Investire in sicurezza del territorio

di Giuseppe Candido

Pubblicato su “il Domani della Calabria” del 4 novembre 2010

L’emergenza frane torna ogni anno tragicamente d’attualità per i morti, le disgrazie e le ferite che provoca. A Massa tre vittime in poche ore: una mamma di soli 39 anni e il figlio sono stati travolti e uccisi dal fango che si è abbattuto sulla loro casa. Poche ore dopo un camionista è rimasto travolto sotto i detriti. Mentre scriviamo il maltempo si è spostato al sud e in Calabria piove a dirotto. Piove a dirotto e le fiumare crescono, s’ingrossano spaventosamente solo come quelle calabresi sono in grado di fare per la loro irta pendenza, i terreni argillosi e le coltri detritiche ricoprenti il territorio calabrese si saturano velocemente appesantendosi e rovinando in frane. Non si vuole fare catastrofismo ma è necessario prenderne atto: piogge intense e concentrate ormai non sono più una straordinarietà ma una tipologia “normale” di eventi meteorici caratteristici di una regione e che, sistematicamente, causano frane e alluvioni. Uno “sfasciume pendulo sul mare” definiva Giustino Fortunato l’Appennino. E se su tante cose l’Italia a 150 anni dalla sua unità è ancora divisa, sul problema del dissesto idrogeologico è unita da una continuità geomorfologica e di numeri. Numeri che fanno impressione quasi come la pioggia battente che ingrossa le fiumare. Quasi 470.000 le frane censite in Italia, per un totale di circa 20.000 chilometri quadrati. Un indice di franosità che raggiunge l’8,9% del territorio nazionale se si escludono le aree in pianura. Un Paese dove più dell’ottanta percento dei comuni ha almeno un’area instabile all’interno del suo territorio per frana o rischio alluvioni. Percentuale che in Calabria sale al 100%. Un numero così elevato di fenomeni franosi che è legato principalmente all’assetto morfologico del nostro paese, per circa il 75% costituito da territorio montano – collinare e alle caratteristiche meccaniche delle rocce affioranti. Un problema che avrebbe meritato prevenzione e che invece è stato incrementato nei decenni da costruzioni abusive e regole urbanistiche violate e non rispettate talvolta dalle stesse pubbliche amministrazioni che avrebbero il compito di “governare” i fenomeni del territorio. Il ruolo svolto dall’uomo che si è insediato ovunque anche dove era poco consigliabile, sulle frane e lungo i corsi d’acqua, è complice con quello di una politica che non si è pre-occupata dei problemi.

La mappatura effettuata dal Cresmel del 2009 fornisce un’altro dato interessante (e preoccupante) derivante dalla semplice sovrapposizione delle carte del rischio frana o alluvione elaborate nei PAI, piani per l’assetto idrogeologico regionali, e le carte riportanti strutture pubbliche, scuole e ospedali.

Sono ben 3.458 le strutture scolastiche costruite in zone ad alto rischio idrogeologico; 89 gli ospedali.

Negli ultimi 50 anni le vittime per solo per frane ammontano a 2.552, più di 4 vittime al mese. È a questo tragico elenco che si aggiungono, giorno dopo giorni, nuove vittime dell’incuria del territorio. Un intero paesino è come se fosse stato cancellato dall’Italia. Una strage o, se preferiamo, un serial killer.

Dal dissesto idrogeologico alla gestione emergenziale e criminogena del ciclo dei rifiuti l’Italia è il Paese che paga un prezzo altissimo in termini di vite umane per la non applicazione delle leggi. C’è da chiedersi se nel caos dello Stato che non è più di diritto, la gestione emergenziale di un problema atavico e persistente non convenga e, soprattutto, a chi convenga. Appalti, lavori, progettazioni date in deroga alle leggi vigenti sui lavori pubblici. E se è vero che il fabbisogno del Paese per il risanamento di queste situazioni di rischio ammonterebbe a circa 4 miliardi di euro, quanto cioè sono i soldi per costruire il Ponte sullo stretto, perché non si indicano quali sono davvero le priorità di questo Paese compiendo una scelta di responsabilità per tutte le vittime del dissesto idrogeologico? Perché non si assume un geologo in ogni comune che presenta rischi idrogeologici e o sismici? Non sarebbe questo forse un modo d’investire in sicurezza producendo nuova e vera green economy?

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