In memoria di Antonino Scalfari, giornalista politico e uomo di grande cultura calabrese
di Giuseppe Candido e Filippo Curtosi
*A Nino Scalfari
Troppo alta la meta, troppo alta la stella
che a te folgorava dai celi profondi,
veemente il tumulto di giovani mondi,
creati da te, nell’anima bella.
*di Vincenzo Lo Preiato/ L‘Azione, Anno I n°5, Aprile 1921
Nelle prime ore del mattino del 28 marzo del 1921, si sparse in Città fulminea la notizia ferale che Nino Scalfari, il valoroso Soldato, il mutilato eroico, il professionista esimio, “avea cessato di vivere nella vicina Bivona”. Sono passati quasi novant’anni ma il suo esempio, l’esempio di un politico giornalista e di un uomo di cultura che combatte per la libertà e per la sua terra, può essere utile a noi calabresi che, da sempre, ricerchiamo il “riscatto” dalla nostra condizione subalterna. “La triste nuova corse di bocca in bocca e Monteleone tutta rimase scossa, incredula della sciagura e con la speranza viva che la notizia non fosse vera. Avvenne un vero pellegrinaggio”. Poi il trasporto della salma e l’annunzio ufficiale alla cittadinanza da parte dell’amministrazione Comunale di cui pure faceva parte per il bene del Paese.

Nel trigesimo dalla morte di Nino, il 27 di Aprile del 1921, l‘Azione, periodico “politico amministrativo del circondario” di Monteleone (oggi Vibo Valentia), una delle tante testate edite nei primi decenni del secolo trascorso in Calabria, pubblicava un intero numero monografico (A. I n°5), un’edizione straordinaria, interamente dedicata al ricordo dell’“eroico Scomparso” di cui tutti, oggi, conoscono il famoso nipote giornalista e a cui pure Gabriele d’Annunzio aveva porto l’omaggio estremo inviando, in gentil dono, un’ “aulente rosa”. Nell’editoriale della redazione si legge che quel dono illustre “Era il mistico omaggio de’ legionari audaci al glorioso fratello d’armi, quanto mai straziato dal voto – che non potea appagarsi – di essere ancora una volta dove il fiore dell’Italica giovinezza combatteva l’estrema battaglia dell’ideale patriottico”. “Oggi – si legge nell’editoriale – , trigesimo della scomparsa di Nino Scalfari, noi vorremmo vedere – come un giorno fu visto davanti alla fossa di Trento, sacrario di Cesare Battisti – il Poeta – soldato, le mani ornate di lauro e di quercia, chino e fremente dinnanzi alla tomba di Nino Scalfari, per interrogare lo spirito, per celebrare degnamente le gesta”. L’intero numero del periodico è dedicato al “Tenente volontario” che a 23 anni soltanto era stato ucciso raccogliendo, a Bosco Lancia, “le rose rosse di sangue” che fina da giovinetto precocemente maturo, “aveva sognato, leggendo i poeti del nostro “Riscatto”, come il più bell’ornamento della sua vita fervente”. Ma perché dedicare un intero numero, addirittura un’edizione straordinaria, per ricordare questo calabrese? A spiegarcelo è l’attenta lettura dello “speciale” del giornale su cui vennero pubblicati gli interventi a firma di numerosi personaggi dell’epoca che ne partecipavano il dolore per la scomparsa: l’avvocato N. Froggio, Sindaco di Monteleone, il Cav De Feo, sottoprefetto, l’avvocato Morabito per l’associazione Combattenti, il Dottor Romei per la massoneria e il Professor Cremona in rappresentanza del Regio Liceo di Filanderi presso il quale, Scalfari, aveva eseguito gli studi liceali prima di recarsi a Roma per conseguire la laurea in Giurisprudenza. Persino la solenne commemorazione al Consiglio Comunale che fu tenuta il 22 di aprile del 1921, a poco meno di un mese dalla morte, venne trascritta e pubblicata per ricordare degnamente la figura di “uno dei suoi migliori componenti scomparsi”. Un Consiglio Comunale, quello di Vibo Valentia, cui Nino Scalfari, con la sua cultura e la sua “operosa giovinezza”, avrebbe potuto certo apportare lustro. “Con la repentina e tragica scomparsa di Lui la Patria ha perduto un altro dei suoi figli diletti e devoti, che per essa sacrificarono entusiasti la loro giovane esistenza!”. Nato a Monteleone il 23 luglio del 1891, Antonino Scalfari, detto Nino, laureatosi in giurisprudenza non aveva mai trascurato le “belle lettere”, che aveva amato sin dai tempi del liceo dove, ben presto, aveva dato “prova di vivo ingegno e di una fierezza d’animo che costituì più tardi una delle doti precipue del suo temperamento”. A Roma aveva conosciuto uomini, studiosi e letterati come Lauro Adolfo De Bosis, eroico liberale, e “le grandezze delle glorie e delle memorie di Roma Eterna valsero negli anni di poi a purificare e innalzare sopra ogni altra passione del suo nobile cuore” che gli consentirono una molteplice e varia attività artistica. Importanti Riviste di cultura di Roma come “Sapientia”, “Il Soldato”, oltreché la “Rivista Calabrese”, quotidiani e periodici l’ebbero come collaboratore. Figlio d’arte poiché, per un periodo il padre Eugenio aveva diretto l’Avvenire Vibonese, nei cenni biografici pubblicati da l’Azione, si legge che Antonino fu non soltanto un bravo giornalista ma anche un “conferenziere colto e oratore simpatico sia che commemorasse Michele Morelli; o segnasse lucidamente i limiti dell’azione della Chiesa Cattolica; o infine in Consiglio Comunale difendesse gli interessi e i bisogni del Paese”.

A soli 19 anni, nel 1911, dopo aver letto “La canzone d’oltremare”, il carme di Gabriele d’Annuzio, lo commentava sul settimanale di Monteleone Iuvenilia con queste parole: “A leggerla, l’ode parrebbe mancante di forza, e si attende fino all’ultimo il punto saliente. In certo qual modo potrebbe essere vero; ma essa non è canto di guerra, è augurio dopo il compito fatto e l’opera compiuta. Il poeta vede la vittoria e la fine. Non abbiamo noi vinto? E chi? … Noi stessi!”. A soli 19 anni il discepolo ricercava il pensiero del Maestro scoprendolo in tutto il suo concetto profondo: “Diciamo pure, ora che i nostri, davanti a leoni pugnaron da uguali, ora che il sangue latino fu versato sulla terra alla quale l’Italia pur sorride benigna da lungi, noi abbiamo vinto noi stessi, la nostra diffidenza in noi e nei difensori nostri, e ci siamo svelati”.
Era nel fiore degli anni e nel “pieno vigore dell’ingegno quando una notte tragica e fatale il suo il suo Destino si volse alla morte!”. (…) “Cadde da combattente: grondante di sangue ma sereno e sorridente”. Per volontà unanime dei suoi concittadini il suo nome venne inciso sulla stele che ricorda ai posteri i caduti gloriosi così come si “incise indelebile, nell’animo di chi lo conobbe”.
Un giovane, “L’Esteta Scomparso”, secondo il ricordo di Pietro Buccarelli, cui addirittura Giulio Rodino, allora Ministro della Guerra, nell’aprile del ’21 rivolse il suo estremo e “referente saluto” con una lettera indirizzata all’“Illustrissimo Professroe Eugenio Scalfari”, padre di Antonino: “Ho appreso con vivo rincrescimento la notizia della morte del suo figliuolo Capitano invalido di guerra, e mi associo con sincero animo al suo dolore. Penso, nondimeno, che le verrà di conforto la certezza che questa giovane esistenza, già duramente provata nell’ultima guerra d’Italia, ed ora così immaturamente troncata nel suo fiorire, vivrà perenne nella storia dei figli d’Italia che col dono delle più pure energie seppero elevare il monumento grandioso delle nuove sorti della Patria. Alla memoria di questo valoroso suo figliuolo mando il mio reverente saluto”.
Nell’Orazione del Avv. Conte Alfredo Sacchetti pronunciata, durante commemorazione che si tenne il 10 aprile del ”21 nel Tempio della Loggia Vibonese con l’intervento della Loggia “Michele Morelli”, in memoria di Nino Scalfari e, pure questa, pubblicata da “l’Azione”, si leggono i principali tratti, tutti “radiosi”, che da soli potevano “rendere illustre anche una vita che avesse compiuto tutto il ciclo normale dell’umana esistenza”: il sentimento del dovere, del bene inteso patriottismo, dell’umanesimo più puro e più santo, erano “instillati nell’animo” di Antonino che, “Sotto la rigida, quanto amorevole, direzione del padre Eugenio, studiò e si distinse sempre, nel nostro ginnasio e liceo Filangeri”. Questo esempio può dunque risvegliare le coscienze, può servire alle giovani generazioni che spesso sono senza ideali, non credono in qualcosa. Serve per creare, per immaginare mondi migliori. Serve all’Italia e serve alla Calabria di oggi il ricordo di Nino Scalfari, un calabrese giornalista, un liberale, un patriota che con la cultura tenne alta la meta, la stella che, noi pure, dovremmo innalzare ai nostri orizzonti.
A Nino Scalfari*
Troppo alta la meta, troppo alta la stella
che a te folgorava dai celi profondi,
veemente il tumulto di giovani mondi,
creati da te, nell’anima bella.
L’Italia ti chiese il giovane sangue;
il giovane sangue le ha dato, e un’idea
soltanto, cadendo, nel cuor ti arridea:
la terra d’Italia più schiava non langue.
Il corpo stremato ai ferri che sanno
richiese un ristoro, ma i ferri han tradita
la sempre gemente, squassar la ferita:
pure l’aure del mare leniron l’affanno!
Ma l’anima intatta, intatta la mente
fisavan la meta, fisavan la stella,
e ancora il tumulto, ne l’anima bella,
dei mondi creati si fea più veemente.
E un giorno tremasti! Non erano impàri
le forze, pensavi, al fine agognato? …
Qual’è l’avvenire del corpo stremato
se cadono i sogni a l’anima cari? …
Or tutto rivive, or Cristo risurge;
dell’anima è Cristo l’immagine vera;
risurga quest’anima con Lui nella sfera
beata, ove pure lo spirito assurge.
Ahi Nino! E tua madre? Tua madre, la buona
dolente figura che vigile attende,
da Da saga, smarrita le braccia protende:
… Ahi! Tetro lo scoppio dell’arma risuona.
* Vincenzo Lo Preiato, L’Azione, Anno I n°5, Aprile 1921