Archivi tag: poesia

Il sapore dell’estate

di Maria Elisabetta Curtosi

Ho trovato tra le carte queste poche strofe, non so chi le ha composte e di certo non me ne approprio indebitamente, però è un peccato non scriverele, perciò:

Il profumo del mare, il silenzio dei pesci,
l’odore del sale, il caldo sole d’agosto,

l’abbraccio dalla sabbia, l’amore di chi ci sta intorno,
la carezza di un padre, il sorriso di nostra madre.

Le urla dei bambini, il gusto fresco dell’anguria,
il canto del vento che accarezza la sabbia.

L’odore del pesce fresco appena grigliato;
gocce di limone sulle nostre labbra.

La nostra vita piena di sapore,
il nostro sguardo che non muore,
le nostre mani pien d’amore.

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I “Subnormali”

di Maria Elisabetta Curtosi

Charles Bukowski
Foto: huffingtonpost

In questo periodo non posso fare a meno di citare un grande autore  Charles Bukowski che come sempre ci stupisce con la sua schiettezza e sintassi breve quanto basta a trafiggere i cuori dei più.

 

 

“Nella società c’è sempre chi difende i subnormali  perché non si rende conto che i subnormali sono subnormali. 

E la ragione per cui non se ne rendono conto è che sono subnormali anche loro. 

Viviamo in una società subnormale e questo è il motivo per cui tutti si comportano come si comportano  e si fanno fra loro le cose che si fanno.

Ma questi sono fatti loro e a me non interessa, a parte il fatto che ci devo vivere insieme.”

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Emigrazioni in America

Emigrazioni  verso le Americhe o verso il Nord Europa : molti recitavano  a memoria alcuni versi di Enotrio Pugliese, genuino ed immenso artista calabrese, anch’esso figlio di emigranti:

 

“Quando nascivi patrima era a Merica.

Fici u sordatu e patrima era a Merica.

Vinneru i figghji e patria era a Merica.

Mama moriu e patria era a Merica.

Aguannu tornau patrima d’a Merica pe nommu mori a Merica”.

 

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La fiera dei miracoli

di Maria Elisabetta Curtosi

L’ incanto della poesia ci rende la vita più sopportabile e più lieve.

Così la poetessa Szymborska, premio Nobel per la letteratura, ci trasporta in un mondo stupefacente, tra la profondità della sua riflessione poetica viaggiamo nella sua scrittura filosofica e scherzosa e implusiva. “ Non dà risposte, perché ogni domanda può generare altre domande” definisce le linee guida P. Marchesani “ di ogni singolo lettore sembra condividere intuizioni, sensazioni e paure”.

 

LA FIERA DEI MIRACOLI

 

Un miracolo comune:

l’accadere di molti miracoli comuni.

 

Un miracolo normale:

l’abbaiare di cani invisibili

nel silenzio della notte.

 

Un miracolo fra tanti:

una piccola nuvola svolazzante,

e riesce a nascondere una grande pesante luna.

 

Più miracoli in uno:

un ontano riflesso sull’acqua

e che sia girato da destra a sinistra,

e che cresca con la chioma in giù,

e non raggiunga affatto il fondo

benché l’acqua sia poco profonda.

 

Un miracolo all’ordine del giorno:

venti abbastanza deboli e moderati,

impetuosi durante le tempeste.

 

Un miracolo alla buona:

le mucche sono mucche.

 

Un altro peggiore:

proprio questo frutteto

proprio da questo nocciolo.

 

Un miracolo senza frac nero e cilindro:

bianchi colombi che si levano in volo.

 

Un miracolo- e come chiamarlo altrimenti:

oggi il sole è sorto alle 3.14

e tramonterà alle 20.01.

 

Un miracolo che non stupisce quanto dovrebbe:

la mano ha in verità meno di sei dita,

però più di quattro.

 

Un miracolo, basta guardarsi intorno:

il mondo onnipresente.

 

Un miracolo supplementare, come ogni cosa:

l’inimmaginabile

è immaginabile.

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Il viaggio dell’anima

di Maria Elisabetta Curtosi

Il canto di amore e morte dell’alfiere Christoph.

Rainer Maria Rilke,

Scritto nel 1899, comparve per la prima vota solo nel 1906 ma subito godette di una grande fama in tutta l’ Europa, riscuotendo un gran successo  travolgente tanto da vendere cinquemila copie solo nelle prime tre settimane. Nella sua storia, Rilke vi rielabora il mito a lui caro di una propria origine aristocratica, vi racconta , infatti, la vicenda tragica di un giovane alfiere Christoph, che muore nel tumulto della battaglia dopo aver provato per la prima volta le “gioie dell’amore”.

L’opera fu considerata “impressionista”, “tutta costruita per vividi frammenti, in un susseguirsi di quadri più poetici che narrativi”.

Già sono presenti alcuni dei grandi temi della sua poetica: il rimpianto nostalgico per l’infanzia e per la figura materna, il viaggio come ritorno, per ritrovare le proprie radici.

Infatti nato a Praga nel 1875, dopo un’infanzia infelice e un’adolescenza drammatica trascorsa in una accademia militare Rainer Maria Rilke iniziò a viaggiare per tutta l’Europa; Monaco, Berlino, in Italia, in Russia dove si recò con l’amica Lou Andreas-Salomè, la seduttrice più intellettuale dell’epoca che fu soprattutto un “allumeuse”, pronta a suscitare ammirazioni incontrollate che non aveva intenzione di soddisfare; e a Parigi dove strinse un importante sodalizio con Auguste Rodin. Ospite di amici, negli anni del primo dopoguerra soggiornò in Svizzera fino alla morte avvenuta nel 1926. Conosciuto come il maggior poeta tedesco e interprete lirico della spiritualità dell’età moderna la sua poesia si muove tra le filosofie i Schopenhauer e soprattutto Nietzsche.

L’esordio di Rilke è l’esordio di un gesto che costituirà la questione centrale della sua poesia: esteriorizzazione dell’interiorità ed interiorizzazione dell’esterno.

“Poeta di atmosfere intime e di realtà sfocate al limite dell’onirismo”. Egli preferisce optare per una “scuola dello sguardo”: «E perciò mi dedicherò a guardare meglio, a osservare, con più pazienza, con più dedizione» . Il poeta scorgeva nella prima scuola di impressionismo tedesco la precisa volontà di ignorare qualsiasi concezione romantica della natura nonché l’impegno a disertare le aule accademiche e gli atelier per immergersi completamente nel lavoro all’aperto, «en plein air» .

Nei momenti di autentico confronto con il “fenomeno visivo” egli avverte un’equivalenza tra il mondo interiore e quello esteriore, tra la dimensione dell’apparenza sensibile e quella dell’essenza o del significato.  Il poeta trova riparo nel mondo d’infinite gradazioni e sfumature (nel colore, nel movimento, nella luce) delle arti figurative. Qui Rilke cerca soprattutto nuovi modi di espressione, non ancora utilizzati nel campo della letteratura, e in grado di superare la “povertà di articolazione del linguaggio concettuale e astratto”.

Infatti negli anni dell’intenso rapporto con la pittura e la scultura del simbolismo, dell’impressionismo e del post-impressionismo europei, impara differenti lingue del visuale e in un articolo del 1898, l’autore opta definitivamente per una scrittura poetica, ritenuta la sola forma capace di cogliere spontaneamente, a livello intuitivo, gli stati d’animo umani.

Rilke rappresenta nei Quaderni il conflitto fra partenza e ritorno, distacco e ricongiunzione. Normalmente, si pensa ai Sonetti o alle Elegie come a un genere di discorso poetico dove l’autore è riuscito a esprimere delle verità sulla vita e sul linguaggio. Talvolta, si ha l’impressione che la conoscenza linguistica prevalga su quella esistenziale, producendo delle metafore o dei simboli della poesia.

Inoltre proprio le “Elegie di Duino” completano la ricerca rilkiana di uno sguardo “nuovo” che superi la mera apparenza e la caducità delle cose, per giungere al “lavoro di conversione continua dell’ amato visibile e tangibile nell’ invisibile vibrazione e agitazione della nostra natura”, alla ricerca dell’ essenza delle cose, di una loro profonda comprensione, che si trasfonda in parola, verso, canto.

Rilke, il cantore dell’ “aperto” (das Offene), il poeta dell’indicibile, scrive: “Visione e mondo esterno coincidevano dovunque come se fossero nell’ oggetto; in ciascuno di essi si manifestava tutto un mondo interiore, come se un angelo cieco e abbracciante lo spazio scrutasse in se stesso. Questo mondo, visto non più con gli occhi degli uomini, rappresenta forse il mio vero compito”.

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“Fimmani e omani”.

di Maria Elisabetta Curtosi

Se verrà un giorno in cui smetteremo di chiederci se Vincenzo Ammirà, monteleonese, classe 1821, sia o no il più grande poeta calabrese,riconoscimento del quale l’interessato stesso non farebbe salti di gioia, vista anche l’amarezza con cui il poeta del Carmine-ex rione del paradiso terrestre vibonese che tanto decisivo nei suoi versi appare, oggi definitivamente deturpato da un progresso senza sviluppo. Fimmani, omini, natura, cultura e mondo: i temi della poesia ammiriana sono spesso risolvibili in tensioni irrisolvibili che hanno accompagnato lo scorrere dell’ultimo decennio dell’ 800 poetico esplorandone quella che sarebbe troppo facile definire una società profondamente corrotta. Le due leggendarie figure della poesia calabrese hanno plasmato con entusiasmo l’anima della gente, non solo in Calabria,ma la loro opera si è appannata, nel tempo. “L’atmosfera romantica che stupì il mondo della letteratura meridionale con le sensuali poesie si fa fatica a ritrovarla là dove la poesia è artificio, retorica, buona soprattutto nei salotti della domenica. La pratica diffusa oggi è una non celata forma di prostituzione che offenderebbe una come Cecia: qui da noi, e forse anche altrove, una signora desiderosa di occupare alacremente la propria vacanza  può comprare in un comune un incarico qualunque. La nostra coscienza è molto sporca”.

Quale dunque l’interesse di queste raccolte, a parte il gusto per lo scandalo.  Solo e semplicemente per amore della verità della conoscenza a tutto tondo come direbbe qualcuno ,nel senso che la conoscenza di qualcuno o di qualcosa non può nascondere o escludere nessuna parte di se o della sua opera.  Se vogliamo per davvero prendere le misure del Monteleonese Vincenzo Amnmirà e dell’apriglianese Domenico Piro alias Donnu Pantu, accanto ai versi sonori, cantabili, sfumati e sfuggenti, gioiosi e dilettevoli e rispettabili delle loro liriche note, si deve, appunto per amore di verità e di conoscenza.

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