Alla voce “carcere” leggo sul vocabolario: “Stabilimento in cui vengono scontate le pene detentive (Zanichelli)”, “Luogo in cui vengono rinchiuse le persone private della libertà personale per ordine dell’autorità competente (Devoto-Oli)”, “Luogo dove vengono reclusi individui privati della libertà personale in quanto riconosciuti colpevoli di reati per i quali sia prevista una pena detentiva (Wikipedia)”.
La pena quindi consiste nella privazione della libertà. Le sentenze di condanna non dicono: “Caro signore, ti riteniamo colpevole e perciò ti condanniamo a vivere per tot anni chiuso in una cella umida e sovraffollata, in condizioni igieniche disumane, con temperature estive da forno, con impianti elettrici malfunzionanti e magari con qualche bel crollo strutturale dell’edificio di tanto in tanto, il tutto con pochissima attenzione per la tua salute che tanto peggio stai e meglio è, così impari!”
Dal tre dicembre, è nuovamente in corso il satyagraha dei Radicali; un satyagraha che vede Marco Pannella e Rita Bernardini impegnati in prima linea con uno sciopero della fame (e, Pannella, anche della sete) per chiedere allo Stato di garantire la salute nelle carceri, di fermare la mattanza dei suicidi che troppo spesso avvengono proprio per mancanza di cure psichiatriche adeguate, e di interrompere il regime del 41bis per Bernardo Provenzano, caso simbolico, che vede l’accanimento dello Stato contro “il mafiooso”; una “tortura democratica” inflitta anche nei confronti di parenti che possono vederlo, ridotto a vegetale, solo attraverso un vetro. Insieme a lui centiania di cittadini, un comitato di detenuti eccetera. Che palle!, si dirà. Ancora uno sciopero della fame di Pannella e di quei matti dei Radicali? E, già. Sono ancora qua. Sono 362 i cittadini “matti” che hanno aderito al satyagraha, oltre a un comitato “amnistia giustizia libertà” dal carcere di Firenze.
Anch’io ho aderito, come ho già detto, a questo satyagraha con un giorno di digiuno alla settimana e, assieme ad altri compagni calabresi che si sono uniti a Marco Pannella, digiuniamo “a staffetta” anche per tentare di aprire, in Calabria, un dialogo per quanto riguarda l’istituzione del garante regionale delle persone private della libertà personali. Quella dei radicali non è mai una protesta, ma una proposta; una proposta di dialogo con le istituzioni affinché rispettino le proprie stesse leggi.
E nel proporre questo dialogo ci facciamo forza della verità e, – dopo il messaggio inviato nell’ottobre del 2013 alle Camere dal Presidente Napolitano – facciamo nostre le parole utilizzate da Papa Francesco nel rivolgersi all’associazione internazionale del diritto penale lo scorso 23 ottobre; parole che solo da Radio Radicale e da Radio Vaticano si sono potute sentire e che, – ad eccezione dei lettori del Garantista che l’ha pubblicato integralmente – a tutti gli altri italiani (o come dice Pannella, “italianofoni” includendo i cittadini non italiani ma che ivi risiedono e ne comprendono la lingua) è letteralmente proibito conoscere. Ne riporto di seguito alcune parti, meritoriamente selezionate dallo storico archivio pontificio di Radio Vaticana, da Riccardo Arena di Radio Radicale e ri-mandate in onda proprio durante le trasmissione Radio Carcere del 16 dicembre, con un Marco Pannella che – dopo averle (ri)ascoltate – gioiosamente gridava: Bravo Papa Francesco! Bravo! Bravo!
“Negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione” – ha spiegato il Santo padre in quella che potremmo definire una lectio magistralis – “che attraverso la «pena pubblica» ai possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina”. (…) “Non si cercano soltanto capri espiatori che paghino con la loro libertà o con la loro vita per tutti quei mali sociali, com’era tipico nelle società primitive? Ma oltre a ciò, talvolta c’è la tendenza a costruire deliberatamente delle minacce. Figure stereotipate che concentrano in se stesse tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come minacciose. I meccanismi di formazione di queste immagini sono i medesimi che, a suo tempo, permisero l’espansione delle idee razziste”. (…) “Stando così le cose, il sistema penale va oltre la sua funzione propriamente sanzionatoria e si pone sul terreno delle libertà e dei diritti delle persone, soprattutto di quelle più vulnerabili. Cè il rischio – ha spiegato ancora Papa Francesco – di non conservare neppure la proporzionalità delle pene, che storicamente riflette la scala dei valori tutelari dello Stato. Si è affievolita la concezione del diritto penale come estrema ratio, come ultimo ricorso alla sanzione limitata ai fatti più gravi (…). Si è anche affievolito il dibattito sulla sostituzione del carcere con altre pene alternative”.
Un dibattito affievolito e dimenticato, in favore del più bieco giustizialismo. E, in un passaggio successivo, proprio sulla tortura, dopo aver ricordato che il Vaticano l’ha introdotta come specifico reato (cosa che non è riuscita ancora all’Italia), Papa Francesco ha poi spiegato come:
“Una forma di tortura è, a volte, quella che si applica mediante la reclusione in carceri di massima sicurezza, come dimostrano gli studi realizzati da diversi organismi in difesa dei diritti umani, la mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicazione e la mancanza di contatti con altri esseri umani, provocano sofferenze psichiche e fisiche come la paranoia, l’ansietà, la depressione e la perdita di peso, e incrementano sensibilmente la tendenza al suicidio. Questo fenomeno delle carceri di massima sicurezza, si verifica anche in altre generi di penitenziari insieme ad altre forme di tortura fisica e psichica, la cui pratica si è diffusa”. Aggiungendo che: “Le torture, ormai, non sono utilizzate come mezzo per ottenere un dato fine, come la confessione o la delazione, pratiche caratteristiche della dottrina della sicurezza nazionale. Ma costituiscono un autentico plus di dolore che si aggiunge ai mali propri della detenzione. In questo modo si tortura non solo in centri clandestini di detenzione o in moderni campi di concentramento, ma anche in carceri, istituti per minori, ospedali spichiatrici, commissariati o altri centri e istituzioni di detenzione e pena”.
Ecco. Quali sono gli obiettivi del satyagraha di Natale di Marco Pannella, Rita Bernardini e di noi Radicali? Guarda un po’: sanità in carcere: garantire le cure ai detenuti; immediata revoca del 41bis a Bernardo Provenzano; introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura; abolizione dell’ergastolo; no alle deportazioni in corso dei detenuti dell’alta sicurezza; diritto alla conoscenza: 1) conoscibilità e costante aggiornamento dei dati riguardanti le carceri 2) conoscibilità dei dati riguardanti i procedimenti penali pendenti; Rendere effettivi i risarcimenti ai detenuti che hanno subito trattamenti inumani e degradanti; abolire la detenzione arbitraria e illegale del 41-bis; nomina immediata del Garante Nazionale dei Detenuti; per gli Stati Generali delle Carceri, preannunciati dal ministro della Giustizia, prevedere la presenza anche dei detenuti.
Non mi pare che siano obiettivi folli, né distanti da ciò che ha ribadito il Papa difronte ai massimi esponenti del diritto penale internazionale. Buon satyagraha di Natale.
Pannella sta bene e non molla. Insiste sulla “bancarotta fraudolenta del nostro Stato”. Il 24 aprile 2014, si è svolta la conferenza stampa di Marco Pannella e Rita Bernardini dal policlinico Gemelli di Roma dove è ricoverato da martedì 22 mattina in seguito a un malore accusato lunedì di pasquetta rivelatosi necessario di un intervento urgente alla aorta addominale. Intervento che sembra esser andato bene tant’è che Pannella parla cinquanta minuti coi giornalisti con sigaro acceso “raccomandato”, a suo dire, dai medici dopo la scoperta che, almeno per Pannella durante gli scioperi della sete, dopo un po’ che non beve il fumare gli “produce il ritorno della salivazione”.
Marco sta bene, non molla le sue battaglie e, la vera notizia la da’ infatti proprio la segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini sempre al suo fianco soprattutto in questi giorni e in queste ore.
Rita Bernardini, segretaria di Radicali Italiani
È una notizia non da poco che dovrebbe farci riflettere, anche su che tipo d’Europa vogliano e che, quantomeno dovrebbe essere conosciuta dai cittadini. Le diverse condanne già inflitte all’Italia dalla Corte europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU) per violazione dell’articolo 3 (Tortura), non sono bastate al nostro governo che, tra l’altro, il prossimo 28 maggio dovrà dare risposte alla sentenza pilota Torreggiani, pena la sua esecutività e l’innesco di migliaia di ricorsi analoghi possibili. Lo scorso 22 aprile, l’Italia, criminale abituale si direbbe a questo punto, ha riportato un’ulteriore condanna. Questa volta l’articolo 3 è stato violato dal nostro Paese non per i metri quadrati di spazio né per le ore di permanenza in cella. No, quest’ulteriore condanna il nostro Paese l’ha presa perché – nelle patrie galere – non consente il diritto inviolabile alla salute.
Per le condizioni inumane e degradanti delle carceri,
“L’Italia non è solo condannata per il sovraffollamento delle carceri per la sentenza pilota Torreggiani che la obbliga – entro il 28 maggio prossimo – a porre termine alla tortura in atto e per le quali deve dare risposte adeguate. Ma siamo condannati anche, sempre in relazione a violazione dell’articolo 3 (Tortura) della Convenzione europea per i Diritti dell’Uomo. Dal 22 aprile scorso l’Italia è stata condannata a risarcire un detenuto per il ritardo con il quale gli sono state prestate le cure mediche. Per i giudici di Strasburgo,” – sottolinea Rita Bernardini – negare la salute dei detenuti equivale ad un trattamento inumano e degradante”.
La notizia che dovrebbe farci riflettere e, soprattutto esser permesso ai cittadini di conoscerla, alla segretaria di Radicali Italiani, è stata data, come lei stesso tiene a specificare, dall’associazione Antigone
“che si è occupata del caso di un detenuto che era stato ristretto prima a Poggio Reale e poi Bellizzi Irpino cui l’Italia dovrà rimborsare 25mila euro di risarcimento. Abbiamo motivo di ritenere, per le segnalazioni che ci arrivano,” – spiega Rita Bernardini – “che sono nelle carceri italiane almeno 20mila attualmente (in quelle condizioni, ndr)”.
Facciamo subito due calcoli: 25mila per i 20mila detenuti cui vengono negate le cure, siamo a una cifra di 500milioni di euro. Una cifra che, ovviamente, si somma ai risarcimenti che potranno venire per tutti quei detenuti ristretti in spazi inferiori al consentito e/o per l’eccessivo numero di ore trascorse in cella, se dopo il 28 maggio non si saranno cessate le torture in corso.
E Rita Bernardini aggiunge il carico:
“Ma se poi andiamo a vedere tutti quelli che non sono stati curati in passato nelle carceri italiane, stiamo parlando di decine di migliaia di persone che non ricevono cure adeguate, che tentano il suicidio per la disperazione, riuscendovi il più delle volte, per la disperazione di non ricevere le cure. E questo, ha detto la CEDU, è un trattamento inumano e degradante che equivale a tortura.”
Pannella aggiunge: “che so’ tutti torturati: famiglie, agenti di polizia, direttori: direttori del Si.Di.Pe, il sindacato dei direttori di polizia che ha assunto posizioni bellissime, coraggiose, che ci ripagano di quella pagina ignobile del processo Haiman (speriamo di averlo scritto bene) direttore delle carceri delle torture naziste e che, adesso, con le posizioni del SiDiPe credo che ci siamo vendicati. Grazie ad Hannah Arendt quel processo si svolse e la gente poté comprendere qualcosa”.
Pannella continua poi per altri 50 minuti, però, lo dice e non lo dice, le novità che dalla CEDU i Radicali si attendono sono anche altre, importanti. E riguardano proprio quel diritto (anche questo umano teoricamente di per sé inviolabile) alla “conoscenza”, all’informazione sempre più negata nel nostro Paese che rappresenta, anche questo, un fondamentale diritto umano.