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Rifroma della Giustizia. Francesca Scopelliti, la compagna di Enzo Tortora, scrive ai consiglieri regionali capigruppo e al Presidente del Cons. Regionale Calabria Nicola Irto

Candido (Partito Radicale): assieme al Garante per i detenuti, con nostro digiuno a staffetta sosteniamo anche la richiesta dell’ex compagna di Enzo Tortora, nostra compagna Radicale.

<<La lettera di Francesca Scopelliti, inviata ai capigruppo calabresi da Lucio Bertè, militante del Partito Radicale ed ex consigliere regionale della Lombardia, chiede ai consiglieri regionali di “indicare al Governo nazionale una riflessione sul mondo del carcere e una rivisitazione ‘volteriana’ degli istituti di pena”.

Una riflessione “su un tema” che Francesca Scopelliti ricorda di aver “condiviso con Enzo Tortora sia quando, innocente, fu ospite in carcere per ben sette mesi, sia quando, da Presidente del Partito Radicale, se ne occupò chiedendo insieme a Marco Pannella e ai compagni radicali  quelle riforme necessarie per fare degli istituti di pena un luogo di recupero del reo e non – come invece è oggi – un luogo di violazione dei diritti, anche dei diritti del colpevole”. Continua la lettura di Rifroma della Giustizia. Francesca Scopelliti, la compagna di Enzo Tortora, scrive ai consiglieri regionali capigruppo e al Presidente del Cons. Regionale Calabria Nicola Irto

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Persa autorevolezza la politica mostra i muscoli

di Giuseppe Candido

Pubblicato su “Il Domani della Calabria” del 6.aprile.2011

Stretto tra l’emergenza profughi per quello che Berlusconi stesso ha definito uno tsunami umano e la lega che chiede che gli immigrati vengano portati subito “fuera di ball”, il Parlamento italiano è andato in guazzabuglio. La nostra democrazia parlamentare non è mai stata così fragile come lo è oggi. L’altro giorno alla Camera tra i “vaffa” più o meno trattenuti, i “conigli” sottolineati e le urla “fascista di merda”, gli italiani hanno assistito ad uno spettacolo davvero indecoroso. Il “fanculometro”, così come Annalena Benini lo definisce sul Foglio, del ministro La Russa verso il presidente della Camera è davvero la tragicomica parodia di una realtà che si mischia con la finzione, con l’esagerazione; è il mostrare i denti e i muscoli di una politica che ha perso l’autorevolezza di governare il Paese.

La riforma epocale (e urgente) di una giustizia che oltre ad essere caratterizzata da tempi elefantiaci che l’Europa sanziona e che ha prodotto (e ancora produce) migliaia di casi “Enzo Tortora”, si è trasformata nell’ennesima leggina ad personam: il processo (leggi prescrizione) breve. Una legge che, qualora fosse approvata, non soltanto salverebbe Berlusconi da una condanna certa in primo grado ma, cosa ancora più grave, farebbe aumentare il numero, già elevatissimo, di prescrizioni allargando quella che è, di fatto, un’amnistia di classe e di regime. Senza però aumentare di una virgola la velocità dei processi e lasciandone inalterato il carico. I Magistrati dovranno continuare a svolgere anche quei processi che si sa andranno prescritti. Niente di epocale dunque, soltanto una vistosa e plateale perdita del senso del decoro. È lotta continua tra “gli estremi (e già falliti) rimedi per sottrarre il Cav. alla gogna delle procure” e gli “estremismi antiberlusconiani di piazza e di Parlamento” che molto bene Giuliano Ferrara pubblica sul Foglio. Una radicalizzazione del confronto politico in cui non si sa davvero che scegliere e tra cui, speriamo, non essere costretti a dover scegliere. Anche perché, a guardarli attentamente, è vero che entrambe le gambe del regime, come scrive Staderini, sono giustizialiste. “Per esigenze di potere collegate al giudiziario” una. “Per esigenze di repressione necessarie a coprire l’incapacità di affrontare le grandi questioni del nostro tempo” l’altra. Entrambe sorreggono il medesimo corpo della democrazia malata, sempre più corrotta, dalla partitocrazia. Come dar torto, poi, a Ritanna Armeni che scrive che fosse lei in Parlamento non voterebbe “una legge proposta da chi ha un suo personale interesse a volerla”. Ma il problema del PD e dell’opposizione in genere non è minimamente paragonabile a quello di una grande squadra come il Barcellona che gioca male perché difronte ad una “squadra scarsa che gioca scorretto”. Il problema è di più ampio respiro. È l’intera classe dirigente che, dopo sessant’anni di partitocrazia e asfissiata dall’assenza di ricambio, ha perduto la sua autorevolezza e, come scrive Michele Ainis, tenta disperatamente di “recuperarla gonfiando i bicipiti”. Le nazioni muoiono di impercettibili scortesie, diceva Giraudoux ricorda Aines ma, è bene ricordare anche che, come sosteneva Montesquieu, “Lo Stato perirà nel momento in cui il potere legislativo sarà più corrotto dell’esecutivo”.

Per cui accade di tutto. Mentre le carceri, nell’assenza di Stato di diritto, straripano di immigrati clandestini e mentre le procure si ritrovano con registri indagati che sembrano elenchi telefonici, il Ministro della Difesa (in guerra con la Libia) manda tranquillamente a quel paese il Presidente della Camera. Ma è “il mancato ricambio delle classi dirigenti” individuato da Michele Ainis la causa principale della “deriva pericolosa” delle Istituzioni parlamentari cui stiamo assistendo? Il Professor Massimo Salvadori insiste anche lui a parlare di un “sistema politico bloccato” nel suo saggio (Ed. Laterza) intitolato “Democrazia senza democrazia”. Ma probabilmente, per definire il vero male della nostra democrazia parlamentare, è più corretto parlare di una vera e propria “Peste italiana”, come fa a chiare lettere il volume di Radicali Italiani non ancora definitivamente edito e dedicato a futura memoria (se la memoria avrà futuro). “Dal primo gennaio 1948, nel momento stesso della sua entrata in vigore, inizia immediatamente il processo di snaturamento e svuotamento della Costituzione; da qui i partiti” – si legge nell’introduzione del volume – “cominciano a impadronirsi del sistema politico e a cancellare lo Stato di diritto; da qui parte la negazione dei fondamentali diritti civili e politici dei cittadini italiani”. Nel volume, viene citato, tra l’altro, il discorso del Presidente del Consiglio dimissionario Giuliano Amato del 22 aprile 1993: “Quella che noi chiamiamo la degenerazione progressivamente intervenuta nei partiti italiani, quel loro lasciare vuota la società, quel loro divenire poco alla volta erogatori di risorse disponibili attraverso l’esercizio del potere pubblico, questa degenerazione” – affermava allora il dottor. Sottile – “è stata il ritorno o la progressiva amplificazione di una tendenza forte della storia italiana e che nella storia italiana era nata negli anni Venti e Trenta, con l’organizzazione di ‘quel’ partito”. “È dato di fatto che il regime fondato su partiti che acquisiscono consenso di massa attraverso l’uso della istituzione pubblica è un regime che nasce in Italia con il fascismo e che ora viene meno. E non a caso. Nello stesso momento viene meno quel regime economico fondato sull’impresa pubblica che era nato negli anni Trenta. Ed è un regime economico e un regime di partiti che attraversa per certi aspetti pure un cambiamento importante, pure fondamentalissimo, come quello del passaggio tra quel regime e la Repubblica e che viene meno ora”. Dovremmo rileggerle quelle parole perché assai attuali. Anche ora, mentre i tanti nessuno vivono credendo nell’Unità e nelle Istituzioni con la (i) maiuscola, anche oggi quella conquista di democrazia repubblicana fondata e fondamento di uno Stato di diritto ci sembra lontana. E per farci l’idea della gravità del momento dovremmo ricontare, ad uno ad uno, tutti i referendum in cui i cittadini erano riusciti ad esprimersi abrogando delle leggi ma che, con qualche leggina ad hoc, sono stati traditi dal Parlamento. Dal finanziamento pubblico dei partiti a quello della riforma elettorale in senso maggioritario passando per quello sulla responsabilità civile dei magistrati. Per non parlare del nucleare. E dovremmo anche analizzare la storia di una Repubblica fondata sul regime dei partiti e delle loro oligarchie, che hanno stravolto la democrazia. Solo con queste premesse potremmo davvero interrogarci su come risolvere quella che è giusto definire, forse, la più grande ed irrisolta questione sociale del nostro Paese e ridare senso alle istituzioni parlamentari scegliendo magari, come Costituzione richiederebbe, i migliori “nessuno” piuttosto che i soliti noti, a sedere negli scranni parlamentari.

 

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