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Quando eravamo tutti migranti

di Giuseppe Candido

Pubblicato su “il Domani della Calabria” del 14.05.2009

Migranti italiani
Migranti italiani

Non opprimerai il forestiero: anche voi conoscete la vita del forestiero, perché siete stati forestieri nel paese d’Egitto (Esodo 23, 9). E’ il tema della memoria che s’intreccia con quello dell’alterità e che nella Bibbia si ritrova sovente. L’invito a ricordare, ad avere memoria, in particolare, quando si parla dell’atteggiamento da avere verso gli stranieri, verso coloro che non fanno parte della comunità “identitaria” dovrebbe essere raccolto da chi si occupa di politiche, ancor di più se chiamato a governare. Se non serve ricordare, come ha fatto con l’ orda di Gian Antonio Stella, che migranti lo siamo stati anche noi italiani; se non è sufficiente, per noi calabresi, rileggere le pagine dell’Avvenire Vibonese che pubblicava, alla fine dell’ottocento, le notizie sui migranti che dalla Calabria partivano verso le Americhe e i relativi provvedimenti dell’allora Commissario dell’emigrazione, forse è il caso di rileggere la Bibbia che ci rammenta che il primo straniero è stato proprio il Cristiano. E’ strano davvero: impieghiamo un sacco di tempo ad imparare qualcosa, ci costa tanta fatica e poi, in breve lasso di tempo, dimentichiamo. Eppure anche noi abbiamo conosciuto la puzza delle stive, l’amaro in bocca del lasciare – forse per sempre – la propria terra, i propri cari, per la ricerca di una vita meno misera. Ci guardiamo allo specchio ma non riusciamo più a scorgere quel figlio, quel nipote, di migranti quali siamo. Se la terra da cui ci sfamiamo si inaridisce dovremmo morire sul posto? Abbiamo piedi o radici? Noi siamo rimasti sul posto quando a “seccare” di miseria era la nostra terra? La nostra Calabria? Non amiamo essere costretti a ricordare e dimentichiamo. Thomas Eliot forse aveva ragione nell’affermare che “il genere umano non può sopportare molta realtà”. E noi italiani vogliamo dimenticare, vogliamo fingere di essere diversi da quello che siamo o da quello che siamo stati. Un bel Paese ma dalla gente immemore che l’Europa e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifuggiati (UNHCR) devono “richiamare”. Proprio mentre cultura e letteratura italiane sono in fiera a Torino sotto il titolo “Io, gli altri” e parlano all’attualità con titoli come “La morte del prossimo” di Luigi Zoja, “Mai senza l’altro” di Michel de Certau, o ancora più espliciti, come “Ricordati che eri straniero” di Barbara Spinelli, proprio mentre fiumi di parole si spendono sul tema delle nuove e vecchie migrazioni, in Italia la politica del Governo è chiara: rispedire a casa lo straniero, senza preoccuparsi neanche se queste persone abbiano, o no, diritto ad asilo perché perseguitati nel loro paese d’origine. Duecento trenta migranti soccorsi dalla Guardia Costiera e dalla Guardia di Finanza italiane nelle acque internazionali di competenza maltese, sono stati “ricondotti” in Libia (paese, tra l’altro, non aderente ai trattati internazionali sui rifugiati) e senza neanche un’adeguata valutazione della loro possibile necessità di protezione internazionale. Anche se non sono disponibili informazioni sulle nazionalità dei 230 migranti – ha specificato con una nota l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite – nell’anno 2008 circa il 75% delle persone che sono giunte in Italia via mare ha fatto richiesta di asilo e, al 50% di costoro, è stata riconosciuta una forma di protezione internazionale perché ne avevano il diritto. Solo sulla base di questi dati è leggittimo ipotizzare percentuali simili tra quelle 230 persone riaccompagnate in Libia con la “nuova linea” del Governo Italiano e del suo Ministro degli Interni Maroni. Non solo gente in fuga dalla miseria e in cerca, legittima, di una vita migliore, ma anche perseguitati politici in fuga dal loro paese. Persone che possono essere individuati e uccisi. Non basta nascere per esistere, è necessario avere una cittadinanza. Non ci sono diritti dell’uomo in quanto tale? Abbiamo o non abbiamo diritti, non perché siamo esseri umani, persone, ma perché cittadini, perché abbiamo passaporti di una certa nazione dove abbiamo avuto fortuna di nascere. E se dovesse tornare ad inaridirsi di nuovo anche la nostra di terra?

L’appello dello scorso 7 maggio rivolto alle autorità italiane e maltesi da Antònio Guterres, Alto Commissario per i rifugiati, era chiaro: “assicurare alle persone salvate in mare e bisognose di protezione internazionale, il pieno accesso al territorio e alla procedura d’asilo nell’Unione europea”. Invece no, l’appello è rimasto inascoltato e ha vinto l’Europa dei dei Governi Nazionali: le 230 persone sono state “riaccompagnate” in Libia dalle nostre motovedette “guidate” da Maroni. Perché loro, ha dichiarato il Presidente del Consiglio, “non sono come la sinistra, non sono per un’Italia multietnica”. Un radicale mutamento delle politiche migratorie del Governo italiano che ha fatto indignare non soltanto l’Alto Commissario per i Rifugiati ma anche la chiesa Cattolica e tutti coloro memori che emigranti lo eravamo pure noi.

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