Dalla Collezione “Riva 1920” di Cantù al vibonese, il mondo dei mestieri in bicicletta
di Franco Vallone
Un lungo filo rossosu due ruotee pedali quello che va dal vibonese alla lontana Cantù, in Lombardia, e che celebra la bicicletta da lavoro, una componente importante della società del passato, nel meridione come nel settentrione d’Italia. Il nostro viaggio nel mondo dei mestieri su due ruote parte dal vibonese, da Filandari, in provincia di Vibo Valentia. Qui, a testimonianza, ritroviamo una vecchia bicicletta appesa all’aperto su un alto muro. Sovrapposto alla bicicletta, arrugginita e senza gomme, un cartello con la scritta “A ricordo di Cortese Emanuele noleggiatore di biciclette 1930”.
Triciclo poste Briatico
Biciclette a Filandari
Bicicletta da bibitaro Collezione Riva 1920, Cantù
La vera cultura”, sostiene lo scrittore Juan Manuel de Prada, è quella che nasce da ciò che i romantici tedeschi chiamavano Volkgeist, “lo spirito del popolo”; deve essere una emanazione naturale della gente, che canta, balla, racconta, dipinge, perché sente il bisogno di esprimere qualcosa che le appartiene nel profondo, qualcosa che è legato alla sua genealogia spirituale alla sua identità. Questa cultura, oggi come ieri, subisce però il sequestro da parte del potere; quest’ultimo si rende conto che se riesce a trasformare queste effusioni naturali in un”artefatto”, ossia in un prodotto artificiosamente creato, può ottenere una ingegneria sociale. Allo stesso tempo si osserva una casta di intellettuali gregari; persone che si sono adeguate a una determinata interpretazione della realtà auspicata dal potere, che le sovvenziona e promuove, affinché impongono una determinata cultura,che non è autentica, perché non nasce da una espressione naturale del popolo. Inoltre, all’idea di popolo si è andato sostituendo il concetto nuovo di “cittadinanza”, una massa amorfa dove l’esperienza artistica non si produce più in modo naturale.
La vera arte è comunitaria,per dirla con le parole di Manuel de Prada è come un seme che si getta e suscita il desiderio d’incorporarsi all’esperienza artistica e di comunicarla ad altri, di modo che ognuno, in un certo senso, diviene anche creatore. E’ una specie di contagio. La domanda che ci poniamo oggi è: come è possibile recuperare l’autentica cultura ed in particolare la cultura del lavoro? Solo riappropriandoci della nostra identità, di quella “pasta” che di tanta civiltà ha illuminato il mondo, potremmo evitare di “non eternare” come scriveva Vito Capialbi al suo amico Paolo Orsi, il cattivo nome, che di Noi corre per il mondo”.
Occorre realizzare un lavoro di ricomposizione del tessuto sociale partendo dal basso, creare una specie di “controcultura” di fronte a questa “pseudocultura” stabilita dall’alto. Ma il popolo è bombardato quotidianamente dalla cultura artificiale che ci viene venduta. La Calabria possiede un ricco patrimonio di cultura materiale ed immateriale che ha influenzato il processo di trasformazione sociale ed economico di questo nostro territorio che resta ancora poco noto e documentato e che per questo necessita di un intervento di recupero e valorizzazione.
Terra di Calabria, dove sono le giogaie che “traversano la penisola in tutta la sua lunghezza, stendendo le loro diramazioni verso spiagge fiorite, in fertili vallate,f ino ai lembi costieri,s u cui si inchinano àgavi ed ulivi bagnati dal cupo mare”. Dai monti al mare passando per le colline. Dai pini ed abeti, agli aceri, alle querce, castagni e poi più giù verso le valli coi vigneti, l’odore degli agrumi, delle zagare, ai fichi d’india, la liquirizia, i capperi. Dov’è il caolino di Parghelia, la lignite di Briatico, il ferro di Mongiana, l’arte tessile, le sete e i damaschi di cui Catanzaro ebbe il primato della tessitura,” nobile nella materia come ci racconta Alfonso Frangipane e nella impronta artistica. Da Catanzaro, continua il fondatore della rivista”Brutium” si sparse l’amore dell’arte gentile, e sorsero i primi telai lignei, con le lignee macchine rudimentali e si formarono le specialissime maestranze di tessitori e tintori. Esempio fecondo Cosenza, Taverna, Monteleone, Reggio, ebbero tessitori di seta e di cascami. E’ vanto di Catanzaro l’avere preceduto altre città italiane nel lavoro serico; è storico il progresso delle produzioni catanzaresi, pregiate nei grandi centri dell’Italia centrale e settentrionale, fino a Lione, Parigi, Tours, dove pervenivano i nostri tessuti e tessitori. Si pregiavano ovunque i panni di seta, sciamiti, zendadi, anche a fili d’oro, ed i paramenti sacri, le coperte di velluto, i fazzoletti catanzaresi di organzino colorato, e le tinte, cremisi, verdi, gialle, turchine. A Tropea la tessitura particolare di cotone e lana con carattere rustico broccato,unica in Italia è ancora viva,le coperte “ a pizzuluni” cioè a rilievo,facevano parte fino a pochi anni fa del corredo nuziale. Così a Longobucco, altro secolare e mirabile laboratorio tessile cui tutto il paese collabora appassionatamente. Non meno degne sono le ceramiche. Ecco le borracce, le cannate ed i boccali di Seminara. Botteghe importanti esistono a Gerace,S oriano, Bisignano.
Bisogna ricordare i fabbri di Serra San Bruno per lavori di applicazione, insuperabili sono le balconate ricurve indorate di flessuosi ed enormi tulipani.
Cosi come non va dimenticata l’arte lignea dei costruttori e decoratori di cassoni nuziali, di collari, di conocchie, di bastoni e borracce, nonché quelle delle lucerne rudemente forgiate;gli artigiani del giunco e della “janestra”.