di Giuseppe Candido
Sei mesi fa, Marco Pannella c’ha lasciati. Il mio ricordo va subito a due anni fa, quando – il 22 novembre 2014 – veniva a Catanzaro per presentare il mio libro La peste ecologica e il caso Calabria per il quale, per i temi in esso trattati, con l’aiuto di Rita Bernardini, mi aveva scritto l’introduzione. Fu l’ultima volta che Marco venne in Calabria.
La politica Pannella l’ha sempre fatta con Amore. A lui devo dire molti “grazie”. Tantissimi grazie per le tantissime convinzioni in cui non smettiamo di credere. La nonviolenza, la giustizia giusta, le carceri e l’impegno per gli ultimi, l’ecologia legata al pane e al lavoro, gli Stati Uniti d’Europa contro gli stati nazionali.
Personalmente, resto dell’idea che Pannella e la nonviolenza gandhiana che c’ha insegnato come metodo di lotta politica, ai tempi del dilagante populismo anti europeo e delle violenze verbali sempre più cocenti e presenti nella politica non solo italiana, possano rappresentare un esempio per le giovani generazioni.
Un personaggio da studiare. “Sempre con le spalle al sole, anche quando piove, col suo canestro pieno di parole” … diceva più o meno così la canzone che De Gregori gli dedicò. Un politico “irregolare” cui molti rimproveravano di “rischiare la morte” coi suoi innumerevoli scioperi della fame e della sete.
Mentre si parlava dell’ennesimo sciopero e non delle ragioni dello stesso, Lui – candidamente – rispondeva che:
“C’era differenza tra il rischiare di vivere e il rischiare di morire” e che restava “convinto che la gente muore perché ha perduto l’interesse alla vita” e “chi invece si rifiuta di vedere amputata la vita, proprio perché non vi trova né rassegnazione né castrazione, ma al contrario speranza, può anche rischiare di perderla: succede. Ma se vince, vive veramente meglio e più degli altri”.
Aggiungendo che:
“Rischiare la vita senza rischiare quella degli altri è un altro salto qualitativo”.
Domenica 6 novembre 2016, in occasione del Giubileo dei carcerati voluto dal Santo Padre al termine dell’Anno giubilare dedicato alla Misericordia, dalle carceri di tutta Italia, in suo nome, quasi ventimila carcerati, più di un terzo della popolazione detenuta, hanno digiunato per due giorni (il 5 e 6 novembre).
L’hanno fatto con una straordinaria mobilitazione nonviolenta, non solo per “aderire”- non potendo esser presenti – alla Marcia per l’Amnistia, la Giustizia e la Libertà, organizzata dal Partito Radicale, e intitolata a Marco Pannella e a Papa Francesco. Hanno digiunato soprattutto per chiedere allo Stato di rispettare la sua stessa legge e la Costituzione.
In mezzo ai politici violenti, ai politici che le dicono e le fanno di tutti i colori, spuntano quasi ventimila detenuti, che in modo non violento, chiedono allo Stato di discutere una legge – la riforma dell’ordinamento penitenziario – e di rispettare la Costituzione.
Quale modo migliore poteva esserci per ricordare Pannella, leader per decenni di un partito, il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito che adotta il volto di Gandhi come proprio simbolo?
E’ questa la straordinarietà vera della Marcia del 6 novembre – svoltasi nel nome di Marco Pannella e Papa Francesco, durante la quale l’apertura di piazza San Pietro allo striscione del Partito Radicale Nonviolento rappresenta il momento culminante.
Tutto ciò è avvenuto perché idee e lotte nonviolente di Marco Pannella continuano a vivere e camminano sulle gambe dei militanti e di migliaia di detenuti che hanno voluto – letteralmente – dare corpo alla lotta per il rispetto della legge e della Costituzione.
Per Leonardo Sciascia, Pannella era: «… il solo uomo politico italiano che costantemente dimostri di avere il senso del diritto, della legge, della giustizia. Ce ne saranno altri, ma senza volto e senza voce, immersi e sommersi in partiti la cui sensibilità ai problemi del diritto soltanto si manifesta quando qualche mandato di cattura raggiunge uomini del loro apparato: per il resto se ne stanno in silenzio…».
Grande fino al punto che il poeta e Nobel Eugenio Montale scrisse che: «Dove il potere nega, in forme palesi, ma anche con mezzi occulti, la vera libertà, spuntano ogni tanto uomini ispirati come Andrei Sacharov e Marco Pannella che seguono la posizione spirituale più difficile che una vittima possa assumere di fronte al suo oppressore: il rifiuto passivo. Soli e inermi, essi parlano anche per noi».
Dalla TV, anche da quella di Stato, Pannella è stato escluso, fatto letteralmente fuori. Eliminato dal dibattito politico, anche quando i temi erano prettamente liberali e radicali. Ma il consenso Marco l’ha avuto lo stesso – quando si sono potuti tenere – attraverso i referendum.
Per far conoscere un politico “irregolare” e nobile come lui ai giovani bisognerebbe spiegare che è proprio grazie a Pannella antimilitarista se, nel ’72, il Parlamento votò una legge per rendere legale l’obiezione di coscienza. E andrebbe spiegato anche che la legge – in quel caso – arrivò dopo un lungo sciopero della fame interrotto solo nel momento in cui il presidente della Camera, Sandro Pertini, assicurò che la questione sarebbe stata “posta rapidamente all’ordine del giorno”.
Oggi non solo la “stereofonia dei Radicali e i Cattolici” si fa sentire sulla questione dell’amnistia. Ma Papa Francesco anche sulla tortura dice le stesse cose che Pannella diceva da anni. Cioè che può esistere tortura anche nelle carceri di massima sicurezza o nei regimi speciali di detenzione. E che è tortura lo stesso ergastolo ostativo. Ergastolo che il Pontefice ha abolito in Vaticano introducendo nel diritto Canonico quel reato di tortura che l’Italia non riesce ad introdurre. Dopo l’apertura di San Pietro e le parole del Pontefice per un atto di clemenza, possiamo dire che le idee di Marco vivono perché convincono. Ciao Marco.