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Un’amara e fortemente indignata riflessione, da cittadina calabrese e da malata oncologica

di Enza Talarico

Sellia Marina, 10 febbraio 2012 – Con immenso dispiacere apprendiamo solo oggi che due giorni or sono che è venuta a mancare all’affetto dei suoi cari, nella sua casa di Petronà (CZ), l’insegnante Enza Talarico, docente modello presso la scuola elementare di Belcastro (CZ) e paziente oncologica che, a Settembre del 2010, ci aveva inviato una lettera aperta sulla sua esperienza personale da paziente oncologica relativamente alla situazione sanitaria calabrese. Lei stessa l’aveva definita “Un’amara e fortemente indignata riflessione, da cittadina calabrese e da malata oncologica” sulla questione della chiusura del Polo Oncologico calabrese in cui si raccontavano errori ed orrori sanitari. Una riflessione amara ma ben ragionata che però i principali quotidiani d’informazione regionale calabresi, anche quelli che percepiscono fondi pubblici per il sostegno all’editoria e si vantano di svolgere un servizio pubblico, non ritennero allora di pubblicare o di darvi grande risalto come notizia. Noi ovviamente la pubblicammo immediatamente allora, quando la lettera ci venne inviata dalla professoressa Enza Talarico, e lo rifacciamo anche oggi, a due giorni dalla sua scomparsa, perché riteniamo il suo contenuto, un grido di dolore ragionato ed ancora estremamente attuale, sperando che sia da monito per evitare il ripetere di “orrori” sanitari che umiliano la dignità umana dei cittadini calabresi.

 

Lettera aperta

L’ultimo regalo fatto dalla Giunta Loiero ai calabresi è una di quelle notizie che non hanno bisogno di commenti, si commentano da sole. Solo un’amara e fortemente indignata riflessione, da cittadina calabrese e da malata oncologica. Il polo Oncologico del Ciaccio chiude battenti tra silenzio e indifferenza. Un altro di quegli errori (io li chiamo “orrori”) di cui sicuramente la nostra già martoriata Regione avrebbe fatto a meno. Ancora una volta viene lesa la dignità della persona e particolarmente la dignità dell’ammalato. E tutto questo perseguendo una logica che sfugge ai comuni mortali e maggiormente sfugge al malato (forse per risanare uno dei tanti buchi di bilancio inspiegabilmente sempre ereditati?!). E’ facile decidere comodamente seduti su una poltrona senza aver vissuto o vivere il dramma quotidiano di chi si trova a lottare contro il cancro. E quando nella nostra Regione, dove si hanno professionalità e risorse umane, ma mancano le strutture, ne appare una che può vantarsi di essere chiamata Polo Oncologico, che ha dimostrato di essere un importante punto di riferimento per professionalità, calore umano ed esperienza e che limita fortemente i cosiddetti viaggi della speranza fuori Regione, che si fa? Non solo non la si sostiene e potenzia, ma addirittura la si chiude. Mandando i tanti, troppi malati tutti in un unico presidio: come pecore al macello! Alla faccia del rispetto della dignità umana! Forse non si coglie che l’ammalato non può e non deve essere considerato un numero e che non è solo curando la malattia che si guarisce. E non per ultimo, mi chiedo: tutti i soldi spesi per ammodernare il vecchio ospedale Ciaccio? Chi se ne frega, tanto sono soldi pubblici! Quasi sicuramente questa mia resterà “voce di uno che grida nel deserto”, qualcosa da leggere, magari condividere, ma tutto qui. Sento, però, la necessità di uscire dalla massa e dare voce alla sofferenza e all’indignazione di tutti coloro che sfortunatamente condividono il mio percorso. Resto, però, testa dura calabrese e non voglio e non posso non confidare nel buonsenso e nell’oculatezza del neo eletto governatore Scopelliti, al quale desidero rivolgere un invito: si rechi nel Presidio Ospedaliero Ciaccio così da verificare di persona quale importante punto di riferimento possa essere. Magari, potrà anche dare un volto a quelli che sono numeri su fogli scritti a tavolino. Non permetta che ancora una volta, in una società che si dice civile, vengano lesi i diritti dei più deboli e particolarmente quello inviolabile di essere curato nel migliore dei modi e soprattutto a casa propria. Non chiuda gli occhi e le orecchie, ma veda e ascolti quell’universo che può sembrare lontano da ciascuno di noi, ma le assicuro che ci si può trovare catapultati improvvisamente dentro. E’ la malattia, è il cancro.

Enza Talarico

Petronà (Catanzaro), settembre 2010


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Eleonora e il fallimento della sanità calabrese

di Giuseppe Candido

Pubblicato su “il Domani della Calabria” del 24.8.2010, P1

La sanità calabrese è il paradigma del palese fallimento della partitocrazia nel gestire la cosa pubblica al fine di spartirsi poltrone piuttosto che a quello istituzionale di dare un servizio sanitario efficiente. Mentre d’ovunque si fanno sagre, passerelle culturali dove sfilano sculettanti veline, la Calabria, quella reale, quella della gente vera, torna nuovamente in prima pagina, nei giorni di fine agosto, con la vicenda di malasanità. Una vicenda tragica. La morte, questa volta, è arrivata in ambulanza verso la corsia dell’ospedale di Lamezia Terme. Eleonora Tripodi, di Santa Domenica di Ricadi, paesino ubicato lungo la bellissima costa degli Dei che da Vibo porta a Tropea, aveva solo 33 anni ed aveva partorito il terzo figlio, una bellissima bambina, che purtroppo non conoscerà mai sua madre. Una storia simile, troppo simile, a quella delle altre vittime della sanità calabrese malata di partitocrazia, con un terribile buco nei bilanci e con rare oasi d’eccellenza nell’arido deserto degli sprechi, delle inefficienze e delle clientele. Una sanità in cui si diventa direttori di un’azienda ospedaliera non per il merito, come sarebbe normale ed auspicabile, ma sulla base del colore politico e della tessera di partito che si ha in tasca. Dopo aver messo alla luce una bimba in una clinica privata, a causa di complicazioni dovute ad un’emorragia, Eleonora è stata trasferita nel reparto di rianimazione allo Jazzolino di Vibo Valentia, dove pero’ non ci sarebbero stati posti. Ma com’è possibile non accettare una donna con un’emorragia che la mette in pericolo di vita? Caricata sull’ambulanza per andare all’ospedale di Lamezia Terme, Eleonora è morta durante il tragitto. Sul caso la Procura di Vibo ha aperto un fascicolo ed ha chiesto l’acquisizione della cartella clinica. La famiglia di Eleonora chiede giustizia, la magistratura apre il fascicolo d’indagine, ma ci vorranno anni, come è stato per Federica Monteleone, perché la giustizia, come si suol dire, faccia il suo corso. Un processo in Italia può durare oltre i sei anni. Sbattuta da una parte all’altra, fino alla tappa finale, quella che non consente il ritorno. Ora tutti promettono inchieste ed ispezioni, scattano i messaggi di solidarietà: una squallida passerella della partitocrazia che si preoccupa di avere, ancora una volta, un po’ di spazio sui giornali, invece di fare mea culpa e magari andare a nascondersi. La politica che fino ad oggi ha gestito la sanità calabrese faccia un passo in dietro e si assuma le responsabilità del fallimento.

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Giovanna Fiumara: “Giù le mani dei partiti da ASL e sanità”

Elezioni regionali in Calabria: Comunicato di Giovanna Fiumara, il medico internista di Crotone oggi malata di SLA, la sclerosi laterale amiotrofica e candidata al Consiglio Regionale della Calabria con la lista Bonino Pannella a Crotone.

Giovanna Fiumara
Giovanna Fiumara e Giuseppe Candido

“I disabili sono abbandonati”. Giovanna, che parla da malato dritto al cuore della politica, è candidata a Crotone, la sua città: “Scusi, le serve il riluzolo? Ma cchi de ch’è (cos’è che è)? Una cosa che si mangia o si beve?” No, – continua Giovanna Fiumara che coi radicali si batte per i diritti di tutti i disabili come lei – “il rilazolo è una medicina di base per il trattamento della SLA, spiega la dottoressa che con la malattia convive da tre anni e, “fino ad oggi è senza questa medicina”.

La motivazione è assurda: Giovanna è “in attesa del piano terapeutico” si legge nel comunicato. E la denuncia dell’esponente Radicale continua ancora: “Se la stanno giocando a pallina: Le ASP di Crotone e Catanzaro”. Entrambe le ASL dicono “Non spetta a noi!” Eppure, continua Giovanna Fiumara nel suo comunicato di denuncia, “al ministero della salute a Roma, presso il dipartimento di malattie rare, hanno detto che le ASP possono richiedere questo farmaco che, agendo sulla biosintesi del glutammato, contrastando la produzione troppo rapida che causa il motoneurone “malato” o, meglio, sottoposto a stress biochimico e neurologico”. Ancora una cura non c’è ma, il farmaco che Giovanna chiede venga fornito gratuitamente nel piano a tutti i malati che come lei ne hanno bisogno, “non guarisce la malattia ma ne rallenta l’evoluzione”. In sostanza, spiega ancora la Fiumnara nel comunicato, “il farmaco rallenta la malattia impedendo ai muscoli di morire, atrofizzandosi, in maniera troppo rapida”. “Agazio Loiero parla solo dei 280 punti che ha fatto ma di quello che non ha fatto, del disastro economico e dell’inefficienza sanitaria in cui lascia la Calabria e i calabresi, soprattutto i disabili, di tutto questo perché non ne parla? Perché, da politico, non si assume le sue responsabilità politiche?”.

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Sono radicale nell’animo

Dopo che pubblicamente avevamo preso chiara posizione nel sostegno a Pippo Callipo come Presidente contro la partitocrazia dei veleni calabresi, sia personalmente sia come associazione di volontariato culturale “Non Mollare”, siamo oggi felici nell’apprendere che anche la lista Bonino Pannella e i Radicali sosterranno Pippo Callipo come presidente per la Calabria.

Giuseppe Candido

“Un crescendo della società civile” sostiene Pippo Callipo.

Nel programma: “Ambiente, no ponte sullo stretto, no nucleare, si ad infrastrutture. Lavoro, sanità ambiente, sicurezza … contro la malapolitica collegata alla ‘ndrangheta”.

“Una vera rivoluzione, pacifica, nonviolenta, ovviamente, per portare la Calabria nella normalità. La gente vuole aggiustata la sanità, vuole il mare pulito … bisogna avere il coraggio di fare le scelte. Qui da noi è mancato il coraggio, … si è guardato alla poltrona. Oggi sono sguinzagliati a fare preferenze”. E ancora: “Sanità nell’interesse del malato e non nell’interesse del primario, nell’interesse dell’amico o dell’amico dell’amico. In Calabria dobbiamo abolire il “compare”. Dobbiamo dare spazio alla meritocrazia, alla cultura.

Rendicontazione ai cittadini, come avviene nel privato, almeno semestrale dell’operato svolto rispetto al programma. Trasparenza dell’operato per spiegare ai cittadini come vengono amministrati i suoi soldi. Trasparenza, onestà, meritocrazia.

L’intervista a Pippo Callipo, imprenditore, candidato alla presidenza della regione Calabria sul programma elettorale e sull’accordo con i Radicali Italiani e la lista Bonino Pannella.

di Stefano Imbruglia (Radio Radicale)

questo contenuto è rilasciato da Radio Radicale con licenza Creative Commons: Attribuzione 2.5 2010 Creative Commons www.RadioRadicale.it

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Catanzaro mon amour

di Giovanna Canigiula

Catanzaro. Ospedale civile. Quindi pubblico. Per tutti, insomma. Arriviamo questa mattina decisamente prima delle otto per un controllo ambulatoriale di mia madre, circa venti giorni dopo le dimissioni e trentadue dopo un ricovero per una consistente emoriasi. In attesa del medico, si chiacchiera. Di politica dapprima. Domina il berlusconiano doc: accusano il grande capo di essere un imbroglione, che chiuda aziende e televisioni e lo facciano anche i figli, vediamo se Di Pietro e Veltroni trovano lavoro ai due milioni e mezzo di disoccupati che ci saranno in Italia. Vediamo vediamo. Nessuno raccoglie: siamo in ospedale e si parla soprattutto di medicina e di medici, questa specie di piccola e intoccabile casta del sud. C’è il povero cristo al quale, due anni fa, è stato sbagliato un intervento di prostata, sta passando le pene dell’inferno e nessuno che gli abbia chiesto almeno scusa, “passerà” gli dicono “passerà”, ma non passa niente e intanto non ha i soldi per mettere la dentiera,  figuriamoci per andare a “villeggiare” in strutture fuori regione. Mah. C’è ancora il berlusconiano che ricorda la via crucis della madre prima di approdare da Veronesi: un intervento andato male, camici da inseguire tra “mi scusi”, “non vorrei”, “se potesse” e mai nessuna risposta se non il manifesto fastidio di chi è stato importunato o l’accondiscendente farfugliare di chi ti fa pesare le due parole che di corsa ti regala. Che sorpresa Milano. Stessa sorpresa delle eccezioni nel sud. Del resto, ha vissuto cinque anni a Mantova: soldatini, dice, ma almeno con pari diritti e doveri. Aleggia tanta rabbia, è tutto come descrivono, partecipo muovendo il capino. Non ho molta voglia di parlare. Ascolto. Rifletto sulle sorprese: nel lessico meridionale è “davvero gentile” il medico che svolge, nella norma, il suo mestiere. Così va il nostro mondo.

Mai ammalarsi troppo, dalle nostre parti. C’è la signora col marito operato di fresco che lamenta il calvario d’esser nessuno in luoghi in cui esser qualcuno o amico di qualcuno fa la differenza: corsie privilegiate e attenzioni, un enorme sollievo se si deve avere a che fare con la sanità. Al di là dello sfogo rabbioso, però, vince la rassegnazione. Anche se, va ammesso, chi non ha santi in paradiso, da queste parti, si arrangia come può e giù cadeaux, di solito alimentari pesanti e tanti: come si fa, in questo modo, a cambiare sistema? Ma necessità fa virtù e la virtù, quando si tratta di salute, consiste nel farsi furbi, incassare gesti di noia e fastidio senza fiatare, fino a menare prima o poi vanto d’esserselo fatto amico un medico qualunque, purché ospedaliero.

L’ospedaliero di turno arriva e son dolori: è di quelli indolenti che a domanda non rispondono, che si scocciano apertamente. Siamo tutti avviliti. E’ il nostro turno ed entriamo. “Accomodatevi” e pare un lamento, che ci facciamo oggi qua poveretto lui, “manca tutto” sospira, “magari l’esito dell’esame istologico ce l’abbiamo”  e c’è: ma perché farci sapere qualcosa se il resto manca? Andate in reparto, fatevelo dare, magari fatevelo leggere dal caposala se non volete tornare qua. Mi adiro, non toccherebbe a noi, ma mi riesce insopportabile la sua vista e, perciò, andiamo. Altro padiglione, quarto piano. Il caposala scuote la testa, prende ciò che manca, si rifiuta di leggere i risultati, il medico è di turno all’ambulatorio e deve fare il suo lavoro. Gli dispiace, ma è così. Giustissimo. Torniamo indietro. Il medico esamina senza espressione le radiografie. Quindi, con estenuante lentezza, pontifica: manca il referto, dovete andare in archivio. Noi? Perdo la pazienza, l’infermiere è a disagio, andiamo. Torniamo al reparto, dico al caposala che denuncio il medico per inadempienza e con lui l’ospedale: va in archivio, fa una copia del referto, potreste aspettare un medico qua, dice a denti stretti, ma certuni avrebbero l’obbligo di lavorare. Capisce? Capisco.

Mia madre è stanca, sarebbe stato facile prendere una scorciatoia, ma l’ospedale è di tutti e mi ostino a rispettare quest’idea. Tuttavia mi sento in colpa e pure in colpa di sentirmi in colpa, è un guazzabuglio di sentimenti, penso che  il lavativo ci aspetta, gli tocca lavorare e riprendiamo il viaggio. Solo che il lavativo se n’è andato e se n’è fregato di  altri pazienti in attesa come noi. Vado in escandescenze, l’infermiere è contrito, lui si prova a far tutto per bene mi spiega, la sua parte la onora. Mi guarda: posso anticiparle qualcosa, sì grazie, interpreta per me i referti. Mi guarda: occorre un medico, capisce? Capisco. Il lavativo ha lasciato detto che si recava al reparto. Ma al reparto, ovviamente, non c’è. Ci sono, con noi, la signora che lamentava l’esser nessuno in un luogo in cui occorre esser qualcuno, col marito operato di fresco e anche lui visibilmente  stanco. Al telefono lo scansafatiche non si rintraccia: forse è a far cistoscopie e forse no, forse è a far visite in corsia e forse no. Bugie.

Ed ecco lo spaccato della quotidianità: sotto gli occhi d noi poveri afflitti passa impudente e sfacciata la corsia preferenziale. Nessun imbarazzo attorno. Appunto, la normalità.  E’ troppo: blocco un medico del reparto, si rende lui stesso conto che c’è un limite a tutto, chiede un attimo di pazienza: non mi vorrà tirare le orecchie? La verità è che me ne voglio andare e portare via mia madre da lì. Nessuna tirata d’orecchie. Ci impiegherà un minuto, un minuto uno, a dirci come stanno le cose, il controllo ambulatoriale è tutto qui: una lettura di carte di un minuto uno. C’era bisogno che mia madre vagasse da un edificio all’altro, da un piano all’altro, per quattro ore quattro? Ce ne andiamo. Mi dispiace di averla fatta sentire una poveraccia, perché si sa come funzionano le cose a Catanzaro: buongiorno sono Tizio, anzi sono il fratello di Caio e sono anche il nipote di Tizio in seconda, non so se ha già telefonato Caio, mi manda Tizio gliel’ho già detto? Siamo qua e conviene, comunque, ritirare le altre analisi: non si trovano, “vada in laboratorio a vedere che fine hanno fatto”. Tremo: a Catanzaro è facile che le analisi si perdano. E che spuntino, magari dopo un mese e sempre se tutto va bene, da qualche altra parte. Aspetta qua, mamma, quest’ultima trafila te la risparmio. Mi dispiace. In laboratorio sono buoni, un po’ di sopracciglia aggrottate ma mi fanno il “favore”: eccole, son rimaste lì, stanno riposando nel computer, le svegliano e me le stampano. Prima di averle pago penitenza: mi fanno domande alle quali è più facile che sappiano rispondere loro. Una specie di quiz della salute. Ma è tardi, siamo tutti stanchi, mi congedano. Grazie eh, grazie. Grazie infinite. Grazie grazie. Grazissime. Grazissimissimissime. E’ mezzogiorno. Il caffè ci ristora. Povera mamma, penso, mai più. Ma non è per niente giusto.

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