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La rivoluzione di Fra Tommaso Campanella, figura curiosa che tende tranelli agli studiosi

Della tolleranza e della fraternità fra gli uomini. Campanella ci appartiene; appartiene a tutti quelli che hanno conosciuto la violazione del proprio mondo, la corruzione, il dispotismo, la violenza

di Maria Elisabetta Curtosi

Tommaso Camapanella
Tommaso Campanella

Nella prefazione al volume di Mario Moretti “La rivoluzione di Fra Tommaso Campanella”, pubblicato da Veutro Editore, nella ‘Collana della crudeltà e della violenza’ diretta da Rafael Alberti e Maria Teresa Leon, collana, precisa l’editore, “dedicata a Bertrand Russel come al simbolo più luminoso della sempre più folta schiera di filosofi, scienziati, letterati e uomini civili che lottano per un mondo pacifico e per il rispetto umano” Miguel Angel Asurias scrive: “L’anno scorso, di passaggio a Roma con mia moglie, siamo andati insieme al fraterno amico Rafael Alberti in un teatrino di Piazza Navona e il Tevere, dove rappresentavano un ‘Processo a Giordano Bruno’. La sorpresa è stata piacevole; l’occasione inaspettata. L’antitesi tirannia–libertà aveva qui la ferma e dolorosa angoscia dei grandi fatti corali, e il messaggio filtrato dai documenti autentici della vicenda di Giordano Bruno era presentato in un contesto che aveva l’impressionante, inconfondibile sapore della verità. Abbiamo voluto conoscere l’autore, Mario Moretti. Ci ha parlato della sua idea di un teatro-storia dove nulla sia affidato al caso o alla fantasia, ma dove il documento sia rivissuto e ricreato in una gamma di possibilità che va dal vero al verosimile, dal plausibile all’attendibile. Ho avuto l’impressione che il Moretti stia esplorando un terreno verminoso per estrarre dal brulichio immondo la pepita della verità”.

La lettura de ‘La rivoluzione di fra Tommaso Campanella’ me lo ha confermato.

Anche qui l’aggancio con la realtà risulta straziante: il dolore della storia si dilata, sorvola le epoche, le scavalca, arriva fino a noi. Leggi e ti accorgi di masticare e masticare la verità, come un pezzo di canna dalla polpa bianca. Alla fine hai la bocca amarognola, ti viene da sputare, perché la verità non è mai dolce.

La straordinaria esperienza di Campanella ha la vivacità, la corposità, la tropicalità della vita. Moretti espone i suoi documenti come foglie di tabacco: li allarga, li mette ad essiccare al sole, poi li “trincia” nella forma teatrale. Il risultato è immediato: Campanella ci appartiene; appartiene a tutti quelli che hanno conosciuto la violazione del proprio mondo, la corruzione, il dispotismo, la violenza”.

Mai come oggi”, chiosano Rafael Alberti e Maria Teresa Leon, “l’umanità ha avvertito il bisogno di riesaminare con occhio critico e privo di indulgenza la storia di cui è stata ed è protagonista. All’ingenua fiducia con la quale aveva creduto nella possibilità del proprio rettilineo progresso, sembra ora determinata a sostituire la ferma decisione di analizzare le cause di tante tragiche esperienze, dalle guerre ai campi di sterminio, al genocidio. L’umanità sembra aver preso atto che una gran parte della sua storia è stata scritta all’insegna della ‘violenza e della crudeltà’. Non vi è niente di fatale in tutto ciò. All’origine di entrambe vi è il cieco egoismo, l’ostinata determinazione di difendere il privilegio, l’abuso del potere contro ogni diritto, che genera reazioni di cui è spesso difficile constatare la tragica necessità”.

L’ambizione di “Abolire la Miseria della Calabria”, Rivista Nonviolenta, va nella stessa direzione della “Collana della crudeltà e della violenza” diretta da Rafael Alberti e Maria Teresa Leon, e cioè di contribuire a restaurare attraverso la conoscenza delle cause della crudeltà e della violenza, la fiducia nella capacità’ dell’uomo di scrivere la storia della tolleranza e della fraternità fra gli uomini.

Poche opere del Seicento hanno sollevato copiosi studi e appassionate discussioni come quella di fra Tommaso Campanella. Dagli scrittori e storici contemporanei a Campanella come G.Voet (Disputationese selectae,1648) che definiva “Ateo e libertino il filosofo di Silo”, o il cattolico M. Mersenne che mette il pensatore calabrese in compagnia degli atei, mentre il laico De Sanctis sostiene la tesi di un neo–guelfismo campanelliano.

Tortura del palo

 

 

 

 

Dagli storici politici della fine del secolo decimo nono che videro nella ‘Civitas solis’ e negli Aforismi politici le tavole precorritrici del comunismo, agli storici della filosofia che nel ‘De Sensu Rerum’ o nel ‘De Investigatione’ videro il precursore di Cartesio e dell’idealismo, il problema campanelliano è come si vede appassionante.

In tempi romantici il saio del domenicano di Stilo prese posto accanto alla tragica ombra di Giordano Bruno e alla figura gigantesca di Galileo: martiri della loro idea, propugnatori della libertà di pensiero e della verità scientifica contro la menzogna dogmatica, essi furono i simboli, gli argomenti polemici di tutte le battaglie anticlericali. In realtà il posto del domenicano di Stilo era in quella Accademia cosentina fondata da Bernardino Telesio. Campanella quindi continuatore di Telesio, una sorta di reincarnazione. Ma come sosteneva Alberto Consiglio sulle pagine de “L’Italia Letteraria” non v’è pensiero vivo che non subisca revisioni, non c’è verità che in un secondo tempo non appaia meno pura, meno sicura.

Un saggio di B.Croce ‘Il comunismo di Tommaso Campanella in materialismo storico ed economia marxistica’ del 1895 fa giustizia del Campanella anticipatore degli scrittori politici, negando alla Città del sole ogni valore sia come documento storico sia come indizio sociale. Già l’Amabile aveva compiuto una revisione totale dei giudizi correnti e dei luoghi comuni diffusi sul frate di Stilo. Tra l’altro s’era potuto stabilire che la congiura per la quale Campanella fu arrestato e per quasi un trentennio tenuto tra il letto dei tormenti e l’oscurità della segreta, era stata effettivamente ordita. “Avevano torto i romantici ad accendersi retoricamente”, continua il Consiglio, “di sdegno per la tirannide dei viceré e la spietata giustizia dei preti: il dominio spagnolo nelle Calabrie corse in effetti un bel pericolo e una bella avventura avrebbe avuto il suo compimento se i domenicani, i vescovi, i preti, i contadini calabresi che giuravano per fra Tommaso, avessero, in alleanza coi Turchi del bassa Cicala, stabilita la Città del sole sugli Appennini di Calabria”.

Ora pare che la valutazione negativa della filosofia campanelliana deve a sua volta subire una revisione. Né è stato un segno lo studio di de Mattei che tentava di rivalutare la politica campanelliana dimostrandola di spiriti machiavellici, inserendo la figura del domenicano in quell’atmosfera del segretario fiorentino.

Nel suo studio, ‘La filosofia politica di Tommaso Campanella’ (Bari, Laterza, 1930) Paolo Treves, analizza con occhi molto sereni il pensiero politico del domenicano con uno sforzo di grande equilibrio, sobrio e chiaro: i giudizi sono dosati con cura, la documentazione è abbondante e la scelta delle citazioni sempre acuta ed opportuna.

Tortura dei cavicchi

Figura stranamente ambigua, si può giurare che sia un veggente, un’accesa anima di profeta e subito dopo dubitare che sia un impostore o un pazzo. Fu questo il caso dei rappresentanti dei viceré e del clero che istruirono il suo processo ed ebbero a concludere per la sua pazzia, a proposito della congiura calabrese, salvo a ritenerlo colpevole ed eretico in materia di fede. Fu ancora il caso di coloro che denunziarono i plagi del Campanella ed espressero dai suoi testi massime e concetti del Botero e del Gucciardini. Il Treves si sforza di dimostrare l’originalità del pensiero campanelliano, tratto di nuovo dalle ombre del medioevo e messo in a meno macchievellismo il pensiero del primo Seicento senza addirittura risalire sul piedistallo del vaticinatore. Tra coloro che vogliono ridurre a mero machiavellismo il pensieri campanelliano e coloro che fermandosi alle innumerevoli e spietate invettive fulminanti di fra Tommaso contro il segretario fiorentino, lo definiscono l’anti-macchiavelli. Il Treves elegge una felice posizione mediana: Campanella inconsapevolmente avrebbe preso dal Macchiavelli la ragione di stato, l’etica esteriore del ‘fine giustifica i mezzi’.

In realtà egli risentiva i cattivi influssi del secolo e su di un medesimo piano si trovano i politici laici del genere di Macchiavelli i gesuiti e Campanella che tenacissimamente avversava ambedue le tendenze. Il frate di Stilo non aveva affatto coscienza di questo suo machiavellismo: egli credeva, in effetti, che, permutati i fini dello Stato nei fini della Chiesa, e quindi in quelli di Dio, fosse capovolto il contenuto etico della politica. Rifatta, dunque la distinzione tra Macchivelli e machiavellismo, del quale furono eccellenti campioni proprio gli scrittori della Controriforma che osteggiavano la politica laica del fiorentino, l’opposizione tra lo ‘stilese’ e il gran segretario appare evidente e sostanziale. Nel primo si elaborava un concetto teocratico universalistico dello Stato che, in gran parte era pur sempre il pensiero tradizionale dei politici formatosi nell’orbita della scolastica: supremo ed universale potere del pontefice; potere esecutivo nell’imperatore, primo suddito del pontefice, collettività ferramente sottomessa ai principi etici della verità rivelata, estrema subordinazione dell’individuo ai fini religiosi della società.

Che aveva a che fare questa concezione nella quale entravano tumultuosamente in concorso tutte le disparate letture di fra Tommaso ,la tradizione scolastica e l’esperienza monastica, col pensiero veramente innovatore e moderno di Nicolò Macchiavelli?

Perché veramente nel ‘Principe’ si svolge il concetto di Stato da quello di individuo e si libera l’attività economica dalla subordinazione religiosa.

Ed è contro questa sostanza che si eleva, pieno di rampogne il frate di Stilo: tutta la vita egli lotterà contro gli scrittori che sommettono la religione agli interessi dello Stato, in favore di un impero utopistico sottomesso ai fini religiosi.

In effetti la dottrina del ‘Principe’ e la dottrina della ‘Città del sole’ e, meglio ancora, della ‘Monarchia di Spagna’ sono divise dall’abisso medesimo che divideva Riforma e Controriforma: il calvinismo in quel secolo, trovava nella predestinazione le ragioni religiose che davano valore e vigore alla vita terrena, mentre i mistici del cattolicesimo rinnovato ribadivano il concetto della valle di lacrime, dell’esilio terrestre. Tuttavia, benché rigidamente schierato tra le file del cattolicesimo il pensiero del frate di Stilo, inconsapevolmente tratto dal maturarsi dei tempi nuovi, tradisce concetti eterodossi, vivacemente innovatori, proprio quelli che lo hanno fatto definire profeta e anticipatore. Nel suo amore per la natura, per l’osservazione diretta, per il progresso e per il miglioramento delle condizioni di vita sociale, il Treves trova i documenti probatori di un’alta e luminosa originalità.

A proposito della bibliografia campanelliana, consultando un dizionario di scienze ecclesiastiche molto ortodosso, compilato dai gesuiti Richard e Girond, dove alla voce Campanella troviamo la “biografia di un dottore della chiesa”. Se si va invece nella ‘Istoria civile’ di Giannone troviamo un Campanella diavolo.

In realtà Campanella è un uomo d’azione, un rivoluzionario che fece suo il motto: “Propter Sion non tacevo”. Si scagliò contro pontefici e contro principi e contro ogni sorta di ingiustizie, per la libertà e la giustizia sociale.

Lo stesso De Sanctis, quando parla del civile impegno della poesia di campanella definisce lo scrittore calabrese “Tutto d’un pezzo e alla naturale ,veemente, rozzo, audace di pensiero e di parola, propenso a lasciare le discussioni astratte, le sottigliezze teologiche, malattia del tempo, e volgersi alla storia, alla geografia, allo studio del reale, per migliorare le condizioni sociali”.

Campanella filosofo naturalista.

Nell’anno 1589 Campanella esordisce, sulla scia di B.Telesio come filosofo e lo fa con ‘La Philosophia sensibus demonstrata’, lavoro fortemente polemico e anticonformista.

Nel 1591 compone in latino ‘Del senso delle cose e della magia. Tutte le cose sentono’:” tanta sciocchezza è negare il senso delle cose perché non hanno né occhi né bocca né orecchie, quanto negare il moto al vento perché non ha gambe, e il mangiare al fuoco perché non ha bocca ,il vedere a chi sta in campagna perché non ha finestre d’affacciarsi, e all’aquila perché non ha occhiali”.

Ad una conoscenza sopraggiunta “addita” come la chiama il frate di Stilo c’è una conoscenza nascosta “abdita” che è innata ed immediata e costituisce la forma preventiva della esistenza delle altre.

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Questione meridionale, la storia del pane, la rivoluzione di Tommaso Campanella e uno speciale di 4 pagine sul terremoto in Calabria del 1905

Sono questi i contenuti dell’ultimo numero di Abolire la miseria della Calabria che, da oggi, uscirà solo in versione pdf e, a breve, completamente rinnovato nella grafica
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Il dominio

  1. Nessuno domina a sé solo, e a pena un solo ad un altro solo signoreggia. Il dominio dunque richiede unità di molti insieme, che si dice Comunità.
  2. Il dominio naturale ha la Comunità naturale; il violento, violenta.
  3. Naturalmente s’accompagnano coloro i quali si uniscono per il ben reciproco naturale. Però

La 1″ unione o comunità è del maschio e della femmina. La 2;1 è de’ generanti e de’ figli. La 3″ è de’ padroni e servitori. La 4;1 è d’una famiglia. La 5 a è di più famiglie in una villa. La 6a è di più ville in una città. La 7a è di più città in una provincia. La 8;l è di più provincie in un reame. La 9″ è di più reami sotto un imperio. La 10″ è sotto più climi o meridiani o sotto il medesimo. La 11″ è di tutti gli uomini sotto la specie umana.

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Le leggi ottime sono le poche e brevi …

che s’accordano al costume del popolo e al bene comune. 
Le leggi tiranniche sono molti lacciuoli che ad uno 
o a pochi sono utili, e non s’accordano col costume
pubblico, purché crescano gli pochi autori di esse.

Tommaso Campanella, Aforismi politici, 1607 – Carcere di Napoli

(Ogni riferimento a fatti, circostanze cricche o persone dell’attualità non è affatto casuale)
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Campanella vero riformatore anche per la Chiesa. Intervista a Germana Ernst

La razionalità ha valore universale.

Il carcere è una metafora fortissima in Campanella … che consente di apprezzare e far capire veramente che cos’è la libertà


di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido

Germana Ernst, ordinaria di Storia della filosofia presso l’Università Roma Tre, lo scorso 3 dicembre 2009 è intervenuta al convegno “Calabria, Italia, Europa – Immagini della Cultura del Rinascimento” organizzato dalla Provincia di Vibo Valentia in collaborazione col Sistema Bibliotecario Vibonese e dal Comune di Francica. La professoressa Ernst, che è intervenuta sull’autobiografia di Tommaso Campanella e su “Natura, profezia e politica nelle poesie di Campanella”, oltre ad essere un’insigne filosofa il cui parere rappresenta “giurisprudenza”, è una persona semplice che da sempre “ama” Tommaso Campanella e la Calabria. Filippo Curtosi, il nostro direttore responsabile, l’ha intervistata a margine del convegno proprio sull’eretico penitente e ostinato Tommaso Campanella che pagò col carcere la libertà del suo pensiero, sulla poesia e sull’attualità della politica di Campanella.

Al Carcere

Poesia filosofica di Tommaso Campanella

Come va al centro ogni cosa pensante

dalla circonferenza, e come ancora

in bocca al mostro che poi la devora,

donnola incorre timente e scherzante;

così di gran scienza ognuno amante,

che audace passa alla morta gora

al mar del vero, di cui s’innamora,

nel nostro ospizio alfin ferma le piante.

Ch’altri l’appella antro di Polifemo,

palazzo altri d’Atlante, e chi di Creta

il laberinto, e chi l’Inferno estremo

(che qui non val favor, saper, né pietà),

io ti so dir; del resto, tutto tremo,

ch’è rocca sacra a tirannia segreta.

E’ Chiaro

***********

“Germana Ernst, insigne letterata e filosofa che ama Tommaso Campanella da sempre e quindi ama anche la Calabria”

D: Senta Professoressa, Tommaso Campanella eretico impenitente e ostinato che col carcere pagò la libertà di pensiero? Una sorta di ….bile della libertà o che cosa?

R: Non penso che Campanella condividesse questo giudizio di essere un “eretico”. Era un riformatore e riteneva totalmente legittimo, lecito, proporre delle soluzioni di riforma anche proprio all’interno della chiesa stessa, proponendo dei nuovi orizzonti totalmente compatibili con l’ortodossia. Lui non avvertiva se stesso come eretico o in contrasto, o in conflitto, con un cristianesimo inteso in un senso corretto.

D: Qualcuno dice, però, che Tommaso Campanella e Giordano Bruno sono stati perseguitati dall’inquisizione “Romana”. Lei che ne pensa?

R: Si si. Entrambi hanno subito le persecuzioni, però i loro nomi sono stati spesso abbinati però sono due figure molto diverse e, se per Bruno posso condividere l’opinione effettivamente di un conflitto di fondo (con la Chiesa ndr), non è questo il caso di Campanella che è stato perseguitato per varie ragioni e, soprattutto, per il suo forte accento su una prospettiva naturale, razionale, una dimensione naturale e razionale del tutto compatibile, non in conflitto, col cristianesimo.

D: Essere, conoscere e volere. Dipende tutto da queste forze, come dire, primordiali?

R: Campanella prospetta una visione, appunto, di pracsimalità, come lui li chiama. La realtà è essenziata da queste precsimalità che sono il potere, il sapere e l’amore, in varie proporzioni secondo, appunto, le varie prospettive. E lui rilegge l’intera realtà alla luce di questa dimensione metafisica primalitaria.

D: “La Città del Sole” … Un manifesto comunista o una proiezione di una città ideale?

R: E’ senz’altro una città ideale. La rilettura ch’è stata fatta in seguito con visione comunistica, direi comunitaria piuttosto che comunistica che è una cosa un po’ diversa, ed è una prospettiva di una città ideale fondata sull’amore comune che è, come dice Campanella, in conflitto con l’amore egoistico del singolo individuo che, invece, deve raccordarsi con l’amore comune della collettività.

D: Quali sono, secondo lei, i caratteri “calabresi” di Tommaso Campanella?

R: Forse io non conosco abbastanza bene la Calabria. Tommaso Campanella la conosceva senz’altro molto bene nei suoi difetti, nei suoi pregi e, come ho avuto occasione di dire molte altre volte, lui, pur non avendola fruita, essendo vissuto lontano dopo gli eventi della fallita congiura, tornerà con il suo pensiero molto spesso ai suoi paesi di origine, con molto affetto e con molto dolore nel vedere questo contrasto fra la bellezza naturale, la fertilità della terra, dei ritratti caratteriali generosi degli abitanti, e un pessimo governo che l’aveva ridotta in condizioni miserevoli.

D: Un po’ come oggi?

R: Allora c’era più il pretesto che faceva parte di un vice reame di Napoli governato dagli Spagnoli per cui era sottomessa ad un potere “straniero”. Forse, in questa nostra epoca, vi sono meno motivi e, tutto sommato, però attutisce come Campanella avesse capito, già allora profondamente, i poteri della Calabria e avesse prospettato tutte le risoluzioni che però sembra che non siano state prese.

D: Qual’è la modernità di Tommaso Campanella?

R: Campanella è sorprendentemente moderno in molte posizioni. Anche nel prospettare una visione fortemente unitaria dei problemi. Lui si rende perfettamente conto che, i problemi dell’umanità sono di tutti e che l’umanità è una sola. Tutti gli uomini sono figli di uno stesso Dio e per cui sono assolutamente accomunati da problemi comuni che si devono risolvere in modo comune e cercando di trovare delle soluzioni senza conflitti, scontri e guerre tra di loro ma, in nome di soluzioni in accordo, in nome di principi superiori di razionalità, di principi che si ispirano alla ragione e alla natura, che sono, secondo lui, comuni all’intera umanità.

D: Quali sarebbero, allora, i nuovi demoni per Campanella?

R: Per Campanella i nuovi demoni sono collegati, quelli che si oppongono a questa visione razionale, in quanto la razionalità ha valore universale e invece vi sono tutti i pseudo valori che separano, dividono e mettono in conflitto gli uomini. E cioè quelle passioni rovinose legate al possesso di beni materiali, e tutta una serie di passioni rovinose che, veramente, favoriscono l’amore egoistico anziché l’amore comune.

D: Quanto c’è di anti Macchiavelli in Tommaso Campanella?

R: Campanella, in giovinezza, conosce molto bene Macchiavelli e tanta di applicare i suoi “Principi” molto spesso radicati all’interno di un contesto cattolico. Questa è l’operazione, diciamo “giovanile”, prima della congiura e prima di una profonda crisi del suo pensiero. Ma dopo, è profondamente anti Macchiavellico proprio nella concezione della religione. Campanella si oppone e contrasta molto fortemente l’idea di una religione come abile ritrovato dei principi e dei sacerdoti, per ingannare e governare i popoli, per mantenere il proprio potere. Ed è convinto, invece, del principio di una religione naturale che è implicito di tutto il suo orizzonte culturale.

D: Qualcuno sostiene che Campanella sia convinto che la più grande azione magica dell’Uomo è dare leggi. La religione è il rapporto magico. E’ così anche secondo Germana Ernst?

R: Si. Dare leggi è il più grande atto di magia perché attinge, bisogna conoscere, l’animo umano. E il vincolo degli animi, secondo Campanella, è più forte. Un vincolo da cui dipendono anche il vincolo dei corpi e il vincolo dei beni di fortuna. Conoscere e vincolare gli animi, vincolare le incredenze e le incredenze vere naturalmente, è il più grande atto di magia. Anche le religioni false son degli atti di magia perché attingono agli animi. Naturalmente Campanella auspica che gli animi siano vincolati da una religione vera. E la religione vera è quella, appunto, che si ispira a principi razionai naturali.

D: L’Umanesimo di Tommaso Campanella?

R: L’Umanesimo, come ho detto anche prima, non individualistico ma di un uomo che riconosce questi valori di universalità dell’umanità e che riconosce, anche in tutti gli esseri umani e cerca, fa in modo, di migliorare la condizione dell’Uomo sulla terra adeguandolo appunto a dei principi universali di convivenza.

D: Campanella ha fatto degli studi sulla tarantella e sulla taranta. Lei cosa ci può dire?

R: Probabilmente lui ha avuto un’esperienza diretta vedendo questi contadini pugliesi e studiando il fenomeno. Da qui, appunto, è molto interessato proprio perché assiste a questa specie di metamorfosi. Lui è molto interessato alle morsicature della rabbia, la morsicatura dei cani rabbiosi, e intrappolati. Perché sembra che il loro temperamento fisico sia stato alterato da una specie di vera e propria metamorfosi di un veleno inoculato che li ha come trasformati. Per cui studia anche questi fenomeni e queste danze sfrenate, questo bisogno di danzare, da un punto di vista naturalistico e si chiede perché. Queste danze sono spiegate perché (gli avvelenati ndr) hanno bisogno di sudare, di far certi movimenti, anche per espellere tutto questo veleno che li ha inquinati e recuperare la loro fisionomia originaria.

D: Cosa che del resto fanno altri studiosi come Ernesto De Martino e Luigi Maria Lombardi Satriani. E quindi aveva visto prima …

R: Si si, lui aveva visto prima e poi questo è stato un argomento che ha interessato molto gli uomini del Rinascimento. Un fenomeno che è poi stato studiato anche da altri studiosi.

D: Lei, quale massima studiosa di Tommaso Campanella a livello europeo quale viene considerata, cosa ama di più di Tommaso Campanella? La cosa che “la fa morire”?

R: Le poesie. Perché sono veramente, straordinariamente, intense, originali, esaltanti, che esprimono in maniera efficace dei contenuti filosofici in poesia. Un aspetto totalmente insolito per la tradizione letteraria e poetica italiana che è invece basata di più sul lirismo, sull’individualismo, sull’espressione di sentimenti personali. Mentre nessuno ha osato cimentarsi con la poesia filosofica in tempi moderni, se non Campanella che, non a caso, vede come suo grande precursore e compagno di questa impresa il solo Dante che è il vero poeta italiano proprio per i suoi contenuti filosofici di verità, non di velleità.

D: Lei sarebbe andata su di un’isola deserta con un uomo come Tommaso Campanella?

R: Questa è una domanda molto personale, molto imbarazzante. No comment (… Sorride).

D: Ai calabresi e alla Calabria, di cui lei ormai è concittadina per il conferimento onorario di cui la Città di Stilo le ha fatto omaggio, cosa direbbe per portare avanti quel messaggio di Tommaso Campanella?

R: Si calabrese d’adozione. Una cittadinanza onoraria di cui sono molto orgogliosa. Ai calabresi direi di avere più fiducia in se stessi e di imparare, veramente, la pazienza della costruzione. Io sono di origini milanesi e quindi quanto di più lontano, a prima vista, dalla calabresità. Ma amo molto il meridione e amo molto alcuni calabresi. Però, della Calabria in particolare, mi dispiace una certa resistenza ad una fiducia di una costruzione giorno per giorno. Cioè, bisogna capire che per fare qualche cosa per la società e per se stessi, bisogna imparare veramente ad avere fiducia e a costruire, ma con molta pazienza, quotidianamente giorno per giorno.

D: Davvero l’ultima domanda. Ad una studentessa che vorrebbe fare una tesi su Tommaso Campanella, cosa consiglierebbe?

R: Di tesi su Tommaso Campanella se ne fanno tantissime, fin troppe forse. Più che ripetere ciò che è stato detto, direi di impegnarsi seriamente a leggere, a capire, tutti i testi di Campanella, lasciando perdere magari le tante letture inutili o puramente estrinseche, che potrebbero mettere sotto una buona guisa, che potrebbero guidare a fare qualcosa di utile, per far conoscere di più e meglio questo pensiero smisurato che non è solo “La Città del Sole” ma che si dirama in moltissimi aspetti, in moltissimi rivoli.

D: Fra qualche attimo relazionerà sulle poesie di Tommaso Campanella. Qualche anticipazione?

R: Visto la giornata molto fitta non voglio rubare molto spazio agli altri relatori, mi limiterò a leggere qualche poesia, a commentarle, a leggerle, a gustarle e capirle insieme al pubblico.

D: Quale Poesia le piace di Campanella, in particolare?

R: Una che s’intitola “Al Carcere”. Perché, secondo me, il carcere è una metafora fortissima in Campanella. Cioè la poesia ha anche questa capacità simbolica, per cui il carcere, che è un’essenza di vita per Campanella che ha vissuto così a lungo in carcere, in verità è una metafora potente della vita umana. Ed è la metafora che consente di apprezzare e far capire veramente che cos’è la libertà.

D: Marco Pannella, l’altra sera, ha citato questa poesia ed ha parlato pure di lei. Lei cosa pensa di Marco Pannella?

R: Davvero (Ride ed è imbarazzata)? Marco Pannella è una persona che ha fatto molte battaglie che, a volte, si possono condividere, nobili ed assolutamente degne di rispetto.

D: Ringraziamo la Professoressa Ernst. Arrivederci

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