di Luigi M. Lombardi Satriani
Pubblicato su “Il Quotidiano della Calabria” del 6 dicembre 2011

Ora che De Seta ci ha lasciato il mondo appare più silenzioso. Ci manca la sua voce che ha così lungamente parlato dei “muti della storia”, di quanti non hanno voce, perché è stata loro negata dai detentori del potere, che li ha confinati nella marginalità, nel silenzio, nella dimenticanza. Non è un caso che uno dei documentari di De Seta sia intitolato “I dimenticati”. Come non è un caso che i suoi primi documentari – veri capolavori di cinematografia antropologica – abbiano rappresentato momenti del lavoro di classi subalterne (“La pesca del pesce spada”, in pochi minuti da antologia), o a comunità marginali (“Alessandria del Carretto” nel cosentino).
La “fortuna”, di critica e di pubblico, del Maestro palermitano-calabrese conosce momenti di grande notorietà e successo e fasi di relativo oblio, accentuati dal suo carattere orgoglioso e non disponibile a compromessi o a cedimenti al cinema commerciale.
“Banditi a Orgosolo”, lungometraggio liberamente ispirato all’inchiesta di Franco Cagnetta, delinea tratti essenziali della violenza istituzionale riversata dallo Stato sulla comunità barbaricida (indimenticabile la sequenza in cui tale violenza è essenzializzata nell’ombra di carabinieri che si riflette negli occhi del ragazzo–pastore, oscurandoli).
L’apporto di De Seta alla cultura del Novecento è peculiare ed è frutto delle sue doti di artista e della sua sensibilità antropologica. E’ anche il frutto di una stagione culturale e di una temperie particolarmente feconde. “La Terra trema” di Luchino Visconti, i films di Vittorio De Sica e di Roberto Rossellini, il documentario e il volume su Luzzara di Cesare Zavattini, le opere di narrativa di Elio Vittorini, del primo Calvino, di Francesco Iovine, di Domenico Rea, di Fortunato Seminara, di tanti e tanti altri, “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi e le suggestioni che tale opera esercitò su Ernesto De Martino, cui si deve il rinnovamento degli studi demo-antropologici in Italia, le poesie e le inchieste di Rocco Scotellaro costituiscono tessere di quel vasto mosaico che rappresenta la cultura italiana degli anni Cinquanta e Sessanta.
“Il diario di un maestro”, quattro puntate realizzate da De Seta per la Rai visualizza le esperienze di una scuola di borgata romana, narrate da Albino Bernardini nel suo libro autobiografico “Un anno a Pietralata”. Il “diario…” registrò ascolti eccezionali e confermò l’acuta sensibilità del cineasta per le ragioni degli ultimi, degli emarginati.
Protagonista del suo tempo, De Seta affronta anche tematiche che solcano la realtà contemporanea. Così, in “Un uomo a metà” si confronta con la crisi borghese e l’indagine introspettiva. Così in “Lettere dal Sahara”, analizza la realtà delle migrazioni, guardandone le potenzialità di scambi, i costi umani e le sofferenze.
Negli anni Ottanta si stabilisce nella nostra regione, dedicandosi sia alla coltura dei suoi terreni a Sellia, sia alla realizzazione di documentari intrisi di un radicale attaccamento alla Calabria e alla sua cultura tradizionale, di cui esalta l’intensa umanità, l’attenzione rivolta alle istanze comunitarie, il derelitto tepore, travolti dalla spietata civiltà dei consumi, con il suo sviluppo senza progresso, con i suoi processi di una modernizzazione devastatrice dell’antica trama di valori. Vengono così irrimediabilmente distrutti, secondo De Seta, millenari saperi, una dimensione solidale, autenticità di rapporti interpersonali, la rassicurante percezione di costituire comunque una “comunità-del-noi”, per riprendere un’espressione cara ad Antonio Pigliaru.
Sono avvertibili in tutto questo l’eco di Tolstoj, della sua passione evangelizzatrice e, insieme, un’intensa nostalgia, carica di poeticità, di lirismo.
Occorrerà rivedere questi documentari, se ne condividano o meno le singole affermazioni, per comprendere meglio quello che Vittorio De Seta ci ha detto, quanto ci ha dato.
Chi, come me, gli è stato profondamente amico da decenni, oltre che rimpiangerlo, non può non ricordare le doti intellettuali e umane di una personalità forte, sollecita e generosa.
Nei colloqui da noi avuti nella sua casa di Sellia o nella mia di San Costantino di Briatico, assieme al comune amico Franco Tassone, notavo la sua inesausta esigenza di comprendere sempre di più, sempre più profondamente la sua, la nostra Calabria. Con una tenacia, un’ostinazione “calabrese”, con un sorriso che si accompagnava sempre alla sua forte determinazione.
Perciò oggi, con la scomparsa di De Seta il mondo mi appare più desolatamente vuoto. Ciao, Vittorio.