Archivi tag: Borboni

Il Brigantaggio politico e i politici briganti

di Giuseppe Candido e Filippo Curtosi

Briganti
Briganti

Rileggendo la storia molto spesso ci si trova davanti a fatti, circostanze e situazioni che ricordano in maniera sorprendente quelli che oggi viviamo. Gli avvenimenti del 1799 e del 1806 che trovarono la loro conclusione nel 1815, aprirono un nuovo periodo nella storia della Calabria: il decennio francese e le persecuzioni del brigantaggio politico e sociale.

Presso la biblioteca comunale di Palmi sono conservate le carte della famiglia “Ajossa” tra le quali v’è un manifesto riguardante il periodo dell’occupazione francese nella Calabria Ultra e con il quale venivano pubblicate le taglie fissate sul capo di ben 859 briganti. Nome, Cognome e paese natale. Una lunga lista di ricercati che raffigura la mappa della ribellione nel territorio dove i calabresi si scannavano tra loro per sostenere, a seconda della posizione, i Francesi o i Borboni.

I fatti che caratterizzarono il trapasso dall’ancien regime allo stato moderno, evidenziano l’estrema violenza e virulenza dell’opposizione popolare al nuovo regime, che non effimera ma costante e valida, venne denominata per la prima volta dai francesi “brigantaggio”. Un nuovo regime dove la trilogia “legalite, liberté, fraternité” venne sostituita dagli alberi della libertà dai quali – come testimonia P. L. Cuirier – “s’impiccava facilmente e spesso”. La situazione in Calabria è particolare per le condizioni economico-sociali, per la vicinanza con la Sicilia, per il latifondo feudale e lo strapotere baronale. Questi fattori risultarono tutti decisivi per lo scaturire e il prolificarsi del brigantaggio. È noto anche ai non addetti ai lavori che, per primo il governo dei napoleonidi, abbia tentato di eliminare in Calabria il retaggio di un periodo medievale allora ancora vivo e presente, mettendo la nostra regione a contatto con le esperienze del mondo moderno. Ma per far questo in modo ineccepibile, bisognava se non risolvere, almeno tentare di risolvere i molteplici problemi esistenti, tra i quali il brigantaggio occupava una posizione primaria e considerevole. Gli sforzi furono notevoli, ma servirono a poco, poiché il periodo dell’occupazione fu troppo breve affinché i risultati si consolidassero e divenissero definitivi.

Della dominazione francese in Calabria, al rientro dei Borboni, restò soltanto un ricordo offuscato delle grandi riforme socio-istituzionali, e quello invece vivo e presente, delle violenze e delle prevaricazioni del periodo dell’occupazione e della feroce “repressione Manhes”.

In questo alternarsi di domini e avvicendarsi d’imprese guerresche, molto soffrirono e niente ottennero le masse contadine che furono sfruttate da tutti i protagonisti della lotta.

La Statistica murattiana” certifica lo stato di arretratezza socio economica, di degrado umano e civile, di primitività igienico sanitaria e di squallore ambientale.

I fattori primari del malcontento, la miseria e la fame di terra, perdurarono nonostante le riforme francesi, e propagandosi nel tempo pesarono sui calabresi finanche nel periodo post-unitario.

Intanto due sole remunerazioni per chi, preso dalla sete di giustizia e dall’insofferenza alle reiterate prepotenze, si ribellava: lo stigma di “brigate” e il conseguente annientamento da parte del potere istituzionalizzato.

L’entrata dei francesi in Calabria apportò grosse novità nel campo istituzionale che alimentarono le ostilità tra i vari partiti: mentre le classi degli aristocratici della borghesia e del piccolo artigianato si divisero tra patrioti e borbonici, le classi più misere, contadini, pastori, montanari etc. manifestarono una certa nostalgia per il regime borbonico; furono schieramenti non prettamente politici, fondati piuttosto sugli interessi, le ambizioni e le vendette personali. C’è chi sostiene che il brigante stesse con gli uni o con gli altri, altri sostengono invece che non stesse con i francesi né con i Borboni. Villari, nelle sue lettere sull’Italia Meridionale ed altri molti discorrendo del brigantaggio, vorrebbero trovarne le cause nella miseria, e nelle cattive condizioni del contadino. Ma sono smentiti dai fatti. Per Nicola Misasi (Cosenza 1850 – Roma 1923) nei suoi “Racconti Calabresi” edito nell’ottobre 2006 da Rubettino, il brigante fu allora “un prodotto spontaneo della vita calabrese”, … “di una natura forte e rigogliosa, la quale, diretta al bene, potrebbe essere capace di grandi delitti… Le donne incitavano i mariti, i fidanzati, i fratelli alla vendetta contro i francesi, gli sdolcinati maschi francesi”. Altro che repubblicani venuti a liberarci dalla schiavitù. Altro che “liberi, uguali e fratelli” dinnanzi alla legge come proclamato da loro. Secondo Misasi, e su questo concordiamo con lui, “Non è dunque la miseria soltanto che fa il brigante”. Se fosse vero il fatto che fu la miseria la causa principale del brigantaggio perché allora, si chiede Misasi, “la più parte dei briganti furono contadini agiati? Perché alcuni paesi ricchissimi, nei quali la proprietà è ben divisa, ove il contadino è retribuito più equamente che in altri siti, danno un buon contingente di briganti, ed altri paesi miserrimi, lungo un secolo, non ne contano neppure uno?”. Per comprendere meglio il fenomeno occorre soffermarci sul brigantaggio politico che “ci fu rimproverato del 1799, come un’onta, cui non bastò a lavare il sangue di mille e mille prodi calabresi, versato in cento battaglie e sui patiboli per la libertà d’Italia. … Ma io ho fede – continua Misasi – che quell’onta diverrà gloria per noi quando, diradate le nebbie, si studierà la storia delle nostre contrade col proposito di non arrestarsi alla superficie, ma di ficcar gli occhi in fondo per rintracciare il vero. Finora noi stessi ci gridammo barbari, lasciate che dica noi stessi ci gridammo popolo d’impotenti, rinnegando le nostre tradizioni, le nostre glorie, fummo paurosi di affermarci per quel che siamo e tendemmo supplicanti le braccia ad altri popoli per implorare da essi un raggio di luce e di civiltà. Colpa nostra se quei popoli ci trattarono da bambini e coi presero a scuola, non risparmiandoci le tiratine d’orecchio e le sculacciate, non leggendo o leggendo male la nostra storia; … Umili e sommessi aspettammo, e forse anche aspettiamo, di là il verbo rigeneratore, di là l’imbeccata del pensiero. Mutammo gli usi, i costumi, il linguaggio, financo il gusto, accettando nella nostra vita, nelle nostre case, nella nostra mensa tutto ciò che ci veniva dal di fuori …Tanta vigliacca condiscendenza ci fé credere, ed a ragione, popolo d’impotenti e di bambini”. Per tali motivi, prosegue Misasi, “il brigantaggio politico torna a gloria delle mie Calabrie”. Furono soprattutto i contadini a pagare le spese sia dell’eversione della feudalità sia l’accentramento delle terre nelle mani dei “galantuomini”. Essi furono ridotti alla condizione di semplici braccianti, “sottoposti alla soggezione di questi padroni che non solo non hanno mai fatto nulla per alleviare la miseria ed eliminare l’ignoranza, ma al contrario hanno fatto di tutto per tenerli schiavi ed asserviti”. Ed ancora oggi forse è così. Sicuramente non possiamo confondere il brigantaggio e il brigantaggio politico con l’attualità dei politici e dei “capimassa” briganti che avvelenano le nostre terre, le nostre acque e i nostri mari. Quello che la storia ci consente di leggere è che il brigantaggio fu un fenomeno spontaneo, naturale, un moto di ribellione alimentato dalla miseria ma diretto contro il “nuovo” come pure spontanea è quell’indignazione e quella voglia di ribellione contro il regime dei partiti che oggi, frequentemente, attraversa la società civile.

Share