Archivi tag: SIN Crotone

Disastro ambientale: il reato che non c’è. La norma attuale: “un’arma spuntata”

Da oltre 7 anni la Corte costituzionale, con una sentenza, ha chiesto al “legislatore” di istituire il reato di disastro ambientale. Da allora stiamo aspettando, e i processi vanno in prescrizione con buona pace delle vittime e dei territori stuprati.

di Giuseppe Candido [twitter_follow username=”ilCandido” count=”false” language=”it”] 

Martedì 23 dicembre dell’anno ormai passato, nel recensire il mio “lungo articolo e molto interessante” sulla vicenda Marlane pubblicato dal Garantista, agli ascoltatori di Stampa e Regime, la rassegna stampa di Radio Radicale, Massimo Bordin raccomandava agli ascoltatori di leggere – da il Fatto Quotidiano – “per aiutare a capire”, anche “un articolo firmato da un giudice costituzionalista che è stato”, – ha ricordato Bordin – “prima, Ministro della Giustizia e, prima ancora, un grande avvocato come il professore Flick che proprio di questo parla. Non del processo calabrese, no. Però della questione in generale del reato di disastro ambientale”.

Avendo scritto io l’articolo sulla Marlane ed essendomi occupato di vari disastri ambientali della Calabria col mio volume La peste ecologica e il caso Calabria (Non Mollare ed.), non potevo esimermi dall’andare quanto meno a leggere, giusto “per capire meglio”.

In quell’articolo – scritto sotto forma di lettera al direttore e pubblicato a pagina dieci dal quotidiano diretto da Antonio Padellaro, – l’ex ministro della Giustizia, già componente della Corte costituzionale, Giovanni Maria Flick spiegava il perché – a suo parere – sia urgente introdurre il reato specifico di disastro ambientale che, invece, viene oggi punito dall’articolo 434 del C.P., attraverso la generica previsione di “altro disastro”.

Giovanni M. Flick, giudice Costituzionale, ex ministro della Giustizia e famoso avvocato
Giovanni M. Flick, giudice Costituzionale, ex ministro della Giustizia e avvocato di chiara fama

Secondo Giovanni Maria Flick il disastro ambientale dove essere previsto da una norma penale specifica. Questo non solo perché “la Costituzione prevede che i comportamenti e i fatti di rilevo penale siano espressamente previsti dalla legge”, ma soprattuto per evitare che i processi finiscano come quello dell’Eternit, o come quei tanti processi per disastro ambientale che – anche in Calabria – si sono conclusi con un niente di fatto per intervenuta prescrizione.

La norma attuale (il generico “altro disastro” punito dall’art.434 del C.P., ndr), è comunque un arma spuntata perché, la misura (bassa) della pena minima, e la difficoltà di prolungare nel tempo il momento in cui il reato si ‘consuma’, fanno sì che la prescrizionescriveva nell’articolo il professore Flick – “scatti in tempi abbastanza brevi, perfino anteriori al verificarsi degli effetti dannosi, ed eventualmente delittuosi, sulla popolazione e l’ambiente”.

Poi, dopo aver rammentato gli epiloghi recenti del processo Eternit (in Cassazione) e quello (in primo grado) per la discarica di Valpescara, il professore Flick, per far meglio comprendere la questione, cita la sentenza n°327 del 2008 della Corte costituzionale di cui egli stesso, quando era componente della Corte, fu redattore. In particolare, con quella sentenza, – ha ricordato l’ex guardasigilli – “pur non ritenendo fondata la questione di legittimità costituzionale” (ritenendo costituzionale punire il “disastro ambientale” con il reato “altro disastro” previsto dall’articolo 434 del C.P.), la suprema Corte, definì “auspicabile che (…) il disastro ambientale (formi) oggetto di autonoma considerazione da parte del legislatore penale”.

Ferma restando la conclusione raggiunta,”scriveva la Corte nel 2008“è tuttavia auspicabile che talune delle fattispecie attualmente ricondotte, con soluzioni interpretative non sempre scevre da profili problematici, al paradigma punitivo del disastro innominato – e tra esse, segnatamente, l’ipotesi del cosiddetto disastro ambientale, – formino oggetto di autonoma considerazione da parte del legislatore penale, anche nell’ottica dell’accresciuta attenzione alla tutela ambientale ed a quella dell’integrità fisica e della salute, nella cornice di più specifiche figure criminose”.

Macché. Nel 2015, a quasi 7 anni da quella pronuncia, come notava nell’articolo lo stesso Flick, per il reato di disastro ambientale, “siamo ancora in attesa del legislatore”.

Partendo dall’inchiesta sull’inquinamento del Fiume Oliva (e il relativo disastro ambientale) per la quale indaga la procura di Paola, passando per le indagini e i processi sul Sito di Interesse Nazionale di Cassano allo Ionio, su quello di Cerchiara di Calabria, sino ad arrivare alle inchieste sui siti inquinati non inclusi nei SIN, fino alle inchieste sulle discariche disseminate sul territorio calabrese, nel volume La peste ecologica e il caso Calabria che ho recentemente pubblicato per i tipi dell’associazione Non Mollare, le parole “disastro ambientale” compaiono una marea di volte. Purtroppo, troppo spesso, tali parole sono seguite da un’altra: “prescrizione”.

Come a Crotone: una vicenda lunga, complessa, che s’intreccia inevitabilmente, dal punto di vista giudiziario, con un processo che vede, ex dirigenti del gruppo, imputati di “omicidio plurimo colposo aggravato da colpa cosciente e disastro ambientale” proprio a causa di veleni industriali utilizzati, senza adeguate precauzioni, e “dimenticati” poi, un po’ ovunque nella città di Pitagora. Prescrizione è la parola che conclude tutto. Invece che “bonifica”, come dovrebbe essere.

Stessa cosa succede leggendo la relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta (XVI Leg.) sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. Le parole “disastro ambientale” e “prescrizione”, praticamente, vanno assieme. La prescrizione – grazie ad una giustizia lumaca e ad un reato non specificatamente adeguato alla pericolosità – è ormai diventata il sistema per farla franca dall’imputazione di disastro ambientale; lo “stratagemma” per eludere la giustizia e il pagamento sia dei danni alla salute sia quelli arrecati all’ambiente. Le bonifiche diventano così un miraggio. Il principio del “chi inquina deve pagare” se ne va a quel paese. Ringraziano a gran voce i gruppi industriali dismessi e non, assieme a chi dai traffici illeciti di rifiuti e veleni continua a ricavare profitti enormi inquinando falde, suoli, vegetali e cibi e mettendo a rischio la salute.

Alla luce dell’articolo di Flick e leggendo la sentenza della Corte, si capisce il perché.

Cosa aspetta il governo di twitter ad istituirlo? Che un altro disastro ambientale venga clamorosamente prescritto? Anche se può dar fastidio alle grosse realtà industriali, bisogna introdurre subito uno specifico reato di disastro ambientale per attuare il principio “chi inquina paga”, ed evitare che cittadini e territori restino vittime senza colpevoli. Così come del resto la suprema Corte aveva suggerito già dal 2008.

[twitter_follow username=”AlmCalabria” count=”false” language=”it” size=”large”]

Leggi anche

[related_posts limit=”3″]

 

Share

#MARLANE: “Il fatto non sussiste” ma Praia muore

di Giuseppe Candido

pubblicato il 23 dicembre su Cronache del Garantista

IMG_4552
23 dicembre 2014
Venerdì 19 dicembre, il Tribunale di Paola (Cosenza), ha pronunciato la sentenza del processo di primo grado della Marlane, la fabbrica tessile della Marzotto-Lane, nel quale 12 ex-manager erano accusati, tra le varie ipotesi di reato, di omicidio colposo e disastro ambientale. Per i giudici di primo grado che hanno assolto tutti gli imputati, “il fatto non sussiste”. Ovviamente per gli avvocati della difesa la sentenza di cui si attendono le motivazioni entro 90 giorni, rappresenta una vittoria poiché – come ha sostenuto il Senatore Gianni Pittella avvocato di difesa di uno degli imputati – “la principale caratteristica di questo processo è che le prove non c’erano nemmeno nella fase preliminare e si è trasformato il procedimento in aula nella sede della ricerca delle stesse e non del contraddittorio”.

Mentre per l’accusa 107 operai sarebbero morti per causa delle “ammine aromatiche” e gli altri veleni respirati dagli operai durante le lavorazioni dei tessuti, per i giudicidi primo grado, invece, – anche a causa di perizie scalcinate e al fatto che circa 200 parti civili pare abbiano accettato un indennizzo tombale – “il fatto non sussiste”.

Ma i veleni esistono eccome. Nella fabbrica costruita a Praia a Mare con i soldi della Cassa per il Mezzoggiorno, numerosi dipendenti si sono ammalati di tumore e molti di questi sono morti. Maneggiavano a mani nude e senza mascherine coloranti zeppi di ammine aromatiche e altri veleni. Uno degli ultimi lavoratori deceduti aveva solo 39 anni, una vita davanti a se, ed è deceduto pochi giorni prima della sentenza. E anche i rifiuti della fabbrica erano e sono ancora tossici: amianto, zinco, piombo, mercurio. Tutti veleni che, per l’accusa, sarebbero finiti interrati nelle vicinanze delle spiaggia di Praia e che, invece, sono destinati a rimanere lì, tombati per sempre, visto che – a quanto pare – “il fatto non sussiste”. Nell’attesa di leggere le motivazioni, qualche considerazione “ecologista” è d’obbligo.
La Marlane rappresenta l’ultimo bubbone di quella che, senza esagerare, potremmo definire una peste ecologica. Non solo di rischi idrogeologico e sismico mal governati. Nel volume “La peste ecologica e il caso Calabria” che ho di recente pubblicato per i tipi di Non mollarre edizioni, anche di questo si parla: dell’avvenelamento della nostra terra causato da una continua strage di leggi che determina, alla lunga, strage di popoli.

La peste ecologica e il caso Calabria
La pagina del libro

Dalla vicenda della Pertusola Sud con la sua montagna di scorie nere, sino a quella dei rifiuti interrati nella valle del fiume Oliva, in Calabria è un vero e proprio disastro ambientale. Discariche abusive mai bonificate, discariche “a norma” che sono ormai al collasso, amianto in polvere e cemento amianto anche nelle fiumare, depuratori che funzionano male o che, peggio, non funzionano per niente, fatti solo per “fare progetti”, sono il contorno ai siti inquinati, gravemente stuprati, da veleni chimici e da polveri d’amianto che hanno provocato e continueranno a provocare danni alla salute e alla morte di persone.
“Quei misteriosi tumori di Paola
dove i giovani si ammalano di più” era il titolo di un articolo di Carlo Ciavoni e Anna Maria De Luca pubblicato, nel 2009, sul quotidiano La Repubblica .
I fatti di cui si parlava – che rappresentano la punta di un iceberg – si riferivano alle giovani morti per tumore che, come evidenziato da alcune ricerche, erano 4 volte superiori alla media nazionale. A Paola, “su 12.590 pazienti, la percentuale di giovani ammalati di tumore è quattro volte superiore alla media nazionale”. Il picco di malattie neoplastiche si registò negli ultimi dieci anni “ma questi” – spiegò ai giornalisti il dottor Cosimo De Matteis, che aveva coordinato l’indagine nella qualità di responsabile nazionale del sindacato medici italiani – “sono i primi dati che abbiamo”.
La statistica di De Matteis che l’articolo portava alle cronache nazionali, evidenziava come, a Paola in provincia di Cosenza, nella fascia di età tra i 30 ed i 34 anni, i giovani si ammalavano di tumore con una media del 2.90% contro una media nazionale dello 0,74% per gli uomini e dello 0,86% per le donne. Oggi sappiamo che, per la giustizia, mancano le prove del nesso causalità – effetto e, quindi, “il fatto non sussiste”.
Ma il fatto che la Calabria sia terra avvelenata è una tragica realtà che va oltre le perizie e le verità giudiziarie.
SIN CROTONENella sola provincia di Crotone, antica culla pitagorica, fucina e incontro di culture del passato, oggi, si incontrano i SIN, acronimo triste di siti inquinati d’interesse nazionale, identificati e perimetrati per la bonifica, ma rimasti lì nel disinteresse di tutti. E a questi siti, si devono aggiungere altri 17 luoghi parimenti inquinati, non rientranti nei SIN, ma tutti egualmente infestati dai veleni industriali e oggetto, per tale ragione, di sequestro dell’autorità giudiziaria; la loro bonifica spetterebbe al comune di Crotone. In realtà, nel febbraio 2010, la regione Calabria, allora presieduta dal governatore Agazio Loiero, aveva previsto uno specifico impegno economico, pur mantenendo il Comune di Crotone “soggetto attuatore dell’intervento di bonifica”. Da allora tutto è rimasto fermo, nessuna bonifica è stata fatta.
sin3Presso la Procura della Repubblica di Crotone sono oltre duemila le richieste di risarcimento danni avanzate dai lavoratori dell’ex Montedison o dai loro parenti: lì l’amianto in polvere, si utilizzava tranquillamente nelle lavorazioni fino al 1992 ed è andato a finire un po’ da per tutto. Il fosforo elementare è stato stoccato sulle spiagge e, da solo, per auto combustione, prendeva fuoco; e ci sono quelle strane scorie industriali cubilot che sono state utilizzate per costruirci di tutto: dalla banchina del porto, al piazzale della Questura e persino scuole. Ma anche in questo caso, del caso Calabria, per le vittime e per i parenti delle vittime, che spesso non possono permettersi indagini e perizie costose, è difficile, se non impossibile, dimostrare il nesso di causalità tra le morti e i veleni utilizzati nelle lavorazioni. E al disastro ambientale si somma il disastro della giustizia italiana che, coi suoi tempi biblici, arriva solo poche volte alla verità e spesso quando i reati ambientali sono ormai andati prescritti.
La storia della mancata bonifica dei siti inquinati di Crotone si potrebbe riassumere, banalmente, con uno slogan: riunioni, conferenze, caratterizzazione dei siti, ma niente bonifiche. E ciò è avvenuto nonostante le principali aree fossero state inserite all’interno del SIN, proprio con lo scopo di consentire l’intervento diretto del Ministero dell’ambiente; a maggio 2011, niente: “non erano ancora state intraprese le iniziative concrete per i necessari e urgenti interventi di bonifica”, notava la commissione d’inchiesta nella sua relazione.
Ad oggi, le opere di bonifica, più volte programmate, non sono ancora iniziate. Riunioni, conferenze di servizi, caratterizzazione dei siti, eccetra. Ma dopo oltre dieci anni dalla delimitazione, e dopo oltre venti dal termine delle lavorazioni industriali, non hanno ancora bonificato proprio nulla. I veleni sono tutti lì.

Sono le inchieste giudiziarie, con i sequestri delle aree inquinate, ad ostacolare le bonifiche?

Macché, in questo caso, le vicende giudiziarie sono assai successive. La mancata bonifica dei siti inquinati ricompresi nel SIN Crotone, come per quelli di Cerchiara di Calabria e Cassano allo Ionio, ha ben altre cause; rappresenta “uno spaccato dell’inefficienza” – scrive letteralmente la commissione parlamentare d’inchiesta – “di tutte le pubbliche amministrazioni, locali e nazionali, deputate ad affrontare la situazione di disastro ambientale che coinvolge l’intero territorio crotonese”.
È l’incapacità di una classe dirigente (non solo politica) di porsi alla guida di un progetto di bonifica, di ripristino ambientale, che diventi motore di uno sviluppo locale creando occupazione ecologicamente sostenibile.
Poi ci sono le discariche. La situazione delle discariche abusive o non in regola con le vigenti norme, in Calabria, è ulteriormente complicata dalla cronica “mancanza di regolari discariche autorizzate”, che – come sottolinea la stessa commissione d’inchiesta sulle attività illecite connsesse al ciclo dei rifiuti nella Regione Calabria (XVI Leg.) – “favorisce fenomeni estesi e diffusi di comportamenti illegali non solo da parte dei cittadini, ma anche da parte degli stessi amministratori comunali, mediante il ricorso a discariche che, sebbene autorizzate dagli stessi comuni, non sono, comunque, «a norma», vale a dire non sono adeguatamente impermeabilizzate, allo scopo di evitare che il «percolato», derivante dai rifiuti, finisca nel terreno sottostante e, in definitiva, nella falda”.
E leggendo la relazione si scopre che, “il mancato collettamento delle acque reflue”, “il mancato adeguamento delle fognature per il conferimento al trattamento” e “lo smaltimento delle acque o di altri rifiuti, senza adeguate garanzie di protezione dell’ambiente e della salute”, hanno rappresentato e tutt’ora rappresentano le principali “cause di carenza dell’azione amministrativa”.
E nel ricordare i maggiori bubboni della peste ecologica calabrese, non possiamo dimenticare quanto emerso dagli accertamenti dell’Arpacal che ha depositato, alla Procura di Paola, gli esiti dei carotaggi dimostranti che, nel torrente Oliva, sono interrati rifiuti speciali e pericolosi come fanghi industriali, arsenico e persino scarti di raffinerie.

Come i referendum, come i diritti civili, l’ecologia” – scriveva già così nel 1978 Marco Pannella – “è da sempre considerata un lusso, un problema marginale rispetto a quello del ‘pane e lavoro’. Il risultato – aggiungeva – è sotto gli occhi di tutti: viviamo in un paese disastrato da calamità (definite ufficialmente “naturali” senza che la definizione ne nasconda l’origine politica), e insieme con sempre meno lavoro e meno benessere. Anche per le sinistre una bella raffineria è più gratificante della lotta alle alluvioni e alle frane, della limitazione dei livelli di inquinamento, anche della prevenzione di un Vajont o di una Seveso, o di un incidente nucleare. 20-30 mila miliardi di investimenti in trent’anni per il rispetto idrogeologico del territorio significherebbero centinaia di migliaia di posti di lavoro”.

Ecco, appunto: pane, lavoro ed ecologia.

A dicembre del 2012, a Praia a Mare, con una manifestazione i cittadini, in attesa del processo durato oltre dieci anni e conclusosi venerdì scorso, chiedevano la bonifica dei terreni e dei fiumi inquinati, una commissione regionale d’inchiesta che identificasse e censisse i siti inquinati dell’intera Regione, assieme a un’indagine epidemiologica di tutti gli abitanti che vivono in prossimità di siti inquinati, l’istituzione del registro dei tumori provincia per provincia e un registro dei tumori speciali per i bambini.
Per Jürgen Renn, direttore dell’Istituto Marx Plank per la Storia della Scienza di Berlino, viviamo nell’Antropocene, un’era “geologica” nella quale “più del 75% della superficie terreste non ricoperta da ghiaccio è stata trasformata dall’uomo”. Un’era in cui l’impronta ecologica umana – in tutte le parti del globo – si sta facendo devastante.
La convenzione di Aarhus dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) garantire ai cittadini il diritto alla conoscenza dei processi decisionali di governo locale, nazionale e transfrontaliero concernenti l’ambiente.
Secondo chi scrive, non solo i dati sull’inquinamento ambientale dovrebbero essere censiti, resi pubblici e divulgati. Ogni cittadino dovrebbe poter conoscere dove sono le aree a rischio idrogeologico e dove quelle caratterizzate da una maggiore “amplificazione sismica locale”; e al momento dell’acquisto di un immobile, dell’edificio acquistato si dovrebbe poter conoscere anche la sua “vulnerabilità sismica”.
Dall’ecologia può nascere il lavoro di cui c’è tanto bisogno anche oggi e il lavoro provvede al pane. Se ambiente e territorio rappresentano priorità per il nuovo governatore della Calabria, Mario Oliverio, nelle more che il Governo cambi rotta sul decreto sblocca Italia che “sblocca le trivelle” e l’ulteriore ricerca di petrolio, non sarebbe il caso di dare ascolto ai cittadini che manifestavano a Praia a Mare, facendo conoscere alla gente la realtà dei territori in cui vivono censendo e, soprattuto, facendo le bonifiche dei siti inquinati? Dopo tutto di ecologia, pane e lavoro stiamo parlando.

Share

SENTIERI, nei siti inquinati si muore e ci si ammala di più. E a Crotone?

Mortalità, incidenza oncologica e ricoveri ospedalieri. Aumentano i tumori da amianto e le patologie legate al rischio chimico nei siti inquinati. Evidente la gravità dell’esposizione ad amianto subita dalle popolazioni residenti.

Copertina del Rapporto SENTIERI
Copertina del Rapporto SENTIERI

Per i siti inquinati di interesse nazionale (SIN), ma anche per i tantissimi siti inquinati ma non inseriti nelle competenze del Ministero dell’ambiente, occorrerebbe adottare quel sacrosanto principio di precauzione e non aspettare la conferma scientifica di una correlazione diretta  tra inquinanti e aumento dei tumori. Ma andiamo con ordine. …Aggiungiamo che servirebbe un’anagrafe pubblica dei siti inquinati e l’istituzione di un semplice registro delle cause di morte per cominciare a fare due conti anche in Calabria.

Lo Studio Sentieri 2014 – che, in pratica, è un aggiornamento del precedente – è stato reso disponibile on line su la rivista scientifica Epidemiologia & Prevenzione – numero 38 di Marzo-Aprile 2014 – e rivela chiaramente che, nei siti inquinati di interesse nazionale per le bonifiche da sostanze pericolose come amianto e altri veleni, ci si ammala e si muore di più che altrove!



Il RIASSUNTO

(dal rapporto Sentieri – Abstract a cura del gruppo di lavoro Sentieri)

    L’Istituto superiore di sanità (ISS), in collaborazione con una rete di istituzioni scientifiche italiane operanti a livello nazionale e regionale e con il Centro europeo Ambiente e salute dell’OMS, ha ideato il Progetto SENTIERI (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) i cui obiettivi, metodi e primi risultati sono stati pubblicati nel 2010 e 2011 su Epidemiologia & Prevenzione. Nel corso del 2013, alcuni risultati del Progetto SENTIERI sono stati pubblicati nella letteratura scientifica internazionale, e contestualmente l’«approccio SENTIERI» è stato incluso fra quelli ritenuti validi dall’OMS per condurre una prima caratterizzazione dello stato di salute dei residenti nei siti contaminati.

Obiettivo del presente supplemento è fornire, per i 18 siti di interesse nazionale per le bonifiche (SIN) inclusi nel Progetto SENTIERI e serviti dalla rete AIRTUM dei Registri tumori, un’estensione dello studio di mortalità aggiornato al 2010, l’analisi dell’incidenza oncologica relativa al 1996-2005 in 17 SIN e una prima analisi dei dati di ospedalizzazione relativi al 2005-2010. Questi tre esiti sanitari – mortalità, incidenza tumorale e ospedalizzazione – sono stati studiati attraverso metodi omogenei applicati a fonti informative certificate, rispettivamente Istat, AIRTUM e Ministero della salute.

I risultati sono commentati riguardo agli aspetti di validità del disegno e della metodologia adottata; sono inoltre esaminati il tema dell’inferenza causale, il ruolo delle valutazioni a priori, nello specifico dei risultati dell’impatto sanitario nei SIN, le principali implicazioni di sanità pubblica e le priorità per la ricerca scientifica. Sono presentate anche proposte di approfondimenti su questioni di rilievo in termini di sanità pubblica e di ricerca scientifica. (…)

(…) Tra i 18 SIN analizzati alcuni sono caratterizzati da un’unica fonte di esposizione ambientale e un unico inquinante (per esempio Biancavilla, fluoro-edenite) ma, nella maggior parte dei casi, si è in presenza di molteplici ed eterogenee sorgenti emissive. Per questo la presenza di una evidenza a priori di associazione con le fonti di emissione/rilascio del SIN, come definita nell’ambito di SENTIERI, è di aiuto nel riferire il profilo di salute della popolazione residente a specifiche esposizioni ambientali. Questa coerenza con l’evidenza a priori è presente in diversi casi: per esempio, nel SIN Fidenza per il tumore dello stomaco (eccesso di incidenza in entrambi i generi); nel SIN Laguna di Grado e Marano per il tumore dello stomaco (eccessi di mortalità, incidenza e ricoverati tra le donne); nei SIN di Brescia-Caffaro, Milazzo, Terni Papigno con eccessi di ricoverati per le malattie respiratorie in entrambi i generi; nel SIN di Brescia-Caffaro con eccessi di incidenza (uomini) e di ricoverati (uomini e donne) per linfomi non-Hodgkin, per melanoma (incidenza e ricoveri, entrambi i generi) e tumore della mammella (incidenza e ricoveri, donne).

I risultati relativi a singole patologie con agente eziologico pressoché unico, per esempio le fibre asbestiformi, sono di agevole commento. Il mesotelioma della pleura e il tumore maligno della pleura, suo proxy, mostrano incrementi nei SIN di Biancavilla, dove è presente la fibra asbestiforme fluoro-edenite, e Priolo, dove l’asbesto è presente insieme ad altri contaminanti ambientali.

Si osservano aumenti anche nei SIN con aree portuali (es: Trieste, Taranto, Venezia e Porto Torres) e con attività industriali a prevalente vocazione chimica (Cogoleto- Stoppani, Laguna di Grado e Marano, Priolo, Venezia) e side- rurgica (Taranto, Terni, Trieste).

Più complesso è commentare incrementi per patologie con eziologia multifattoriale in siti industriali con sorgenti emissive molteplici ed eterogenee, come per esempio il tumore del polmone e le malattie respiratorie. Esistono casi più articolati nei quali i risultati nelle tre basi di dati e/o nei due generi non sono allineati: per il tumore del polmone a Venezia, per esempio, mortalità e ricoverati sono aumentati solo tra gli uomini; in queste circostanze, per una adeguata discussione dei risultati è necessario considerare alcuni fattori come l’appropriatezza dell’esito in eccesso, tenendo anche conto della latenza e della durata del periodo dell’osservazione.

Altri risultati di interesse riguardano le patologie del sistema urinario (insufficienze renali nei SIN Basso bacino del fiume Chienti, Taranto, Milazzo, Priolo) e le malattie neurologiche (nei SIN di Trento Nord, Laguna di Grado e Marano, Basso bacino del fiume Chienti). (…)

Elemento di novità delle analisi qui presentate è l’utilizzo dell’incidenza oncologica e dei ricoverati, esiti informativi anche per patologie ad alta sopravvivenza come il tumore della tiroide, per il quale in alcuni SIN (Brescia-Caffaro, Laghi di Mantova, Milazzo, Sassuolo-Scandiano, Taranto) sono presenti incrementi in entrambi i generi in ambedue le basi di dati. Sempre grazie alle analisi dell’incidenza oncologica e dei ricoverati, a Brescia-Caffaro sono stati osservati eccessi per le sedi tumorali che la valutazione della IARC del 2013 associa certa- mente (melanoma) o probabilmente (tumore della mammella e per i linfomi non-Hodgkin) con i PCB (policlorobifenili), principale contaminante nel sito.

Nello studio dell’impatto sanitario dei siti contaminati i risultati possono essere sintetizzati per identificare priorità generali per azioni di sanità pubblica. Nel presente supplemento viene presentato, a titolo di esempio metodologico, il profilo di rischio dei residenti nei 17 SIN nei quali è attivo un registro tumori aderente alla collaborazione scientifica ISS-AIRTUM.

La conclusione principale di quest’analisi è che le graduatorie mostrano una grande sovrapposizione dei limiti di credibilità dei ranghi di ciascuna unità classificata, rivelando una grande omogeneità tra i SIN: ciò significa che non è possibile definire poche sedi tumorali o pochi SIN come particolarmente compromessi. Pertanto, ogni SIN merita una trattazione a sé e i 17 SIN non possono essere ordinati per gravità come profilo di incidenza tumorale. I ranghi marginali per malattia evidenziano la gravità dell’esposizione ad amianto subita dalle popolazioni residenti nei 17 SIN, le graduatorie delle sedi tumorali per singolo SIN mostrano eccessi caratteristici, come esemplificato dai risultati per il SIN di Priolo. Alcuni tumori come i mesoteliomi, i tumori del fegato e del pancreas, emergono e richiedono in questo caso un’attenzione particolare.

In alcuni SIN lo studio SENTIERI, seppure ecologico, fornisce dati sufficienti per non differire azioni di bonifica. Lo stesso vale per siti più complessi, come quello di Taranto, per i quali i risultati di SENTIERI e l’insieme delle conoscenze disponibili attribuiscono un ruolo alle esposizioni ambientali e per i quali è ora possibile prevedere procedure di valutazione integrata dell’impatto ambientale e sanitario.

Le caratteristiche metodologiche dello studio SENTIERI – in particolare l’utilizzo di tre basi di dati a livello comunale e il di- segno di tipo geografico – non consentono, in linea generale, la formulazione di valutazioni causali ma, come sopra detto, l’individuazione di indicazioni di possibile rilevanza eziologica da approfondire con studi mirati, senza che questo dilazioni l’indifferibile risanamento ambientale.

Allegati: RAPPORTO SENTIERI 2014

Nelle conclusioni dello studio, al paragrafo discussione (p.167) è scritto testualmente che:

  Ogni SIN merita una trattazione a sé e i 17 SIN non possono essere ordinati per gravità come profilo di incidenza tumorale. Si noti che questo rilievo sta a indicare quanto sia grave la compromissione dello stato di salute nelle aree a rischio italiane, tanto da impedire di stilare una graduatoria. Tali risultati sono da ricondurre al fatto che i rischi (esposizioni ambientali) nei diversi SIN sono eterogenei e non hanno determinato un effetto generale su tutti i tipi di neoplasia.

  L’impossibilità di definire graduatorie è legata alle differenze tra SIN nei fenomeni di inquinamento, in termini sia qualitativi (tipologia di inquinanti) sia quantitativi, come pure per quanto riguarda i tempi di esposizione (l’inizio di esposizione agli inquinanti e la finestra temporale di esposizione risultano molto variabili nei diversi SIN). Le graduatorie delle sedi tumorali per singolo SIN mostrano invece eccessi caratteristici, come esemplificato dai risultati per il SIN di Priolo sia negli uomini sia nelle donne. Alcune sedi tumorali come i mesoteliomi, i tumori del fegato e del pancreas emergono e richiedono in questo caso un’attenzione particolare.

E che:

Dai ranghi marginali per malattia appare in tutta la sua evidenza la gravità dell’esposizione ad amianto subita dalle popolazioni residenti nei SIN.


Se anche i dati sul SIN calabrese di Crotone non fanno parte dello studio Sentieri sappiamo tutti qual’è la situazione nella città di Pitagora martoriata da rifiuti e dai veleni industriali e politici dell’ex Pertusola e dell’ex Montedison. E le bonifiche stanno ancora all’anno zero. Una vera peste ecologica. E bisognerebbe ricordare che esiste il Principio di Precauzione che è un principio riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo (CEDU)

SIN CROTONE
SIN CROTONE

Di seguito – anche se auto citarsi è poco corretto – riporto un tratto del volume in via di pubblicazione per i tipi di Non Mollare edizioni La peste ecologica e il Caso Calabria, (Non Mollare edizioni) da me curato e nel quale molte notizie sono state rilevate dalla relazione territoriale della commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti in Calabria della XVI legislatura (Pecorella G. et. alii):

La peste ecologica e il caso Calabria
La peste ecologica e il caso Calabria

(…) A Crotone nella procura giacciono oltre 2.000 le richieste di risarcimento danni procurati ai lavoratori dell’ex Montedison dove l’amianto in polvere, come vedremo, si utilizzava tranquillamente nelle lavorazioni fino al 1992 ed è andato a finire un po’ da per tutto. Si sa, è assai volatile! E ancora: fosforo elementare stoccato sulle spiagge che, da solo per auto combustione, prendeva fuoco, e quelle strane scorie industriali che sono state utilizzate per costruirci di tutto, persino delle scuole. (…)

(…) Persino l’area marina protetta di Isola Capo di Rizzuto (KR). Una recente relazione del Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare (CoNISMa), specificatamente redatta per l’area marina protetta di Isola Capo Rizzuto, nell’ambito di un piano di monitoraggio generale svolto d’intesa con la regione Calabria, ha accertato che, nell’area suddetta, è presente “un livello di arsenico molto elevato rispetto alla norma, escludendo, però, che esso provenga dalle acque del mare”. Come ha ribadito il dottor Dolcino Favi alla Commissione parlamentare d’Inchiesta, secondo la tesi del CoNISMa, scientificamente dimostrata, “si trattava di residui industriali degli stabilimenti dell’ex Pertusola Sud di Crotone e di altre industrie del crotonese – di cui si dirà più avanti – e che, attraverso le acque piovane, si erano infiltrati nelle falde acquifere e poi erano finiti nel mare, come si deduceva dal fatto che, man a mano, che si procedeva nelle acque marine, il livello di arsenico diminuiva, anziché aumentare1

(…)

A causa di scelte politiche idiote del passato, che intendevano trasformare Crotone in un serbatoio clientelare di voti, i veleni industriali qui non mancano affatto e variano dalla ormai celebre scoria cubilot, derivante dalle scorie di lavorazioni della ferrite di zinco nello stabilimento della Pertusola Sud, utilizzata persino come inerte per costruire persino delle scuole, sino alla fibretta d’amianto in polvere, utilizzata nel ciclo industriale dell’ex Montedison; alla fosforite della discarica dell’ex Fosfotec derivante dalla produzione industriale di fertilizzanti, smaltita in discariche non a norma o del tutto abusive; fosforite che, a contatto con l’atmosfera, dà luogo a fenomeni di combustione spontanea. Passeggiando sui rifiuti, scrisse qualcuno. Dimenticando, pero, la parola: “pericolosi”. (…)

Il 5 maggio del 2012, Pino Greco, nella qualità di rappresentante dell’associazione Fabbrikando l’avvenire, intervenendo al convegno “Amianto, Killer da sconfiggere! Crotone un caso nazionale”, ha pubblicamente chiesto, per l’ennesima volta, “il risanamento della città (di Crotone, ndr) che, – ha ricordato – è entrata nel processo (costituendosi parte civile, ndr) per omicidio plurimo colposo aggravato da colpa cosciente e disastro ambientale”.

Tale processo, …, vede coinvolti 8 ex dirigenti degli stabilimenti dell’ex Montedison, rischia di finire, come tanti altri, in prescrizione. I casi individuati, come “certi”, dai consulenti del pubblico ministero sono in tutto sette e riguardano cinque dipendenti “diretti e indiretti” dell’ex Montedison e le mogli di altri due dipendenti, nel frattempo, tutti deceduti.Ma tali casi accertati, per il procuratore della Repubblica, “rappresentano la punta dell’iceberg rispetto a quello che non si è potuto accertare per l’insufficienza e/o la carenza dei dati acquisiti”.

(…) Però, al 2013, le bonifiche non sono ancora arrivate e l’elenco delle morti per mesotelioma a Crotone non si ferma: il 21 gennaio 2014, fa notizia la nuova inchiesta (bis) sulla fibretta killer, anche questa avviata dal Procuratore della Repubblica, Raffaele Mazzotta. Dopo il primo processo a gli otto dirigenti ex Montedison iniziato nel 2012 per le prime cinque morti il cuin nesso sarebbe “certo”, anche per altri tre decessi sarebbe accertato il “nesso di casualità con l’attività svolta nel reparto forno-fosforo”. Sono ancora le otto persone – gli ex direttori dello stabilimento ex Montedison, ex responsabili ambientali e persino un ex responsabile sanitario dal ’74 al ’97, – che per la pubblica accusa, non potevano non essere a conoscenza della pericolosità di una sostanza come l’amianto. Gli otto ex dirigenti, ormai tutti ultra settantenni, sono indagati, anche per questo secondo filone, per l’accusa di omicidio colposo plurimo e disastro colposo poiché, secondo gli accertamenti del nucleo investigativo ambientale della procura, fino alla dismissione del reparto forno-fosforo avvenuta nel ’92, avrebbero omesso di informare i lavoratori sui rischi derivanti dall’inalazione delle polveri d’amianto e su come prevenirle.

1 Pecorella G et alii, Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite della XVI Leg., p. 74

 


 

Di seguito riportiamo – per completezza – la recensione del rapporto «Sentieri» pubblicato su QS, QuotidianoSanità.it il 13 maggio 2014

Sentieri 2014. Il nuovo studio: aumentano i tumori da amianto e le patologie legate al rischio chimico nei siti inquinati

Si registra un “eccesso” di mortalità, ricoveri e casi di tumore nei siti a rischio per l’inquinamento ambientale, mentre nei luoghi dove vi è stata lavorazione dell’amianto aumentano i casi tumorali di mesotelioma pleurico polmonare. Ma non si tratta solo di tumori. Nel Sin Basso bacino del fiume Chienti sono emersi eccessi di insufficienze renali. Questi alcuni risultati dello studio.

E’ stato pubblicato il terzo Rapporto di Sentieri (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento), il progetto finanziato dal Ministero della salute e coordinato dall’Istituto superiore di sanità (Iss) che ha come obiettivo lo studio del rischio per la salute nei 44 siti di interesse nazionale per le bonifiche (Sin). Questo terzo volume, frutto della collaborazione tra Iss e Associazione italiana del registri tumori (Airtum), affianca allo studio della mortalità nei Sin, le analisi di due importanti parametri: i ricoveri ospedalieri e l’incidenza dei tumori.



La scelta di analizzare l’incidenza oncologica (nuovi casi/anno) ha comportato la restrizione dell’analisi a 18 dei Sin inclusi nel Progetto Sentieri, quelli coperti dalla rete Airtum dei Registri tumori1. Va notato a questo proposito che uno studio precedente aveva documentato un eccesso di incidenza pari al 9% negli uomini e al 7% nelle donne nell’insieme di 23 Sin (in questo caso si aggiungevano, per 6 Sin, i dati derivati dai registri tumori infantili che in Sentieri non sono stati utilizzati).

”L’analisi, in aggiunta alla mortalità, dei dati riguardanti l’incidenza oncologica e i ricoveri ospedalieri è cruciale. Quando si ha a che fare con patologie ad alta sopravvivenza, infatti, lo studio della sola mortalità porterebbe a sottovalutarne l’impatto effettivo”, si spiega nel rapporto.

È il caso, per esempio, del tumore della tiroide, per il quale in alcuni Sin sono stati rilevati incrementi in entrambi i generi per quanto riguarda sia l’incidenza tumorale (Brescia-Caffaro: + 70% per gli uomini, +56% per le donne; Laghi di Mantova: +74%, +55%; Milazzo: +24%, +40%; Sassuolo-Scandiano: +46%, +30%; Taranto: +58%, +20%) sia i ricoveri ospedalieri (Brescia-Caffaro: + 79% per gli uomini, +71% per le donne; Laghi di Mantova: +84%, +91%; Milazzo: +55%, +24%; Sassuolo-Scandiano: +45%, +7%; Taranto: +45%, +32%).

Sempre grazie alle analisi dell’incidenza oncologica e dei ricoverati, a Brescia-Caffaro sono stati osservati eccessi per quelle sedi tumorali che la valutazione della Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms (Iarc) del 2013 associa certamente (melanoma) o probabilmente (tumore della mammella e per i linfomi non-Hodgkin) con i Pcb (policlorobifenili), principali contaminanti nel sito. L’incidenza di melanoma infatti rivela un eccesso del 27% e del 19% tra gli uomini e le donne, rispettivamente, mentre i ricoveri ospedalieri per la medesima malattia fanno registrare un eccesso del 52% nel sesso maschile e del 39% in quello femminile.

Per i tumori della mammella, tra le donne si registra un eccesso del 25% per quanto riguarda l’incidenza, del 15% per i ricoveri ospedalieri, mentre per i linfomi non-Hodgkin l’aumento dell’incidenza è del 14% (uomini) e del 25% (donne), quello dei ricoveri ospedalieri è intorno al 20% per entrambi i sessi (uomini: +19%, donne: +18%).

Una seconda novità introdotta in questo nuovo rapporto è la presentazione del profilo di rischio oncologico per le popolazioni dei Sin il cui scopo è identificare, tra le lunghe liste di rischi relativi fornite per ognuno dei siti, una sintesi dei risultati che sia utile per identificare priorità generali per azioni di sanità pubblica. Un primo risultato di questa analisi suggerisce che ogni Sin deve essere valutato separatamente.

Emerge tuttavia con forza la gravità della esposizione ad amianto subita dalle popolazioni residenti nei Sin e che risulta evidente, per gli uomini, dai dati relativi al mesotelioma.

Eccessi per mesotelioma e tumore maligno della pleura si registrano infatti nei Sin siciliani di Biancavilla (CT) e Priolo (SR), dove è documentata la presenza di asbesto e fibre asbestiformi, ma anche nei Sin con aree portuali (es: Trieste, Taranto, Venezia) e con attività industriali a prevalente vocazione chimica (Laguna di Grado e Marano, Priolo, Venezia) e siderurgica (Taranto, Terni, Trieste): un dato, questo, che conferma la diffusione dell’amianto nei siti contaminati anche al di là di quelli riconosciuti tali in base alla presenza di cave d’amianto e fabbriche di cemento-amianto.

Dall’analisi del profilo di rischio oncologico risulta anche una maggiore incidenza di tumore del fegato in entrambi i generi riconducibile, in termini generali, a un diffuso rischio chimico nei Sin.

Ma non si tratta solo di tumori. Per esempio, nel Sin Basso bacino del fiume Chienti sono emersi eccessi per le patologie del sistema urinario, in particolare le insufficienze renali, che inducono a ipotizzare un ruolo causale dei solventi alogenati dell’industria calzaturiera. Sempre per le patologie renali è stato suggerito un approfondimento nel Sin di Taranto.

Nel Sin di Porto Torres (SS) si registrano eccessi in ambedue i sessi e per tutti gli esiti considerati (mortalità, incidenza oncologica, ricoveri ospedalieri) per patologie come le malattie respiratorie e il tumore del polmone, per i quali si suggerisce un ruolo delle emissioni di raffinerie e poli petrolchimici; per le stesse patologie rilevate a Taranto è stato suggerito un ruolo delle emissioni degli stabilimenti metallurgici.

In generale, si osserva nello studio, i risultati di questo volume relativi a tre esiti differenti risultano, nel loro insieme, coerenti con le precedenti analisi della sola mortalità per il periodo 1995-2002.

L’indicazione formulata nello studio, per tutti i Sin, è stata di acquisire maggiori conoscenze dei contaminanti presenti nelle diverse matrici ambientali al fine di stimare meglio l’esposizione attuale e pregressa; è questo il caso, per esempio, di Bolzano e del Basso bacino del fiume Chienti, dove è documentata la contaminazione di suolo e falda. L’utilità di avviare o proseguire programmi di biomonitoraggio umano è stata indicata, tra gli altri, per i Sin di Brescia-Caffaro e Trento. Sono stati inoltre raccomandati programmi di monitoraggio biologico relativi alla catena alimentare in sub-aree ben definite del Litorale Domizio-Flegreo e Agro Aversano.

In alcuni Sin lo studio Sentieri ha fornito, inoltre, dati che corroborano ulteriormente la necessità di non rinviare le azioni di bonifica. E’ il caso del già citato Sin di Brescia-Caffaro. Ma anche del Sin di Biancavilla, dove gli eccessi riscontrati per mesoteliomi e tumori maligni della pleura in entrambi i sessi sono riconducibili a un’unica fonte di esposizione, una cava di materiale lapideo contenente una fibra asbestiforme di nuova identificazione, la fluoro-edenite.

In siti più complessi, come quello di Taranto, i risultati di Sentieri e l’insieme delle conoscenze disponibili attribuiscono un ruolo alle esposizioni ambientali. A Taranto e in altri Sin per i quali le conoscenze sono ricche e solide è ora possibile prevedere procedure di valutazione integrata dell’impatto ambientale e sanitario (Viias).

1   Notiamo che lo studio SENTIERI è relativo ai soli 18 dei siti di interesse nazionale per le bonifiche (SIN) dai quali sono esclusi sia i SIN calabresi di Crotone e di Cassano Ionio – Cerchiara Calabra. Nonostante il registro tumori di Crotone (che comprende parte della provincia di Cosenza) risulti in “attività” presso l’Airtum.


 

Non solo Crotone

Tra le “notizie recenti” … ecco come si muore di veleni in Calabria … Africo (RC)


 

Leggi anche dalla Pagina dei pazienti oncologici della Città di Pitagora …


 

Prop3Notizie dall’europa … i link sottostanti indirizzano su pagine esterne al sito almcalabria.org
[rssinpage rssfeed=’http://it.ibtimes.com/rss/articles/region/europa.rss’ rsstarget=’_blank’ rssdescriptionlength=’50’]

Share