CENSURA E LIBERTA’ DI STAMPA

di Marilisa Curtosi

È la stampa, bellezza, e tu non puoi farci niente

Testate stampa calabrese
Libertas e La Zanzara                                               Due testate della stampa calabrese

In questo periodo la domanda che frequentemente viene da porsi è se esiste la libertà di stampa in questo Paese che definiamo come “democratico”.

Possiamo veramente parlare di “parole in libertà” o è rimasto solo un logo della corrente del Futurismo?

In questo caso per non dare una semplice e “comoda” risposta è necessario prima di ogni altra cosa fare un passo indietro e ripercorrere brevemente la mappa storica della libertà di stampa e censura.

La libertà di stampa venne ufficialmente proclamata a Parigi con la DICHIARAZIONE DELL’UOMO E DEL CITTADINO il 26 Agosto 1789. Vi si stabiliva che << la libera comunicazione del pensiero e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo: ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo rispondere degli abusi nei casi determinati dalla legge>>

Come ben ricorda Mario Infelise, insegnante di Studi Storici, ne ”i libri proibiti” <l’immagine del rogo dei libri ha una lunga storia alle spalle e rappresenta con drammatica efficacia l’estrema conseguenza del conflittuale rapporto tra poteri organizzati e voci avvertite come dissidenti>. Uno dei più famosi è quello del 10 maggio 1933 , di fronte all’Università d iBerlino, dove bruciavano le opere degli autori liberali e democratici, perché doveva risultare chiaro che <la presa del potere nazista sulla Germania non si limitava alle istituzioni, ma doveva incidere in profondità sulle coscienza>.

La grande attualità del tema ha spesso reso difficile una corretta ricostruzione storiografica, in grado di prendere in considerazione le sue tante sfaccettature.

Trattare di censura continua e, con ogni probabilità, continuerà a sottintendere implicazioni politiche e religiose legate a ogni presente che rischiano spesso di proiettarsi al passato , deformandolo.

La storiografia democratica e liberale di matrice ottocentesca ha, ad esempio, a lungo rivolto uno sguardo carico di indignazione verso la censura ecclesiastica dei secoli scorsi, facendo proprie tutte le argomentazioni di chi allora era stato costretto a subirla. Non si è però mai curata di tener nel debito conto quali fossero le condizioni effettive dell’esercizio del potere e della circolazione delle informazioni. In compenso, certo recente revisionismo storiografico ha teso a minimizzare le conseguenze della svolta controriformistica sull’evoluzione intellettuale dei paesi cattolici.

Da una parte e dall’altra sono rimasti in ombra altri rilevanti effetti che il controllo sulla stampa dell’età moderna ha lasciato nella cultura europea.

Paradossalmente in certi casi proprio la repressione, suscitando la curiosità nei riguardi dei titoli proibiti, ha alimentato l’interesse e ne ha consentito la sopravvivenza. In altri ambiti la necessità di eludere la vigilanza ha condotto ad affinare lo stile e a coltivare l’ironia e le allusioni. Il fatto che spesso la repressione si sia manifestata in epoche lontane ha contribuito a destoricizzare il problema. Si pensi all’immagine del rogo dei libri, dall’età classica al nazismo e oltre. Forse la forza evocatrice di quei fuochi ha impedito di ragionare al di fuori di schemi ideologici e di collocare la questione della censura all’interno del tema più ampio della comunicazione e dei rapporti di questi con il potere. Uno dei rischi di restare legati a concetti che si ritiene immutabili è quello di stentare a percepire che non è possibile definire una volta per tutte il quadro entro la quale la libertà di espressione può essere esercitata poiché esso tende a configurarsi in maniera sempre nuova, a seconda dell’evolversi delle tecnologie dell’informazione, in funzione dei sistemi istituzionali e di esigenze di carattere sociale. Non esiste potere che possa permettersi di rimanere indifferente alle opinioni dei governati al punto di astenersi del tutto dal proposito di influire su di esse.

Gli interventi di Paolo Sarpi furono del resto in linea con questo principio. Egli era consapevole della funzione politica che la censura stava assumendo in quel periodo e con estrema lucidità, aveva chiarito che nessun potere poteva ormai disinteressarsi alle letture dei sudditi : << La materia dei libri- aveva scritto nel 1613- Par cosa di poco momento perché tutta di parole; ma da quelle parole vengono le opinioni del mondo che causano le parzialità, le sedizioni e finalmente le guerre. Sono parole sì , ma che in conseguenza tirano eserciti armati>>.

Dunque ritornando alla questione iniziale, risulta azzardato dire che in questo Paese la libertà di stampa è una questione strettamente legata al servizio del potere o del potente di turno?

Abolire la miseria Anno III n°9 (unico)
Abolire la miseria Anno III n°9 (unico)

Forse è meglio far rispondere ad uno dei più grandi attori di tutti i tempi che con queste parole Humphrey Bogart inchiodava il suo antagonista filmico alle proprie responsabilità civili e penali: “È la stampa, bellezza, e tu non puoi farci niente”; mentre il rumore delle rotative trionfava sugli strepiti dei corrotti nemici della libertà di stampa.

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