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La Calabria che balla? Serve abolire la vulnerabilità degli edifici

Tra le tante passerelle che si vedono in periodo pre elettorale, finalmente qualcosa di serio. Un seminario informativo organizzato dall’amministrazione comunale di Botricello, fortemente voluto dall’assessore alla cultura e all’ambiente, Salvatore Procopio e dal sindaco Giovanni Camastra.

Come possiamo difenderci da un terremoto e come si possono prevenire i danni e i morti che possono essere provocati da un sisma?

Calabria che balla
Calabria che balla, martedì 15 aprile 2014 ore 17,30

E’ a tali domande che si tenterà di fornire risposte e dare informazioni ai cittadini invitati tutti.

Al dibattito convegno che si terrà domani, martedì 15 aprile presso la casa comunale di via Nazionale dalle ore 17.30, parteciperanno Eugenio Gallo, sindaco di Martirano Lombardo, Michele Folino Gallo, dottorato internazionale in sismicità della Calabria, Ottaviano Ferrieri, perito Cineas valutazione del rischio e Rosario Pignanelli, dell’associazione di protezione civile “Amici di Gaia”.

Non potendo personalmente partecipare all’interessante forum informativo poiché impegnato coi colloqui con i genitori degli alunni prima delle vacanze di Pasqua, come docente dell’Istituto Comprensivo di Botricello e come geologo ecologista, mi sono permesso di inviare all’assessore Salvatore Procopio un mio personale contributo che riporto di seguito.

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Abolire la vulnerabilità sismica degli edifici

Contributo al seminario informativo “Calabria terra che balla” organizzato dall’amministrazione comunale di Botricello (CZ)

di Giuseppe Candido1

É da ritenersi assai lodevole e degna di nota l’iniziativa dell’Amministrazione comunale di Botricello che ha voluto proporre ai cittadini un seminario informativo sul rischio sismico dal titolo davvero esplicito: “La Calabria che balla”. Avendone ricevuto l’invito per il tramite dell’Istituto comprensivo di Botricello dove insegno, sono rammaricato di non potervi partecipare personalmente a causa di impegni di lavoro già da tempo programmati.

Sia come docente di scienze della scuola secondaria di I grado dell’Istituto comprensivo di Botricello, impegnato su questi temi con le nuove generazioni, sia come geologo e sia personalmente, ringrazio vivamente il sindaco Givanni Camastra e l’amministrazione tutta perché ha inteso promuovere questa importante iniziativa incentrata sul “come” poter prevenire, non già i terremoti, ma i danni e i morti che un sisma può avere e che, come la scienza e la storia ci dicono, non è da ritenersi improbabile a queste latitudini.

Mi permetto, quindi, di offrire qualche spunto di riflessione con questo mio contributo.

Come abbiamo visto, il 5 aprile, a 5 anni esatti (qualche ora di differenza) di distanza dal terremoto a L’Aquila, una scossa di magnitudo 5.0 con ipocentro a largo delle coste di Crotone, ha ricordato – se ce ne fosse bisogno – che la Calabria è al centro della convergenza tra la micro placca ionica e la micro placca adriatica. In particolare, secondo l’Istituto Naz. di Geofisica e Vulcanologia, una la sismicità profonda di questo tipo è attribuibile, in quest’area, al fenomeno di subduzione della litosfera ionica che comincia a flettersi sotto dell’Arco Calabro2.

Benché queste conoscenze siano disponibili a chiunque sui siti scientifici istituzionali, su come difenderci da questo rischio, sulla necessità cioè di predisporre un piano di adeguamento antisismico delle strutture pubbliche, un vero dibattito non c’è.

Che la Calabria sia un territorio ad elevata sismicità come, e anche di più, dell’Abruzzo, è storicamente noto. Allora perché non adeguare le strutture?

A partire dall’anno 1.000 si sono avuti, in Calabria, diversi terremoti distruttivi3: nel 1.188 il terribile terremoto4 nella valle del Crati, provocò gravissimi danni a Cosenza, dove crollò la cattedrale, a Bisignano, San Lucido e Luzzi; nel 1638, il 27 marzo vi fu un altro violento terremoto5 che colpì particolarmente la zona di Nicastro, dove i morti furono diverse migliaia. Il 9 giugno, dello stesso anno, un nuovo terremoto provocò danni anche nel crotonese. Poi, il 5 novembre del 1659, un altro forte terremoto6 interessò pure la Calabria centrale, nell’area compresa fra i Golfi di Sant’Eufemia e Squillace; le vittime furono più di 2000. Poco più di un secolo dopo, nel 1.783, tra febbraio e marzo, un violento sciame sismico7 interessò la Calabria meridionale e il messinese, provocando la completa distruzione di moltissime località e danni gravissimi in molte altre; moltissime repliche si ebbero poi nei mesi e negli anni successivi.

I morti, in quell’occasione, furono più di 30.000.

L’8 marzo del 1.832, il terremoto8 provocò gravi danni ad una cinquantina di località, prevalentemente nel crotonese; più di 200 le vittime. Quattro anni più tardi, il 25 aprile del 1.836, un altro terremoto9 colpì il versante ionico della Calabria settentrionale, provocando danni gravissimi a Crosia e Rossano, in provincia di Cosenza: le vittime furono oltre 200.

Nel 1.854, il 12 di febbraio, ancora un terremoto10 nel cosentino provocò effetti distruttivi nell’alta valle del fiume Crati e danni gravi si ebbero anche a Cosenza. Le vittime, in totale, furono circa 500.

Nel 1.870, il giorno 4 del mese di ottobre si verificò un terremoto11 nell’area cosentina, fra le alte valli del Savuto e del Crati, con oltre 100 vittime. Sempre nel 1.870, il terremoto colpì la Calabria centrale e fu avvertito in tutta l’Italia meridionale e nella Sicilia orientale: anche in quel caso, i danni furono gravissimi e più di 500 le vittime.

Poi, nel 1905, l’8 di settembre, il grave terremoto che colpì numerosi paesini nell’area di Vibo Valentia e Nicastro facendo risentire i suoi effetti anche nelle provincia di Cosenza e in quella di Reggio Calabria12.

Nel 1908, il 28 dicembre, l’apocalisse: un violento terremoto e uno tsunami colpirono Reggio e Messina. La Calabria, terra ballerina, quell’anno venne completamente distrutta.

In una regione come la nostra, con una così elevata frequenza di terremoti e conseguente pericolosità sismica, sapendo che – come la scienza ufficiale ci dice – l’unico modo di difendersi dal terremoto è quello di costruire edifici in grado di resistere alle scosse, è evidente quanto sarebbe importante fare seria prevenzione basata sulla conoscenza della vulnerabilità sismica delle strutture che, come il caso dell’Ospedale aquilano c’ha dimostrato tragicamente, non sempre sono costruite in maniera adeguata. Il prof. Franco Barberi, allora capo del dipartimento della Protezione Civile, già nel 1999 notava come,

Per programmare gli interventi di prevenzione occorre tenere conto del fatto che non ci troviamo di fronte a un territorio vergine nel quale cominciare a costruire con una politica antisismica, ma che si tratta invece di un territorio nel quale si è costruito per secoli con tecniche che non offrono apprezzabile sicurezza nei riguardi dei terremoti. Vi è dunque in Italia, come del resto in moti altri paesi, un debito arretrato di investimenti anti-sismici che si è accumulato nel tempo e che comporta fra l’altro una macroscopia sperequazione fra cittadini che vivono in case nuove e vecchie. Questi problemi, con le stesse parole, furono comunicati al Presidente della Repubblica, al Governo e al Senato, dal Progetto Finalizzato Geodinamica del CNR, più di dieci anni fa, all’indomani del terremoto dell’Irpinia.13

Dopo le notizie relative all’esistenza di un “Censimento della vulnerabilità degli edifici pubblici strategici in Abruzzo” e altre regioni, realizzato nel 1999, che aveva segnalato, come altamente vulnerabili, – affatto idonei a resistere ad un terremoto – proprio gli edifici abruzzesi che vennero giù il 6 aprile 2009, ci siamo domandati quale fosse la situazione degli edifici in Calabria.

Dopo qualche ricerca (all’invero assai breve perché sapevamo bebe cosa ricercare) ci siamo imbattuti nel sito del Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti (GNDT) titolare del Progetto, assieme alla Protezione Civile, per la rilevazione della vulnerabilità del patrimonio edilizio a rischio sismico e finalizzato al censimento degli edifici pubblici, strategici e speciali di oltre 1500 comuni di sette regioni, tra cui Abruzzo e Calabria.

Uno studio per la valutazione del grado di vulnerabilità degli edifici pubblici di 1.510 comuni delle sette regioni che oggi torna di cocente attualità per il fatto che, in Abruzzo, sembra averci tragicamente azzeccato.

Il 6 aprile del 2009, a L’Aquila, sono venuti giù, proprio quegli edifici pubblici che erano stati segnalati come ad alta vulnerabilità.

La risposta che abbiamo trovato è stata sconcertante: dei 3.975 edifici pubblici destinati all’istruzione, nella regione Calabria, ben 2.397 (pari al 60,3 %) erano stati classificati ad alta (1.049) o medio-alta (1.348) vulnerabilità e, cioè, non in grado di resistere alle scosse. Dei 785 edifici pubblici destinati alla sanità calabrese e censiti nel lavoro del Gruppo Nazionale per la difesa dai terremoti, 492 (il 62,7 %) erano classificati ad alta (208 edifici) o medio alta (284) vulnerabilità. E non andava meglio per gli edifici pubblici civili (sedi di comuni, province, regione, prefetture etc): dei 1.773 censiti dallo studio, 517 sono classificati con grado di vulnerabilità medio alta e 325 sono invece quelli ad alta vulnerabilità. Anche in Calabria, se si verificasse un terremoto di quella severità in superficie, si verificherebbe il crollo di numerosi edifici pubblici, perché non in grado di resistere alle scosse.

Già dal 1999, quindi, il Dipartimento della Protezione Civile in collaborazione con il GNDT e con l’ausilio dei lavoratori socialmente utili, aveva pubblicato quel “Censimento di vulnerabilità degli edifici pubblici, strategici e speciali delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia”.

Gestire l’emergenza, essere in grado di intervenire tempestivamente coi soccorsi è importante, certo. Però, lo abbiamo visto in passato: gestire bene l’emergenza, da sola non serve ad evitare morti, feriti e sfollati se la casa in cui viviamo ci crolla in testa. Visto che la situazione calabrese della vulnerabilità sismica degli edifici non è certo migliore di quella abruzzese, ci chiediamo cosa si sia fatto, dal ’99 ad oggi, ai fini della prevenzione e della mitigazione del rischio, mediante adeguamenti antisismici e/o ricostruzioni. Purtroppo ben poco da allora è cambiato. Troppe le scuole ancora non sismicamente adeguate e la colpa non certo può ricadere sulle locali amministrazioni che spesso non dispongono di finanze adeguate.

Sarebbe necessario, invece, fare prevenzione, programmando interventi che tengano conto che non siamo in presenza di un territorio “vergine” nel quale cominciare a costruire ex novo con una politica antisismica seria. Quello che abbiamo davanti, è un territorio stuprato, vilipeso dall’abusivismo edilizio dove, spesso, non sono a norma neanche gli edifici pubblici, nemmeno quelli strategici come Ospedali e Prefetture.

Cosa fare per uscirne? Come scriveva, già nel 1993, il professor Vincenzo Petrini, del CNR-GNDT, nella presentazione al volume “Rischio sismico di edifici pubblici14”:

La risposta più ovvia alla constatazione della presenza di situazioni notevolmente a rischio è l’avvio di specifici programmi di adeguamento del patrimonio edilizio ai livelli di sismicità delle varie zone del paese: ma non è certo l’unica possibile. L’abbassamento dei livelli di rischio può essere uno degli obiettivi della programmazione di investimenti della pubblica amministrazione e può, in alcuni casi, contribuire a qualificare la spesa pubblica, (…) programmi pluriennali di interventi di riduzione del rischio, opportunamente distribuiti nello spazio e nel tempo secondo priorità definibili in anticipo, possono avere, nella situazione attuale, positivi effetti collaterali in termini di sviluppi non drogati dell’occupazione.15

Sagge parole, quelle di Petrini, attuali quantomai anche dopo vent’anni, che mettono in evidenza le priorità per la Calabria, per il mezzogiorno e, forse, per l’intero Paese. Bisogna abolire la vulnerabilità sismica dei nostri edifici, adeguandoli a resistere alle scosse o rottamandoli, quando invece si tratta di vera e propria “spazzatura edilizia”.

Poi, volendo essere davvero esaurienti, un discorso a parte lo meriterebbe la questione della “micro-zonazione sismica locale”; lo stesso terremoto, infatti, in alcune aree può dare fenomeni di amplificazione locale di cui bisognerebbe tener conto in fase di progettazione ma che, spesso, vengono trascurati.

E c’è il problema del patrimonio edilizio abusivo che, in Italia e in regioni del sud come la Calabria, rappresenta una questione ancora irrisolta, intimamente collegata alla tutela del territorio, poiché, come ricordano i geologi italiani, “queste pratiche si diffondono e si radicano laddove c’è un minor controllo dell’uso del suolo”; un fenomeno, quello dell’abusivismo edilizio, che non è sempre legato a “bisogni sociali” – per l’accesso al “bene casa” – ma anche e soprattutto a “strategie di profitto come dimostrano le tante seconde case e interi villaggi turistici abusivamente realizzati e, in alcuni casi, condonati”.

Occorre ricordare – fino alla nausea – che non è mai il terremoto che uccide ma la casa, la scuola, la chiesa o l’edificio in cui ti trovi che crolla in testa. La vera causa di morti e sfollati è proprio la vulnerabilità sismica degli edifici, perlopiù costruiti durante il boom edilizio degli anni sessanta, settanta e ottanta che, frequentemente, non hanno un’adeguata struttura antisismica.

Oltretutto bisogna anche tenere a mente che la voce di spesa maggiore per le catastrofi naturali del nostro Paese è proprio quella dei terremoti: oltre 95 miliardi di euro le risorse stanziate tra il 1944 e il 1990, “pari al 75% delle risorse destinate a tutti gli eventi calamitosi censiti” da uno studio del Consiglio Nazionale dei Geologi.

Nel 2012, il rischio sismico del Paese, con il terremoto nella Pianura Padana emiliana, è tornato alla ribalta dei media che, come al solito, se ne occupano solo “a babbo morto”, quando il disastro c’è stato.

La prima scossa, con una magnitudo locale di 5.9 della scala Richter, avvenne alle ore 4.03 del 20 maggio 2012. Poi, “il 28 maggio, due nuove importanti scosse scuotono ancora i territori della provincia di Modena (…) sommando distruzione a distruzione, lutto a lutto, paura a paura16”.

Anche in quel caso, per i geologi,

Il terremoto emiliano si è caratterizzato per alcune specificità, tutte geologiche: gli effetti di sito ed i diffusi fenomeni di liquefazione delle sabbie. È stato per certi versi un terremoto inaspettato ma non inatteso considerando la successione di terremoti storici che hanno interessato la zona del ferrarese a partire dal 1500. Gli studi per la ricerca di idrocarburi nella Pianura Padana a partire dagli anni ’60 e ’70 avevano messo in evidenza le strutture sepolte al margine orientale della catena (le cosiddette pieghe ferraresi) piegate e fagliate che risalivano a poche centinaia di metri dalla superficie. L’aggiornamento delle carte di rischio per quest’area sono datate 2003 per cui queste aree vengono (oggi, ndr) classificate sismiche. Affinché la norma trovi pratica attuazione occorre però aspettare gli anni 2008-2009 (quando si è proceduto alla riclassificazione sismica del territorio nazionale in seguito agli eventi di San Giuliano di Puglia, ndr). Nel frattempo le strutture in elevazione (case di civile abitazione, capannoni industriali) sono stati progettati come ricadenti in area non sismica. Gli effetti, soprattutto per i capannoni industriali sono stati disastrosi. Mancando dei vincoli adeguati ai pilastri molte coperture sono letteralmente collassate17”.

Alle semplici osservazioni e indagini geologiche di base si preferiscono modelli numerici. Non per il fine della mera tutela di una categoria, una casta, i geologi italiani denunciano un fatto grave:

In Emilia-Romagna, come in altre regioni, si sta procedendo in molti comuni … agli studi di microzonazione sismica. Tali studi si prefiggono di evidenziare le aree in cui gli effetti del terremoto si faranno risentire maggiormente (una volta si usavano gli abachi di Medvedev che almeno legavano le amplificazioni direttamente alle caratteristiche idrologiche e litologiche del terreno). Oggi si fa ampio uso dei metodi geofisici che a volte mal si conciliano con la geologia di base. Sembra si sia sviluppata più la tendenza ad avere numeri (non si sa quanto attendibili) a scapito di serie indagini geologiche (geo strutturali, stratigrafiche, geomorfologiche, idrogeologiche) che evidenziano, in prima istanza, almeno dal punto di vista qualitativo le aree che possono dare amplificazione. Non nascondiamoci dietro un dito. Il problema non è quello di determinare con la massima precisione i fattori di amplificazione sismica quanto quello di operare l’adeguamento sismico del patrimonio edilizio esistente (in primis l’enorme patrimonio storico artistico del nostro Paese).

Non dimentichiamoci che la stragrande maggioranza delle abitazioni costruite post guerra sono state realizzate in assenza di alcuna normativa sismica. Anziché procedere indiscriminatamente con nuove edificazioni e distruzione di nuovo suolo è tempo di invertire la tendenza: ridurre drasticamente le nuove costruzioni e recuperare il costruito (dal punto di vista sismico, strutturale, del libretto del fabbricato, etc.). Il percorso è lungo e costoso ma le politiche territoriali si fanno dai nonni per i nipoti. Altre scorciatoie non esistono.18

Sulla base di questi numeri e di queste semplici riflessioni, per chi scrive appare evidente che l’adeguamento sismico del patrimonio edilizio, quello pubblico in primo luogo, o la sua totale rottamazione quando completamente fatiscente, rappresentano non una spesa, ma una voce di notevole risparmio e, alla lunga, un vero e proprio investimento. Senza contare le vite umane che, ovviamente, non hanno prezzo.

Vi ringrazio per l’attenzione.

Firmato

Giuseppe Candido

Note al testo _____________________________________________

1 Giuseppe Candido è docente di scienze matematiche presso l’Istituto Comprensivo di Botricello, geologo libero professionista, giornalista pubblicista, direttore editoriale di Abolire la Miseria della Calabria e autore, tra l’altro, del volume in pubblicazione La peste ecologica e il caso Calabria dal quale è estrapolato il presente testo.

2 Chiarabba et al., 2005 – “Analizzando il catalogo strumentale degli ultimi 30 anni è possibile rilevare in quest’area un certo numero di eventi a profondità subcrostale. Questa sismicità profonda è attribuibile al fenomeno di subduzione di litosfera ionica che in quest’area inizia a piegarsi al di sotto dell’Arco Calabro. – Terremoto nel Mar Ionio, M 5.0, 5 aprile 2014: approfondimento, Blog INGV Terremoti (url: ingvterremoti.wordpress.com)

3 D. Postpischl (a cura di), 10 domande sul terremoto, GNDT, 1994

4 D. Postpischl, a cura di, Sisma con intensità stimata del IX – X grado della scala Mercalli, 10 domande … Op.cit. 125

5 Intensità stimata del XI grado della scala Mercalli, ne: D. Postpischl, a cura di Op.cit. p.125

6 IX-X grado della scala Mercalli, ibidem.

7  Sciame sismico le cui intensità max XI grado della scala Mercalli, Ibidem

8  Sisma con intensità stimata del X grado della scala Mercalli, Ibidem

9  X grado della scala Mercalli, Ibidem

10 X grado della scala Mercalli, Ibidem

11 X grado della scala Mercalli, Ibidem

12 Sisma con intensità molto forte stimata del X-XI grado della scala Mercalli, D. Postpischl, a cura di, 10 domande … Op. cit. p.126

13 Franco Barberi, La difesa dai terremoti in Italia, ne: “Il rischio sismico”, Le scienze quaderni, n.59, aprile 1991.

14 Petrini V., Il Rischio sismico di edifici pubblici, Parte I, Aspetti metodologici, 1993

15 Petrini V., Op. cit., p.9

16 CNG, Ibidem

17 CNG, 2011 – Emilia Romagna: un territorio ricco e fragile, ne: I primi 50 anni …, Parte II, op. cit. p.161-162

18 CNG, Op. cit., p.162

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La voce del diritto e della libertà: le gazzette nemiche dei tiranni

La nascita e l’evoluzione di una nuova, importante, esperienza culturale

di Giuseppe Candido e Filippo Curtosi

Da quando furono impiantate le prime officine tipografiche anche la Calabria ebbe allora i suoi giornali e il primo di essi fu stampato a Monteleone Calabro

 

Nell’era digitale in cui i giornali e le riviste diventano documenti elettronici in formato portatile (pdf) e quando la televisione tradizionale, che già predominava, sbarca oggi su internet e sul satellite, parlare di “vecchi” giornali, della loro nascita e della loro prima diffusione, farsi domande sul loro ruolo nella politica nazionale e locale potrebbe essere visto come anacronismo puro.

D’altronde ne è passato di tempo da quando, alla fine del ‘700 dopo che era stata concessa la pubblicità dei dibattiti parlamentari in Inghilterra Edmund Burke, filosofo e politico conosciuto come il “Cicerone britannico”, rivolgendosi ai giornalisti presenti alla camera dei Comuni, disse loro: «Voi siete il quarto potere». Quando lo fece era appena nato il quotidiano più famoso del mondo: il Times. Proprio perché politica e libera, l’attività giornalistica era allora circondata, in Inghilterra, da un rispetto che invece sul Continente, “impastoiata dalla censura, e limitata alla rissa letteraria”, non riuscì mai meritare. Allora, agli albori della stampa quotidiana, i pubblicisti erano temuti, ricercati, spesso adulati, ma mai amati. Svolgevano un’insostituibile funzione: divulgavano le conoscenze artistiche e scientifiche, aiutando il successo dell’Illuminismo e preparando indirettamente le rivoluzioni; ma proprio gli Illuministi – come gli storici ricordano a più voci – ne furono i critici più severi. Oggi che in Italia il tema della censura alla libertà di stampa è diventato drammaticamente attuale e che, allo stesso tempo, l’informazione di massa viola sistematicamente ai cittadini il diritto di “conoscere per deliberare”, ritrovarsi tra le mani un vecchio e polveroso numero della storica rivista Storia Illustrata che, nel settembre del 1962, pubblicava un articolo di Carlo Casalegno dall’attualissimo titolo “Le gazzette nemiche dei tiranni”, è davvero da considerarsi fortunosa e, per certi versi, incredibile. Un giornalista che, dopo aver svolto specifici studi, rievocava magistralmente le origini della stampa periodica documentandone meriti e limiti.

Le statistiche di 50 anni fa evidenziavano, già allora, la presenza di oltre 7000 quotidiani stampati in tutto il mondo, con una tiratura complessiva che si aggirava attorno alle 220 milioni di copie anche se, già allora, mancando i dati precisi della Cina era difficile fare un calcolo preciso. Nel 2007, secondo le statistiche attuali, si era a quota 6580 quotidiani stampati in tutto il mondo per una tiratura complessiva di 395 milioni di copie al giorno. E anche se internet, il giornale in formato elettronico e gli altri media che la rete mette a disposizione, tendono a diffondersi in modo esponenziale, la carta stampata rimane ancora il business principale dell’informazione secondo solo a quello della tv. Nato nel 1702 come organo d’informazione, il giornale quotidiano divenne in breve tempo, come sostenne a chiare lettere il Casalegno, “la voce del diritto e della libertà”. Ma la storia delle “gazzette nemiche dei tiranni” comincia assai prima. “Nel giudizio corrente, – scriveva il Casalaegno – i pionieri del giornalismo furono i Romani con i loro troppo famosi Acta diurna; ma anche in questo campo, come per la polvere da sparo o la stampa tipografica o tante altre diavolerie, sembra che la priorità cronologica spetti ai cinesi”. E questo perché, par fondato che già ai tempi di Muzio Scevola – fra il 600 e il 500 a.C. – “nel Celeste Impero usciva un bollettino con le notizie ufficiali: il Ti-Pao (Notizie di Corte)”. Ma se ciò è vero, altrettanto vero è che la stampa moderna Cinese è oggi d’imitazione occidentale. Nella tabella dedicata ai primi venti quotidiani pubblicati nel mondo spiccavano i nomi del Daily Courant e del London Daily Post (Londra – 1702). Al quarto posto La Gazzetta di Parma (1735) nata come settimanale, poi divenuta quotidiano nel 1800. Più in basso, al 16° posto, La Gazzetta di Venezia e al penultimo La Gazzetta di Mantova. Soltanto più tardi, in Italia, nascevano altri quotidiani che avrebbero avuto più o meno fortuna: nel 1824 viene pubblicato il primo numero de Il Corriere Mercantile, nel 1848 vede la luce La Gazzetta del Popolo, nel 1859 La Nazione e nel 1860 il Giornale di Sicilia. Nel 1861, mentre l’Italia era appena nata, a luglio viene stampato il primo numero de L’Osservatore Romano; seguivano Il Sole (1865), La Stampa e il meno noto L’Arena (1866). Soltanto 10 anni dopo, nel 1876, vedeva a luce anche il Corriere della Sera.

E anche in Calabria la stampa fermentava di riviste, giornali e giornalisti: La Voce Pubblica (1862), La Verità (1870), L’Avvenire Vibonese (1882) diretto da Eugenio Scalfari e La Calabria (1888) diretta da Luigi Bruzzano sono soltanto alcune delle più famose testate tra le tante vibonesi che si possono citare. Già durante il decennio della dominazione francese, subito dopo l’istituzione delle Intendenze (1806), – come ci ricorda Mario Grandinetti nell’articolo “Periodici del Risorgimento in Calabria1” – furono impiantate nelle regioni che ne erano prive, “le prime officine tipografiche, e con esse, in ogni capoluogo di provincia, nacquero i primi «Giornali», destinati alla pubblicazione di atti ufficiali di governo”. Anche la Calabria, sottolinea il Grandinetti, “ebbe allora i suoi giornali, ed il primo di essi fu quello stampato a Monteleone Calabro dal tipografo Giuseppe Veriente, sotto la data del 18 gennaio 1808, col titolo di Giornale dell’Intendenza di Calabria Ultra.

E proprio a Monteleone di Calabria, oggi Vibo Valentia dove a breve si ricostituirà il circolo della Stampa Vibonese, cominciò una nuova, importante, esperienza culturale, che, “dopo aver conosciuto momenti di fortuna alterna nel periodo del Regno borbonico, si affermò in modo notevole solo dopo il conseguimento dell’Unità d’Italia”. In tutta Europa, Penisola tricolore compresa, durante il periodo che abbraccia l’ultimo decennio dell’Ottocento ed i primi venticinque anni del Novecento, suscitarono grande interesse le cronache elettorali, le quali, com’è risaputo, rappresentarono allora uno dei mezzi più efficaci di propaganda a disposizione dei candidati e ispirarono un grandissimo numero di periodici locali di cui costituirono il tema principale. Anche a Monteleone Calabro “conobbero gli onori della stampa giornali di varia ispirazione. E se pure tra il proliferare di testate vi furono quelle che si occuparono di cronaca da caffè a Monteleone di Calabria molti giornali videro impegnati, come redattori o collaboratori o anche semplici ispiratori, “il fior fiore di intellettuali della Città e del circondario. Molti dei temi trattati ebbero, anzi, un grande spessore culturale, che riuscì alla fine ad affermarsi sul piano politico, in nome dei grandi principi ideali. Il grande amore per la letteratura, anche quella popolare, per le scienze, la storia, la filosofia, per l’arte, archeologia e le tradizioni popolari furono i motivi ispiratori di molte pagine, comprese quelle, e ve ne erano molte, satiriche e umoristiche come La Zanazara fondato da Gabriele Ionadi nel 1913 come giornale “Satirico, umoristico, illustrato”.

Guerriera Guerreri ci dà notizia delle testate nel volume “Periodici calabresi dal 1811 al 1974”. Nel 1871 nella tipografia di Giovanni Troyse nasce La Ghirlanda, giornale scientifico, letterario e artistico; dalle stesse presse vedono la luce poi, nel 1875, L’Imparziale, giornale politico, giuridico, letterario e, nel 1876, Cronaca Vibonese di Nicola Misasi. L’Avvenire Vibonese, diretto da Eugenio Scalfari dal 1882, oltre alla pubblicazione settimanale, con periodicità annuale pubblicava le “Strenne de L’Avvenire Vibonese” per le quali ebbe fama proprio per l’elevato livello culturale.

L’elenco dei giornali e delle riviste calabresi che, a partire dall’Unità d’Italia e sino all’inizio del ventennio, venivano pubblicate a Monteleone Calabro è davvero lungo. Il Primo Passo, che iniziò le pubblicazioni pure nel 1882 fu definito “Giornale degli studenti. Organo di propaganda democratica, anticlericale, lontano dal servilismo ufficiale e privato, contro ogni istituzione ostile al benessere sociale”. Era la tipografia di Francesco Raho una delle più attive della Monteleone post unitaria. Qui, nel 1888, cominciò le sue pubblicazioni anche La Calabria, rivista di letteratura popolare diretta dal Professor Luigi Bruzzano che, se pur poco apprezzata dai suoi contemporanei, fu molto rivalutata in seguito proprio per gli illustri collaboratori. Vi scrivevano infatti personaggi del calibro di Carlo Massinissa Preesterà, Ettore Capialbi, Antonio Julia, G.B. Marzano, Ottavio Ortona, Carlo Giuranna, Eugenio Scalfari e Raffaele Lomabrdi Satriani. Nel primo numero del settembre del 1888, Luigi Bruzzano presentò la sua rivista con queste parole: “Tre anni fa, quando io col mio amico Ettore Capialbi pubblicavo nella quarta pagina de “L’Avvenire vibonese” i racconti greci di Roccaforte, pochi fannulloni, miei concittadini, assordarono di grida la redazione del giornale, per indurla a smettere la pubblicazione di tutte quelle nostre chiacchiere … Le belle e dotte recensioni, che uomini illustri e miei maestri scrissero di quei racconti nell’Archivio per le tradizioni popolari e nella Rivista di filosofia e letteratura d’Italia e provenienti da taluni professori della stessa Grecia, dettero … torto a quei dottoroni da caffè, che tuttavia ci guardavano con un sorriso di scherno e di compassione. Ora pubblico a mie spese una rivista di letteratura popolare, nella quale saranno inserite in gran numero novelline greche ed albanesi inedite, e scritti che riguardano gli usi e i costumi di queste contrade. Tale impresa … sarà proseguita con coraggio, se i miei colleghi calabresi vorranno darmi una mano e se avrò il compatimento di quegli uomini illustri, che altra volta si occuparono a scrivere dei racconti greci, raccolti da me e dal mio amico Capialbi”. Nel 1889 fino alla fine dell’Ottocento nacquero a Monteleone Calabro, nelle tipografie Raho e Passafaro, molte altre testate: La luce, La Sentinella, Il Mefistofele (con un numero unico), La vendetta, La Falce, Il Risorgimento, L’Indipendente, La voce del popolo, il Presente, La Risposta, La Leva, Il Corriere di Monteleone, Sveglia, Il Risveglio, La piccola Brezia, Il Piccone, La Caldaia, Il vespro e Pro Calabria pubblicato come supplemento de Il Piccone.

Poi, nel 1900, nascono nelle tipografie di Raho e Passafaro, Il Piccolo, corriere settimanale di Calabria e Il Savoia, Gazzetta di Monteleone. Nel 1901 viene stampato Monteleone a Garibaldi, un numero unico dedicato all’eroe dei due mondi. Nello stesso anno vede la luce pure Il Vibonese, rivista di letteratura, scienze ed arte. Nel 1902, nella tipografia di Francesco Raho, nasce Libertas, periodico settimanale che sulla testata reca due citazioni: “La verità ci rende liberi” di Gesù e “La libertà ci renderà veraci” di Giordano Bruno. Nel 1903, nella stessa tipografia, viene fondato pure Lucifero. Entrambi hanno come Gerente responsabile Salvatore Licastro. Nel 1904, presso la tipografia Giuseppe La Badessa, vengono stampati i primi numeri de La Lotta, Il fuoco, nell’arte, nella vita, nell’umorismo, gazzetta politica amministrativa che aveva ben due direttori responsabili: G. Mele e A. Scabelloni. Nella tipografia Passafaro, sotto la direzione di Giuseppe Montoro, viene fondato Vita Nuova, gazzetta politica amministrativa del Circondario che si pubblicava ogni domenica. Allora la tipografia di Giuseppe La Badessa pubblica un numero unico di un giornale dal singolare titolo che evidenzia la rivalità tra le diverse testate: Risposta al giornale Vita Nuova. Esilarante, un fermento culturale eccezionale terminato soltanto con l’avvento del fascismo e della relativa censura. Nel 1905, diretto dal Francesco Ranieri nasce, nella tipografia del La Badessa, il settimanale studentesco Iride; lo stesso anno e nella stessa tipografia vengono stampati per la prima volta Il gazzettino vibonese (numero unico), Il Moto, Il Riscatto (numero unico) e Il mentore vibonese, mensile religioso letterario diretto ed amministrato dalla Parrocchia di S. Michele con l’approvazione dell’autorità ecclesiastica. Sempre nel 1905, presso la tipografia di Passafaro, prende vita La rivista vibonese, giornale radicale del Circondario che si pubblicava ogni domenica.

Il fervore culturale e la rivalità tra le officine tipografiche proseguono a Monteleone pure nel 1906 quando nascono Il Tamburo, La Gazzetta Valentina, La parola degli onesti e Il Marchio. L’anno successivo vengono fondati L’Agitazione, settimanale d’interessi regionali, Il Pane, giornale socialista per i senza pane diretto da Michele Pittò, e Il Randello.

Poi, nell’ottobre 1908, viene stampato il numero unico de A Garibaldi la Massoneria di Monteleone. Dal 1909 al 1920, in poco più di un decennio, vedono la luce, soltanto a Monteleone Calabro, altre ventitré testate: Il Crogiuolo, Il Faro (1909), Il Foro valentino (1910), La Difesa, La Difesa degli interessi del Circondario, Juvenilia (1911), Il Paese e L’Ambiente (1912); La Zanzara (1913), Il Pensiero del Circondario e Libera parola (1914); Il Pennello, L’Avvenire, La Fiaccola (dall’ambizioso titolo sotto testata: “Organo per la difesa dei supremi interessi della Scuola e della Calabria”) e La Fronda (1915); Nel 1918, in occasione della fine del conflitto mondiale, presso la tipografia di G. Raho venne stampato un “numero unico” de I Nostri Eroi con l’evidente intento di celebrare e commemorare i caduti della nostra Terra durante la guerra. Nel 1919 nascono poi Il Giornale di Monteleone, La Favilla, La libera Calabria, ed il quindicinale della gioventù Satana. Nel 1920, per cura della Sezione socialista di Monteleone, viene fondato il “Quindicinale per la propaganda socialista” Calabria Rossa e, presso la tipografia di Giuseppe La Badessa il Gloria! Giornale del fiumanesimo in Calabria.

L’attività giornalistica continuò a fervere a Monteleone e in tutta la Calabria, dal Pollino allo Stretto, nascevano giornali e riviste di cui ha senso custodire oggi la memoria. Immaginiamo un archivio unico dei giornali calabresi magari consultabile anche on line attraverso le nuove tecnologie di internet. Anche perché, alcune di quelle domande che Casalegno si poneva nel 1962 sono ancora oggi assai attuali per il ruolo e il futuro del giornalismo. I giornali furono “strumento d’interessi governativi, nazionali, economici? Oppure rappresentano una vera manifestazione di libertà di parola? Semplice mezzo di propaganda o vero interprete dell’opinione pubblica? Furono insomma, arma passiva in mano al potere politico, o riuscirono ad essere autentico «quarto potere»?

Considerate le condizioni in cui versa oggi sia la stampa locale sia quella nazionale, per chi affronta la professione giornalistica e per chi ancora crede che l’informazione sia davvero il “quarto potere”, sarebbe necessario porsi oggi queste domande, magari proprio mentre si scrive un articolo o mentre si conduce un’inchiesta.

1In «Rassegna storica del Risorgimento», a. LXXIX (1992), Fasc. I, p. 3

 

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INCONTRO CON VITTORIO DE SETA

locandina

il Sistema Bibliotecario Vibonese e l’Associazione di volontariato culturale “Non mollare”   vi aspettano, venerdì 5 febbraio 2010 ore 17.30 presso l’Auditorium del Sistema Bibliotecario Vibonese, per un “INCONTRO CON VITTORIO DE SETA* e la Presentazione del volume “La Calabria: antologia della rivista di letteratura popolare La Calabria” diretta da Luigi Bruzzano.

Intervengono: Vittorio De Seta, autore della prefazione del volume, i due curatori dell’antologia Filippo Curtosi, Giuseppe Candido, e Giuseppe Braghò.

Seguirà la proiezione del cortometraggio “I Dimenticati” Di Vittorio De Seta

*Vittorio De Seta Nato il 15 ottobre del 1923 a Palermo, ha esordito come autore di documentari di ispirazione neorealista incentrati sulle condizioni dei lavoratori in Sicilia e Sardegna ( Isole di Fuoco, Primo Premio per il documentario al Festival di Cannes 1955; Sulfarara, Targa d’argento al Premio David di Donatello 1956/ 57 e numerosi altri). Banditi a Orgosolo del 1961, di cui cura anche produzione, montaggio, fotografia e sceneggiatura, è il suo primo film non documentario: un’opera scarna, essenziale e di forte contenuto sociale interpretata da attori non protagonisti che si aggiudica il Premio Opera Prima alla Mostra di Venezia, il Nastro d’Argento per la miglior fotografia in bianco e nero ed altri prestigiosi riconoscimenti. Gli altri suoi film non documentari sono Un uomo a metà, di carattere più intimista ed introspettivo (1966), L’invitata, unico film prodotto da De Seta nell’ambito di una produzione “regolare” (1969), Diario di un maestro che è una protesta del regista contro lo “spreco” (l’espressione è di Danilo Dolci) che l’Italia fa degli Italiani (1972, per la Rai Radiotelevisione Italiana).Negli ultimi anni il cinema di De Seta è stato anche centro di una serie di omaggi negli Stati Uniti. Nel 2005 Martin Scorsese ha introdotto i suoi film al Full Frame Festival e al Tribeca di Robert De Niro. Il MOMA (Museum of Modern Art di New York) lo ha inoltre celebrato quest’anno come maestro del cinema del reale con una retrospettiva dal 24 al 30 giugno. Per la prima volta è stato presentato negli Stati Uniti anche Diario di un maestro. Gli altri titoli di punta della rassegna sono stati Banditi a Orgosolo e Un uomo a metà e dieci documentari tra cui quelli girati in Sicilia e Sardegna prima del boom economico.

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