Archivi categoria: Curtosi Marilisa

“Il sessimo nella lingua italiana”

di Maria Elisabetta Curtosi

Nel 1987 uscì una pubblicazione della Commissione per la parità tra donna e uomo (istituita presso la presidenza del Consiglio dei ministri) dal titolo: “ Il sessismo nella lingua italiana”. Si tratta di una ricerca proposta e seguita da Alma Sabatini, che riporta circa settecento schede esemplificative delle dissimmetrie, grammaticali e semantiche rilevate nella lingua scritta e parlato; sono schede selezionate in un vasto materiale raccolto in circa sei mesi su vari giornali quotidiani e settimanali. Dopo l’uscita del libro molte furono le reazioni di segno molto diverso, sia di consenso sia di netto rifiuto, per i più svariati motivi. Uno dei motivi principali era che  in Italia, in quel periodo, un discorso del genere anticipava di molto i tempi, proprio perché molti non si aspettavano che la ricerca della parità tra uomo e donna dipendesse anche dal linguaggio, era stata sottovalutata questa strada proprio per quel nesso che i linguisti e sociolinguisti pressoché concordi, riconoscono esservi tra realtà, pensiero e linguaggio.

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“Quotidiano donna”: un esperienza cento linguaggi

di Maria Elisabetta Curtosi

Ad un anno dalla nascita “Quotidiano donna” deve essere cambiato perche troppe critiche sono state mosse, il gran numero di lettere raccontavano storie personali in chiave negativa e il giornale venne ad assumere un tono lamentoso. La redazione decide, pertanto, di sollecitare chi ci lavorava ad una maggiore professionalità nell’uso della scrittura, strumento necessario per far conoscere alle altre donne, situate in spazi e tempi diversi- fatti, situazioni ed idee. Così il giornale potrà diventare uno strumento in grado di incidere nella realtà, nasce il bisogno di informare su quanto succede nelle istituzioni e soprattutto su quanto succede tra donne ed istituzioni, compito assunto proprio dalla direzione commissionando o scrivendo i pezzi. Il giornale cambia, dall’ipotesi iniziale di avere uno strumento per mettere in comunicazione le donne, si sostituisce il tentativo di informare su una situazione sociale-economico-politica-cultrale che vede il movimento delle donne (non più movimento femminista in senso stretto) confrontarsi in un continuo scontro con il mondo dell’ istituzioni maschili. Una scelta difficile da attuare, perché impone di non lasciarsi affascinare da ipotesi politiche precostituite. Un giornale che informi cercando di essere anche memoria storica di  un movimento in continua evoluzione.

Fonte : “I fiori di Gutenberg” Arcana Editrice 1979

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Il giornale come mediazione culturale

di Maria Elisabetta Curtosi

Alla fine degli anni settanta dell’Ottocento il problema che si pone è su come scrivere. Nuovo era il soggetto polito, nuovo doveva essere il linguaggio non omogeneo perché in continua evoluzione. Un linguaggio che esclude chi non stava nel movimento e che crea rotture psicologiche. Ad esempio lo slogan << l’utero è mio e me lo gestisco io>> irritò a lungo chi aveva deciso di non farla propria o chi non accettava il movimento femminista. La donna voleva una propria autodeterminazione partendo dalla riappropriazione del proprio corpo e il termine utero che fino a prima era solo usato nei linguaggi  medico-scientifici o pornografici entra a far parte del linguaggio politico. Il giornale più di una volta si fa mediatore. E quindi la redazione, per questo viene accusata di essere un centro di potere, in realtà il tentativo del collettivo è quello di cercare di mettere in relazione tra loro donne che hanno fatto esperienza all’interno del movimento femminista e donne che hanno interesse a conoscerlo. Il progetto iniziale di “Quotidiano donna” trova i suoi limiti proprio nella difficoltà di mettere in comunicazione tra loro diversi linguaggi.

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Informare o comunicare?

di Maria Elisabetta Curtosi

In via del Governo Vecchio a Roma, sede occupata del movimento femminista, nel 1878 esce il “Quotidiano donna”, la testata era diretta da Emanuela Moroli, nasce come giornale politico. INFORMARE O COMUNICARE? Nelle assemblee convocate per discutere la nascita del giornale la maggioranza  delle presenti sottolineò quanto più si confacesse alle donne il secondo termine. Il comunicare presuppone un rapporto bilaterale. Per fa sì che il giornale sia uno strumento capace di mettere in comunicazione le donne, si adotta la formula << far scrivere le lettrici>>. Ogni lettrice è una potenziale corrispondente. Più di 4.000 le lettere e gli articoli arrivati che avevano un linguaggio esoterico proprio di quella esperienza e di quella situazione. Era necessario tornare a far informazione? Forse si. Il giornale sollecitava le lettrici a scrivere. Le lettere erano di donne che usavano una scrittura intimista quale specchio d’animo. Poche erano le note di redazione vi erano più titoli, sommari, occhielli. I primi numeri non andarono bene era troppo eclettico, quindi fu necessario un lavoro di limatura dei pezzi che scontentava però profondamente chi scriveva.

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Le prime riviste femminili

di Maria Elisabetta Curtosi

Quale fu il periodo delle prime riviste femminili? La metà degli anni settanta del’’Ottocento. La più famosa è “Effe” poi ci sono “Donne e politica”, “Compagna”, “Sottosopra”, “Rosa”, “DWF”, “Differenze”, “Vipera”, “Striz”, “Leggere donna”, “Orsa minore”, “Grattacielo”, “Memoria”, “Via Dogana”, “Apirina”, “Fluttuaria”, “Lapis”, “Reti”, “Mediterranea”. Siccome era un periodo di grande effervescenza anche le donne che lavoravano nelle testate giornalistiche danno vita ad un coordinamento, promovendo incontri e convegni che cambieranno il tipo di presenza delle donne all’interno delle redazioni. Ricordiamo che al “Corriere della sera” c’era solo una donna, costretta a firmare con pseudonimi maschili. Il coordinamento si occupava soprattutto dell’organizzazione del lavoro, molto verticali sta che premiavano l’operato maschile, ma trattavano argomenti di politica interna e internazionale. Il sociale era relegato nelle pagine di cronaca e affidato proprio alle giornaliste.

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1870 “Cornelia voleva il divorzio”

di Maria Elisabetta Curtosi

Siamo 1875 circa, quando nasce a Firenze un periodico a direzione femminile: “Cornelia”. L’argomento preferito che trattavano era il divorzio! Un periodo storico ben delineato, si definiscono in un Italia ormai “fatta” ruoli e poteri politici e le figure femminili vengono puntualmente eclissate. Bisognerà arrivare alla seconda guerra mondiale per poter sfogliare un’altra testata politica: “Noi donne” organo di stampa dell’Udi ( Unione donne italiane). Nasce a Roma nel 1944 come foglio clandestino dei gruppi di difesa della donna dell’Italia ancora occupata, come quindicinale dell’Udi, nell’Italia libera. Diventa settimanale solo nel 1946 e , dal1969, è gestito dalla cooperativa “Libera stampa”. Nell’ 1983 annoverava ben 40.000 socie e vende, in alcuni monumenti, anche mezzo milione di copie, soprattutto quando viene utilizzata la vendita militante nel mese di marzo. Questa testata, trasformata poi in mensile, ha avuto come direttrice Mariella Gramaglia e Franca Fossati. Alla sua direzione in passato si sono avvicendate donne come Nadia Spano, Dina Rinaldi, Maria Antonietta Maciocchi (che ha trasformato il giornale in rotocalco), Miriam Mafai, Vania Chiurlotto, Guliana del Pozzo, Anna Maria Guadagni … Una testata che negli anni è riuscita a rimodellarsi rimanendo però collegata a tutto il pensiero femminile: dall’emancipazionismo dei primi anni fino agli interrogativi sul pensiero della differenza di questi ultimi, passando anche attraverso il non facile confronto con il femminismo degli anni Settanta.

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Il mestiere di giornaliste

di Maria Elisabetta Curtosi

Nell’Ottocento per molte il mestiere di giornalista incominciava così a diventare un lavoro non assunto più in modo acritico che le omologava ad un mondo maschile dato come invariabile, ma un modo di reinventare forme e linguaggi capaci anche di dire altro. All’inizio degli anni Ottanta l’editoria, soprattutto quella marginale, subisce un grosso contraccolpo a causa della mancata riforma e dell’aumento dei costi. Molti giornali furono costretti a chiudere. Dall’85, per quasi due anni, su “Paese sera” usciranno due pagine autogestite da una redazione di sole donne. L’esperienza, interna a quella testata, finirà con il cambio delle direzione. La redazione però si cosituì in Associazione e mise in piedi la prima agenzia di informazione su tutto ciò che le donne fanno e dicono: un settimanale, “ Il foglio del paese delle donne”, distribuito in abbonamento ed in libreria. Oggi il problema non è solo quello di aprirsi, come giornaliste – scrive Marina Pivetta nel “Mestiere di giornalista” – come giornaliste, maggiori spazi all’interno delle redazioni, ma è anche quello relativo all’immagine che le donne si ritrovano ad avere attraverso il filtro di un certo tipo di informazione.

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“La donna”: periodico di sole donne.

di Maria Elisabetta Curtosi

Quando si lacerano le trame che reggono gli “status quo” sociali e culturali emergono, nuovi soggetti. Questo accadde anche per l’informazione. Nel periodo del Risorgimento italiano, molto fecondo di riproduzione editoriale, apparve una pubblicazione fuori dal comune: << La donna>>. Era un quindicinale diretto e redatto completamente da sole donne. Inizialmente la pubblicazione uscì a Venezia poi a Padova e per finire a Bologna. Il primo numero è del 1868 e l’ultimo del 1887. Veniva finanziato solo con i proventi delle vendite ed eventuali offerte personali. L’obiettivo era “ l’emancipazione della donna come condizione fondamentale di incivilimento umano, di progresso morale, civile e politico, di riequilibrio sociale, di evoluzione democratica a livello non solo nazionale ma mondiale”. Il direttore  questo periodico fu Gualberta Adelaide Beccari, mazziniana. Secondo il direttore  era importante unire ad un’informazione, quanto più ampia possibile, un severo impegno culturale (letterario, scientifico, artistico e politico); tra le collaboratrice vi erano Malvia Frank di Treviso, Luisa Tosko di Torino e Anna Maria Mozzoni di Milano.

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Storie nascoste

di Maria Elisabetta Curtosi

Una volta all’anno, con tanta malinconia rammentiamo l’esistenza dei lager, i campi di concentramento tedeschi che tutti conosciamo. L’immagine di tale realtà è annebbiata, remota, immergendoci nella convinzione che quegli avvenimenti inumani siano indiscutibilmente conclusi e irripetibili. Ricordo che un mio professore, durante una lezione, mi spiegò che il nazismo è una bestia e che non è sola, perché “nazismo e comunismo sono due facce della stessa medaglia”. Infatti in oriente, precisamente in Cina, vediamo che ciò che un tempo si chiamava lager in Germania e gulag in Russia, oggi, in Cina, si chiama laogai.I laogai vennero istituiti da Mao un anno dopo la rivoluzione comunista, aveva seguito le impronte di Lenin che aveva aperto i gulag nel 1948 nell’URSS. I laogai vengono intesi come luoghi dove ci si riforma attraverso il lavoro, così dall’esterno tutto appare come soluzione giusta ed equa ai problemi sociali. Ma in verità i  laogai ha tutt’altro significato: significa lavoro forzato; diciotto ore di lavoro al giorno e centoventisei a settimana; significa patire la fame, diventare scheletri viventi, abbandonare la propria famiglia e la vita normale. Il tuo smartphone, i tuoi vestiti, il tuo mouse, tutto ciò che ti circonda potrebbe provenire da un laogai poiché commerciare i prodotti fabbricati in questi campi di lavoro è legale. Numerose multinazionali cinesi trovano conveniente vendere le mercanzie dei laogai: dato che la manodopera è gratuita e i profitti sono alti, riescono eccellentemente a esportare tali prodotti nascondendo la reale provenienza – che sarebbe teoricamente illecita – usando il secondo nome del laogai, che è sempre quello di un’impresa commerciale. Per le imprese cinesi il termine laogai significa profitto. Purtroppo sono certa che non saremo noi a chiudere i battenti dei laogai e quindi dare la possibilità al popolo cinese diesprimere la loro democratica esigenza di capovolgere il sistema. Ma mi è sufficiente pensare che oggi si parla di questa cruda realtà, quando ieri la disinformazione la celava. Il sogno di Harry Wu  – che è stato prigioniero nei laogai per diciannove anni – è quello di riuscire a inserire il termine laogai nei dizionari di tutte le lingue. Io mi auguro, invece, che quel termine possa andare oltre ed entrare nella vita di ognuno di noi, di modo che il mondo smetta di parlare di baggianate e di tacere sulle cose importanti. Liu Xiaobo , che ha ricevuto un premio Nobel per la pace, scrisse: “l’uomo ha l’intelletto, per questo si crede superiore agli animali e ritiene di poter dominare su tutte le cose del mondo. […] le infinite regole, leggi, norme, dogmi e teoremi stabilite dalla ragione costringono in maniera evidente l’esistenza a un appiattimento dottrinale, facendo sì che l’uomo sia così limitato dalle sue stesse creazioni da non riuscire nemmeno a muovere un passo”.

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La ricerca sfrenata dei combustibili fossili

di Maria Elisabetta Curtosi

La Nasa ha pubblicato qualche tempo fa alcuni studi sul clima in cui ammette di aver sottostimato la rapidità dei cambiamenti climatici in atto. E mentre aumenta la siccità che nei prossimi anni renderà inabitabile il 30 per cento del suolo attualmente popolato, continua la corsa sfrenata all’estrazione dei combustibili fossili. Una corsa che andrebbe arrestata ora.

 

Mentre tutta la nostra attenzione è monopolizzata dagli spread e dalla crisi dell’euro, la Nasa pubblica alcuni studi sul clima in cui ammette di aver sottostimato la rapidità dei cambiamenti in atto: il pianeta si sta avvitando in una spirale di cambiamenti climatici che si accingono (nei prossimi 40/50 anni) a renderne inabitabile il 30% della superficie attualmente popolata.

La situazione italiana, per il centro sud è grave. Sopra una cartina con il deficit di precipitazioni, nello scorso mese di febbraio, rispetto alla media dello stesso periodo nei 14 anni precedenti.

Come era già stato evidenziato nel misconosciuto studio dell’ENEA del 2003 – Evoluzione del clima ed impatti dei cambiamenti climatici in Italia -, le temperature medie nel centro sud sono aumentate tra il 1865 ed il 2000 di 0,7/0,9 gradi centigradi, mentre la tendenza di crescita per le temperature estive è stimata tra 0,1° e 0,4° per ogni decennio successivo al 2000.

Il deficit di precipitazioni accertato nel periodo dal 1951-1996 è del 14%, in incremento logaritmico negli anni successivi.

Andrea Marciani  – scrive- l’epoca dei negazionisti al soldo dei petrolieri dovrebbe vedere la fine e sarebbe il caso che nessuno si azzardasse più a mettere in discussione l’origine antropica di tali mutamenti (a tal proposito consigliamo la lettura di questo studio di qualche anno fa), in parte causati dal cattivo uso delle risorse di superficie (disboscamenti, bonifiche, urbanizzazione, impermeabilizzazione del suolo e via dicendo) ma soprattutto dalla massiccia immissione di CO2 in atmosfera, per l’uso di combustibili fossili.

Combustibili fossili che l’umanità dovrebbe smettere di estrarre ora e subito, invece, anche se le rinnovabili hanno ricevuto un forte impulso negli ultimi anni, l’estrazione di queste risorse non ha subito alcun rallentamento; al contrario si fanno sondaggi in luoghi dove si sa di trovarne quantità risibili e, in un crescendo frenetico, si adottano tecniche sempre più imprudenti o distruttive, (come testimoniano il disastro della piattaforma BP nel golfo del Messico nel 2009 o le assurde estrazioni di sabbie bituminose dell’Alberta).

In un parossismo da psicosi bulimica, l’umanità consuma le sue risorse in catatonica indifferenza ai segnali di allarme che le squillano intorno. Come fanno quelle riviste patinate che incastonano un articolo sull’avanzata del deserto in Sahel, tra la pubblicità di un SUV e quella di una crociera ai Caraibi.

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