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Trasparenza in Calabria sui patrimoni degli eletti: proposta una leggina incompleta ed arretrata

di Giuseppe Candido

Il Domani della Calabria – P.5 del 9 Settembre 2010

Per la Calabria è pronta la “Proposta di legge n. 64” recante “Norme per la pubblicità della situazione patrimoniale dei Consiglieri regionali, degli Assessori non consiglieri, dei Sottosegretari e dei soggetti indicati nell’articolo 15 della legge 5 luglio 1982, n. 441”. Sarà discussa in Consiglio oggi (lunedì 13 settembre) e reca la firma oltre che del Presidente del Consiglio regionale Talarico anche quella dei consiglieri Fedele, Bova, De Gaetano, Giordano, Ciconte, Bilardi e Principe. Dopo ventotto anni, finalmente, si riparte dalla trasparenza. Bene, ma come lo si sta facendo?

All’art. 1 
dove sono riportate le Finalità e l’ambito di applicazione del progetto di legge c’è scritto testualmente che la legge in questione “disciplina, secondo i principi e in applicazione delle disposizioni della legge 5 luglio 1982, n. 441, le modalità intese ad assicurare la pubblicità della situazione patrimoniale e tributaria dei consiglieri regionali, degli assessori esterni, dei sottosegretari e dei presidenti, vice-presidenti, amministratori delegati e direttori generali degli istituti e di enti pubblici, anche economici come Sorical ed Arpacal, dei presidenti, vice-presidenti, amministratori delegati e direttori generali delle società al cui capitale il Consiglio Regionale concorra, nelle varie forme di intervento o di partecipazione, in misura superiore al 20%, dei presidenti, vice-presidenti, amministratori delegati e direttori generali degli enti o istituti privati, al cui funzionamento il Consiglio Regionale concorra in misura superiore al 50% dell’ammontare complessivo delle spese di gestione esposte in bilancio, sempre che queste superino la somma annua di € 258.228,45 (£. 500.000.000)”.

Quindi, la legge è valida solo per eletti e nominati della Regione ma nel progetto emerge da subito che, per quanto riguarda i Consiglieri provinciali e dei comuni capoluogo di regione o con popolazione superiore a 50.000 abitanti che pure sarebbero obbligati a fare le medesime dichiarazioni dalla legge nazionale di 28 anni fa, la nuova normativa regionale non se ne occupa affatto. Come già previsto dalla norma nazionale, dalla quale sembra essere direttamente “derivato” anche il nuovo progetto di legge regionale prevede che “Entro tre mesi dalla proclamazione dei consiglieri o dalla nomina degli assessori esterni, dei sottosegretari e dei soggetti indicati.., gli stessi sono tenuti a depositare presso l’Ufficio di Presidenza dei Consiglio Regionale: 1) una dichiarazione concernente i diritti reali su beni immobili e su beni mobili iscritti in pubblici registri; le azioni di società; le quote di partecipazione a società; l’esercizio di funzioni di amministratore o sindaco di società, con l’apposizione delle formula “sul mio onore affermo che la dichiarazione corrisponde al vero;
2) copia dell’ultima dichiarazione dei redditi soggetti all’imposta sui redditi delle persone fisiche.
I soggetti rientranti nella previsione dell’articolo 1, secondo comma, sono tenuti a depositare le dichiarazioni e la documentazione indicate nel precedente comma presso la Presidenza della Giunta della Regione Calabria.
Gli adempimenti di cui al presente articolo concernono anche la situazione patrimoniale e la dichiarazione dei redditi del coniuge non separata e dei figli conviventi, se gli stessi vi consentono”. Per la “Variazione della situazione patrimoniale”, “ogni anno, entro un mese dalla scadenza del termine previsto per la presentazione della dichiarazione concernente i redditi delle persone fisiche”, eletti e nominati dalla Regione, “sono tenuti a depositare presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale un’attestazione concernente le variazioni della loro situazione patrimoniale intervenute rispetto all’anno precedente e copia dell’ultima dichiarazione dei redditi”.

Dopo la “Cessazione dalla carica”, viene previsto che, entro tre mesi successivi, eletti e nominati “sono tenuti a depositare presso l’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale una dichiarazione concernente le variazioni della situazione patrimoniale intervenute dopo l’ultima attestazione.
Essi sono tenuti, altresì, a depositare una copia della dichiarazione annuale relativa all’imposta sui redditi delle persone fisiche entro i trenta giorni successivi alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione stessa. E, sempre mutuando dalla normativa nazionale, viene previsto che “Tali adempimenti si estendono anche alla situazione patrimoniale del coniuge non separato e dei figli conviventi, se gli stessi lo consentono”. Viene prevista persino una specifica “Modulistica” mediante la quale saranno effettuate le dichiarazioni patrimoniali e per le “Inadempienze” agli obblighi, “il Presidente del Consiglio Regionale” o il Presidente della Giunta nel caso di assessori esterni, diffida l’interessato ad adempiere entro il termine di quindici giorni e, nel caso di inosservanza della diffida, sempre il Presidente del Consiglio Regionale ne dà notizia dell’inadempienza all’assemblea”.

Insomma, 28 anni di attesa sono serviti a fare una leggina che, occupandosi solo ed esclusivamente degli eletti e dei nominati della Regione, di fatto non prevede neanche la pubblicazione dei dati patrimoniali di tutti gli eletti in Calabria trascurando Consiglieri provinciali e dei comuni con popolazione superiore a 50.000 che invece sarebbero anch’essi, in base alla legge 441 del 1982, soggetti obbligati a presentare le suddette dichiarazioni. Una leggina quindi incompleta e, se vogliamo dirla tutta, anche arretrata poiché, clonando sterilmente il dispositivo dell’ottantadue, prevede ancora l’uso esclusivo del Burc come forma di pubblicazione e non invece un apposito sito internet su cui rendere davvero fruibili facilmente a tutti i dati patrimoniali e le spese elettorali dei propri eletti senza obbligare i cittadini che vogliono conoscerli a fare una specifica istanza di accesso agli atti o a comprarsi, a loro spese ovviamente, il Bollettino ufficiale. L’APE, l’anagrafe pubblica degli eletti che i radicali propongono è un’altra cosa. Per farla bisognerebbe mettere in rete redditi e operati di un migliaio di eletti tra consiglieri regionali, provinciali e comunali. Speriamo che, o in sede di esame di merito in I Commissione o in sede di approvazione, si intervenga su questi aspetti e si adotti un provvedimento che, mirando al futuro, pubblichi anche i dati delle attività dei singoli parlamentari sotto forma di dati aperti e confrontabili sul modello di “Openparlamento”. D’altronde siamo nel 2010 oppure in Calabria ancora no?

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Trasparenza sullo stato patrimoniale delle cariche elettive: appello per riportare la Calabria nell’alveo della legalità

di Mario Staderini e Giuseppe Candido

Prendiamo atto dell’impegno personale assunto dal Presidente del Consiglio regionale Talarico. Non soltanto la legge 441 del 1982 reca tassative “Disposizioni per la pubblicità della situazione patrimoniale di titolari di cariche elettive e di cariche direttive di alcuni enti”, ma è scritto a chiare lettere anche nello Statuto della Regione Calabria: “Tutti gli atti dell’amministrazione della Regione, degli enti e delle aziende da essa dipendenti sono pubblici, salvo i limiti espressamente posti dalla legge. La legge regionale definisce (o almeno dovrebbe) le procedure per l’accesso ai documenti amministrativi e disciplina l’intervento degli interessati, singoli od associati, nel procedimento amministrativo …”. Purtroppo abbiamo scoperto che in Calabria, stante la specifica normativa nazionale e la previsione statutaria, così non è. Anzi il fatto che in Calabria lo stato patrimoniale dei Consiglieri regionali e dei direttori di aziende pubbliche restino di fatto un “segreto” è saltato sulle pagine di un importante quotidiano nazionale grazie ad un articolo di Sergio Rizzo lo scorso 12 agosto. “Volete conoscere se un consigliere regionale calabrese eletto dai cittadini possiede una casa, – scrive Rizzo – la villa al mare, un’ auto, qualche società? Toglietevelo dalla testa: è top secret.”. La vicenda è arcinota perché diversi quotidiani locali hanno ripreso la notizia. Ricordiamo che, la stessa istanza di accesso agli atti è stata presentata alla Provincia e al Comune di Catanzaro dai quali attendiamo ancora una risposta. Come Radicali – che dell’anagrafe pubblica degli eletti abbiamo fatto una specifica battaglia a livello nazionale – chiediamo che in Calabria s’intervenga subito a tutti i livelli, dando immediata attuazione alla normativa disattesa da 28 anni. Conoscere lo stato patrimoniale, gli interessi finanziari, gli immobili posseduti, le azioni in società di ogni Consigliere regionale, di ogni eletto ad ogni livello, rendendoli pubblici e facilmente accessibili per come prevede la normativa, sarebbe per i calabresi un decisivo passo in avanti verso una democrazia liberale più compiuta. Una “leggina” la chiama Rizzo che, semplice e a costo zero, permetterebbe, proprio in un momento in cui aumenta il distacco tra politica e gente comune, le differenze di necessità e di priorità si estendono, di riavvicinare la “Casta” alle persone che vivono la quotidianità del vivere e del sopravvivere comune.

L’articolo 10 dello Statuto recita che “Tutti hanno (o almeno avrebbero) il diritto di rivolgere petizioni agli organi regionali, per richiederne l’intervento e per sollecitare l’adozione di provvedimenti di interesse generale”. Come Radicali chiediamo pubblicamente al Presidente della Giunta Scopelliti e al Presidente del Consiglio regionale Talarico che hanno già dimostrato di essere sensibili al problema della trasparenza, di calendarizzare e di discutere al più presto la ormai “improrogabile” – così come la definisce lo stesso parere dell’ufficio legale della Regione – legge regionale in materia di pubblicità della situazione patrimoniale delle cariche elettive. In modo da riportare, almeno sotto questo punto di vista, la Calabria nell’alveo della legalità.

Sergretario Radicali Italiani

Radicali Italiani, Ass. Abolire la miseria della Calabria

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La trasparenza: un’arma contro i rapaci

di Giuseppe Candido

Ancora non sappiamo con certezza se il malaffare che sta emergendo con i fatti della cricca sarà considerata una nuova tangentopoli, ma un fatto è certo: oggi come nel ’93 la corruzione in Italia dilaga come male endemico, culturale, cui gli Italiani stanno abituandosi. Gli indicatori internazionali ci pongono in coda alle classifiche della legalità. Secondo Trasparency International, l’organizzazione non governativa che per statuto ha il fine di “combattere la corruzione in tutte le sue forme”, l’Italia si colloca in fondo alle classifiche, al 63° posto dopo paesi come la Repubblica della Namibia. Oltre 400 i personaggi famosi – politici, funzionari governativi, funzionari della sicurezza e anche esponenti della vita culturale – nella lista di Diego Anemone, l’impresario edile coinvolto in recenti scandali: un sistema che pare gli garantisse, in un periodo di crisi, di aggiudicarsi appalti milionari uno dietro l’altro. E mentre l’ex ministro dello sviluppo economico, Claudio Scajola, è costretto a dimettersi per potersi difendere perché qualcuno, a sua insaputa, gli avrebbe pagato una congrua fetta di un immobile al centro di Roma con vista Colosseo, esplode in Europa la crisi economica e sociale della Grecia, dilaga la paura del contagio anche all’Italia e i politici, sapendo di dover imporre sacrifici ai cittadini con tagli alla sanità ed eventuali aumenti di tasse, propongono di ridursi gli stipendi per dare il “buon esempio”. Si discute di un governo d’unità nazionale che possa effettuare le riforme (tagli agli sprechi e lotta all’evasione fiscale) necessarie a scongiurare che la crisi arrivi anche da noi. La Corte dei Conti ha di recente stimato in 60 miliardi di euro il giro d’affari che tracima al di fuori dell’alveo della legalità. In termini percentuali siamo nell’ordine del 25% dell’intero Prodotto interno lordo. Sono questi i costi della non democrazia che si aggiungono agli sprechi nella sanità e negli enti inutili che il Governo in carica aveva promesso di abolire salvo poi guardarsene dal farlo. Sono i costi delle regole eluse da altre regole di un ordinamento legislativo tragicamente faraonico che consentono alla “casta” di fare i propri comodi, ai partiti di continuare a mantenere uno strapotere da cui si alimenta il senso di impunità. Una “democrazia senza democrazia” la definisce lo storico Massimo Salvadori, autore dell’omonimo libro in cui si descrive un sistema politico bloccato che protegge se stesso impedendo il ricambio delle classi dirigenti. Oggi però si aggiungono i fatti della Grecia e il rischio, realistico, che la crisi economica possa contagiare anche l’Italia e l’intera euro zona. “E’ in pericolo l’euro e con esso l’Europa stessa” ha affermato Angela Merkel. Le borse europee chiudono in netto calo e il rischio di un “effetto domino è reale”. In tutto ciò le questioni si intrecciano e la questione della legalità diventa questione morale: un problema che è necessario affrontare prima di imporre nuovi sacrifici agli italiani. Servono riforme vere e serve far passare l’idea che sono necessari sacrifici che noi cittadini dovremo affrontare per poter affrontare la crisi. Sacrifici che dovranno affrontare solo i comuni cittadini e che rischiano di allontanare ancor di più, se ce ne fosse bisogno, la gente normale dai pochi privilegiati della casta o della cricca. Per cui, mentre si parla di nuovi redditometri e di lotta agli evasori per recuperare risorse, mentre si annunciano tagli alla sanità, dai palazzi del potere, ai vari livelli, si annuncia l’auto riduzione degli stipendi e la caccia alle auto blu che, come ha dimostrato l’inchiesta della Gabanelli, in Italia sono un numero spropositato. Basterà? Ci chiediamo: sarà sufficiente come segnale chiaro di un nuovo rigore morale o rischia di esser percepito come un provvedimento populista e strumentale necessario a far ingoiare il boccone amaro dei nuovi tagli che si prospettano nella sanità in primis e della impossibilità di ridurre le tasse? Se da un lato c’è l’impunità e l’inamovibilità percepita di una classe dirigente, dall’altro v’è l’aspetto culturale di cittadini asserviti ai potenti per cercare di propiziarsene i favori. Ha ragione Maria Teresa Brassiolo, presidente di Trasparency International, quando afferma che “la corruzione non è un destino ineluttabile ma un sistema culturale”. E, almeno in questo, noi meridionali non siamo da meno al partito del Nord. Se davvero serve un segnale chiaro per un Paese dove – come ci ha spiegato bene Sergio Rizzo nel libro “Rapaci” – “è normale che nelle imprese comunali ci siano ventitremila consiglieri di amministrazione e una poltrona ogni 5,6 dipendenti”, dove società pubbliche nascono per distribuire appalti senza gara, in deroga alle norme, se davvero crediamo che serva una svolta morale e moralizzatrice perché allora non si parla della proposta dei Radicali Italiani di istituire un’anagrafe patrimoniale pubblica di tutti gli eletti e di tutti i “nominati” a tutti i livelli? Dichiarazione dei redditi, interessi finanziari, dichiarazione dei fiananziamenti ricevuti, dei doni, dei benefici, tutte pubbliche su internet. Altro che “privacy”, in Italia è necessaria per gli eletti una legge sulla “publicy”. Sarebbe una riforma a costo zero che, se attuata dal livello comunale a quello nazionale, sarebbe percepita come operazione di trasparenza e democrazia. Già il Decreto Legislativo 150 del 09, il famoso decreto Brunetta, con lo scopo di ottimizzare l’efficienza e la trasparenza nel pubblico impiego ha reso obbligatorio per tutti gli Enti Pubblici, Comuni, Province, Regioni, ma anche ASL, Ospedali, ecc, l’attivazione una serie di azioni che rendano più trasparenti gli obbiettivi politici, strategici ed operativi e ne misurino i risultati. Assieme con l’anagrafe patrimoniale pubblica di eletti e nominati sarebbe proprio la trasparenza stessa ad arrivare prima delle indagini e prima delle intercettazioni. L’ha già adottata per la Regione Puglia, Nichi Vendola. In questa prossima legislatura regionale di “sacrifici”, se anche il neo eletto governatore della Calabria pensasse alla trasparenza per combattere la corruzione, soprattutto in ambito sanitario, non sarebbe male. Un’arma che consentirebbe di sfoltire quel fitto intreccio tra politica degli affari e degli scambi di favori occulti.

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