di Giuseppe Candido.
Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti. È con questo titolo che lo scorso 27 marzo è stato depositato alla Camera (A.C.2994) il progetto di legge di riforma della scuola (140 pagine). Il provvedimento reca le firme del Ministro dell’Istruzione Giannini, di quello della semplificazione e della pubblica amministrazione Madia e quella del Ministro dell’Economia e delle Finanze, Padoan. Assieme, il 1° di aprile quasi come fosse una burla, è stata presentata pure una scheda di lettura di altre 167 pagine. Dopo aver distratto per due mesi con il documento la Buona Scuola messo in consultazioni, e dopo aver presentato in 22 pagine i 24 articoli i primi di marzo, adesso è spuntato fuori, come un pesce d’aprile, appunto, il disegno di legge vero e proprio. E il tutto deve essere discusso e approvato entro il mese di maggio, dicono dalle stesse fonti governative, se si vuole garantire le assunzioni dei precari a settembre. Di fretta.

Tant’è che il 7 aprile si sono svolte, davanti le Commissioni congiunte di Camera e Senato, un unicum della storia repubblicana, le audizioni informali delle associazioni dei docenti, sia dei loro sindacati rappresentativi del comparto che da poco hanno rinnovato le loro RSU e che, è stato ricordato, rappresentano ben 700mila voti dei docenti. C’erano i docenti del movimento “GaE in ruolo, non uno di meno”; i rappresentanti dei docenti “idonei”, che hanno superato il concorso del Ministro Profumo nel 2012, i rappresentanti dell’associazione Mida Precari, e i docenti di Quota 96 della scuola che ancora aspettano la pensione, pur avendo oggi raggiunto quote oltre i 100 (sic!) e, ancora, il “coordinamento dei docenti immobilizzati”. Sempre tra le associazioni sindacali non rappresentative del comparto scuola c’erano pure i segretari dell’ANIEF, dello SNADIR, sindacato dei docenti di religione, e dell’Associazione Nazionale Docenti. Poi è stata la volta dei sindacati rappresentativi: la federazione dei lavoratori della Cultura della CGIL, la CISL scuola, la UIL scuola, lo SNALS e la Federazione GILDA-UNAMS. Molti gli aspetti problematici sollevati dai docenti davanti a Flavia Piccoli Nardelli, vice Presidente della Commissione Cultura, Scienze e Istruzione della Camera. Ciò che è emerso dagli interventi, che possono essere riascoltati sul sito di radioradicale.it, è una convergenza di tutte le associazioni sindacali dei docenti su una posizione assai critica del disegno di legge. Dal mondo della scuola è salito un coro unanime di critiche nel metodo e nel merito del provvedimento.
Sul metodo, è stato fatto notare come oggi, in realtà, si stia discutendo su un disegno di legge depositato da dieci giorni e che, se si escludono le vacanze di Pasqua che ci sono state per il mezzo, è come se fosse stato depositato ieri; un disegno di legge che affronta questioni importanti come l’istruzione e l’educazione delle giovani generazioni, ma che, nello stesso tempo, viene sottoposto dal Governo ad un iter parlamentare e ad una tempistica veramente singolare. Forse unica nella storia della legislazione scolastica. Singolari, è stato detto, anche le modalità di svolgimento delle audizioni stesse: a Camere riunite e questo, si è fatto notare da più parti, sta a significare una cosa sola: al D.d.L sulla scuola non sarà apportata alcuna modifica né dalla Camera né dal Senato in conseguenza dei possibili ritardi che si genererebbero per la stabilizzazione dei precari. È molto probabile, infatti, che il Parlamento si limiterà a ratificare la riforma senza alcuna modifica. Un disegno di legge che intende modificare i cardini del sistema d’Istruzione e formazione dovrà essere discusso in meno di sessanta giorni, entro il 31 maggio, con tempi più risicati da quelli richiesti per la conversione in Legge di un Decreto legge. D’urgenza. Ma se si riconosce l’urgenza dei precari, che pure ci chiede l’Europa con la sentenza dello scorso 26 novembre, perché non si interviene con un decreto d’urgenza? Per il Governo, la riforma della Scuola è l’ennesimo spot. Si fa passare l’idea di una grande riforma, si propaganda come il più grande investimento sulla scuola negli ultimi trent’anni, ma in realtà è solo il rimedio necessario, perché è l’Europa ad imporcelo, a porre fine all’abuso da parte del MIUR di contratti a tempo determinato oltre i trentasei mesi. In pratica, con il rimedio (l’assunzione dei precari, e neanche di tutti quelli che ne avrebbero diritto) che diventa lo scudo per qualunque critica, si è deciso di smantellare definitivamente quel che resta della scuola pubblica statale per lasciarla scivolare verso un sistema di tipo privatistico, aziendale, all’italiana. Un sistema ibrido in cui non si sa bene dove finisce l’intervento dello Stato e dove inizi quello del privato.
Il pane in cambio della libertà. La stabilizzazione dei precari di cui si è troppo abusato, e che l’Europa chiede con urgenza, in cambio della cessione dei diritti.

Nel merito le critiche sono state anche più dure. Discrezionalità massima dei dirigenti e azzeramento totale di ogni forma di collegialità. Ma di questo a porta a porta non si parla. Tutto l’articolo 7 attribuisce al dirigente la discrezionalità assoluta, poteri straordinari, e dovrebbe essere radicalmente stralciato. E da questo discende la scelta degli albi territoriali da cui il dirigente potrà scegliere per formare l’organico funzionale. Di contro si destrutturano tutti gli organi collegiali, addirittura scompare il comitato di valutazione.
All’unanimità è stato fatto notare che il disegno di legge sulla riforma della scuola va in senso opposto a quelle che sarebbero state le aspettative legittime del mondo della scuola. Il modello di scuola democratico, il modello di scelte collegiali e condivise, viene raso al suolo, come Salvini vorrebbe con i campi Rom, non già per migliorare la scuola, ma per stravolgerla. La valorizzazione dei docenti è l’araba fenice che non c’è. Anzi. Ogni partecipazione democratica dei docenti alle decisioni e alla vita della scuola viene cancellata, sparisce la centralità del collegio dei docenti, ridotto a organo consultivo, nelle scelte educative e didattiche; e persino per i libri di testo, non si capisce più chi li sceglierà.
Per contro, lo Stato trasferisce ai dirigenti dei poteri abnormi che gli consentiranno di gestire la scuola pubblica con forme e scelte di tipo privatistico e aziendale. E se ora un docente può risultare perdente posto solo in base ai titoli e a un punteggio correlato all’anzianità e all’esperienza didattica, dopo la riforma la conferma avverrà in base ai criteri del “capo”: che potranno variare da scuola a scuola. E ciò, fanno notare i sindacati, rischia di produrre un’altra valanga di ricorsi. E c’è il rischio concreto che tutto ciò non faccia altro che accrescere in maniera esponenziale la conflittualità tra dirigenti, personale docente e personale Ata. Per elencare tutti i poteri conferiti con l’articolo 7 al Dirigente scolastico ci vorrebbe una paginetta. Basti dire che saranno superiori anche a quelli del direttore generale degli uffici scolastici regionali, e dello stesso Capo dipartimento del Ministero.
Mortificati, oltre ogni ragionevole sopportazione, il ruolo e la funzione dei docenti ridotti, nel bel Paese, e a dispetto di quanto avviene nell’Europa dove godono non solo di migliori stipendi ma anche di migliore considerazione, a mera categoria residuale, senza certezze lavorative e senza più quella libertà culturale e professionale, docimologica, che rappresentano l’essenza stessa della professione docente. Gli albi territoriali da cui i docenti potranno essere scelti, a piacimento del Dirigente, rappresentano un attacco gravissimo alla dignità personale, culturale e professionale dei docenti, una ferita mortale per la libertà d’insegnamento. Se passasse la riforma la funzione dei docenti cesserà infatti di essere libera come vuole la Costituzione, quella più bella del mondo che però oggi tutti mettono sotto i piedi. E c’è il concreto rischio che la docenza diventi funzionale a interessi che nulla hanno a che fare con la finalità istituzionale e costituzionale dell’Istruzione.
Anche Fabrizio Rebershegg, del Centro Studi della Gilda insegnanti è intervenuto alle audizioni informali. E, dopo aver fatto notare che finora non si è affatto colloquiato con le forze sindacali che rappresentano i 750mila insegnanti, ha invitato esplicitamente il Governo “a scorporare la parte dell’assunzione dei precari (da fare con urgenza con un Decreto Legge) e far si che l’Organico funzionale non sia altro che il superamento dell’attuale Organico di diritto”. Cominciamo da cose semplici!, ha sottolineato: “In pochi mesi non si può fare una riforma della scuola che poi è destinata a durare per decenni”.
Per la Gilda è tutto l’articolo 7 che deve essere “radicalmente modificato”, e che il ruolo dei docenti della scuola debba invece essere valorizzato proprio attraverso una rivalorizzazione degli organi collegiali, dando responsabilità effettive a questi organismi. Non rendendoli passivi, organi consuntivi, di resistenza ai voleri del “capo”. I docenti, è stato detto, hanno bisogno di responsabilità, e di pagare anche per le loro responsabilità mentre così facendo, nella buona scuola di Matteo Renzi decide tutto il dirigente. Senza contare che, nei contenziosi che questa riforma rischia di generare a sfilze, è stato ribadito, chi sicuro ci guadagnerà sono sempre e solo gli avvocati. A perderci, invece, come sempre, sarà la scuola, saranno i docenti, saranno gli alunni e le loro famiglie, ma anche la credibilità stessa del Parlamento e dello stesso Stato che non è più in grado di rispettare le sue stesse leggi, né i contratti di lavoro.
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Oppure: ascolta le audizioni delle associazioni dei docenti davanti alle Commissioni parlamentari di Camera e Senato.