Al link qui sotto il video della prima serata (27 luglio 2013) della manifestazione culturale Librinpiazza. Durante la serata sono intervenuti Giuseppe Soluri, presidente dell’ordine dei giornalisti, Franco Arcidiaco (editore), il sindaco di Simeri Crichi, Marcello Barberio e tanti altri …
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Omaggio a Vittorio De Seta
Numero (Anno VII n° 1-8/ 2013) speciale di Abolire la miseria della Calabria dedicato al Maestro del film documentario mondiale scomparso in Sellia Marina il 28 novembre 2011. Speciale alta risoluzione – speciale media risoluzione
Una sagra antica e meravigliosa: la “Festa dell’abete” di Alessandria del Carretto nel ricordo del regista Vittorio De Seta
di Francesco Lo Duca
ALESSANDRIA DEL CARRETTO (CS) – «Alla fine dell’inverno esplode improvvisa la celebrazione della primavera, detta Festa dell’abete, una sagra antica e meravigliosa». E’ ancora così la festa della “Pita”di Alessandria del Carretto, filmata nel 1959 dal regista Vittorio De Seta nel suo memorabile cortometraggio “I dimenticati”. Nell’ultima domenica di aprile, agli abitanti di Alessandria del Carretto (comune del Parco nazionale del Pollino,situato a 1.000 metri s.l.m. al confine con la Basilicata) si sono uniti molti visitatori provenienti prevalentemente dall’intero territorio regionale calabrese, dalla Lucania e Puglia. “Idimenticati” è il documentario conclusivo di una serie di dieci cortometraggi girati da Vittorio De Seta tra il 1954 e il 1959, inseriti all’interno della collana “Il mondo perduto”, pubblicata da Feltrinelli nel 2008. Vittorio De Seta, regista e sceneggiatore nato a Palermo il 15 ottobre 1923 e scomparso a Sellia Marina(CZ) il 28 novembre 2011, ha raccontato di aver avuto l’idea di realizzare questo documentario dopo aver appreso dell’esistenza in Calabria, di paesi senza strada alla fine degli anni ’50. Ad Alessandria del Carretto filmò la “Festa dell’abete”, integrandola nel suo cortometraggio. Dal filmato di De Seta, il paese di Alessandria del Carretto sembrerebbe destinato a essere dimenticato e a scomparire. La costruzione della strada che seguendo il profilo della montagna avrebbe dovuto portare dalle pendici dell’alto Ionio calabrese, lungo i vari paesi, fino al paese più in alto, appunto Alessandria, è stata interrotta anni prima. Ad un certo punto un camion che trasporta le merci è costretto a fermarsi e il carico, destinato ai paesani di Alessandria, deve essere trasferito a dorso di mulo. Gli animali e gli uomini che li guidano devono attraversare irti boschi, fiumare, arrampicarsi lungo versanti di roccia prima di giungere al paese, rimasto isolato dalla neve e senza comunicazioni per tutto l’inverno. All’arrivo della primavera gli abitanti di Alessandria preparano una grande festa per salutare la bella stagione. Seguendo una tradizione millenaria, all’alba i taglialegna “maestri d’ascia” salgono sul monte e abbattono un grosso abete, poi tutti gli uomini, insieme, lo trascinano con grande fatica fino nel paese. Le donne e i più giovani vanno incontro alla carovana preparandosi al divertimento. Nella successiva prima domenica di maggio ci sarà l’albero della cuccagna e la festa in onore del Santo Patrono di Alessandria del Carretto, Sant’Alessandro papa e martire, in cui le donne venderanno oggetti e cibo e tutto il paese scongiurerà così la durezza dell’inverno appena trascorso. Quella sagra antica e meravigliosa, ripresa nel documentario di De Seta, è ancora oggi percepibile, anzi arricchita dalla partecipazione delle donne e da tanti giovani che aiutano a trasportare l’abete fino al paese, lungo un percorso pur sempre scivoloso e tortuoso. La festa è allietata da veterani e giovani suonatori di zampogna, organetto e tamburello che si uniscono ai protagonisti delle “tire”, le pertiche usate per il trasporto dell’albero. La ricorrenza a cui si assiste non è più la Calabria amara e povera degli anni cinquanta, ma si intravede tuttora una voglia di rivalsa, il desiderio di scongiurare un futuro incerto, strade e opere incompiute. Ad Alessandria del Carretto rimane altresì il vivo ricordo e il rapporto con la Calabria delregista Vittorio De Seta, autore di opere originali e indimenticabili come “Banditi a Orgosolo” e “Diario di un maestro”. Il profondo legame di De Seta con la Calabria, che ha dato i natali a sua madre, è approfondito nel documentario “In Calabria”, del 1993. In quel suo ritorno in Calabria, il regista fa vedere una Regione come terra di incontro e di scontro tra vecchio e nuovo, cercando soprattutto le tracce dell’emarginazione e delle culture in crisi.
Ciao Vittorio (De Seta)
di Francesco Santopolo
Caro Vittorio, ho iniziato questa lettera il giorno stesso dei tuoi funerali, senza riuscire a concluderla.
Avevo bisogno di uscire dallo smarrimento in cui mi scaraventava un evento difficile da accettare, sebbene ne avessi colto i segni già qualche mese prima, quando venni a trovarti all’ospedale di Soverato.
Il fatto che tu- come facevi sempre- non avessi aperto il quotidiano che ti avevo portato e per due volte hai voluto che fossi io a rispondere al tuo cellulare mi avevano dato il senso di un distacco da te stesso.
Negli ultimi giorni non riuscivo a parlarti perché eri assopito in un silenzio terribile che cominciava a darmi la misura che ti stavamo perdendo e, con te, un mondo di valori con i quali siamo cresciuti.
L’emozione e il senso di privazione mi hanno bloccato e solo ora riprendo un progetto interrotto, per cercare di decifrare l’intensità del nostro rapporto, misurare la tua assenza e tentare, almeno questa volta, di dialogare con te senza dover vincere il pudore dei sentimenti e senza sentirmi fissato dai tuoi occhi che, sebbene stanchi, avevano conservato quella straordinaria capacità di vedere oltre le apparenze e indagare sulla ricchezza umana dei dimenticati e sulla terribile miseria della piccola e grande borghesia consumista.
In questo anno ho rivisto più volte i tuoi film e ho riletto quello che hai scritto o che altri hanno scritto su di te ma, per queste note, preferisco affidarmi molto alla memoria e spero di riuscire a ricordare tutti i tuoi insegnamenti e il significato di un rapporto che non era facile, per alcune sostanziali analogie biografiche e caratteriali.
L’essere entrambi riservati ha reso, qualche volta, difficile il nostro percorso comune.
Avevi preso l’abitudine di rimproverarmi, anche quando credevo di anticipare i tuoi bisogni, e questo mi portava ad impennate di orgoglio. Purtroppo, come tutte le donne e gli uomini feriti, sono permaloso e la ferita che mi provocava la tua disapprovazione mi portava ad isolarmi.
Poi Vera mi disse che questo era il tuo modo di dimostrare stima e affetto e allora ho capito che per te ero il “figlio” docile che si può educare e a cui si può fare acquisire lo sguardo giusto per osservare il mondo.
Conoscerti e frequentarti è stata un’esperienza esaltante e irripetibile che mi porterò dentro e cercherò di trasmettere agli altri quando avrò modo di parlare di te, cosa che mi succede spesso.
La frequentazione quotidiana mi ha consentito di svelare a me stesso il tuo segreto: sei stato un grande uomo di cinema perché sei stato un grande uomo, capace di vivere la propria vicenda umana e la propria esperienza intellettuale con testarda coerenza, consapevole che gli altri possono rispettarci solo se noi diamo prova di avere rispetto di noi stessi e delle nostre idee.
Pochi sono gli intellettuali che hanno vissuto con altrettanta caparbia coerenza.
Mi vengono in mente François Villon, Arthur Rimbaud, Dino Campana, Pier Paolo Pasolini.
Quattro grandi poeti vissuti in tempi diversi ma divorati dalla consapevolezza che il poeta ha, dentro di sé, la luce e deve irradiarla anche quando le tenebre sono più fitte e quando il mondo pensa che le loro rivelazioni costituiscono un pericolo.
François Villon e Pier Paolo Pasolini hanno pagato con una morte violenta, Arthur Rimbaud con l’isolamento, Dino Campana con l’internamento a Castel Pulci.
Tu hai scelto di rifugiarti in una disperata solitudine, fino a diventare un eroe solitario, espressione che Cesare Zavattini ha usato per marcare quella “eccezione” che ha fatto di te il più geniale e onesto uomo di cinema e per questo “separato” da un mondo che si alimenta di finzione, nell’illusione che apparire conti più che essere.
Tu hai voluto essere, fino in fondo, nell’accezione con cui Erich Fromm connotava la sostantivazione di un verbo.
Ci siamo conosciuti tardi ma abbiamo scoperto che i nostri percorsi erano stati guidati da valori comuni e le tue parole mi hanno insegnato a guardare il mondo con occhi diversi.
Ma la nostra storia, come ebbi modo di dirti più volte, partiva da lontano.
Nel 1964 nasceva a Catanzaro la prima esperienza di Cinema d’Essai, riprendendo un’esperienza a fruizione limitata iniziata qualche anno prima da Gianni Amelio, Mimmo Rafele e Rino Zumpano, nell’oratorio di quello straordinario personaggio che fu Don Giorgio Bonapace.
I “Martedì del Supercinema” presero l’avvio con due autori italiani emergenti: Ermanno Olmi e Vittorio De Seta.
Col senno di poi, devo dire che solo una grande sensibilità e una indiscutibile competenza potevano determinare una scelta importante anche per gli altri ragazzi del circolo “Gobetti” che avevano con il cinema un rapporto diverso, rispetto a quel ragazzino che sarebbe, poi, diventato Gianni Amelio.
Gianni Amelio aveva realizzato l’obiettivo di avvicinare i più intonsi compagni di cordata alla narrazione filmica, semplicemente usando il messaggio di due grandi autori.
“Banditi a Orgosolo” ebbe su alcuni di noi un impatto decisivo nel farci scoprire che non c’era solo il cinema di evasione ma che un autore, tra l’altro di origine aristocratica, aveva deciso di fornirci gli strumenti per guardare il mondo dei vinti.
Da allora, con pochi altri, sei diventato uno dei miei punti di riferimento.
“Banditi a Orgosolo”, film bellissimo e terribile, ci ricordava, oltre l’enfasi di un fittizio boom economico, che esistevano gli esclusi e i “dimenticati”.
Pasolini aveva già raccontato l’impatto del “miracolo economico” nelle borgate romane, quel mondo di esclusi che farà da sfondo a quel capolavoro assoluto che è “Diario di un Maestro”.
Franz Fanon aveva svelato il vero volto del colonialismo e tu hai ripreso quel tema con “Lettere dal Sahara” e “Hong Kong”, ogni volta fornendoli di una sguardo diverso, più ricco, più penetrante.
E non perché il tuo mezzo espressivo fosse il cinema (non ne hai mai fatto un uso strumentale) ma perché nel tuo modo di guardare il mondo si fondevano l’antropologo, lo storico, il poeta.
Il cinema era il tuo mezzo espressivo, non meno eversivo e devastante di quello che Pasolini andava facendo con le sue rubriche su rotocalchi a grande diffusione.
Avete, ognuno a suo modo, demolito un mondo vecchio e decrepito ma avete anche evidenziato gli orrori antropologici del sistema di valori che lo andava sostituendo.
“Diario di un maestro” non è stato solo un film staordinario ma anche la denuncia dell’esistenza di una scuola che esclude, seleziona, cancella identità.
Don Milani e la Scuola di Barbiana non erano lontani e Bruno Cirino è riuscito a calarsi nella parte ed essere fedele interprete del tuo pensiero.
Il maestro D’Angelo non era “finto”, come qualche insegnante ipocrita ebbe modo di dire, era, piuttosto, un profeta disarmato ma convinto che la scuola per occuparsi di tutti, deve impegnarsi su quelli che, per condizione sociale, ne sarebbero esclusi.
Anche alle critiche al “Diario” hai risposto come solo Vittorio De Seta avrebbe potuto fare e sono nati i quattro episodi di “Quando la scuola cambia”.
È stato una forma di cinema verità in cui ti sei limitato a riprendere e raccontare didattiche diverse: “La piccola troupe cinematografica- entrata nella scuola senza una programmazione precisa- ha colto ciò che si stava facendo in quel momento” (De Seta, 2009).
Sei entrato nella scuola di Mario Lodi e di Caterina Foschi Pini, per filmare forme didattiche alternative ma il messaggio più forte è venuto da due scuole del sud: l’esclusione nell’esclusione.
In un paese albanese, San Marzano di S. Giuseppe, hai raccontato il lavoro del maestro Carmine De Padova intento a “recuperare” la lingua e la cultura “arbresh” in via di estinzione; a Cutrofiano il percorso difficile e accidentato dei diversamente abili e delle persone, genitori e insegnanti, che se ne occupano.
Pochi di noi conoscevano la tua cinematografia di esordio, precedente a “Banditi a Orgosolo”.
Mi riferisco a quelli che qualcuno ha definito documentari (Farinelli, 2009), e che, in realtà, sono pagine di storia dell’uomo che nessun antropologo e nessuno storico avrebbe saputo rendere con altrettanta efficacia.
I documentari occupano uno spazio temporale che va dal 1955 al 1959 e faranno dire a Martin Scorsese (2009): “Avevo sentito parlare dei documentari come accade per i luoghi leggendari[…] De Seta stesso era una figura leggendaria e misteriosa” .
Leggendario l’autore, leggendari i risultati.
Martin Scorsese, che ha visto i tuoi documentari quarant’anni dopo aver visto “Banditi a Orgosolo”, non poteva non essere sopraffatto dall’inquietudine che coglie chi si rende conto “che quella era l’ultima volta che la vitalità di una cultura incontaminata veniva filmata” (Scorsese, l. c.).
La tecnica di estrazione dello zolfo fu modificata radicalmente e i bambini cessarono di entrare nelle viscere della terra e finì il tempo della “Surfarara”, ma si chiuse anche un capitolo della storia dell’uomo durato millenni e con esso tutto un reticolo di relazioni con la natura e con la fatica.
Il primo documentario è stato “Pasqua in Sicilia”, una pagina importante, con riprese fatte in luoghi diversi: la processione a S. Fratello, la Passione a Delia, la Resurrezione ad Aidone.
Hai ripreso lo stesso tema un anno dopo, arricchendolo di contenuti e immagini straordinari.
Del ’54 sono anche “Lu tempu di li pisci spata” e “Isole di fuoco”.
Verranno ancora “Contadini del mare”, “Parabola d’oro”, “Pescherecci”, “Pastori a Orgosolo”, “Un giorno in Barbagia”, per chiudere questa tua prima esperienza con un capolavoro assoluto che è “I dimenticati”.
In un mondo e in una cultura che cominciavano ad alimentarsi di consumismo- primo retaggio del boom conomico- Alessandria del Carretto ci sembra un paradiso perduto, girato nella “nostra terra”, in un posto lontano dal rampante consumismo che andava esprimendo la propria capacità di contaminazione.
Poi è venuto “Un uomo a metà”, film straordinario che solo Pasolini, Moravia e Mino Argentieri hanno capito e apprezzato fino in fondo.
Avevi ragione a lamentare la latitanza della critica su un film che “regge” bene il tempo, a differenza di altri osannati dalla critica ma che oggi non si lasciano guardare più.
Più volte abbiamo avuto modo di parlarne e ogni volta coglievo la tua dolorosa sorpresa per l’indifferenza/malevolenza dei critici.
Ho rivisto il film in questi giorni è ho pensato che solo il tuo coraggio e la tua determinazione potevano indurti a raccontarti in un film, senza omettere la tua solitudine e le tue angosce.
Solo che lo hai fatto troppo presto.
Negli anni ’60 anche gli artisti più raffinati si presentavano vincenti.
Come potevano capire la “confessione” di un uomo che si dichiara perdente e affida alla psicoanalisi un processo introspettivo devastante?
Pasolini (1999) riassume in due punti le critiche mosse al tuo film.
Alcuni avevano scritto che il film “si distingue per un contenuto povero e poco interessante malgrado le immagini molto belle o «Malgrado il calligrafismo delle immagini»” e altri avevano aggiunto che il “il film di De Seta tratta di un problema vecchio, noioso e ripetuto, cioè un caso di nevrosi” (Pasolini, l. c.).
Letture superficiali ma anche sbagliate perché il tuo cinema non è mai stato calligrafico, a dispetto delle immagini che da sole possono reggere una storia.
“Un uomo a metà” è, prima di tutto, un film “didattico” e la lettura filmica della lezione junghiana, rivisitata atttraverso Bernhardt, è un segno di maturità che dimostra- se mai ce ne fosse bisogno- la tua straordinaria capacità di trasformare le tue “letture” (Salvemini, Dorso, Giustino Fortunato, Gramsci, Tolstoj, i Vangeli) e arricchirle, come solo a te riusciva di fare.
Pasolini aveva scritto che “il personaggio centrale (Michele, n. d. r.) è una tra le figure più belle che si siano viste in questi ultimi tempi sugli schermi” (Pasolini, l. c.).
Perché Pasolini si è espresso in questo modo?
Perché in un cinema che, pur presentando molti “caratteri” umani, ostenta un protagonista “sempre purissimo, [che] non concede mai nulla alla volgarizzazione di sé stesso” (Pasolini, l. c.) tu hai avuto la capacità di raccontarti con un personaggio vero ed è questa l’eresia che non ti è stata perdonata.
C’è un’altra osservazione di Pasolini che mi sento di sottoscrivere integralmente.
“Un uomo a metà” è un fim di poesia nel senso tanto dei “tempi” quanto della bellezza delle immagini.
Nel 1969 ti affidarono la regia e la sceneggiatura de “L’invitata”, tratto da un soggetto di Tonino Guerra e Lucile Laks.
Non era un “tuo” film ma solo un tentativo dell’industria delle immagini di “normalizzare” un eretico.
La tua straordinaria capacità di narrazione filmica non era sfuggita e mettendoti accanto quel mostro di Michel Piccoli e Tonino Guerra, grande poeta e sceneggiatore di Fellini, pensavano di recuperarti all’industria del business.
Hai dribblato con eleganza e sei riuscito a restare te stesso anche lavorando su un soggetto non tuo e, probabilmente, l’industria del cinema capì definitivamente che non si può rendere normale un poeta.
Sei tornato ai tuoi temi, con l’èpos di in “Un carnevale a Venezia”, la festa in cui “la gente scrolla di dosso il peso, l’angoscia della vita quotidiana, cambiando identità, proiettando all’esterno, col travestimento…la parte più misteriosa e inquietante di sé” (De Seta, 2009).
Una grande antropologa, morta tragicamente, aveva scritto che “Il carnevale ha, ancora oggi, con le sue feste e i suoi riti…una funzione oppositoria e liberatoria sia a livello collettivo che individuale” (Rossi, 1977) e ne rintracciava i segni nell’aspetto festivo, inteso come “un periodo rituale, circoscritto nel tempo, durante il quale si forma una comunità metastorica a carattere provvisorio” (Rossi, l. c.) ma anche in un “Aspetto di ribellione alla condizione sociale del gruppo” e in quello “rituale, arcaico, legato nel passato a rituali agricoli di propiziazione del raccolto e di eliminazione del male” (Rossi, l. c.).
Chissà se avevi letto le ricerche antropologiche di Annabella Rossi.
Forse no, ma conoscevi tanto bene Ernesto De Martino e avevi la sensibilità giusta per trovare da solo la strada e raccontare la storia dei poveri che, per un giorno, diventano protagonisti, semplicemente travestendosi da protagonisti.
Verranno ancora un omaggio alla tua terra e il ritorno ai temi dell’emigrazione che avevi già “visitato” nel 1980 con “Hong Kong, città di profughi”.
“In Calabria” segna il tuo commosso omaggio alla terra che avevi adottato, “Lettere dal Sahara” una delle denunce più forti al problema dell’immigrazione che il nostro paese non è ancora attrezzato a gestire.
E quando ho visto Madawass Kebe in chiesa, il giorno del tuo funerale, tutti gli altri sono spariti e sei rimasto solo tu e quel mondo staordinario che hai saputo raccontarci.
Rivedo i tuoi film e mi viene in mente uno dei tanti miti fioriti attorno alla cometa di Halley che passa a una tale distanza dall’orbita della Terra da impedire a nuovi meteoroidi di raggiungerne l’atmosfera.
Le meteore che vediamo non sono altro che le polveri che si sono staccate dalla cometa di Halley negli ultimi 2 millenni.
Il mito cui mi riferisco dice che ad ogni passaggio della cometa, le polveri che si diffondono fanno nascere sulla terra uomini straordinari o poeti, che è, poi, la stessa cosa.
Nel 12 a. C., quella che sarà ricordata come Stella di Betlemme, annuncia la nascita di Cristo.
La cometa passerà ancora nel 1222 e nascerà Dante Alighieri (1265), nel 1301 e nascerà Francesco Petrarca (1304).
Nel 1431 sarà François Villon ad annunciare il passaggio della cometa che passerà ancora nel 1768 e nascerà Ugo Fosolo (1778), nel 1835 e nasceranno Arthur Rimbaud (1854), Gabriele D’Annunzio (1863), Dino Campana (1885), Boris Pasternàk (1890),Vladimir Majakocskj (1893), Sergèj Esenin (1895), Salvatore Quasimodo (1901).
È passata nel 1910 e ci ha regalato Pier Paolo Pasolini (1922) e Vittorio De Seta (1923).
Col prossimo passaggio, atteso per il 2061, la cometa potrebbe decidere che il Terzo Millennio non merita più un poeta, visto che gli uomini non sono più atrezzati a riconoscerlo.
Forse sei stato l’ultimo poeta che ci è stato regalato ma voglio pensare che la tua generosità abbia lasciato le tracce per una contaminazione di cui abbiamo bisogno.
Bibliografia
De Seta, V. (2009), Un carnevale per Venezia, in La fatica delle mani a cura di Mario Capello, Milano, Feltrinelli.
De Seta, V. (2009) Quando la scuola canbia, in La fatica delle mani a cura di
Mario Capello, Milano, Feltrinelli.
Farinelli, G. L., (2009), Un lungo viaggio verso il mondo perduto, in La fatica delle mani a cura di
Mario Capello, Milano, Feltrinelli.
Fofi, G.-Volpi, G. (1999), Vittorio De Seta. Il mondo perduto, Torino, Lindau.
Fromm, E. (1978), Avere o Essere, Milano, Mondadori.
Pasolini, P., P. (1999), Un uomo a metà, sta in Goffredo Fofi e Gianni Volpi (a cura di), Vittorio De seta, il mondo perduto.
Rossi, A.- De Simone, R. (1977), Carnevale si chiamava Vincenzo, Roma, De Luca Editore
Scorsese, M. (2009), Martin Scorsese su Banditi a Orgosolo, in La fatica delle mani a cura di Mario Capello, Milano, Feltrinelli.
Zavattini, C. (2002), Diario cinematografico, Milano. Bompiani.
Scorsese: De Seta fu veramente un grandioso, dinamico artista, e io piango la sua scomparsa
di Martin Scorsese
Pubblicato su Calabria Ora il 01.dicemnre 2011
Sono rimasto scioccato dalla notizia della morte di Vittorio De Seta. La sua vita è stata lunga e sana, e l’ultima volta che lo vidi, solo qualche anno fa, sembrava che gli rimanessero da vivere altri 50 anni, scoppiava di energia creativa. De Seta è uno dei grandi, trascurati registi tra i più grandi italiani, e il suo lavoro meriterebbe di essere molto più conosciuto di quanto non sia.
Negli anni ’60, lo conoscemmo attraverso il suo straordinario “Banditi a Orgosolo”. Ma dopo, molti anni dopo, vedemmo i suoi documentari a colori che girò negli anni ’50, poetiche cronache di vita nell’Italia del sud, della Sardegna e della Sicilia. Chi vide queste immagini, prima note solo a pochi, ne rimase ammaliato. Sono registrazioni preziose di costumi e modi di vivere che stavano scomparendo. Ma De Seta non documentò solo con la sua videocamera e il suo microfono, egli catturò il ritmo del lavoro, i suoni delle vette delle montagne e quelli nelle case, il passare del tempo nei villaggi e tra i pescatori nel mare, l’arco della vita, la consistenza della terra e l’aria. De Seta ritornò a quelle immagini solo qualche anno fa, rimasterizzò il colore, cambiò i ritmi, e affinò le colonne sonore. Nel loro insieme, esse sono una delle meraviglie del cinema. Vittorio De Seta fu veramente un grandioso, dinamico artista, e io piango la sua scomparsa.
Ciao Vittorio: senza di te il mondo è più vuoto
di Luigi M. Lombardi Satriani
Pubblicato su “Il Quotidiano della Calabria” del 6 dicembre 2011

Ora che De Seta ci ha lasciato il mondo appare più silenzioso. Ci manca la sua voce che ha così lungamente parlato dei “muti della storia”, di quanti non hanno voce, perché è stata loro negata dai detentori del potere, che li ha confinati nella marginalità, nel silenzio, nella dimenticanza. Non è un caso che uno dei documentari di De Seta sia intitolato “I dimenticati”. Come non è un caso che i suoi primi documentari – veri capolavori di cinematografia antropologica – abbiano rappresentato momenti del lavoro di classi subalterne (“La pesca del pesce spada”, in pochi minuti da antologia), o a comunità marginali (“Alessandria del Carretto” nel cosentino).
La “fortuna”, di critica e di pubblico, del Maestro palermitano-calabrese conosce momenti di grande notorietà e successo e fasi di relativo oblio, accentuati dal suo carattere orgoglioso e non disponibile a compromessi o a cedimenti al cinema commerciale.
“Banditi a Orgosolo”, lungometraggio liberamente ispirato all’inchiesta di Franco Cagnetta, delinea tratti essenziali della violenza istituzionale riversata dallo Stato sulla comunità barbaricida (indimenticabile la sequenza in cui tale violenza è essenzializzata nell’ombra di carabinieri che si riflette negli occhi del ragazzo–pastore, oscurandoli).
L’apporto di De Seta alla cultura del Novecento è peculiare ed è frutto delle sue doti di artista e della sua sensibilità antropologica. E’ anche il frutto di una stagione culturale e di una temperie particolarmente feconde. “La Terra trema” di Luchino Visconti, i films di Vittorio De Sica e di Roberto Rossellini, il documentario e il volume su Luzzara di Cesare Zavattini, le opere di narrativa di Elio Vittorini, del primo Calvino, di Francesco Iovine, di Domenico Rea, di Fortunato Seminara, di tanti e tanti altri, “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi e le suggestioni che tale opera esercitò su Ernesto De Martino, cui si deve il rinnovamento degli studi demo-antropologici in Italia, le poesie e le inchieste di Rocco Scotellaro costituiscono tessere di quel vasto mosaico che rappresenta la cultura italiana degli anni Cinquanta e Sessanta.
“Il diario di un maestro”, quattro puntate realizzate da De Seta per la Rai visualizza le esperienze di una scuola di borgata romana, narrate da Albino Bernardini nel suo libro autobiografico “Un anno a Pietralata”. Il “diario…” registrò ascolti eccezionali e confermò l’acuta sensibilità del cineasta per le ragioni degli ultimi, degli emarginati.
Protagonista del suo tempo, De Seta affronta anche tematiche che solcano la realtà contemporanea. Così, in “Un uomo a metà” si confronta con la crisi borghese e l’indagine introspettiva. Così in “Lettere dal Sahara”, analizza la realtà delle migrazioni, guardandone le potenzialità di scambi, i costi umani e le sofferenze.
Negli anni Ottanta si stabilisce nella nostra regione, dedicandosi sia alla coltura dei suoi terreni a Sellia, sia alla realizzazione di documentari intrisi di un radicale attaccamento alla Calabria e alla sua cultura tradizionale, di cui esalta l’intensa umanità, l’attenzione rivolta alle istanze comunitarie, il derelitto tepore, travolti dalla spietata civiltà dei consumi, con il suo sviluppo senza progresso, con i suoi processi di una modernizzazione devastatrice dell’antica trama di valori. Vengono così irrimediabilmente distrutti, secondo De Seta, millenari saperi, una dimensione solidale, autenticità di rapporti interpersonali, la rassicurante percezione di costituire comunque una “comunità-del-noi”, per riprendere un’espressione cara ad Antonio Pigliaru.
Sono avvertibili in tutto questo l’eco di Tolstoj, della sua passione evangelizzatrice e, insieme, un’intensa nostalgia, carica di poeticità, di lirismo.
Occorrerà rivedere questi documentari, se ne condividano o meno le singole affermazioni, per comprendere meglio quello che Vittorio De Seta ci ha detto, quanto ci ha dato.
Chi, come me, gli è stato profondamente amico da decenni, oltre che rimpiangerlo, non può non ricordare le doti intellettuali e umane di una personalità forte, sollecita e generosa.
Nei colloqui da noi avuti nella sua casa di Sellia o nella mia di San Costantino di Briatico, assieme al comune amico Franco Tassone, notavo la sua inesausta esigenza di comprendere sempre di più, sempre più profondamente la sua, la nostra Calabria. Con una tenacia, un’ostinazione “calabrese”, con un sorriso che si accompagnava sempre alla sua forte determinazione.
Perciò oggi, con la scomparsa di De Seta il mondo mi appare più desolatamente vuoto. Ciao, Vittorio.
Vittorio De Seta …era anche cittadino di Briatico
di Franco Vallone

Era arrivato a San Costantino di Briatico in un assolato pomeriggio d’estate, accompagnato dal suo fidato amico Giuseppe Candido, intellettuale e suo compaesano di Sellia Marina. Lui, il regista siculocalabrese Vittorio De Seta , il mitico maestro del cinema documentaristico, uomo taciturno, schivo e assai riservato ma con gli occhi sempre vispi, attenti, con uno sguardo aperto a 360 gradi, in quella serata da mito di due anni fa avanzava sicuro con passo veloce, salutava cordialmente e velocemente tutti coloro che erano arrivati fin qui per conoscere lui e il suo sguardo magico, per un autografo, una foto ricordo con il regista. Davvero una serata da mito quella vissuta dal piccolo paese di San Costantino di Briatico. La piazza intitolata al folklorista Raffaele Lombardi Satriani era stracolma di gente con il Maestro seduto in prima fila nell’attesa di ricevere la cittadinanza onoraria del comune di Briatico. Ed in quella bella piazza, tra i relatori sulla pedana e tra gli ospiti della numerosa platea, c’era anche un filo rosso che univa, nel rispetto delle più assolute diversità culturali, di passioni, di lavoro e di percorsi. Tanta cultura si era incontrata quella sera a San Costantino di Briatico sotto un cielo stellato e sotto l’antico palazzo baronale che era, ed è, esso stesso, baluardo della cultura con un vissuto stracarico di personalità forti e generazionali della famiglia Lombardi Satriani che da sempre traccia il territorio, con Alfonso fotografo colto e appassionato, con Nicola, con Raffaele uno dei pionieri della ricerca demologica, ed oggi con l’antropologo Luigi M. Lombardi Satriani.
C’era anche lui, quella sera, a raccontare e relazionare proprio sotto casa, davanti al portone blasonato, sotto finestre e balconi illuminati dalle quali s’intravedono testimonianze di culture passate, libri, icone e stampe antiche, giganti, quadri, sculture, terrecotte e ritratti di avi antichi. In platea tantissima altra bella gente, cultori, studiosi, appassionati di cinema e ricercatori. C’era Teresa Landro del circolo del cinema di Parghelia, il glottologo Michele de Luca, la regista Ella Pugliese, autrice de “I Gigantari” e reduce di un film girato nella lontana Cambogia, c’era il ricercatore Michele Romano, Vera Bilotta del Circolo del Cinema Lanterna Magica di Pizzo e tanti altri, tra studenti universitari, ricercatori e appassionati della Calabria. L’associazione di Volontariato Culturale “Non Mollare” di Pannaconi di Cessaniti assieme al Comune di Briatico, con la collaborazione de “Le Stanze della Luna” di Vibo Valentia, dell’Associazione “Eleutheria” di San Costantino di Briatico e del Centro Servizi per il Volontariato di Vibo Valentia, sono riusciti ad organizzare e concretizzare, quella sera, davvero un importante evento culturale che aveva come traccia “Il Mondo Perduto”, un omaggio al regista cinematografico, al Maestro De Seta. A presentare quella serata la giornalista Rita Taverna, a porgere i saluti Francesco De Nisi, Presidente della Provincia di Vibo Valentia; l’allora sindaco di Briatico con l’Assessore alla Cultura, Agostino Vallone, il vice presidente dell’Associazione Eleutheria e il sindaco junior Maria Joel Conocchiella; Tra gli interventi quello dell’antropologo Luigi M. Lombardi Satriani, dello stesso De Seta, della regista Ella Pugliese; dell’ex assessore al turismo della Provincia di Vibo Valentia, Lidio Vallone e di Giuseppe Candido e Filippo Curtosi. Nel corso della serata erano stati proiettati in piazza alcuni documentari di Vittorio De Seta, a cura di Giuseppe Imineo, l’ultimo cinematografaro itinerante della Calabria, arrivato a San Costantino con il suo vecchio furgone sgangherato ma attrezzato di tutto punto per proiettare sul telo bianco steso al vento e alle stelle delle notti estive calabresi, un furgone con tanto di trombe amplificate montate sul tettuccio che servivano per richiamare la gente in piazza, per amplificare l’audio delle proiezioni e per pubblicizzare ancora una volta il film in programma: “stasera in piazza proietteremo “il Mondo Perduto”, una bella raccolta di film del grande Vittorio De Seta”.

INCONTRO CON VITTORIO DE SETA

il Sistema Bibliotecario Vibonese e l’Associazione di volontariato culturale “Non mollare” vi aspettano, venerdì 5 febbraio 2010 ore 17.30 presso l’Auditorium del Sistema Bibliotecario Vibonese, per un “INCONTRO CON VITTORIO DE SETA* e la Presentazione del volume “La Calabria: antologia della rivista di letteratura popolare La Calabria” diretta da Luigi Bruzzano.
Intervengono: Vittorio De Seta, autore della prefazione del volume, i due curatori dell’antologia Filippo Curtosi, Giuseppe Candido, e Giuseppe Braghò.
Seguirà la proiezione del cortometraggio “I Dimenticati” Di Vittorio De Seta
*Vittorio De Seta Nato il 15 ottobre del 1923 a Palermo, ha esordito come autore di documentari di ispirazione neorealista incentrati sulle condizioni dei lavoratori in Sicilia e Sardegna ( Isole di Fuoco, Primo Premio per il documentario al Festival di Cannes 1955; Sulfarara, Targa d’argento al Premio David di Donatello 1956/ 57 e numerosi altri). Banditi a Orgosolo del 1961, di cui cura anche produzione, montaggio, fotografia e sceneggiatura, è il suo primo film non documentario: un’opera scarna, essenziale e di forte contenuto sociale interpretata da attori non protagonisti che si aggiudica il Premio Opera Prima alla Mostra di Venezia, il Nastro d’Argento per la miglior fotografia in bianco e nero ed altri prestigiosi riconoscimenti. Gli altri suoi film non documentari sono Un uomo a metà, di carattere più intimista ed introspettivo (1966), L’invitata, unico film prodotto da De Seta nell’ambito di una produzione “regolare” (1969), Diario di un maestro che è una protesta del regista contro lo “spreco” (l’espressione è di Danilo Dolci) che l’Italia fa degli Italiani (1972, per la Rai Radiotelevisione Italiana).Negli ultimi anni il cinema di De Seta è stato anche centro di una serie di omaggi negli Stati Uniti. Nel 2005 Martin Scorsese ha introdotto i suoi film al Full Frame Festival e al Tribeca di Robert De Niro. Il MOMA (Museum of Modern Art di New York) lo ha inoltre celebrato quest’anno come maestro del cinema del reale con una retrospettiva dal 24 al 30 giugno. Per la prima volta è stato presentato negli Stati Uniti anche Diario di un maestro. Gli altri titoli di punta della rassegna sono stati Banditi a Orgosolo e Un uomo a metà e dieci documentari tra cui quelli girati in Sicilia e Sardegna prima del boom economico.
Io credo che Gesù sarebbe stato per l’eutanasia. Intervista a Vittorio De Seta
E sul caso Eluana Englaro cita Gesù : “Voglio misericordia e non sacrificio”. In Sardegna: “c’era la cabadora”
di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido
22 novembre 2008 Intervista a Vittorio De Seta
“.. Sono per l’autentica dottrina di Gesù. Però non credo che Gesù abbia mai espresso i concetti che son riassunti nel credo”. ..Gandhi è diventato Gandhi dopo aver letto “il Regno di dio è in noi” di Tolstoj. Con Pasolini ha in comune la formula “Sviluppo senza progresso”
di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido
L’8 settembre 2008, in occasione del sessantesimo anniversario della dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo gira a Pentedattilo, in provincia di Reggio Calabria, il cortometraggio sull’articolo 23 della dichiarazione: “Articolo 23.Pentedàttilo” che sarà presentato il prossimo primo dicembre al Teatro Argentina in Roma.
Nato in Sicilia (Palermo, 1923) da nobile famiglia di origini calabresi, il maestro del film documentario italiano vive a Sellia Marina, in provincia di Catanzaro, dove cura le sue tenute. Dopo essersi iscritto alla facoltà di Architettura nel ”41 fu allievo ufficiale dell’Accademia Navale di Livorno. Dopo l’armistizio fu internato in Austria dai nazisti. Liberato nel ”45 ricomincia a studiare e inizia ad occuparsi di fotografia e di cinema. Nel ”53 collabora come aiuto regista ne “Le village magique” di Jean Paul Le Chanois e, sempre nello stesso anno, affianca Mario Chiari in un episodio di “Amori di mezzo secolo“. Il suo nome, nel dizionario del cinema dei registi mondiali dei tipi Enaudi, sta tra quelli di De Santis e De Sica. A partire dal ”54 sino al ”59 scrive e dirige una serie di documentari cortometraggi considerati oggi veri capolavori del cinema mondiale: Lu tempu di li pisci spata (1954 min 10′.04” ); Isole di fuoco (1954 min 09′.02” ); Surfarara (1955 min 09′.39”); Pasqua in Sicilia (1955 min 08′.12” ); Conrtadini del mare (1955 min 09′.24” ); Parabola d’oro (1955 min 09′.39” ); Pescherecci (1958 min 10′.02” ); Pastori di Orgosolo (1958 min 09′.54” ); Un giornoin Barbagia (1958 min 09′.27” ); I dimenticati (1959 min 16′.56” ). Straordinari documenti originariamente in Ferraniacolor e Cinemascope oggi digitalizzati e ripubblicati ne “Il mondo perduto” assieme a “La fatica delle Mani”,una raccolta di scritti su Vittorio De Seta a cura di Mario Capello che accompagna il dvd e in cui spiccano “La sabbia negli occhi” di Roberto Saviano, “su Banditi a Orgosolo” di Martin Scorsese, “una conversazione con Vittorio De Seta” di Goffredo Fofi, “Il metodo verghiano di De Seta” di Vincenzo Consolo, “De Seta: la Grande del documentario” di Alberto Farassino, “L’arcaico e la trasmissione della conoscenza” di Marco Maria Gazzano, “Un lungo viaggio verso il mondo perduto” di Gian Luca Farinelli. Nel ”61 De Seta esordisce col 35 mm nel lungometraggio con “Banditi a Orgosolo” ( Italia, 1961 – 98 min., 35 mm b/n). Seguono “Un uomo a metà” ( Italia, 1966 – 93 min., 35 mm, b/n) osteggiato dalla critica ma che ottenne riconoscimenti a Venezia e lodi da parte di Pierpaolo Pasolini e Moravia, “L’invitata” ( Italia-Francia, 1969 – 90 min., 35 mm, col.); “Diario di un maestro” ( Italia, 1973 – 270 min. 4 episodi , 16 mm, col.) evidenzia la problematica della scuola italiana e il vero scopo della scuola non finalizzata all’ottenimento di una promozione o di un diploma ma piuttosto come preparazione alla vita, la formazione del carattere e della personalità. Tutti temi ripresi in “Quando la scuola cambia” ( Italia, 1978 – 240 min. 4 episodi , 16 mm, col.) con cui De Seta, rispondendo a chi gli sottolineava dopo l’uscita di Diario che quel maestro era finto e che non poteva attuarsi quel tipo di scuola, descrive quattro casi di scuola d’avanguardia, in Lombardia e in Puglia. Successivamente De Seta gira “La Sicilia rivisitata” ( Italia, 1980 – 207 min. 4 episodi , 16 mm, col.), “Hong Komg, la citta dei profughi” ( Italia, 1980 – 135 min. 3 episodi , 16 mm, col.), “Quando la scuola cambia” ( Italia, 1978 – 240 min. 4 episodi , 16 mm, col.), “Un carnevale per Venezia” ( Italia, 1983 – 56′ min., 16 mm, col.). Con “In Calabria” ( Italia, 1993 – 83′ min., 16 mm, col.) ritorna alle tradizioni, al racconto della realtà ancestrale in cui un paese, un villaggio erano una comunità. In “Lettera dal Sahara” ( Italia, 2004 – 123′ min., col.) De Seta racconta l’immigrazione nel mondo di oggi con la storia di Assan, un senegalese sbarcato a lampedusa e che, in meno di sei mesi, risale l’Italia passando per Napoli, Prato, Torino e cambiando ogni volta lavoro. E sul lavoro che nel settembre 2008, in occasione del sessantesimo anniversario della dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, gira in provincia di Reggio Calabria un cortometraggio sull’articolo 23 della dichiarazione, il lavoro. “Articolo 23. Pentedàttilo” (Italia, 8 settembre 2008 – min. 05′ 49” , col) è un cortometraggio in cui immagini, musiche delle Calabrie ti accecano e raccontano. Pentedàttilo, a sud dell’Italia, è stato abbandonato dagli abitanti partiti in cerca del lavoro. Ma altri emigranti, ancora più poveri, arrivano a prenderne il posto.
Lo scorso 28 ottobre, Vittorio De Seta, ha voluto farci l’onore di redigere la prefazione per “La Calabria”, una raccolta di canti sacri, leggende, canti popolari,tratti dall’omonima rivista di letteratura popolare edita in Monteleone, dal 1888 al 1902 e che gli scriventi stanno curando e stiamo per pubblicare.
Abbiamo pensato al maestro per la prefazione a questa raccolta perché i documentari di De Seta, lodati dalla critica nazionale ed internazionale, non raccontano ma mostrano la realtà e ripercorrono, nel tempo che celebra il culto mediatico, il mondo perduto che fu non per esorcizzare o evadere la realtà ma per recuperare il senso delle cose dai segni, dai simboli ancora carichi di sacralità laica perché vere, umane.
Siamo andati a trovarlo in una giornata tempestosa, con il vento che piega la pioggia come le canne, per ringraziarlo della sua disponibilità e cogliendo l’occasione per fargli qualche domanda …..Antico e aspramente contemporaneo, la forza delle immagini dei cortometraggi che riescono a far parlare alberi, animali, vento, mare, a tradurre in racconto il rumore, ora lieve ora travolgente della vita.
Lo incontriamo nella sua casa di Sellia Marina (CZ), facendo fatica a non distrarci dal nostro dialogo per guardare le sue cose,volti e corpi che diventano compagni di cammino.
D: Nella fase in cui si trovano oggi l’Italia e il mondo nella crisi globale, cosa è diventato oggi il lavoro?
R: Io ho fatto il lavoro manuale, sono stato due anni prigioniero. Una volta il lavoro in un certo senso era creativo .. perché il lavoro manuale è creativo. Uno fa un lavoro. vengono qui gli operai, una siepe, è finita e la vedi. Ma l’alienazione consiste nel fatto che ci sono degli operai in certe fabbriche meccaniche, che fanno dei pezzi che non sanno neanche che cosa sono, dove vanno. Se sono pezzi d’automobile o pezzi di un qualsiasi altro meccanismo. Perché ormai è fatto tutto per appalti. La fiat non è che produce, appalta tutte le parti. la cosa non può funzionare. Non fosse altro che per il fatto che per quattro milioni di anni si sapeva che cosa si faceva. Capito? La vita media poteva essere, che ne so, quarantacinque anni, mortalità infantile, gravidanze, ….figuriamoci, malaria, tubercolosi. Ci siamo liberati da questo, però si è perso un qualche altra cosa che era fondamentale. E che si sarebbe potuto mantenere.
D: Cosa ti piace di oggi?
R: Di oggi? E’ bellissimo voglio dire. Un trattore è una cosa bellissima, e non è che non si può usare. Non c’era bisogno di buttare tutto il resto. E’ un’incredibile imprevidenza da parte delle classi dirigenti. degli intellettuali. Nessuno ha dato l’allarme di questo. Che io sappia. salvo un americano: Torou, che a un certo punto ha detto che bisognava distruggere le macchine.
D: Finalmente hanno capito chi è Vittorio De Seta. In Italia, …
R: Adesso forse…, Saviano?
D: Guardando i cortometraggi di De Seta si ha la netta sensazione di conoscere il tempo nelle sue varie scansioni, di conoscere il vento, di vederlo, di assaporarlo, di sentirlo. Oggi è una giornata De Setiana.Abbiamo visto le canne piegate dal vento. Nel cinema di De Seta è la stessa cosa. I tuoi documentari ripropongono esperienze di vita. De Seta scandaglia il fondo delle cose e dell’animo umano della cultura popolare?
R: Si, in sostanza, la cultura contadina che è la cultura popolare, che era proprio la storia dell’uomo come evoluzione lenta, è stata buttata a mare. Io faccio sempre il paragone, forse ne ho già parlato. Insomma, si va sempre indietro. Già si parla dell’Umo da 4 milioni di anni. Io dico: 4 milioni di anni sono 42.000 secoli; 42.000 secoli sono come i metri della maratona. Sono 42.195 metri. Il progresso prende gli ultimi due metri. Nessuno parla mai di questo. Il nostro cervello si era sviluppato lentamente fino al 1827 quando è entrata in campo la locomotiva, tanto per stabilire una cosa. E li c’è stato un movimento. Un’accelerazione esponenziale. Per cui io sento che noi non facciamo più fronte. La vita è proprio cambiata. I documentari ripropongono quell’esperienza di vita che poteva avere un uomo siciliano di cinquant’anni fa. E quindi quella di sempre. Mi segue? E quindi gli odori, i sapori, i suoni. Tutto. Noi siamo stati privati di questo patrimonio, in cambio del progresso. Però a questo punto io dico che il frigo e questo telefonino (prendendo in mano il suo cellulare) l’abbiamo pagati troppo caro. (minuti 4′:20”.11)
D: Maestro, hai conosciuto Pasolini? Com’ era Pasolini?
R: l’ho visto 4 5 volte in tutto. Intanto molto generoso, molto anche impulsivo, diretto. Lui, ad esempio, quando ho fatto un uomo a metà che è stato letteralmente linciato da una parte della critica ma che è andata in corto circuito a Venezia, e poi adesso sempre meglio capisco perché, lui è intervenuto. Ha parlato di cinema di poesia. Anche Moravia aveva fatto una buona critica. Però non è servito perché l’hanno massacrato passando pure notizie false. Quello che più ho di più lui (Pasolini ndr) è la formula “sviluppo senza progresso” . Tutto il resto per esempio, leggendo quegli articoli del Corriere della Sera, ecco, dovrei rileggerli. Ma non c’è mai tempo. Mi sono ricomprato il volume di Gramsci, non si fa più in tempo a seguire, a capire. (minuti 1′:23”.17)
D: Maestro, con Moravia che rapporto avevi? Com’era Moravia
R: No, Moravia era bravo, lui faceva la critica sull’espresso.
D: E’ venuto in Sardegna?
R: No, lui dirigeva una rivista. “Nuovi argomenti” che, mi pare nel ’57 o ’58, ha pubblicato un’inchiesta di Franco Cragnetta che era un antropologo sociologo. F. Cragnetta aveva fatto “a Orgosolo” raccontando Orgosolo, raccontando la famosa disamistate a cavallo della guerra mondiale. Una faida interna al paese. E proponendo questo paese che era rimasto fuori dalla storia.
D: Lui era un’esistenzialista?
R: Moravia? I titoli, una noia. Io ripeto, non lo conosco bene. Non ho avuto il tempo. Io per esempio Purz non l’ho letto. Non ho fatto in tempo. Però qualche anno fa ho passato due anni a rileggere solo Tolstoj. Perché Tolstoj oltre ai romanzi ha scritto dei saggi morali bellissimi. Gandhi è diventato Gandhi dopo aver letto un libro di Tolstoj che si chiama “Il Regno di Dio è in noi“. Una frase che c’è nel vangelo.
D: Che rapporto ha con la fede De Seta?
R: Questo è molto complesso. Io non riesco a rinunciare alla ragione. Se la fede è rinuncia alla ragione allora non ho fede. Ho una grande devozione, come dire, un’ammirazione immensa per Gesù. Per l’autentica dottrina di Gesù. Però non credo che Gesù abbia mai espresso i concetti che son riassunti nel credo. Cioè questa revisione, questo abbandono totale. Questa deve essere roba…, Tolstoj l’ha approfondito in questo libro che ho ma ma è in inglese e non riesco a leggere. Si chiama Critica della teologia dogmatica. I discorsi diventano troppo lunghi. In sostanza, Tolstoj mi ha insegnato che al di la della versione chiesastica, diciamo, di Gesù, della dottrina di Gesù. Che si riassume nel credo, che è stata annunciata a Nicea nel 300 d.C.. Al di la di questo, la dottrina di Gesù è un’altra cosa, contrasta enormemente.
D: Tu innamorato di San Paolo?
R: Si, si. Ma soprattutto di Gesù perché è stato falsato. Forse non si poteva fare altro. San Paolo lo stesso. Cioè praticamente: Gesù è un profeta. Infatti Lui dice(va) sempre: “è stato detto occhio per occhio ma, Io vi dico …..”. Quindi Lui era venuto a cambiare. Quella frase che c’è nel vangelo: “Sono venuto soltanto a compiere”. Non è vero. Però … nel cristianesimo c’erano le sette giudeo cristiane che hanno mantenuto il vecchio testamento. Però fra il vecchi e il nuovo c’era un contrasto enorme. (minuti 4′:18”.05)
D: Riesci ad esprimere questo nei tuoi lavori ? Che Gesù è stato falsato?
R: E no. Io volevo fare, ma non ce la farò. Insomma, non tutto il vangelo, un film su una parte del vangelo per cercare di spiegare. C’è un grosso equivoco di base. Cioè la dottrina di Gesù viene sempre espressa come un qualche cosa di meraviglioso ma astruso, inattuabile, metafisico. Mentre invece no. Tolstoj mi ha insegnato che è profondamente razionale. Quando Gesù dice quei paradossi, che sembrano paradossi, “ama il tuo nemico”. In realtà è giusto, è vero. E la gente lo sente tant’è vero che a questa dottrina la gente aderisce. Però poi è invalsa la consuetudine di dire: va bene, però questi sono sogni, la realtà è un altra. E quindi, per esempio, il Male. la chiesa riconosce il male, mentre invece Gesù non lo riconosceva. Oppure lo riconosceva come diminuzione di bene, ecco, non come entità autonoma.
D: San Paolo in un certo qual modo ha divinizzato….
R: San Paolo ha dovuto fondare una chiesa che è un istituto secolare. Che è uno Stato oggi, che ha una guardia svizzera, una guardia armata. Gesù diceva che – quando manda in giro i discepoli – che non dovevano portarsi neanche i sandali di ricambio. Neanche la bisaccia, forse neanche il bastone. Insomma, è differente nei vari vangeli. Li (nella chiesa ndr) abbiamo il Vaticano con la cappella sistina …. (minuti 2′:00”.86)
D: Parlando di nuovo di chiesa, lei diceva, raffigurava nelle sue parole una contrapposizione tra religione e religiosità sentita dalle persone. Oggi questo tema la chiesa lo ripropone per il caso Englaro, come fu per Piergiorgio Welby..
R: Nel Caso?
D: Eluana Englaro, quella ragazza …
R: Si, e quello non l’ho seguito per niente.
D: In buona sostanza la situazione è la stessa cosa di Piergiorgio Welby….
R: Cos’era la sacralità della vita?
D: La sacralità della vita difesa fino all’ultimo tant’è che adesso in pratica si propone una petizione al Parlamento europeo per cercare di annullare tre gradi di giudizio più una sentenza della Corte costituzionale che già si sono espresse a favore di Beppino e della famiglia Englaro nella richiesta di veder rispettata l’autodeterminazione.
R: Detto proprio in soldoni. La chiesa quando dice così tradisce. Perché Gesù, credo che nel vangelo è riportato tre o quattro volte, Lui dice: “voglio misericordia e non sacrificio”. E’ tutto li. Mantenerla in vita è un sacrificio. Per lei (Eluana ndr), per la famiglia, per tutto. Io credo che Gesù sarebbe stato per l’eutanasia. Perché è la cosa logica, è razionale. Non c’è niente di irrazionale, niente di astruso, niente di metafisico nella dottrina di ..(Gesù ndr). Se tutti facessimo così credo che vivremmo in pace meravigliosamente.
D: Nella cultura delle nostre tradizioni, come per il caso dell’aborto clandestino che c’era la figura delle mammane, esistevano delle figure simili per quanto riguarda l’aiutare a far soffrire meno nella morte?
R: In Sardegna c’era sicuro. C’era la cabadora, la cabadora (deriva ndr) dallo spagnolo. Cioè, quando c’era qualcuno che era così, in difficoltà, e provvedeva lei. Quando la situazione era insostenibile. Quindi la saggezza popolare aveva trovato il rimedio. Perché è una questione di senso comune. Se uno accantona i pregiudizi, i principi. Umanamente una situazione così bisognerebbe intervenire, assumersi ….E’ facile dire la vita è sacra. Ma che cosa vuol dire? Abbiamo avuto i cappellani militari. La chiesa ha partecipato alle guerre.
D: Cos’è il senso di colpa per De Seta?
R: Il senso di colpa è che noi …noi veniamo dal male. Dal così detto male. Il mondo della natura si vede: c’è il male. Il mondo dei dinosauri era un mondo basato sulla violenza. Noi veniamo da la. Ce lo portiamo nell’inconscio. L’inconscio è ereditario.
D: Non c’è niente da fare insomma.
R: E si, l’uomo esprime questa contraddizione: si è instaurata, non so quando non so come, la coscienza morale però è rimasto questo ricordo ereditario del male dal quale usciamo. Mi segue?
(minuti 0′:58”.15)
D: Come liberarsi dal senso di colpa?
R: Capendo. Capendo il meccanismo. Per cui Gesù dice delle cose fondamentali. Una volta gli dicono: Tu che sei buono… E Lui (Gesù ndr) dice: “Io non sono buono, Dio è buono“. Lui si dichiarava Uomo. E poi perdona tutti: perdona l’adultera, perdona il partigiano, il brigante crocefisso vicino a Lui, perdona tutti. Lo accoglievano i pubblicani, che erano gli esattori delle imposte, quindi doppiamente spregevoli per il popolo. Perché percepivano le imposte per i Romani, che poi l’impero romano era un impero militare fiscale. Non c’era questa grandezza di Roma che si dice. S, perché facevano le strade ma in realtà spremevano sangue da tutti.
D: De Seta, come dice Scorsese, antropologo poeta?
R: A.. questo l’ha detto Scorsese? Va be questo riguarda i documentari. Si, ma perché io neanche me ne rendevo conto quando li ho fatti. Adesso, ha ragione (Scorsese ndr), c’è – come dire . un’interpretazione religiosa della vita. si sente nei documentari. Li avete visti adesso quelli restaurati? Perché una volta era così. C’era…., c’era la soggezione per il mistero. Cioè si riconosceva che c’era un qualcosa che non si può capire. La saggezza popolare questo lo aveva intuito. Mentre invece, oggi … E’ come la parabola dei vignaioli omicidi che c’è sempre nel vangelo. Quella è illuminante. Il padrone, cioè Dio, costruisce una vigna, la circonda di un muro, insomma, e poi la consegna a questi vignaioli. Poi quando manda a prendere l’affitto, manda i profeti, questi li maltrattano, qualche volta li uccidono. Allora Lui dice: manderò mio figlio almeno avranno rispetto di lui. Di questi temi, di queste cose non se ne parla mai. Il materialismo è questo. Si parla solo della pensione, l’ambiente. Cose sacro sante, per carità. Però questo e basta. S’è perso quel senso… quando si dice gli antichi, che poi noi giudichiamo spregevoli, ignoranti, arretrati, il popolo rozzo, violento. Ma quando mai! Avete visto i dimenticati?
Quello era e ancora in parte è. Quindi è tutto un inganno. E’ tutto un’impostura. Questo è il fatto.
D: Pensa di essere stato, in un certo senso, scomunicato per aver detto verità scomode?
R: Si, ma queste cose poi non le ho mai scritte. Però basterebbe riprendere Tolstoj. Non è che uno vuole fare chissà che. Non c’è questo assunto di originalità. …… Tolstoj a un certo punto ha finito di scrivere. Ha smesso di scrivere narrativa, romanzi. Perché la chiesa ortodossa l’ha scomunicato. E poi ancora oggi è all’indice. Nessuno ne parla. E’ una personalità, uno dei più grandi uomini del secondo millennio.
Credo che Gesù sarebbe stato per l’eutanasia. Intervista a Vittorio De Seta
E sul caso Eluana Englaro cita Gesù : “Voglio misericordia e non sacrificio”. In Sardegna: “c’era la cabadora”
di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido
22 novembre 2008 Intervista a Vittorio De Seta
“.. Sono per l’autentica dottrina di Gesù. Però non credo che Gesù abbia mai espresso i concetti che son riassunti nel credo”. ..Gandhi è diventato Gandhi dopo aver letto “il Regno di dio è in noi” di Tolstoj. Con Pasolini ha in comune la formula “Sviluppo senza progresso”
di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido
L’8 settembre 2008, in occasione del sessantesimo anniversario della dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo gira a Pentedattilo, in provincia di Reggio Calabria, il cortometraggio sull’articolo 23 della dichiarazione: “Articolo 23.Pentedàttilo” che sarà presentato il prossimo primo dicembre al Teatro Argentina in Roma.
Nato in Sicilia (Palermo, 1923) da nobile famiglia di origini calabresi, il maestro del film documentario italiano vive a Sellia Marina, in provincia di Catanzaro, dove cura le sue tenute. Dopo essersi iscritto alla facoltà di Architettura nel ”41 fu allievo ufficiale dell’Accademia Navale di Livorno. Dopo l’armistizio fu internato in Austria dai nazisti. Liberato nel ”45 ricomincia a studiare e inizia ad occuparsi di fotografia e di cinema. Nel ”53 collabora come aiuto regista ne “Le village magique” di Jean Paul Le Chanois e, sempre nello stesso anno, affianca Mario Chiari in un episodio di “Amori di mezzo secolo“. Il suo nome, nel dizionario del cinema dei registi mondiali dei tipi Enaudi, sta tra quelli di De Santis e De Sica. A partire dal ”54 sino al ”59 scrive e dirige una serie di documentari cortometraggi considerati oggi veri capolavori del cinema mondiale: Lu tempu di li pisci spata (1954 min 10′.04” ); Isole di fuoco (1954 min 09′.02” ); Surfarara (1955 min 09′.39”); Pasqua in Sicilia (1955 min 08′.12” ); Conrtadini del mare (1955 min 09′.24” ); Parabola d’oro (1955 min 09′.39” ); Pescherecci (1958 min 10′.02” ); Pastori di Orgosolo (1958 min 09′.54” ); Un giornoin Barbagia (1958 min 09′.27” ); I dimenticati (1959 min 16′.56” ). Straordinari documenti originariamente in Ferraniacolor e Cinemascope oggi digitalizzati e ripubblicati ne “Il mondo perduto” assieme a “La fatica delle Mani”,una raccolta di scritti su Vittorio De Seta a cura di Mario Capello che accompagna il dvd e in cui spiccano “La sabbia negli occhi” di Roberto Saviano, “su Banditi a Orgosolo” di Martin Scorsese, “una conversazione con Vittorio De Seta” di Goffredo Fofi, “Il metodo verghiano di De Seta” di Vincenzo Consolo, “De Seta: la Grande del documentario” di Alberto Farassino, “L’arcaico e la trasmissione della conoscenza” di Marco Maria Gazzano, “Un lungo viaggio verso il mondo perduto” di Gian Luca Farinelli. Nel ”61 De Seta esordisce col 35 mm nel lungometraggio con “Banditi a Orgosolo” ( Italia, 1961 – 98 min., 35 mm b/n). Seguono “Un uomo a metà” ( Italia, 1966 – 93 min., 35 mm, b/n) osteggiato dalla critica ma che ottenne riconoscimenti a Venezia e lodi da parte di Pierpaolo Pasolini e Moravia, “L’invitata” ( Italia-Francia, 1969 – 90 min., 35 mm, col.); “Diario di un maestro” ( Italia, 1973 – 270 min. 4 episodi , 16 mm, col.) evidenzia la problematica della scuola italiana e il vero scopo della scuola non finalizzata all’ottenimento di una promozione o di un diploma ma piuttosto come preparazione alla vita, la formazione del carattere e della personalità. Tutti temi ripresi in “Quando la scuola cambia” ( Italia, 1978 – 240 min. 4 episodi , 16 mm, col.) con cui De Seta, rispondendo a chi gli sottolineava dopo l’uscita di Diario che quel maestro era finto e che non poteva attuarsi quel tipo di scuola, descrive quattro casi di scuola d’avanguardia, in Lombardia e in Puglia. Successivamente De Seta gira “La Sicilia rivisitata” ( Italia, 1980 – 207 min. 4 episodi , 16 mm, col.), “Hong Komg, la citta dei profughi” ( Italia, 1980 – 135 min. 3 episodi , 16 mm, col.), “Quando la scuola cambia” ( Italia, 1978 – 240 min. 4 episodi , 16 mm, col.), “Un carnevale per Venezia” ( Italia, 1983 – 56′ min., 16 mm, col.). Con “In Calabria” ( Italia, 1993 – 83′ min., 16 mm, col.) ritorna alle tradizioni, al racconto della realtà ancestrale in cui un paese, un villaggio erano una comunità. In “Lettera dal Sahara” ( Italia, 2004 – 123′ min., col.) De Seta racconta l’immigrazione nel mondo di oggi con la storia di Assan, un senegalese sbarcato a lampedusa e che, in meno di sei mesi, risale l’Italia passando per Napoli, Prato, Torino e cambiando ogni volta lavoro. E sul lavoro che nel settembre 2008, in occasione del sessantesimo anniversario della dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, gira in provincia di Reggio Calabria un cortometraggio sull’articolo 23 della dichiarazione, il lavoro. “Articolo 23. Pentedàttilo” (Italia, 8 settembre 2008 – min. 05′ 49” , col) è un cortometraggio in cui immagini, musiche delle Calabrie ti accecano e raccontano. Pentedàttilo, a sud dell’Italia, è stato abbandonato dagli abitanti partiti in cerca del lavoro. Ma altri emigranti, ancora più poveri, arrivano a prenderne il posto.
Lo scorso 28 ottobre, Vittorio De Seta, ha voluto farci l’onore di redigere la prefazione per “La Calabria”, una raccolta di canti sacri, leggende, canti popolari,tratti dall’omonima rivista di letteratura popolare edita in Monteleone, dal 1888 al 1902 e che gli scriventi stanno curando e stiamo per pubblicare.
Abbiamo pensato al maestro per la prefazione a questa raccolta perché i documentari di De Seta, lodati dalla critica nazionale ed internazionale, non raccontano ma mostrano la realtà e ripercorrono, nel tempo che celebra il culto mediatico, il mondo perduto che fu non per esorcizzare o evadere la realtà ma per recuperare il senso delle cose dai segni, dai simboli ancora carichi di sacralità laica perché vere, umane.
Siamo andati a trovarlo in una giornata tempestosa, con il vento che piega la pioggia come le canne, per ringraziarlo della sua disponibilità e cogliendo l’occasione per fargli qualche domanda …..Antico e aspramente contemporaneo, la forza delle immagini dei cortometraggi che riescono a far parlare alberi, animali, vento, mare, a tradurre in racconto il rumore, ora lieve ora travolgente della vita.
Lo incontriamo nella sua casa di Sellia Marina (CZ), facendo fatica a non distrarci dal nostro dialogo per guardare le sue cose,volti e corpi che diventano compagni di cammino.
D: Nella fase in cui si trovano oggi l’Italia e il mondo nella crisi globale, cosa è diventato oggi il lavoro?
R: Io ho fatto il lavoro manuale, sono stato due anni prigioniero. Una volta il lavoro in un certo senso era creativo .. perché il lavoro manuale è creativo. Uno fa un lavoro. vengono qui gli operai, una siepe, è finita e la vedi. Ma l’alienazione consiste nel fatto che ci sono degli operai in certe fabbriche meccaniche, che fanno dei pezzi che non sanno neanche che cosa sono, dove vanno. Se sono pezzi d’automobile o pezzi di un qualsiasi altro meccanismo. Perché ormai è fatto tutto per appalti. La fiat non è che produce, appalta tutte le parti. la cosa non può funzionare. Non fosse altro che per il fatto che per quattro milioni di anni si sapeva che cosa si faceva. Capito? La vita media poteva essere, che ne so, quarantacinque anni, mortalità infantile, gravidanze, ….figuriamoci, malaria, tubercolosi. Ci siamo liberati da questo, però si è perso un qualche altra cosa che era fondamentale. E che si sarebbe potuto mantenere.
D: Cosa ti piace di oggi?
R: Di oggi? E’ bellissimo voglio dire. Un trattore è una cosa bellissima, e non è che non si può usare. Non c’era bisogno di buttare tutto il resto. E’ un’incredibile imprevidenza da parte delle classi dirigenti. degli intellettuali. Nessuno ha dato l’allarme di questo. Che io sappia. salvo un americano: Torou, che a un certo punto ha detto che bisognava distruggere le macchine.
D: Finalmente hanno capito chi è Vittorio De Seta. In Italia, …
R: Adesso forse…, Saviano?
D: Guardando i cortometraggi di De Seta si ha la netta sensazione di conoscere il tempo nelle sue varie scansioni, di conoscere il vento, di vederlo, di assaporarlo, di sentirlo. Oggi è una giornata De Setiana.Abbiamo visto le canne piegate dal vento. Nel cinema di De Seta è la stessa cosa. I tuoi documentari ripropongono esperienze di vita. De Seta scandaglia il fondo delle cose e dell’animo umano della cultura popolare?
R: Si, in sostanza, la cultura contadina che è la cultura popolare, che era proprio la storia dell’uomo come evoluzione lenta, è stata buttata a mare. Io faccio sempre il paragone, forse ne ho già parlato. Insomma, si va sempre indietro. Già si parla dell’Umo da 4 milioni di anni. Io dico: 4 milioni di anni sono 42.000 secoli; 42.000 secoli sono come i metri della maratona. Sono 42.195 metri. Il progresso prende gli ultimi due metri. Nessuno parla mai di questo. Il nostro cervello si era sviluppato lentamente fino al 1827 quando è entrata in campo la locomotiva, tanto per stabilire una cosa. E li c’è stato un movimento. Un’accelerazione esponenziale. Per cui io sento che noi non facciamo più fronte. La vita è proprio cambiata. I documentari ripropongono quell’esperienza di vita che poteva avere un uomo siciliano di cinquant’anni fa. E quindi quella di sempre. Mi segue? E quindi gli odori, i sapori, i suoni. Tutto. Noi siamo stati privati di questo patrimonio, in cambio del progresso. Però a questo punto io dico che il frigo e questo telefonino (prendendo in mano il suo cellulare) l’abbiamo pagati troppo caro. (minuti 4′:20”.11)
D: Maestro, hai conosciuto Pasolini? Com’ era Pasolini?
R: l’ho visto 4 5 volte in tutto. Intanto molto generoso, molto anche impulsivo, diretto. Lui, ad esempio, quando ho fatto un uomo a metà che è stato letteralmente linciato da una parte della critica ma che è andata in corto circuito a Venezia, e poi adesso sempre meglio capisco perché, lui è intervenuto. Ha parlato di cinema di poesia. Anche Moravia aveva fatto una buona critica. Però non è servito perché l’hanno massacrato passando pure notizie false. Quello che più ho di più lui (Pasolini ndr) è la formula “sviluppo senza progresso” . Tutto il resto per esempio, leggendo quegli articoli del Corriere della Sera, ecco, dovrei rileggerli. Ma non c’è mai tempo. Mi sono ricomprato il volume di Gramsci, non si fa più in tempo a seguire, a capire. (minuti 1′:23”.17)
D: Maestro, con Moravia che rapporto avevi? Com’era Moravia
R: No, Moravia era bravo, lui faceva la critica sull’espresso.
D: E’ venuto in Sardegna?
R: No, lui dirigeva una rivista. “Nuovi argomenti” che, mi pare nel ’57 o ’58, ha pubblicato un’inchiesta di Franco Cragnetta che era un antropologo sociologo. F. Cragnetta aveva fatto “a Orgosolo” raccontando Orgosolo, raccontando la famosa disamistate a cavallo della guerra mondiale. Una faida interna al paese. E proponendo questo paese che era rimasto fuori dalla storia.
D: Lui era un’esistenzialista?
R: Moravia? I titoli, una noia. Io ripeto, non lo conosco bene. Non ho avuto il tempo. Io per esempio Purz non l’ho letto. Non ho fatto in tempo. Però qualche anno fa ho passato due anni a rileggere solo Tolstoj. Perché Tolstoj oltre ai romanzi ha scritto dei saggi morali bellissimi. Gandhi è diventato Gandhi dopo aver letto un libro di Tolstoj che si chiama “Il Regno di Dio è in noi“. Una frase che c’è nel vangelo.
D: Che rapporto ha con la fede De Seta?
R: Questo è molto complesso. Io non riesco a rinunciare alla ragione. Se la fede è rinuncia alla ragione allora non ho fede. Ho una grande devozione, come dire, un’ammirazione immensa per Gesù. Per l’autentica dottrina di Gesù. Però non credo che Gesù abbia mai espresso i concetti che son riassunti nel credo. Cioè questa revisione, questo abbandono totale. Questa deve essere roba…, Tolstoj l’ha approfondito in questo libro che ho ma ma è in inglese e non riesco a leggere. Si chiama Critica della teologia dogmatica. I discorsi diventano troppo lunghi. In sostanza, Tolstoj mi ha insegnato che al di la della versione chiesastica, diciamo, di Gesù, della dottrina di Gesù. Che si riassume nel credo, che è stata annunciata a Nicea nel 300 d.C.. Al di la di questo, la dottrina di Gesù è un’altra cosa, contrasta enormemente.
D: Tu innamorato di San Paolo?
R: Si, si. Ma soprattutto di Gesù perché è stato falsato. Forse non si poteva fare altro. San Paolo lo stesso. Cioè praticamente: Gesù è un profeta. Infatti Lui dice(va) sempre: “è stato detto occhio per occhio ma, Io vi dico …..”. Quindi Lui era venuto a cambiare. Quella frase che c’è nel vangelo: “Sono venuto soltanto a compiere”. Non è vero. Però … nel cristianesimo c’erano le sette giudeo cristiane che hanno mantenuto il vecchio testamento. Però fra il vecchi e il nuovo c’era un contrasto enorme. (minuti 4′:18”.05)
D: Riesci ad esprimere questo nei tuoi lavori ? Che Gesù è stato falsato?
R: E no. Io volevo fare, ma non ce la farò. Insomma, non tutto il vangelo, un film su una parte del vangelo per cercare di spiegare. C’è un grosso equivoco di base. Cioè la dottrina di Gesù viene sempre espressa come un qualche cosa di meraviglioso ma astruso, inattuabile, metafisico. Mentre invece no. Tolstoj mi ha insegnato che è profondamente razionale. Quando Gesù dice quei paradossi, che sembrano paradossi, “ama il tuo nemico”. In realtà è giusto, è vero. E la gente lo sente tant’è vero che a questa dottrina la gente aderisce. Però poi è invalsa la consuetudine di dire: va bene, però questi sono sogni, la realtà è un altra. E quindi, per esempio, il Male. la chiesa riconosce il male, mentre invece Gesù non lo riconosceva. Oppure lo riconosceva come diminuzione di bene, ecco, non come entità autonoma.
D: San Paolo in un certo qual modo ha divinizzato….
R: San Paolo ha dovuto fondare una chiesa che è un istituto secolare. Che è uno Stato oggi, che ha una guardia svizzera, una guardia armata. Gesù diceva che – quando manda in giro i discepoli – che non dovevano portarsi neanche i sandali di ricambio. Neanche la bisaccia, forse neanche il bastone. Insomma, è differente nei vari vangeli. Li (nella chiesa ndr) abbiamo il Vaticano con la cappella sistina …. (minuti 2′:00”.86)
D: Parlando di nuovo di chiesa, lei diceva, raffigurava nelle sue parole una contrapposizione tra religione e religiosità sentita dalle persone. Oggi questo tema la chiesa lo ripropone per il caso Englaro, come fu per Piergiorgio Welby..
R: Nel Caso?
D: Eluana Englaro, quella ragazza …
R: Si, e quello non l’ho seguito per niente.
D: In buona sostanza la situazione è la stessa cosa di Piergiorgio Welby….
R: Cos’era la sacralità della vita?
D: La sacralità della vita difesa fino all’ultimo tant’è che adesso in pratica si propone una petizione al Parlamento europeo per cercare di annullare tre gradi di giudizio più una sentenza della Corte costituzionale che già si sono espresse a favore di Beppino e della famiglia Englaro nella richiesta di veder rispettata l’autodeterminazione.
R: Detto proprio in soldoni. La chiesa quando dice così tradisce. Perché Gesù, credo che nel vangelo è riportato tre o quattro volte, Lui dice: “voglio misericordia e non sacrificio”. E’ tutto li. Mantenerla in vita è un sacrificio. Per lei (Eluana ndr), per la famiglia, per tutto. Io credo che Gesù sarebbe stato per l’eutanasia. Perché è la cosa logica, è razionale. Non c’è niente di irrazionale, niente di astruso, niente di metafisico nella dottrina di ..(Gesù ndr). Se tutti facessimo così credo che vivremmo in pace meravigliosamente.
D: Nella cultura delle nostre tradizioni, come per il caso dell’aborto clandestino che c’era la figura delle mammane, esistevano delle figure simili per quanto riguarda l’aiutare a far soffrire meno nella morte?
R: In Sardegna c’era sicuro. C’era la cabadora, la cabadora (deriva ndr) dallo spagnolo. Cioè, quando c’era qualcuno che era così, in difficoltà, e provvedeva lei. Quando la situazione era insostenibile. Quindi la saggezza popolare aveva trovato il rimedio. Perché è una questione di senso comune. Se uno accantona i pregiudizi, i principi. Umanamente una situazione così bisognerebbe intervenire, assumersi ….E’ facile dire la vita è sacra. Ma che cosa vuol dire? Abbiamo avuto i cappellani militari. La chiesa ha partecipato alle guerre.
D: Cos’è il senso di colpa per De Seta?
R: Il senso di colpa è che noi …noi veniamo dal male. Dal così detto male. Il mondo della natura si vede: c’è il male. Il mondo dei dinosauri era un mondo basato sulla violenza. Noi veniamo da la. Ce lo portiamo nell’inconscio. L’inconscio è ereditario.
D: Non c’è niente da fare insomma.
R: E si, l’uomo esprime questa contraddizione: si è instaurata, non so quando non so come, la coscienza morale però è rimasto questo ricordo ereditario del male dal quale usciamo. Mi segue?
(minuti 0′:58”.15)
D: Come liberarsi dal senso di colpa?
R: Capendo. Capendo il meccanismo. Per cui Gesù dice delle cose fondamentali. Una volta gli dicono: Tu che sei buono… E Lui (Gesù ndr) dice: “Io non sono buono, Dio è buono“. Lui si dichiarava Uomo. E poi perdona tutti: perdona l’adultera, perdona il partigiano, il brigante crocefisso vicino a Lui, perdona tutti. Lo accoglievano i pubblicani, che erano gli esattori delle imposte, quindi doppiamente spregevoli per il popolo. Perché percepivano le imposte per i Romani, che poi l’impero romano era un impero militare fiscale. Non c’era questa grandezza di Roma che si dice. S, perché facevano le strade ma in realtà spremevano sangue da tutti.
D: De Seta, come dice Scorsese, antropologo poeta?
R: A.. questo l’ha detto Scorsese? Va be questo riguarda i documentari. Si, ma perché io neanche me ne rendevo conto quando li ho fatti. Adesso, ha ragione (Scorsese ndr), c’è – come dire . un’interpretazione religiosa della vita. si sente nei documentari. Li avete visti adesso quelli restaurati? Perché una volta era così. C’era…., c’era la soggezione per il mistero. Cioè si riconosceva che c’era un qualcosa che non si può capire. La saggezza popolare questo lo aveva intuito. Mentre invece, oggi … E’ come la parabola dei vignaioli omicidi che c’è sempre nel vangelo. Quella è illuminante. Il padrone, cioè Dio, costruisce una vigna, la circonda di un muro, insomma, e poi la consegna a questi vignaioli. Poi quando manda a prendere l’affitto, manda i profeti, questi li maltrattano, qualche volta li uccidono. Allora Lui dice: manderò mio figlio almeno avranno rispetto di lui. Di questi temi, di queste cose non se ne parla mai. Il materialismo è questo. Si parla solo della pensione, l’ambiente. Cose sacro sante, per carità. Però questo e basta. S’è perso quel senso… quando si dice gli antichi, che poi noi giudichiamo spregevoli, ignoranti, arretrati, il popolo rozzo, violento. Ma quando mai! Avete visto i dimenticati?
Quello era e ancora in parte è. Quindi è tutto un inganno. E’ tutto un’impostura. Questo è il fatto.
D: Pensa di essere stato, in un certo senso, scomunicato per aver detto verità scomode?
R: Si, ma queste cose poi non le ho mai scritte. Però basterebbe riprendere Tolstoj. Non è che uno vuole fare chissà che. Non c’è questo assunto di originalità. …… Tolstoj a un certo punto ha finito di scrivere. Ha smesso di scrivere narrativa, romanzi. Perché la chiesa ortodossa l’ha scomunicato. E poi ancora oggi è all’indice. Nessuno ne parla. E’ una personalità, uno dei più grandi uomini del secondo millennio.