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Calabria: amministrative senza trasparenza

I dati dei patrimoni degli eletti, in Calabria, continueranno a restare top secret

di Giuseppe Candido

 

A circa un anno dalle regionali del 2010 che proclamarono Giuseppe Scopelliti governatore della Regione, in Calabria si torna alle urne per le elezioni amministrative. La scadenza, com’è noto, riguarda importanti città: il capoluogo della regione, Catanzaro, la popolosa Cosenza, Crotone e Reggio Calabria, dove si voterà anche per eleggere il nuovo presidente della Provincia. Le elezioni riguarderanno, inoltre, altri 97 comuni.

Un articolo sulla legge regionale approvata a settembre del 2010

Ma di trasparenza, ancora, non se ne parla nemmeno. Dopo che per 28 anni, i patrimoni e gli interessi finanziari degli eletti al Consiglio Regionale calabrese (oltreché i finanziatori e le spese delle relative campagne elettorali) non sono mai stati resi pubblici, e dopo che la vicenda aveva conquistato le pagine dei quotidiani nazionali grazie alla firma di Sergio Rizzo, nel mese di settembre 2010 è stata adottata la legge regionale che, finalmente, dispone la presentazione e la pubblicazione. Purtroppo però, quella legge non obbliga né i presidenti di provincia, né i sindaci dei comuni Capoluogo o con popolazione superiore a 50.000 abitanti come già prevede la legge nazionale, a fare lo stesso.

Prendiamo ad esempio il comune di Catanzaro dove a maggio si voterà per eleggere il sindaco. Stante la legge nazionale preveda la presentazione e la pubblicazione dei dati patrimoniali da oltre 28 anni anche per i Sindaci e gli assessori comunali, poiché però la leggina regionale approvata in fretta e furia a fine estate dispone la pubblicazione per i consiglieri regionali ma, ahi noi (tranquilli loro), non prevede nulla né per i sindaci degli importanti comuni né per i presidenti di provincia, la partitocrazia locale può stare tranquilla. I loro dati patrimoniali che, se resi pubblici, potrebbero smascherare anticipatamente interessi finanziari occulti, quei dati che potrebbero dimostrare se un politico che si candida di nuovo, nei cinque anni di mandato precedente, ha (o meno) incrementato i suoi redditi e i suoi interessi finanziari, tutti quei dati, in Calabria, continueranno a restare top secret. E la trasparenza rimane un’utopia di qualche radicale. E ciò nonostante la legge nazionale dica chiaramente, dal 1982, che tutti i cittadini hanno il diritto di conoscerli. Non tutti i mali vengono per nuocere però. Paradossalmente, grazie ad un’altra leggina “vergogna”, tutta calabrese, che consente ai nostri consiglieri regionali (e solo ai nostri) di candidarsi come sindaci e come presidenti di province, abolendo il divieto di cumulo di cariche, potremmo almeno conoscere i redditi di quei consiglieri regionali che si candidano già pronti a ricoprire la doppia poltrona.

 

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Sempre compatibili a cumulare cariche, mai a rendere pubblici quei dati patrimoniali

di Giuseppe Candido

Illustrazione di Dorianao
Illustrazione di Dorianao pubblicata da Il Fatto Quotidiano mercoledì 12 gennaio 2011

Patrimoni ancora “segreti” e politici calabresi sempre “compatibili” con più cariche elettive.

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Nicola Adamo (ex PD) e Peppe Bova (ex PD) potranno tranquillamente candidarsi pure come sindaci, a Cosenza e Reggio Calabria rispettivamente, senza doversi dimettere, ovviamente, dalla carica di Consiglieri regionali. Non soltanto loro, ovviamente.

La Casta calabrese torna a far notizia sulle pagine dei quotidiani nazionali. In prima pagina de il Fatto quotidiano il richiamo non permette equivoci: “La Calabria cancella la legge contro chi cumula gli incarichi”. Ancora più chiaro è il titolo dell’articolo di Enrico Fierro: “In Calabria si può fare di tutto”. Dopo essere stati sbeffeggiati dalla penna di Sergio Rizzo che aveva “scoperto” che per 28 anni i patrimoni e gli interessi finanziari dei politici calabresi sono rimasti segreti e inconoscibili dai cittadini contrariamente a quanto previsto già dal 1982 dalla normativa nazionale, oggi a far di nuovo notizia è la vergognosa norma approvata dal Consiglio regionale, a ridosso tra Natale e Capodanno e che, in deroga a quanto previsto dalla legge 154 del 1981 e dal d.lgs. N°267 del 2000, ha previsto che le cariche di Presidente e Assessore della Giunta provinciale nonché quelle di Sindaco e Assessore comunale dei comuni compresi nel territorio della Regione, sono compatibili con la carica di Consigliere regionale.

La vignetta di Doriano che illustra l’articolo è emblematica: il politico calabrese, a differenza dei suoi omologhi di altre regioni, è rappresentato “gigante” e con un deretano spaventosamente grande, capace di occupare contemporaneamente almeno tre poltrone. Esilarante se non fosse che stiamo parlando della deroga ad una norma concepita per evitare che si possa ingrossare ed ingigantire il sistema già pachiderma delle clientele nostrane.

A presentare, durante la discussione della finanziaria regionale, la norma “vergogna” sono stati i Consiglieri regionali Nicola Adamo e Peppe Bova, entrambi “ex” del Pd, ma è subito piaciuta, come fa notare il giornalista, anche al PdL che si è guardato bene dal respingerla pur avendo a disposizione un’ampia maggioranza. Tutti compatibili, anche il consigliere regionale Gianluca Gallo (Udc), già sindaco dell’importante comune di Cassano Jonico, potrà ora dormire sonni tranquilli conservando la doppia poltrona. “Vogliamo essere giudicati da ciò che facciamo, da come governiamo” ha dichiarato il Presidente del Consiglio Regionale Francesco Talarico rispondendo alle critiche.

Come se questo tipo di scelte non fosse giudicato dagli elettori. Come se tutto fosse normale, come si trattasse di un tema eticamente sensibile, il Governatore Scopelliti ha lasciato ai suoi “libertà di coscienza”. Come se questo tipo di deroghe che la “Casta” fa a se stessa non contribuisca ad incrementare il sentimento di antipolitica che c’è nella gente comune che tutte le mattine si alza alle sei per andare a lavorare.

Ma forse è vero: in Calabria si può fare di tutto. E mentre aspettiamo ancora, e da 28 anni, di poter conoscere i dati patrimoniali e gli interessi finanziari di politici e amministratori calabresi che, a partire da quelli di comuni con più di 50.000 abitanti, dovrebbero già essere pubblici e disponibili a tutti i cittadini, scopriamo che gli stessi politici potranno essere in più posti contemporaneamente, cumulando cariche e prebende, indennità e rimborsi oltreché, ovviamente, il potere di “controllo ferreo del voto”. Ubiquità? Forse.

Qualche gruppo politico ora annuncia di voler raccogliere le firme per un referendum, ma sapendo come vanno a finire questi ultimi forse c’è poco da sperare …

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Patrimoni degli eletti resi pubblici? La partitocrazia calabrese si nasconde dietro un dito

di Giuseppe Candido

La vicenda dei patrimoni dei politici calabresi rimasti segreti per ventotto anni era andata sulle pagine del Corriere della Sera su cui, Sergio Rizzo, aveva ripreso la “sconcertante” risposta del Segretario Generale Carpentieri che negava il diritto di accesso agli atti ma definiva “improrogabile” l’emanazione di una normativa regionale che disciplinasse i modi di attuazione della legge 441/1982. In seguito ne aveva parlato anche tutta la stampa calabrese e il Presidente del Consiglio regionale si era tempestivamente impegnato a rimuovere gli “ostacoli” (l’assenza di una leggina regionale) che per 28 anni avevano impedito la pubblicazione delle dichiarazioni patrimoniali di eletti e nominati calabresi così come previsto dalla legge nazionale. Su questo argomento era intervenuto anche Mario Staderini, il segretario nazionale di Radicali Italiani. Oggi la legge finalmente è arrivata ed e stata votata all’unanimità, maggioranza e opposizione, dal Consiglio regionale su proposta del Presidente Talarico. Ma basta leggere il primo degli otto articoli che la compongono per capire subito che il problema non è stato ancora completamente risolto e che i patrimoni dei politici calabresi resteranno ancora “top secret”. Questo perché, se la legge nazionale n°441 del 1982 prevedeva la pubblicazione dei patrimoni di eletti e nominati sia delle Regioni, ma anche degli eletti di Province e Comuni sopra i 50.000 abitanti o capoluogo di Regione, la normativa votata all’unanimità dal Consiglio regionale nella seduta dello scorso 13 settembre prevede la pubblicazione dei patrimoni degli eletti e nominati della sola Regione lasciando fuori dall’ambito di applicazione sia le dichiarazioni dei Consiglieri delle cinque province calabresi e i relativi nominati, sia quelli eletti e nominati nei comuni calabresi con popolazione superiore ai 50.000 abitanti. Insomma, Consiglieri regionali a parte, i politici calabresi eletti in enti “minori” possono dormire sonni tranquilli perché i loro patrimoni non dovranno essere pubblicati e potranno rimanere segreti. Per non parlare del fatto che, se un Consigliere regionale dimentica o volutamente ignora la legge e i suoi dati patrimoniali non potranno essere pubblicati sul bollettino ufficiale della Regione, come sanzione è previsto un rimprovero verbale che, in caso di recidiva, si trasforma in rimprovero scritto e pubblicato. Sui giornali, in modo che gli elettori lo sappiano? No, macché: la legge regionale prevede che il rimprovero sia pubblicato sul bollettino ufficiale ma di comunicazione alla stampa non se ne parla. Del resto i panni sporchi si lavano in famiglia, e i patrimoni non pubblicabili in Consiglio. Insomma la legge non soltanto è incompleta e poco incisiva non agendo su tutti gli eletti calabresima dimentica che siamo nel 2010 prevedendo la pubblicazione dei patrimoni non già sugli organi di stampa o su un apposito sito internet ma soltanto sul Bollettino ufficiale. La partitocrazia calabrese, quella che il ministro Brunetta a ragione critica, la partitocrazia che da 12 anni costringe la Calabria all’emergenza rifiuti, la partitocrazia responsabile del dissesto idrogeologico per il mancato governo del territorio, oggi si nasconde dietro un dito approvando all’unanimità una leggina solo perché una penna come Sergio Rizzo l’aveva sbeffeggiata. Perciò, cari conterranei calabresi, se volete la trasparenza su quanto guadagnano i politici da voi eletti e, soprattutto, quanti soldi spendono in spese elettorali e di rappresentanza, fatevi il segno della croce e compratevi mensilmente il Bollettino ufficiale della Calabria. Tra le migliaia di pagine grigie troverete anche quei dati che da 28 rimanevano top secret.

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Trasparenza sullo stato patrimoniale delle cariche elettive: appello per riportare la Calabria nell’alveo della legalità

di Mario Staderini e Giuseppe Candido

Prendiamo atto dell’impegno personale assunto dal Presidente del Consiglio regionale Talarico. Non soltanto la legge 441 del 1982 reca tassative “Disposizioni per la pubblicità della situazione patrimoniale di titolari di cariche elettive e di cariche direttive di alcuni enti”, ma è scritto a chiare lettere anche nello Statuto della Regione Calabria: “Tutti gli atti dell’amministrazione della Regione, degli enti e delle aziende da essa dipendenti sono pubblici, salvo i limiti espressamente posti dalla legge. La legge regionale definisce (o almeno dovrebbe) le procedure per l’accesso ai documenti amministrativi e disciplina l’intervento degli interessati, singoli od associati, nel procedimento amministrativo …”. Purtroppo abbiamo scoperto che in Calabria, stante la specifica normativa nazionale e la previsione statutaria, così non è. Anzi il fatto che in Calabria lo stato patrimoniale dei Consiglieri regionali e dei direttori di aziende pubbliche restino di fatto un “segreto” è saltato sulle pagine di un importante quotidiano nazionale grazie ad un articolo di Sergio Rizzo lo scorso 12 agosto. “Volete conoscere se un consigliere regionale calabrese eletto dai cittadini possiede una casa, – scrive Rizzo – la villa al mare, un’ auto, qualche società? Toglietevelo dalla testa: è top secret.”. La vicenda è arcinota perché diversi quotidiani locali hanno ripreso la notizia. Ricordiamo che, la stessa istanza di accesso agli atti è stata presentata alla Provincia e al Comune di Catanzaro dai quali attendiamo ancora una risposta. Come Radicali – che dell’anagrafe pubblica degli eletti abbiamo fatto una specifica battaglia a livello nazionale – chiediamo che in Calabria s’intervenga subito a tutti i livelli, dando immediata attuazione alla normativa disattesa da 28 anni. Conoscere lo stato patrimoniale, gli interessi finanziari, gli immobili posseduti, le azioni in società di ogni Consigliere regionale, di ogni eletto ad ogni livello, rendendoli pubblici e facilmente accessibili per come prevede la normativa, sarebbe per i calabresi un decisivo passo in avanti verso una democrazia liberale più compiuta. Una “leggina” la chiama Rizzo che, semplice e a costo zero, permetterebbe, proprio in un momento in cui aumenta il distacco tra politica e gente comune, le differenze di necessità e di priorità si estendono, di riavvicinare la “Casta” alle persone che vivono la quotidianità del vivere e del sopravvivere comune.

L’articolo 10 dello Statuto recita che “Tutti hanno (o almeno avrebbero) il diritto di rivolgere petizioni agli organi regionali, per richiederne l’intervento e per sollecitare l’adozione di provvedimenti di interesse generale”. Come Radicali chiediamo pubblicamente al Presidente della Giunta Scopelliti e al Presidente del Consiglio regionale Talarico che hanno già dimostrato di essere sensibili al problema della trasparenza, di calendarizzare e di discutere al più presto la ormai “improrogabile” – così come la definisce lo stesso parere dell’ufficio legale della Regione – legge regionale in materia di pubblicità della situazione patrimoniale delle cariche elettive. In modo da riportare, almeno sotto questo punto di vista, la Calabria nell’alveo della legalità.

Sergretario Radicali Italiani

Radicali Italiani, Ass. Abolire la miseria della Calabria

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Accesso agli atti: il Consiglio Regionale ci restituisca il diritto di conoscere lo stato patrimoniale dei nostri eletti

di Giuseppe Candido*

Oggi si parla tanto di trasparenza, di costi della politica e di tagli agli stipendi degli eletti. Ma quanto guadagna esattamente un Consigliere regionale? Non è semplice saperlo in questa terra di Calabria. Altro che trasparenza, la parola giusta sarebbe torbidezza. Quasi trent’anni di torbidezza. La Legge 441/82, recante “disposizioni per la pubblicità della situazione patrimoniale di titolari di cariche elettive e di cariche direttive di alcuni enti” obbligherebbe, il condizionale purtroppo è d’obbligo, non solo i Parlamentari ma anche Consiglieri regionali, Consiglieri provinciali e Consiglieri comunali di comuni capoluogo di provincia o con popolazione superiore a 50.000 abitanti, a presentare entro tre mesi dalla proclamazione, a depositare ai rispettivi enti di appartenenza, l’ultima dichiarazione dei redditi, la dichiarazione delle spese sostenute e obbligazioni assunte per la campagna elettorale, con allegata dichiarazione degli eventuali contributi ricevuti e, non meno importante, la dichiarazione dei diritti reali su beni immobili e mobili iscritti in pubblici registri; le azioni di società; le quote di partecipazione a società ed eventuali incarichi ricoperti. Il tutto entro tre mesi dalla proclamazione. L’intento della normativa è chiaro: rendere pubblici, a tutti i livelli, gli interessi patrimoniali degli eletti. Su base volontaria anche i coniugi non separati e figli conviventi dei consiglieri. L’obbligo previsto dalla normativa è esteso anche ai nominati: dai dirigenti di aziende pubbliche, ai direttori di ASL, membri delle Comunità montane, dirigenti di società a prevalente partecipazione pubblica. Ogni anno, entro un mese dalla scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione dei redditi si dovrebbero comunicare eventuali variazioni della situazione patrimoniale e copia della nuova dichiarazione dei redditi. Le dichiarazioni dovrebbero essere pubblicate sul Bollettino ufficiale di regioni, province e comuni (che dovrebbero predisporre un regolamento che disciplini le modalità di attuazione della legge). Tutti i cittadini elettori hanno il diritto di conoscere le dichiarazioni dei consiglieri. In caso di mancata dichiarazione sono previste “severe” sanzioni: il sindaco/Presidente (Regione o Provincia) diffida il consigliere ad adempiere entro 15 giorni e, in caso di inosservanza persistente, pubblica sul bollettino e sull’albo pretorio l’elenco dei diffidati inadempienti. L’adozione di sanzioni disciplinari solo se previste dai regolamenti degli enti locali che molto spesso neanche esistono. Nel mese di giugno il sottoscritto, nell’ambito dell’iniziativa nazionale condotta dai Radicali italiani della lista Bonino Pannella, ha presentato sia all’ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale della Calabria, sia al Presidente del Consiglio Provinciale di Catanzaro, regolare istanza di accesso agli atti chiedendo, ai sensi della citata normativa, i dati patrimoniali dei nostri eletti che dovrebbero essere pubblici. La Provincia di Catanzaro non ci ha ancora fornito neanche una risposta mentre il Consiglio Regionale della Calabria, attraverso il Segretariato Generale del Settore Legale e Contratti, con una “valutazione” formale redatta dal dirigente del Settore, Avv. Carlo Pietro Calabrò, ci ha fatto sapere – si legge testualmente nella risposta – che “L’accesso in questione, in virtù dell’attuale quadro normativo regionale, pare possa non essere assentito. Infatti,” – prosegue la nota – “il titolo di accesso dedotto dal richiedente ai sensi degli artt. 22 ss della Legge 241/90 e s.m.i. non sembra applicabile , stante l’esistenza di una disciplina speciale costituita dall’art. 9 della Legge n. 442/1981. Del resto, – prosegue la nota – il diritto di accesso documentale di cui alla Legge n. 241, richiederebbe la sussistenza in capo all’istante di un interesse qualificato strumentale alla tutele di una situazione giuridica soggettiva che, nel caso in questione, non risulta dimostrato”. C’è da chiedersi se non sia sufficiente l’interesse intellettuale nel voler conoscere quanto guadagna un Consigliere regionale visto che si tratta di dati che dovrebbero esser già stati pubblicati nel Bollettino Ufficiale della Regione Calabria. Poi la nota prosegue affermando che “l’accesso previsto dalla citata Legge n.442/81 (non) appare allo stato concretamente esercitabile, stante la mancata emanazione di una normativa regionale circa la pubblicazione della documentazione relativa alla situazione patrimoniale (tra gli altri) dei Consiglieri Regionali, ciò che ha impedito la pubblicazione nel BURC dei dati in questione, modalità attraverso la quale andrebbe espletata la pubblicità di cui alla citata Legge n.442”. Insomma, per la Regione Calabria la legge nazionale non viene rispettata, i dati non sono resi pubblici perché, dal 1981 ad oggi, in quasi trent’anni, la Regione Calabria non si è data una sua specifica normativa regionale che preveda la pubblicazione dei dati in questione. E la nebbia che avvolge la situazione patrimoniale dei nostri eletti s’infittisce quando si parla di nominati, i titolari di cariche elettive/direttive diverse dai Consiglieri Regionali perché, – si legge testualmente nella nota ufficiale del Consiglio Regionale, “emergerebbe che la relativa legittimazione passiva, in assenza di una specifica disposizione attuativa regionale, non ricade nel plesso amministrativo del Consiglio Regionale”. Per fortuna è lo stesso dottore Pietro Calabrò, direttore dell’ufficio Legale del Consiglio, che coglie l’occasione per sottolineare la circostanza che “l’emanazione di opportuna disciplina regionale circa gli istituti disciplinati dalla Legge n.442/81, appare improrogabile, attenendo il diritto di accesso amministrativo ai livelli essenziali di prestazioni sui diritti civili, la cui violazione sarebbe tale da leggittimare in ipotesi addirittura un intervento sostitutivo da parte dello Stato”. Insomma se non si ridà presto ai cittadini il loro sacrosanto diritto di conoscere lo stato patrimoniale dei propri eletti si potrebbe – appellandoci al Capo dello Stato – chiederne il commissariamento.

*Radicali Italiani, candidato alla carica di Consigliere Regionale alle elezioni del marzo 2010 nella Lista Marco Pannella

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La trasparenza: un’arma contro i rapaci

di Giuseppe Candido

Ancora non sappiamo con certezza se il malaffare che sta emergendo con i fatti della cricca sarà considerata una nuova tangentopoli, ma un fatto è certo: oggi come nel ’93 la corruzione in Italia dilaga come male endemico, culturale, cui gli Italiani stanno abituandosi. Gli indicatori internazionali ci pongono in coda alle classifiche della legalità. Secondo Trasparency International, l’organizzazione non governativa che per statuto ha il fine di “combattere la corruzione in tutte le sue forme”, l’Italia si colloca in fondo alle classifiche, al 63° posto dopo paesi come la Repubblica della Namibia. Oltre 400 i personaggi famosi – politici, funzionari governativi, funzionari della sicurezza e anche esponenti della vita culturale – nella lista di Diego Anemone, l’impresario edile coinvolto in recenti scandali: un sistema che pare gli garantisse, in un periodo di crisi, di aggiudicarsi appalti milionari uno dietro l’altro. E mentre l’ex ministro dello sviluppo economico, Claudio Scajola, è costretto a dimettersi per potersi difendere perché qualcuno, a sua insaputa, gli avrebbe pagato una congrua fetta di un immobile al centro di Roma con vista Colosseo, esplode in Europa la crisi economica e sociale della Grecia, dilaga la paura del contagio anche all’Italia e i politici, sapendo di dover imporre sacrifici ai cittadini con tagli alla sanità ed eventuali aumenti di tasse, propongono di ridursi gli stipendi per dare il “buon esempio”. Si discute di un governo d’unità nazionale che possa effettuare le riforme (tagli agli sprechi e lotta all’evasione fiscale) necessarie a scongiurare che la crisi arrivi anche da noi. La Corte dei Conti ha di recente stimato in 60 miliardi di euro il giro d’affari che tracima al di fuori dell’alveo della legalità. In termini percentuali siamo nell’ordine del 25% dell’intero Prodotto interno lordo. Sono questi i costi della non democrazia che si aggiungono agli sprechi nella sanità e negli enti inutili che il Governo in carica aveva promesso di abolire salvo poi guardarsene dal farlo. Sono i costi delle regole eluse da altre regole di un ordinamento legislativo tragicamente faraonico che consentono alla “casta” di fare i propri comodi, ai partiti di continuare a mantenere uno strapotere da cui si alimenta il senso di impunità. Una “democrazia senza democrazia” la definisce lo storico Massimo Salvadori, autore dell’omonimo libro in cui si descrive un sistema politico bloccato che protegge se stesso impedendo il ricambio delle classi dirigenti. Oggi però si aggiungono i fatti della Grecia e il rischio, realistico, che la crisi economica possa contagiare anche l’Italia e l’intera euro zona. “E’ in pericolo l’euro e con esso l’Europa stessa” ha affermato Angela Merkel. Le borse europee chiudono in netto calo e il rischio di un “effetto domino è reale”. In tutto ciò le questioni si intrecciano e la questione della legalità diventa questione morale: un problema che è necessario affrontare prima di imporre nuovi sacrifici agli italiani. Servono riforme vere e serve far passare l’idea che sono necessari sacrifici che noi cittadini dovremo affrontare per poter affrontare la crisi. Sacrifici che dovranno affrontare solo i comuni cittadini e che rischiano di allontanare ancor di più, se ce ne fosse bisogno, la gente normale dai pochi privilegiati della casta o della cricca. Per cui, mentre si parla di nuovi redditometri e di lotta agli evasori per recuperare risorse, mentre si annunciano tagli alla sanità, dai palazzi del potere, ai vari livelli, si annuncia l’auto riduzione degli stipendi e la caccia alle auto blu che, come ha dimostrato l’inchiesta della Gabanelli, in Italia sono un numero spropositato. Basterà? Ci chiediamo: sarà sufficiente come segnale chiaro di un nuovo rigore morale o rischia di esser percepito come un provvedimento populista e strumentale necessario a far ingoiare il boccone amaro dei nuovi tagli che si prospettano nella sanità in primis e della impossibilità di ridurre le tasse? Se da un lato c’è l’impunità e l’inamovibilità percepita di una classe dirigente, dall’altro v’è l’aspetto culturale di cittadini asserviti ai potenti per cercare di propiziarsene i favori. Ha ragione Maria Teresa Brassiolo, presidente di Trasparency International, quando afferma che “la corruzione non è un destino ineluttabile ma un sistema culturale”. E, almeno in questo, noi meridionali non siamo da meno al partito del Nord. Se davvero serve un segnale chiaro per un Paese dove – come ci ha spiegato bene Sergio Rizzo nel libro “Rapaci” – “è normale che nelle imprese comunali ci siano ventitremila consiglieri di amministrazione e una poltrona ogni 5,6 dipendenti”, dove società pubbliche nascono per distribuire appalti senza gara, in deroga alle norme, se davvero crediamo che serva una svolta morale e moralizzatrice perché allora non si parla della proposta dei Radicali Italiani di istituire un’anagrafe patrimoniale pubblica di tutti gli eletti e di tutti i “nominati” a tutti i livelli? Dichiarazione dei redditi, interessi finanziari, dichiarazione dei fiananziamenti ricevuti, dei doni, dei benefici, tutte pubbliche su internet. Altro che “privacy”, in Italia è necessaria per gli eletti una legge sulla “publicy”. Sarebbe una riforma a costo zero che, se attuata dal livello comunale a quello nazionale, sarebbe percepita come operazione di trasparenza e democrazia. Già il Decreto Legislativo 150 del 09, il famoso decreto Brunetta, con lo scopo di ottimizzare l’efficienza e la trasparenza nel pubblico impiego ha reso obbligatorio per tutti gli Enti Pubblici, Comuni, Province, Regioni, ma anche ASL, Ospedali, ecc, l’attivazione una serie di azioni che rendano più trasparenti gli obbiettivi politici, strategici ed operativi e ne misurino i risultati. Assieme con l’anagrafe patrimoniale pubblica di eletti e nominati sarebbe proprio la trasparenza stessa ad arrivare prima delle indagini e prima delle intercettazioni. L’ha già adottata per la Regione Puglia, Nichi Vendola. In questa prossima legislatura regionale di “sacrifici”, se anche il neo eletto governatore della Calabria pensasse alla trasparenza per combattere la corruzione, soprattutto in ambito sanitario, non sarebbe male. Un’arma che consentirebbe di sfoltire quel fitto intreccio tra politica degli affari e degli scambi di favori occulti.

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