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Non è il terremoto ad uccidere

Mappa dell'intensità massima risentita in Italia - CNR GNDT

Fanno tragicamente notizia in questi giorni lo sciame sismico e i terremoti dell’Appennino modenese assieme alle vittime malcapitate che, ogni qual volta una struttura edificata non regge alle scosse, sono conseguenti alle rovine. Ma dobbiamo dirlo chiaramente non è la natura matrigna ad uccidere; non è il cataclisma naturale ad uccidere. Ancora una volta, a causare questa strage continua di popoli è la strage di regole, norme antisismiche e, più semplicemente, dello stesso buon senso. Se gli stessi terremoti che hanno scosso e continuano a scuotere l’Emilia Romagna si fossero verificati in Giappone non sarebbe morto nessuno. Gli operai morti nei capannoni in questi giorni hanno lasciato questa terra non per una causa naturale ma perché, come per gli abitanti dell’Aquila, la prevenzione in questo Paese si è fermata all’anno zero. Se la protezione civile nazionale è diventa leader nel mondo nella gestione delle emergenze tanto da straripare persino nella gestione dei grandi eventi, e se con la previsione siamo pure ad un livello avanzato della mappatura dei rischi, dal punto di vista della prevenzione ce ne infischiamo come se il costo della stessa fosse una spesa e non già un investimento. Ogni anno in Italia, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, attraverso le registrazioni effettuate attraverso la Rete Sismica Nazionale, localizza dai 1.700 ai 2.500 eventi di magnitudo pari o superiore a 2,5. Nel rapporto pubblico on line si legge che “in media in Italia ogni 100 anni si verificano più di 100 terremoti di magnitudo compresa tra 5,0 e 6,0 e dai 5 ai 10 terremoti di magnitudo superiore a 6,0”. Tra i terremoti italiani più rovinosi del ’900, nello studio presentato dai geologi, si ricordano esplicitamente quello del 1905 in Calabria (M=6,8 – I=X – 557 vittime), quello del 1908 Calabro Messinese (M=7,1 – I=XI – 80.000 vittime), nel 1915 ad Avezzano (M=6,9 – I=XI – 33.000 vittime), nel 1930 Irpinia (M=6,7 – I=X – 1.404 vittime), nel 1976 Friuli (M=6,6 – I=X – 965 vittime), e nel 1980 Irpinia-Basilicata (M=6,8 – I=X – 3.000 vittime).

Poi nel 2009 il terremoto in Abruzzo e mentre trema l’Emilia, anche la Calabria ci ricorda la sua pericolosità.

Ma la vera notizia è che “L’Italia,” – come si legge testualmente nel dossier dell’Istituto – “se paragonata al resto del mondo, non è tra i siti dove si concentrano né i terremoti più forti né quelli più distruttivi. La pericolosità sismica del territorio italiano può considerarsi medio-alta nel contesto mediterraneo e addirittura modesta rispetto ad altre zone del pianeta”. Insomma, il nostro problema è il patrimonio edilizio assai vulnerabile.

Il Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti (GNDT), assieme alla Protezione Civile, già nel1999 aveva effettuato uno studio per la rilevazione della vulnerabilità sismica del patrimonio edilizio pubblico: un censimento degli edifici pubblici, strategici e speciali di oltre 1500 comuni di sette regioni, tra cui Abruzzo e Calabria. Premesso che quelli censiti come vulnerabili, in Abruzzo, sono venuti giù, abbiamo cercato di capire come stesse la nostra regione, la Calabria che è assai più sismica dell’Emilia Romagna.

La risposta che abbiamo trovato è sconcertante: dei 3.975 edifici pubblici destinati all’istruzione della nostra regione, ben 2.397 (pari al 60,3 %) sono classificati ad alta (1.049) o medio-alta (1.348) vulnerabilità sismica. Di 785 edifici pubblici destinati alla sanità calabrese, censiti nel lavoro del Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti, ben 492 (il 62,7 %) risultavano classificati ad alta (208 edifici) o medio alta (284) vulnerabilità. E non era migliore la situazione degli edifici pubblici civili (sedi comunali, province, regione e prefetture): dei 1.773 edifici censiti dallo studio, 517 venivano classificati con grado di vulnerabilità sismica “medio alta” e 325 quelli ad “alta vulnerabilità”. In Calabria, se venisse oggi un terremoto, vi sarebbero numerosi edifici pubblici, troppi, attualmente non in grado di resistere alle scosse. Stiamo parlando di scuole, dove mandiamo i nostri figli e di ospedali che invece dovrebbero garantirci le cure anche dopo l’emergenza.

Nel 1999, il professor Vincenzo Petrini del CNR-GNDT nella sua presentazione del volume Rischio sismico di edifici pubblici scrive testualmente: “La risposta più ovvia alla constatazione della presenza di situazioni notevolmente a rischio è l’avvio di specifici programmi di adeguamento del patrimonio edilizio ai livelli di sismicità delle varie zone del paese: ma non è certo l’unica possibile”. “L’abbassamento dei livelli di rischio può essere uno degli obiettivi della programmazione di investimenti della pubblica amministrazione e può, in alcuni casi, contribuire a qualificare la spesa pubblica”. Senza contare che programmi pluriennali di interventi di riduzione del rischio, opportunamente distribuiti nello spazio e nel tempo secondo priorità definibili in anticipo, potrebbero avere, proprio nella situazione attuale di crisi, effetti collaterali positivi in termini di sviluppo “non drogato” dell’occupazione.

 

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L’Aquila sia da monito: adeguare il patrimonio edilizio al rischio sismico

di Giuseppe Candido

Il 6 aprile 2009, alle ore 3:32, un sisma di Magnitudo 5.8 della scala Richter devastò l’Aquila, Onna, Paganica e altri piccoli centri della Provincia aquilana. Il terremoto distruggeva l’Aquila e il suo tessuto economico e sociale. Ancora una volta, la mancata prevenzione, l’edilizia fuori norma, l’elusione di controlli e procedure hanno trasformato un evento naturale nella catastrofe che si è offerta agli occhi degli italiani. A due anni da quel terremoto, e guardando i tempi con cui i giapponesi ricostruiscono le strade, qualche domanda sulla ricostruzione è normale. Berlusconi e Bertolaso sventolarono subito le bandiere della celerità. Ma nonostante i proclami e le passerelle televisive, la ricostruzione è proceduta a rilento ed oggi, 37mila aquilani sono ancora sfollati. Ma oltre alle polemiche sulla ricostruzione è chiaro che, se non cambieremo modo di affrontare il problema, ogni terremoto rischia di diventare una catastrofe in termini di vite umane. Il Giappone dovrebbe offrirci spunti di riflessione non soltanto sul nucleare ma anche sul fatto che, per difendersi dai terremoti, l’unica strada è quella di costruire con tecnologie antisismiche adeguate. Nonostante sia stato uno dei terremoti più forti che i sismografi abbiano mai registrato, quello del Giappone ha causato, se si escludono quelli dello tsunami e della conseguente catastrofe nucleare, relativamente pochi danni. Un terremoto di quella stessa intensità che colpisse l’Italia raderebbe al suolo tutto. Non è mai il terremoto che ti uccide ma la casa che ti crolla in testa. Il rischio sismico è sempre il prodotto dell’evento calamitoso che può verificarsi in una data zona e la vulnerabilità sismica degli edifici che in quella zona sono presenti. È chiaro che anche un forte sisma che avvenga in un’area dove i palazzi e le strutture sono ben costruite, avrà un basso rischio di fare vittime. Li, a Tokyo, l’11 marzo i grattacieli hanno oscillato vertiginosamente ma sono rimasti in piedi, in Calabria invece sarebbero state rase al suolo non soltanto le private abitazioni ma anche ospedali, scuole, prefetture ed altri edifici pubblici. Non dimentichiamo che fu la stessa protezione civile che già nel 1999, quand’era guidata dal dott. Franco Barberi, ad eseguire il censimento della vulnerabilità sismica degli edifici pubblici di alcune regioni tra cui l’Abruzzo e la Calabria.

Protezione Civile - CNR GNDT - Edifici pubblici nella Regione Calabria

 

A l’Aquila, due anni fa, sono venuti giù proprio quegli edifici pubblici che erano stati censiti come ad elevata vulnerabilità sismica. In Calabria, il 65% del patrimonio edilizio pubblico è classificato, in quel censimento, come ad elevata o molto elevata vulnerabilità sismica. Negli ultimi cento anni la Calabria ha tremato molte volte: nel 1905 a Reggio Calabria un terremoto di magnitudo del 7,9 grado Richter seguito, nel 1908 dal terremoto di Messina e Reggio Calabria del 7,2 grado Richter. Cosa aspettiamo, nella nostra Regione, per fare qualcosa? Che una prossima scossa devasti tutto? Prevenire è meglio che ricostruire. Perché, allora, non investire nell’adeguamento antisismico delle strutture pubbliche che ne avrebbero bisogno?

Mappa dell'intensità massima risentita in Italia - CNR GNDT

E’ inutile sottolineare che il colore rosso nella mappa indica i luoghi (tra cui Reggio Calabria) dove più alta è stata l’intensità massima risentita

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