Papa Francesco

Papa Francesco e la riflessione appannata sulla Calabria

di Giuseppe Candido

Con l’editoriale pubblicato in forma di lettera a pagina tre dell’edizione calabra del Garantista di oggi, sabato 21 giugno, in occasione della visita di Papa in Calabria il direttore Piero Sansonetti chiede a Francesco di non credere a ciò che “Le diranno”.

Le diranno – scrive Sansonetti – che qui c’è un solo problema: la ‘ndrangheta, la malavita. Le faranno capire che il popolo calabrese, in fondo in fondo, è incline al delitto. Le spiegheranno – dice ancora Sansonetti rivolgendosi al Papa degli ultimi, – che la questione calabrese è una questione criminale” e che “Per risolverla servono poliziotti, giudici, carcere, manette, forse anche l’esercito”.

L’immaginazione di Sansonetti su ciò che avrebbero potuto raccontare al Papa e, conseguentemente, consigliargli di dire non sembrano discostarsi da ciò che deve essere poi stata la realtà.

La ‘ndrangheta – dice il Papa – è adorazione del male, i mafiosi non sono in comunione con Dio sono scomunicati”. Senza appello, senza possibilità di perdono né di redenzione.

A Cassano allo Jonio, una terra martoriata dalla guerra tra ‘ndrine”, è l’incipit di TMNews e rimarca che qui si è “aperto l’anno con la barbara uccisione di un bambino di 3 anni, Cocò Campolongo, ucciso insieme al nonno e alla sua compagna”.

Il Papa in Calabria scomunica i mafiosi” diventa, addirittura, il ritornello delle principali testate giornalistiche. E su questo ricamano di tutto e di più.

La Chiesa deve dire di no alla ‘ndrangheta. I mafiosi sono scomunicati”, sottolinea il Fatto Quotidiano.

Papa Francesco
Papa Francesco, foto Avvenire.it

Papa Francesco, infatti, dopo poche parole sul “perdono” che Gesù chiedeva e sul fatto di “accompagnare” il reinserimento sociale rivolte ai detenuti del carcere di Castrovillari, ha parlato poi di “’ndrangheta” e della piaga che attanaglia questa terra, come “adorazione del male e disprezzo del bene comune”.

E non ha parlato invece delle cose con le quali Sua Santità ha di fatto cambiato lo Stato Vaticano: cioè l’abolizione dell’ergastolo e l’introduzione, nel codice canonico, del reato di tortura; quelle torture che in Italia ci sono proprio nelle carceri e per le quali l’Europa ha condannato l’Italia nel gennaio 2013 proprio a causa dei trattamenti inumani e degradanti. Il Papa vicino agli ultimi che nella sua Argentina da Vescovo chiedeva perdono e invocava amnistia per i carcerati, per la Calabria criminale solo timide parole su Gesù e il perdono al carcere di Castrovillari, ma affondo e scomunica irrevocabile alla ‘ndrangheta.

Il pregiudizio creato dai media è forte e della visita di Francesco in Calabria resta in evidenza la “scomunica” di chi segue la ‘ndrangheta, senza alcun perdono possibile, e la politica così è salva, le responsabilità sono solo della ‘ndrangheta.

Ma la Calabria non è solo ‘ndrangheta, anzi. Tutto questo sia per Sansonetti sia per il sottoscritto è un grave pregiudizio: “i grandi mezzi di comunicazione e l’intellettualità del Nord hanno deciso così”.

La ‘ndrangheta qui è forte perché la povertà sociale è dilagata, è diventata miseria, miseria culturale e sottomissione del popolo ai “padroni”, ai detentori di potere dello Stato e delle Istituzioni rappresentative. Ma, in realtà, sono più d’una le ragioni condivisibili che si ritrovano nell’editoriale-lettera a Papa Francesco di Piero Sansonetti: mi riferisco a quando dice che la Calabria è povera perché le sue ricchezze le sono state portate via dal Nord, e mi riferisco pure a quando Sansonetti sostiene che in Calabria manca una classe dirigente e che, al suo posto, ci sono “padroni”, capi popolo, “che hanno accettato il predomino del Nord post unitario”.

Come ci ha ricordato il Prof. Antonio Carvello, docente di diritto di “organizzazione pubblica economica e società” presso l’Università degli Studi La Magna Grecia di Catanzaro, di una “Questione meridionale” propriamente detta se ne parla “dall’integrazione delle province meridionali nello stato unitario nel 1860-61”.

Già “all’inizio delle annessioni, nel momento in cui da Torino ci si sforzava di liquidare mediante l’intervento regio l’ipoteca politica della dittatura di Garibaldi”, – ricorda Carvello – “Cavour ebbe a rettificare i propri orientamenti ottimistici ed a prendere drammatica coscienza dell’esistenza di una profonda frattura fra le “due Italie”, di un distacco misurabile non solo quantitativamente, ma anche in termini sociali e morali”.

Aggiungendo che,

Negli anni seguenti al 1861, in assenza di una politica governativa diversa da quella storicamente intrapresa – mentre si saldava l’alleanza tra borghesia industriale del nord e grande proprietà terriera del sud, che escludeva la risoluzione in termini socialmente nuovi della questione contadina – l’iniziativa dell’opera di propaganda e di denuncia non spettò alla democrazia radicale, alla quale in pratica rimase estranea la sostanza politica del problema, ma a pochi intellettuali conservatori, ma illuministicamente riluttanti a chiudere gli occhi sui problemi che la bruciante realtà meridionale (brigantaggio, fame di terra da coltivare, arretratezza economica complessiva, agricoltura arcaica clientelismo diffuso, ecc .) proponeva.

Nel secondo dopoguerra si pone un nuovo meridionalismo, meno polemico e più propositivo rispetto ai “mali” antichi e nuovi del Mezzogiorno, che ha i suoi maggiori esponenti in Emilio Serni, Rosario Villari, Giuseppe Galasso, Francesco Compagna, Manlio Rossi Doria, Pasquale Saraceno, Mario Alicata, Augusto Graziani, ecc; intellettuali e politici di diverso orientamento, che hanno posto all’attenzione generale del paese il problema del Mezzogiorno come “questione nazionale”, nel senso cioè che sarebbe utopia parlare di uno sviluppo endogeno del Mezzogiorno, impensabile senza una politica d’orientamento e indirizzo da parte dello Stato di fronte a quelli che ancora oggi sono i problemi irrisolti del Sud: la mancanza d’industrie, un’agricoltura non competitiva, la cementificazione delle coste, la debolezza organica delle istituzioni, esplodere della criminalità organizzata, la crescente disoccupazione giovanile, l’assistenzialismo sempre più diffuso, ecc.

In questi ultimi tempi si va sempre più “appannando” la riflessione sui problemi del Mezzogiorno: una riflessione, quindi, per nulla comparabile, quanto ad intensità ed eco, ai dibattiti svoltisi negli anni ’50-60, quando ci si spinse ad affermare l’esistenza di un “pensiero” e di una “cultura” non solo meridionali, ma “meridionalisti”. Sembra ora, per diversi aspetti che i problemi della parte meridionale ed insulare del Paese non siano più sentiti come una “questione nazionale”, salvo che in poche dichiarazioni ufficiali, tanto inevitabili quanto spesso formali ed inutili”.1

garibaldi webL’alleanza tra borghesia industriale del Nord e proprietà terriera del Sud si è oggi trasformata in convivenza tra partitocrazia leghista del Nord e partitocrazia pseudo democratica o pseudo liberale al Sud.

Cristo si è fermato a Eboli anche perché, noi del Sud non abbiamo ancora capito che “la Questione meridionale” – come scrisse il filosofo Norberto Bobbio – “è una questione dei meridionali”.

Per capire come sta, oggi, la Calabria non basta quindi sentire qualche Prefetto e scomunicare la ‘ndrangheta, non basta neanche estirparla con l’esercito. Farlo, ridurre a ciò tutti i problemi di questa magnifica terra, significa mantenere una riflessione “appannata”, debole, che non porta alla soluzione dei problemi che, in Calabria, vanno invece ben oltre la ‘ndrangheta.

Dovremmo ricordarci che, come giustamente nota pure Carvello, “Il Mezzogiorno in questi ultimi 40 anni ha subìto processi di profonda trasformazione”, ma nel senso che

Sono cresciuti i consumi e sono diminuite l’occupazione e la produttività; si vive o si tende a vivere con uno stile di consumo – e anche con una relativa possibilità – simile a quello delle altre parti del Paese, ma non attraverso un’autonoma produzione di ricchezza: i trasferimenti di risorse hanno accresciuto i consumi ed i redditi, ma non la produzione l’occupazione ed il risultato che si constata oggi é questo: un Sud no povero, ma più “dipendente” o, come l’ha definita qualche studioso, “modernizzazione passiva” del Mezzogiorno”.

il brigante Vizzarro uccide il suo bambinoE in questo scenario l’illegalità è diventata regola, le Istituzioni si sono colluse a vicenda e si è smarrito lo Stato perché è venuto a mancare, appunto, lo Stato di diritto.

La Questione meridionale è è stata lasciata irrisolta dalla partitocrazia che dal bisogno, dalla miseria, dalla mancanza di libertà economica ha creato consenso, potere, e ha potuto alimentare clientele. I miliardi di vecchie lire della vecchia Cassa del Mezzogiorno e le centinaia di milioni di euro della Comunità europea sono andati sprecati.

Se non si tiene conto di questo, se si dimentica che le istituzioni rappresentative sono state occupate e piegate dai Partiti ai loro interessi, non se ne uscirà.

1 Carvello A., La “Questione meridionale”: dalle origini al dibattito contemporaneo, Abolire la miseria della Calabria, Anno V, Aprile-Dicembre 2011

 

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