di Maria Elisabetta Curtosi
Alla fine degli anni settanta dell’Ottocento il problema che si pone è su come scrivere. Nuovo era il soggetto polito, nuovo doveva essere il linguaggio non omogeneo perché in continua evoluzione. Un linguaggio che esclude chi non stava nel movimento e che crea rotture psicologiche. Ad esempio lo slogan << l’utero è mio e me lo gestisco io>> irritò a lungo chi aveva deciso di non farla propria o chi non accettava il movimento femminista. La donna voleva una propria autodeterminazione partendo dalla riappropriazione del proprio corpo e il termine utero che fino a prima era solo usato nei linguaggi medico-scientifici o pornografici entra a far parte del linguaggio politico. Il giornale più di una volta si fa mediatore. E quindi la redazione, per questo viene accusata di essere un centro di potere, in realtà il tentativo del collettivo è quello di cercare di mettere in relazione tra loro donne che hanno fatto esperienza all’interno del movimento femminista e donne che hanno interesse a conoscerlo. Il progetto iniziale di “Quotidiano donna” trova i suoi limiti proprio nella difficoltà di mettere in comunicazione tra loro diversi linguaggi.