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In un Paese così … iscrivetevi @Radicali e abbonatevi @ilGarantista

di Laura Arconti (*)[twitter_follow username=”@LaurArconti1″ count=”false” language=”it”]

Pubblicato su Cronache del Garantista

A volte ci si chiede come definire un Paese in cui si muore di carcere e ci si uccide per debiti. Un Paese in cui si può perdere la vita a causa di un “disastro naturale” quando un nubifragio si abbatte su fiumi e torrenti dagli argini dissestati, o un terremoto arriva su costruzioni messe in piedi con mattoni forati, poco cemento e tante bustarelle.

Un Paese in cui i pensionati sociali ricevono una elemosina insufficiente anche solo ad un pane e una tazza di latte quotidiani, e un invalido grave riceve un rimborso di accompagnamento di circa 16 euro al giorno, che basta a pagare un aiuto per non più di due ore al giorno mentre per tutti il resto del tempo il disabile deve arrangiarsi da sé o restare immobile a vegetare.


 

 

 


E mentre nel frattempo ogni giorno si scoprono falsi invalidi che percepiscono indebitamente denaro perché medici infedeli hanno certificato malanni inesistenti, e mentre manager pubblici sono pagati a peso d’oro e le strutture – anche parlamentari – che dovrebbero essere al servizio del popolo costano cifre enormi e svuotano le tasche dei contribuenti.

Un Paese in cui il piccolo imprenditore o il lavoratore “autonomo” (che ha poca autonomia perché vincolato da leggi, regolamenti, ordinanze d’ogni tipo) passa il suo tempo a dibattersi nelle difficoltà burocratiche anziché rispondere alla legge universale del confronto sulla qualità, e della libera concorrenza.

Un Paese in cui si pagano le tasse sul denaro guadagnato col proprio lavoro, e se di quel guadagno si risparmia una parte pensando previdenti al futuro e la si investe, di nuovo poi si paga una tassa su quella stessa pecunia che si riteneva già affrancata dal tributo pagato.

Un Paese in cui i governi occultano, la stampa acquiescente ignora e cancella diritti, e partiti di massa si accordano sul modo migliore di sottrarre al popolo quella sovranità che la Costituzione gli attribuisce: e lo fanno accantonando i loro stessi princìpi, valori, tradizioni, storia, pur di conservare il potere e la forza prevaricante.

Un Paese in cui nonostante tutto questo si fa festa perché la tecnologia nata dalla genialità di menti italiane ha collaborato a far saggiare di che materiale è fatta una cometa, dopo un viaggio lungo dieci anni e dopo altri dieci anni di ricerche: il che è legittimo, perché bisogna sapere tutto su ciò che ci circonda, tutto sul contesto in cui viviamo. E poco importa se poi vengono nascoste le nozioni, le conoscenze su ciò che accade agli esseri viventi giorno per giorno; poco importa perché a nessuno è chiaro che il diritto a conoscere la verità è un diritto umano e civile di pari valore rispetto al diritto di vivere liberi e con pari dignità rispetto ai proprio simili.

 

Penso che questo sia un Paese giunto al tempo terminale di un complesso di malattie gravi: un Paese schizofrenico, in preda a carenze cognitive, dissociato da ogni logica, avulso dalle proprie stesse radici originali.

Messi all’angolo, ignorati da chi scrive e di conseguenza da chi legge i mezzi di comunicazione, ignoti all’opinione pubblica al punto che non se ne conosce l’esistenza, resistono al disastro un quotidiano ed uno smilzo gruppo di visionari che hanno per religione la libertà e per legge il rispetto delle regole.

Il quotidiano, scritto da volontari coraggiosi e da collaboratori occasionali che ancora nutrono speranze, lotta ogni giorno con l’ostilità del sistema distributivo, con gli edicolanti che non vogliono “seccature”, con la posta che non consegna il giornale agli abbonati: il suo nome é “Cronache del Garantista”.

E quei quattro matti visionari che quando dicono “politica” pensano alla polis, e si studiano di produrre qualcosa di utile per i cittadini, che sono stati scacciati dalle istituzioni perché estranei ad ogni patteggiamento e malversazione, e ancora lavorano guardando alla stella polare di un futuro migliore per cittadini uguali fra loro, si chiamano da sessant’anni “Radicali”.

Pannella Senatore a Vita
Il Garantista del 3 dicembre pubblica la lettera di Bertinotti in cui si chiede di nominare Pannella Senatore a vita

Se questo Paese non è davvero giunto alla fase terminale della sua irresponsabilità, dovrebbe sostenere questi ultimi due presidi di speranza -questo giornale e questi Radicali- contribuendo economicamente, offrendo qualche soldo per il lavoro quotidiano, abbonandosi al giornale e iscrivendosi al Partito Radicale: che non hanno legami di interdipendenza fra loro, se non quelli della stima reciproca e della “simpatia”, cioè (secondo l’étimo greco) della scelta univoca del sentire, di sentimenti e pensiero.

Passate parola, voi che leggete. Diffondete queste considerazioni e le convinzioni che ne scaturiscono. Pubblicatele nelle vostre pagine Facebook, trasformatele in tweet ripetuti, stampatele e fatele leggere ai vostri amici, ai parenti, ai colleghi, ai vicini.

Tu che mi leggi, chiunque tu sia, se hai a cuore questo nostro Paese, se hai capito la sua vocazione europea tuttora frenata dall’ignavia e dalla corruzione, muoviti, fai qualcosa, aiutaci a dar voce alla speranza: non lasciare che l’egoismo e i fanatismi uccidano l’anima del futuro.

(*) Laura Arconti, esempio di militanza storica del partito di Pannella, già presidente di Radicali, oggi è componente della direzione di Radicali Italiani.

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Proibizionismi #Radicali

di Giuseppe Candido
Leggo con piacere tra le pagine calabresi delle Cronache del Garantista un’interessante inchiesta di Simona Musco sulla marijuana e sugli effetti del proibizionismo rubricato come ‘canapa, l’oro verde’ e il cui titolo a quattro colonne non lascia dubbi: “Il proibizionismo ingrassa i clan: perché non cambiare?”.
Bella domanda! Anche perché non è certo di oggi, né di ieri l’altro. La proposta di legalizzare i consumi, specialmente quelli riferiti alle droghe leggere, è una proposta ultra trentennale dei Radicali e di Marco Pannella. E parliamo non già di liberalizzazione come qualche incauto giornalista spesso ci attribuisce, ma di legalizzazione che è cosa ben diversa. Non è un fatto di semantica. La droga è già libera di essere acquistata nelle piazze di tutta Italia. E la ‘ndrangheta, con qualche altra criminalità organizzata, festeggiano perché ne sono monopolisti.
La tesi dei Radicali, quella del fallimento del proibizionismo, è una tesi che ha acquistato, negli anni, sempre più numerosi e autorevoli sostenitori, fino ad arrivare, nel 2011, al rapporto della Commissione mondiale per le politiche sulle droghe dell’ONU in cui si parla chiarmente del fallimento del proibizionismo sia nel ridurre i consumi sia nel ridurre i traffici illegali da cui le criminalità organizzate di tutto il mondo traggono ingenti profitti.
“La guerra globale alla droga è fallita,” – scrivono i commissari – “con conseguenze devastanti per gli individui e le società di tutto il mondo”. E si aggiunge: “Cinquanta anni dopo la Convenzione Unica delle Nazioni Unite sugli Stupefacenti, e a 40 anni da quando il presidente Nixon lanciò la guerra alle droghe del governo americano, sono urgenti e necessarie riforme fondamentali nelle politiche di controllo delle droghe nazionali e mondiali”.
Tutto ciò è ancor più vero per la cannabis i cui usi legali, come pure ricorda l’inchiesta della Musco, sono assai molteplici. Si pensi alla cannabis terapeutica. Nonostante in Italia il ricorso alla marijuana per fini terapeutici sia legale dal 2007, e anche se alcune recenti leggi regionali ne hanno agevolato quest’uso, sono ancora tante le difficoltà che i pazienti hanno a reperire farmaci a base di cannabis. I dati del Ministero della salute parlano chiaro: nel 2013 sono state rilasciate poco più di duecento autorizzazioni all’importazione di medicinali a base di cannabis. Ma poiché ogni paziente è tenuto ad importare il farmaco per un dosaggio non superiore alle necessità di tre mesi di terapia, il dato dei 213 pazienti autorizzati dal Ministero va diviso per quattro. Si capisce che meno di 60 persone sono riuscite a ottenere il farmaco legalmente. Poiché trattasi di migliaia di persone malate, tutti gli altri evidentemente ricorrono al mercato illegale. Ma la cosa davvero esilarante è un’altra: cioè il fatto che, dall’Italia, l’erba la dobbiamo importare a costi stratosferici dall’Olanda. Nella Calabria delle infinite piantagioni sequestrate alla ‘ndrangheta, nella Calabria baciata dal sole dove, se per sbaglio ti fai una canna e ti cade un seme, l’erba cresce su da sola, non troviamo un posticino, un cantuccio, per coltivarla legalmente e venderla ai malati delle Regioni d’Italia? Sarebbe un modo per creare lavoro legale e sottrarre manovalanza alla ‘ndrangheta. No, una cultura proibizionista ormai radicata vuole che la importiamo dall’Olanda anche per fini terapeutici per cui, dal 2007, è legale.
Su questo tema, giustamente sollevato dalla Musco, bisognerebbe che, anche la politica calabrese aprisse, senza tabù, una discussione seria. Un confronto tra ragioni di chi è favorevole alla legalizzazione e di chi, invece, sostiene posizioni proibizioniste intransigenti.
Al fatto che qualcuno sostenga che, anche se si legalizzassero i consumi, le ‘ndrine venderebbero comunque a prezzi più bassi, sarebbe infatti facile rispondere che, non perché ci sono le sigarette di contrabbando si pensa minimamente di proibire la vendita dei tabacchi e che, nonostante faccia certamente più male alla salute l’alcol che la cannabis, nessuno pensa – neanche i proibizionisti più agguerriti alla Giovanardi – di ritornare agli anni ’30 del proibizionismo americano quando, con la vendita degli alcolici diventati illegali, Hal Capone e le sue bande criminali si erano ingrassate di dollari. Proprio come, oggi, il proibizionismo sulle droghe, anche quelle leggere, continua a far ingrossare le casse delle criminalità non solo calabre.
Non è un caso che Saviano, su l’Espresso di un anno fa, parlava chiaramente, anche lui, di fallimento delle politiche proibizioniste sulle droghe che hanno alimentato enormi introiti pure per le camorre campane. Anche lui, però, come la Musco, aveva dimenticato che in Italia un partito antiproibizionista che si batte per la legalizzazione c’è, e si chiama Partito Radicale.
Rita Bernardini, Laura Arconti e Marco Pannella – civilmente disobbedienti a una legge irragionevole che aveva equiparato la cannabis all’eroina e alla coca – hanno portato a termine pubblicamente – annunciandola con video e messaggi dalla radio radicale, una coltivazione di ben 18 piantine di marijuana il cui raccolto sarà gratuitamente ‘ceduto’ a malati che ne hanno diritto come cura. Trattasi – tecnicamente – di associazione per delinquere che, però, non viene arrestata stante la flagranza sia resa pubblica e con l’aggravante dell’associazione. Rita continua a postare su Facebook le foto delle sue piante illegali sperando di trovare ‘un giudice a Berlino’ che intervenga. Se a farlo fossero tre giovani calabresi, si sarebbero mossi persino gli elicotteri. Ma per loro, invece, nessuno fa niente. E i media consapevolmente li ignorano. Perché? Probabilmente perché non se ne vuole parlare pubblicamente, perché si preferisce non affrontare un dibattito cui sarebbero costretti dopo l’arresto di Marco Pannella, Rita e Laura. E forse perché, se mandassero Rita a spiegarlo in televisione romperebbero quel silenzio assordante, creato dai media su tutte le politiche dei Radicali. Mentre l’attualità politica è piena dei temi dell’agenda radicale, di noi non c’è traccia. Ad eccezione del Garantista, che rimane mosca bianca, gli altri giornali e telegiornali nazionali, sia quelli del servizio pubblico radiotelevisivo, sia quelli delle TV private nazionali, hanno una regola sola: vietato far parlare Pannella e i Radicali.

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