiamo rimanere nella nostra terra, nella nostra patria del sé; e credere di migliolarla con i saperi e la cultura perché è necessaria una nuova rinascita spirituale e morale contro il consumismo, il falso moralismo e l’imperante ipocrisia.
Così conclude:
“ Ma penso
che questa mia generazione è preparata
a un mondo nuovo e a una speranza appena nata,
ad un futuro che ha già in mano,
a una rivolta senza armi,
perchè noi tutti ormai sappiamo
che se dio muore è per tre giorni e poi risorge,
in ciò che noi crediamo dio è risorto.”
<< Una spallata “pre-sessantottoesca”, tutto sommato, perché sentivamo che tante cose dovevano essere cambiate>> in questo modo definì il brano il Guccini poeta.