di Giuseppe Candido
Nell’intervista rilasciata a Claudia Fusani per L’Unità, il ministro della Giustizia, Andrea Orlando ha parlato di riforma della giustizia (da fare per giugno) e della “precondizione necessaria”, che è l’emergenza carceri. E in riferimento alla scadenza della sentenza pilota “Torreggiani” del 28 prossimo maggio, dice: “Dobbiamo assolutamente dimostrare che in Italia è cambiato qualcosa nel sistema delle pene”.
Quando la giornalista gli chiede conto del fatto che “tra poco più di un mese scade il termine stabilito dalla Corte di Strasburgo per dimostrare che che siamo davanti a un paese civile, che sa amministrare le pene. Altrimenti fioccano decine di milioni di multa (e migliaia di ricorsi a valanga, ndr)”, il ministro della giustizia risponde che “A Strasburgo abbiamo messo in evidenza progressi e punti critici. I progressi sono nei numeri: oggi circa 60.000 detenuti a fronte di circa 45mila posti disponibili”. E aggiunge: “Prima di una lunga serie di interventi eravamo arrivati a circa 40mila posti a fronte di una crescita tendenziale che puntava a circa 70mila detenuti. Bene: questo trend è stato bloccato e tutti i mesi assistiamo a una piccola diminuzione”.
A Strasburgo il ministro, addirittura, aveva parlato di 49mila posti disponibili.
In realtà, alla data del 2 aprile, i posti effettivi disponibili, come finalmente emerso dai dati del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) grazie alla lotta nonviolenta di Rita Bernardini, sono 43.547 a fronte di 60.167 detenuti. Nel comunicato del DAP infatti, si sottolinea che a fronte di una capienza regolamentare di poco più di 48 mila posti, “La vastità del patrimonio edilizio penitenziario determina fisiologicamente un certo numero di posti indisponibili per ragioni di inagibilità e per esigenze di ristrutturazione ordinaria e straordinaria, pertanto alla data odierna il numero esatto dei posti detentivi effettivi disponibili è di 43.547, pari al 90,14% della capienza regolamentare.
I “circa”, in questo caso, non sono indicati. Non possono esserlo giacché si parla di persone alle quali vengono sistematicamente violati diritti umani fondamentali con pene illegali perché erogate in condizioni inumane e degradanti in modo strutturale in tutte le carceri del territorio naturale. “Sistemiche e strutturali”, ha scritto nella sentenza pilota la Corte Europea per i Diritti Umani, condannando il nostro paese perché in condizioni “tecnicamente criminali”, per dirla alla Pannella, perché vìola accordi internazionali oltreché la stessa Costituzione. Una sentenza che, dopo il 28 di maggio, apre la strada ad una valanga di ricorsi analoghi.
E il ministro Orlando lo sa bene, tant’è che corregge la giornalista quando gli ricorda che ce ne sono già tremila pendenti: “Sono già quattromila”, dice. E aggiunge: “Dobbiamo evitare un effetto valanga”.
Quindi il ministro della giustizia Orlando sa molto bene che il nostro Paese è fortemente esposto a un rischio di questo tipo, oltre alle multe milionarie che dovrà pagare per la procedura d’infrazione. Spiegato il perché, a Strasburgo, qualche settimana fa i posti erano diventati quasi 50mila. Ma il problema delle nostre patrie galere non riguarda solo il sovraffollamento. Non riguarda solamente l’ora d’aria e i metri quadrati a disposizione dei detenuti. Strasburgo chiede all’Italia riforme strutturali anche per la giustizia e “un rimedio interno” per evitare la valanga di ricorsi.
Il Presidente Napolitano era stato molto chiaro nel suo messaggio alle Camere. L’unico messaggio inviato secondo l’articolo 87 della Costituzione, che il Presidente ha voluto scrivere affinché non ci fossero alibi.
“La cessazione degli effetti lesivi si ha, innanzitutto, con il porre termine alla lesione del diritto e, soltanto in via sussidiaria, con la riparazione delle conseguenze della violazione già verificatasi. Da qui – aveva detto Napolitano – deriva il dovere urgente di fare cessare il sovraffollamento carcerario rilevato dalla Corte di Strasburgo, più ancora che di procedere a un ricorso interno idoneo ad offrire un ristoro per le condizioni di sovraffollamento già patite dal detenuto”.
In quel messaggio, il Presidente Napolitano aveva posto all’attenzione del Parlamento ciò che – testualmente – aveva definito “l’inderogabile necessità di porre fine, senza indugio, a uno stato di cose che ci rende tutti corresponsabili delle violazioni contestate all’Italia dalla Corte di Strasburgo”. Aggiungendo che “esse si configurano, non possiamo ignorarlo, come inammissibile allontanamento dai principi e dall’ordinamento su cui si fonda quell’integrazione europea cui il nostro paese ha legato i suoi destini”.
Ma né il Parlamento né il governo Renzi hanno inteso ascoltarlo, soprattutto nella parte in cui ha chiaramente parlato di “considerare l’esigenza di rimedi straordinari” come amnistia e indulto.
“Di fronte a precisi obblighi di natura costituzionale e all’imperativo – morale e giuridico – di assicurare un civile stato di governo della realtà carceraria”, – aveva detto nel suo messaggio – “sia giunto il momento di riconsiderare le perplessità relative all’adozione di atti di clemenza generale”. Aggiungendo che, “l’opportunità di adottare congiuntamente amnistia e indulto (come storicamente è sempre avvenuto sino alla legge n. 241 del 2006, di sola concessione dell’indulto) deriva dalle diverse caratteristiche dei due strumenti di clemenza”.
“L’indulto, a differenza dell’amnistia, impone di celebrare comunque il processo per accertare la colpevolezza o meno dell’imputato e, se del caso, applicare il condono, totale o parziale, della pena irrogata (e quindi – al contrario dell’amnistia che estingue il reato – non elimina la necessità del processo, ma annulla, o riduce, la pena inflitta)”.
In pratica, l’amnistia e l’indulto sarebbero propedeutiche a quella riforma della giustizia che, per il governo del turbo premier Matteo Renzi, si vorrebbe già realizzata (chissà come) entro il mese di giugno.
Senza l’amnistia e senza l’indulto, non solo è impossibile rientrare nelle condizioni di legalità e di rispetto dei diritti umani nell’irrogazione delle pene entro quel 28 maggio fissato da Strasburgo, ma neanche la riforma della giustizia, di quella giustizia italiana che si traduce in ingiustizia per la sua lentezza, pure questa condannata dall’Europa da oltre tre decenni.
Per non parlare dell’enorme mole costituita da 9 milioni di processi pendenti che, oltre ai tempi faraonici per ottenere una sentenza, annualmente, produce 130mila prescrizioni. Prescrizioni che, queste sì, rappresentano un’amnistia illegale, strisciante e di regime, per dirla sempre alla Pannella, per chi può pagarsi buoni avvocati e puntare alla prescrizione dimezzate dalla c.d. legge ex-Cirielli. Mentre si continua a giocare coi numeri sperando di riformare senza creare le precondizioni necessarie, è ridicolo.
Ma la cosa davvero strana è la contrarietà all’amnistia del nuovo segretario del PD, Matteo Renzi, esplicitata sin dal momento successivo al messaggio di Napolitano, quasi a volerne neutralizzare l’efficacia e l’impatto.
Strana se si considera che, quando il 20 dicembre 2012 Marco Pannella aveva iniziato uno sciopero della fame durissimo che lo costrinse al ricovero, il sindaco di Firenze addirittura si mobilitò, firmando una lettera scritta dal consigliere Enzo Brogi. Con una capriola acrobatica – scrive Zurlo su il Giornale – Matteo Renzi fiuta il vento e si sposta. Ma a dicembre, solo pochi mesi fa, firmava una lettera inviata da un consigliere regionale a Marco Pannella per sostenere la sua battaglia sulle carceri e per la concessione di un provvedimento di clemenza”.
Senza contare che il messaggio di Napolitano inascoltato in Italia, invece, qualche giorno fa, l’11 e il 17 marzo, è stato utile alla Royal Court inglese per negare l’estradizioni di due persone condannate nel nostro Paese (una per mafia) richieste dall’Italia, attraverso le procure di Firenze e di Palermo. Perché quanto scritto da Napolitano ha assicurato che le condizioni sanzionate dalla Corte di Strasburgo non erano mutate al 3 Ottobre, data in cui il Presidente ha scritto quel messaggio.
Mentre si continua a giocare coi numeri, non ci si rende conto che, in realtà, dietro quei numeri ci sono persone, donne e uomini, trattate in modo degradante e non umano. I Radicali non mollano. Rita Bernardini è in sciopero della fame ad oltranza dal 28 febbraio, per ricordare al paese che non c’è più tempo da perdere e che, senza amnistia e indulto, il termine ultimo per la sentenza Torregiani fissato al 28 maggio prossimo è in realtà già scaduto.