Anagrafe siti inquinati, @ilCandido (@Radicali): in Calabria non c’è

Alla faccia della trasparenza sui dati ambientali, sul sito della Regione Calabria per l’anagrafe dei siti da bonificare c’è solo un elenco dal quale non si capisce nulla.

Il diritto di accesso a queste e altre informazioni ambientali risulterebbe garantito (il condizionale è un obbligo quando si parla di trasparenza in Calabria) dall’art.3-sexies del Decreto legislativo n°152 del 2006(c.d. T.U. sull’ambiente) e che, “in attuazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni”, oltreché delle previsioni della Convenzione di Aarhus, recepita dall’Italia con la L.108/2001, e dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195”, testualmente recita: 

“Chiunque, senza essere tenuto a dimostrare la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante, può accedere alle informazioni relative allo stato dell’ambiente e del paesaggio nel territorio nazionale”. E anche l’art. 40 del d. lgs.n°33 del 2013, altrettanto esplicitamente prevede che le amministrazioni “pubblicano, sui propri siti istituzionali e in conformità a quanto previsto dal presente decreto, le informazioni ambientali”. Aggiungendo che a dette informazioni “deve essere dato specifico rilievo” in un’apposita sezione “Informazioni ambientali”.

L’anagrafe dei siti da bonificare è poi regolata dall’articolo 251 del T.U. sull’ambiente così come aggiornato nel 2010. “Le regioni, sulla base dei criteri definiti dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, predispongono” – è scritto nella legge – “l’anagrafe dei siti oggetto di procedimento di bonifica, la quale deve contenere: a) l’elenco dei siti sottoposti ad intervento di bonifica e ripristino ambientale nonché degli interventi realizzati nei siti medesimi;
b) l’individuazione dei soggetti cui compete la bonifica;
c) gli enti pubblici di cui la regione intende avvalersi, in caso di inadempienza dei soggetti obbligati, ai fini dell’esecuzione d’ufficio, fermo restando l’affidamento delle opere necessarie mediante gara pubblica ovvero il ricorso alle procedure dell’articolo 242”.

Invece, per i 587 siti inquinati riportati nel piano delle bonifiche della Regione Calabria e pubblicati sul sito del Dipartimento regionale delle politiche dell’ambiente, al posto di una’anagrafe c’è solo un elenco in cui i luoghi inquinati vengono distinti per provincia, comune, e generica località. Il livello di rischio, per il quale c’è un punteggio per ciascun sito senza che però sia indicata la scala, è distinto altrettanto genericamente con le sigle “MR”, “BR”, e “AR” che uno può anche immaginare da solo che corrispondano a Medio, Basso e Alto rischio ma per le quali, nell’elenco riportato sul sito del dipartimento dell’ambiente, non vi è alcuna legenda esplicativa che faccia capire quali corpi idrogeologici siano inquinati, né da quale sostanza. È l’aria? L’Acqua? Oppure è il suolo ad essere inquinato? O l’inquinamento ha coinvolto più componenti ambientali? Dalla tabella non si capisce. Come non si capisce l’origine dell’inquinamento indicata, per tutti i 587 siti, con la sigla “PB” del tutto incomprensibile nel suo significato. E, nell’ultima colonna, le uniche informazioni sui siti inquinati che vengono date sono limitate alle semplici definizioni: “sito nel piano non in infrazione” e “sito in infrazione inserito nel piano”. Generiche. Un elenco fatto di sigle da cui un cittadino non capisce se vive, o meno, in prossimità di un sito inquinato, né tantomeno se ci possano essere pericoli per la sua salute e per quella dei suoi cari.

Icittadini, stando alle leggi nazionali e dalle convenzioni internazionali, avrebbero invece il diritto di conoscere, per i siti da bonificare, quali interventi siano già stati realizzati, e quali siano ancora in corso di realizzazione, per la bonifica. Come avrebbero il diritto sacrosanto di conoscere a quali soggetti spetti la bonifica. E la legge prevede che per i siti inquinati la regione pubblichi e consenta di conoscere persino l’elenco degli enti pubblici di cui la regione intende avvalersi, in caso di inadempienza dei soggetti obbligati. Penso alle centinaia di siti calabresi come quello della Marlane a Praia Mare, oppure come quelli dispersi nella Valle del Fiume Oliva, oppure quelli di Crotone non rientranti nei siti di interesse nazionale e per i quali è competente la Regione. L’elenco dei siti riportati fa paura. E fa paura proprio perché di questi siti ancora da bonificare per alcuni dei quali è in corso una procedura d’infrazione della Commissione europea, non si conosce la fonte né il grado d’inquinamento.

Sul diritto alla conoscenza, Marco Pannella e i Radicali stanno conducendo una lotta affinché venga riconosciuto anche in sede ONU come diritto umano. Un diritto umano che personalmente coniugo anche come il diritto di conoscere le problematiche relative all’inquinamento ed essere coinvolti, come cittadini, nelle decisioni che si prendono in tema ambientale ma che riguardano la vita di tutti. Penso persino al diritto di conoscere, al momento dell’acquisto di un immobile, se quest’ultimo sia inserito o meno in aree a rischio idrogeologico, il suo grado di vulnerabilità sismica, oltreché dei veleni che si hanno vicino casa e che potrebbero crear danni alla salute. Un diritto umano alla conoscenza che, se concretamente praticabile, renderebbe una democrazia migliore il nostro Paese. E anche per questo, per farlo conoscere agli italiani, come radicali, abbiamo messo al centro quel messaggio del Presidente Napolitano inviato l’8 ottobre 2013 alle Camere ma rimasto inascoltato oltreché sconosciuto. Un diritto umano alla conoscenza ma che, come Radicali, rivendichiamo come diritto umano a poter essere conosciuti quali portatori di una proposta politica alternativa.

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