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Generoso cuore, ferro e libertà: la via calabrese verso l’Italia Unita

a cura di Giuseppe Candido e Filippo Curtosi

Pubblicato su “Abolire la miseria della Calabria” – Anno VI n°1-2-3 G/F/M 2011

Calatafimi, Salemi, Alcamo, Monreale, Palermo passando per il Piano di Renda. Poi lo sbarco a Milazzo dove si combatté per le strade cittadine finché i “regi borbonici preferirono ritirarsi nella fortezza dove furono poi costretti alla resa”. Dopo essere sbarcato a Marsala l’11 maggio del 1860, in due mesi e mezzo Garibaldi si era impadronito dell’Isola. Aveva ripetutamente sconfitto forze di gran lunga superiori alle sue per numero e per armamento; aveva provocato una serie di insurrezioni in tutta la Sicilia rendendola ribelle alla dinastia borbonica ed offrendo ad essa la libertà. Sbarcato a Marsala con soli mille uomini, Garibaldi disponeva ora di una forza decuplicata, ancora numericamente inferiore all’esercito borbonico ma con una consistenza sufficiente per affrontare la nuova impresa: il passaggio dello Stretto di Messina e l’avanzata nel territorio continentale del Regno delle Due Sicilie.

 

Da Melito Porto Salvo a Soveria Mannelli

Un nuovo contingente di ottomila volontari, raccolti da Agostino Bertani, era destinato a sbarcare nello Stato pontificio. Ma il Cavour si mostrò ostile all’iniziativa e riuscì ad ottenere dal Bertani che i volontari venissero condotti in Sardegna e di là in Sicilia da dove sarebbero stati liberi di muovere verso lo Stato romano. Lo stesso Bertani, raggiunse Garibaldi a Messina per invitarlo a recarsi in Sardegna ad assumere il comando della spedizione contro lo Stato pontificio. Mentre il Generale si trovava in navigazione verso la Sardegna, la notte dell’otto agosto del 1860 ci fu il primo sbarco sulla costa calabra: seguendo le disposizioni impartite da Garibaldi, duecento uomini tra i più provati e ardimentosi furono inviati con agili scialuppe ad occupare il fortino di Altafiumara a Villa San Giovanni. Il calabrese Benedetto Musolino aveva garantito di essersi accordato coi sottufficiali del fortino; il drappello era comandato dal Racchetti e tra i componenti vi erano il Missori, il Nullo e Alberto Mario, che da poco aveva raggiunto il Garibaldi in Sicilia. Ma il tentativo non ebbe buona riuscita; i sottufficiali non dettero alcuna collaborazione ed il gruppo dovette desistere e ritirarsi sull’Aspromonte dove riuscì ad ottenere l’appoggio di quattrocento volontari calabresi. Nascevano così i Cacciatori della Sila.

Lo sbarco in Calabria a Mélito Porto Salvo

Rientrato dalla Sardegna, Garibaldi sostò a Palermo da dove ripartì compiendo il periplo dell’Isola e raggiungendo il 18 agosto le coste di Taormina dove ad attenderlo c’era il Generale Bixio con quasi quattromila uomini già pronti per la partenza che avvenne la sera dello stesso giorno; all’alba del 19 agosto la spedizione giungeva sulla costa ionica della Calabria approdando a Mélito Porto Salvo dove lo sbarco ebbe luogo senza conflitti: le navi borboniche arrivarono ad operazioni concluse accontentandosi di affondare una delle due navi ch’erano servite per lo sbarco.

Reggio Di Calabria

La strada costiera da Mélito a Reggio fu il primo tragitto calabrese dei garibaldini che intanto si erano ricongiunti con il gruppo del Racchetti e del Missori discesi dall’Aspromonte a Mélito appena furono avvertiti dell’arrivo di Garibaldi in Calabria. Reggio, d’altronde, era stata la prima città della Calabria che, alla notizia dello sbarco dei Mille a Marsala, aveva proclamato decaduto il dominio borbonico.

Sbarcato all’alba del 19 agosto a Mélito Porto Salvo, Garibaldi ordinò subito la marcia su Reggio presidiata da una nutrita guarnigione sotto il comando del generale borbonico Gallotti, il quale, venuto a conoscenza dell’avvicinarsi di Garibaldi, aveva ordinato al Colonnello Dusmet di apprestare una linea di difesa lungo la cerchia esterna della città. La sera del 20 agosto le camicie rosse aggirarono i Borboni e penetrarono nell’abitato di Reggio Calabria dove si accese una sanguinosa battaglia. Lo stesso comandante borbonico cadde colpito a morte mentre conduceva i suoi all’attacco; la forza degli attacchi dei garibaldini e la morte del Dusmet costrinsero i borbonici a rifugiarsi dentro il castello della città dove aveva preferito restare il Generale Gallotti. Il castello però venne stretto d’assedio da una squadra della colonna Missori capitanata da Alberto Mario e, il 22 d’agosto, il Gallotti fu costretto anche lui “ad alzare bandiera bianca”. Per aiutare i Borboni di Reggio era sopravvenuto, a resa però già avvenuta, anche il generale Briganti; il Garibaldi gli andò incontro a Gallico, un paesino a cinque chilometri a nord di Reggio, disperdendone le truppe dopo una breve mischia.

Il secondo sbarco: Favazzina

Contemporaneamente, durante la notte tra il 21 e il 22 agosto il generale Cosenz portava in territorio calabrese la brigata Assanti e la compagnia dei volontari francesi; la nuova spedizione sbarcava a Favazzina, un paesino di 400 anime, tra Scilla e Bagnara, a Nord Est di Villa San Giovanni. Avanzando verso l’interno la spedizione sosteneva alcuni scontri contro i reparti borbonici dispiegati a presidio di alcune località calabresi. Dopo aver ributtato alcune truppe borboniche a Favazzina si dirigeva per Bagnara verso Solano. Durate uno di questi scontri con cariche “alla baionetta” cadeva pure il comandante dei volontari francesi De Flotte, “uno di quegli esseri privilegiati – scriveva Garibaldi – cui un solo paese non ha diritto di appropriarsi. Così il Garibaldi teneva le posizioni di Reggio e Villa San Giovanni mentre il Cosenz quelle dispiegate tra Villa e Bagnara Calabra.

I corpi borbonici del generale Melendez e quelle del generale Briganti, in vista d’essere accerchiati, si arresero; ma la vera ragione della mancata resistenza delle truppe di Francesco II fu il fenomeno della diserzione che assunse proporzioni enormi e che, quotidianamente, intaccò i contingenti borbonici, togliendo ai comandanti la fiducia delle loro truppe.

Da Reggio di Calabria e Bagnara Calabra a Monteleone e Soveria Mannelli

Dopo la resa di Reggio (21 agosto), dispersi i novemila uomini del Melendez e del Briganti, Garibaldi proseguì lungo la costa del Golfo di Gioia Tauro ed intraprese la sua rapida marcia verso Nord: il 25 agosto arrivò a Palmi, il 26 a Nicotera, e il 27 giunse a Monteleone di Calabria (dal 1928 Vibo Valentia) dove venne accolto trionfalmente dalla popolazione che aveva visto il generale Ghio abbandonare la città con la sua colonna decimata dalle diserzioni. A Monteleone molti patrioti calabresi si aggiunsero alle fila di Garibaldi: Michele Morelli, Luigi Bruzzano, Vincenzo Ammirà sono soltanto alcuni dei nomi di intellettuali che seguirono l’eroe dei due Mondi.

Proveniente da Monteleone, Garibaldi giunse a Maida (CZ) il 29 agosto venendo accolto, anche qui, da una popolazione acclamante: <<Non è tempo di feste>>, disse alla folla da un balcone. <<I dodicimila uomini comandati dal trucidatore di Pisacane, il generale Ghio, ci aspettano sull’altopiano di Soveria>>. E così fu: Garibaldi il 29 sera era arrivato a Tiriolo. Ghio tentò la ritirata verso Napoli ma, proprio a Soveria Mannelli, fu raggiunto da Garibaldi. All’alba del 30 agosto i calabresi garibaldini, “Cacciatori della Sila”, comandati dal barone Francesco Stocco e inviati da Garibaldi avevano preso posizione attorno al paese mentre, da Tiriolo, giungeva l’avanguardia del Cosenz seguito da Garibaldi e dal suo stato maggiore.

Dopo un accenno di resistenza, considerato che i suoi soldati rinunciavano a combattere dandosi alla fuga, il 30 agosto del 1860 Ghio accettò la resa. All’ingresso dei Soveria Mannelli, all’epoca dei fatti cittadina con poco più di duemilacinquecento abitanti, sorge oggi un monumento detto “Colonna Garibaldi” eretto in ricordo della capitolazione del corpo borbonico comandato dal generale Ghio. Esso è realizzato da un obelisco di bella fattura con trofei bronzei e posato su un basamento a gradini

Tre giorni prima, il 27 d’agosto anche il generale borbonico Caldarelli aveva lasciato Cosenza dove la popolazione, appresa la notizia della caduta di Reggio di Calabria (21 agosto), aveva costituito un governo provvisorio. E pure a Catanzaro un governo provvisorio era stato istituito in città dopo la notizia della presa della città dello Stretto.

Così, alla fine dell’agosto 1860, Garibaldi aveva liberato completamente la Calabria dai Borboni: l’esercito del generale Vial, comandante supremo delle forze borboniche in Calabria, forte di trentamila uomini, era completamente disfatto. Una piccola parte di esso aveva ripiegato su Napoli, ma la maggior parte si era dispersa con la diserzione e casi di interi reparti borbonici calabresi che chiesero di essere arruolati nell’esercito garibaldino.

La situazione era profondamente mutata: <<Italiani! Il momento è supremo. Già i fratelli nostri combattono lo straniero nel cuore dell’Italia. Andiamo ad incontrarli in Roma per marciare di là insieme alle venete terre. Tutto ciò che è dover nostro e diritto, potremo fare se forti. Armi, dunque, ed armati. Generoso cuore, ferro e libertà>>.

 
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Nel 150° dell’Italia Unita … il nuovo numero di ALM per un buon 2011

Care amiche e cari amici di Abolire la miseria della Calabria,

a nome della redazione auguro a tutti voi, nel 150° dell’Italia Unita, un felice 2011 ricco di cultura e culturalmente ricco. E lo faccio con il nuovo numero. Ancora una volta in “copia omaggio” grazie anche al contributo della Provincia di Catanzaro offerto all’associazione di volontariato culturale Non Mollare e da noi interamente dedicato all’Unità d’Italia ed al ruolo che per essa ebbe il Mezzogiorno d’Italia e la Calabria in particolare. A breve pubblicheremo anche l’inserto speciale. Intanto buona lettura a tutti con “otto pagine di cultura” ed AUGURI!

Uno speciale ringraziamento al Presidente Napolitano che dà ascolto ai giovani e che, lo scorso 8 giugno 2010 con nota ufficiale del Segretario Generale Pasquale Cascella (Prot. SGPR del 11/06/2010 n°0062663 P), nel renderci nota la possibilità di utilizzare il testo dell’Intervento del Presidente tenuto all’Accademia Nazionale dei Lincei, ci ha ufficialmente <<Rappresentato i sensi della considerazione del Presidente Giorgio Napolitano per l’iniziativa di dedicare un numero del periodico “Abolire la miseria della Calabria” al tema del Mezzogiorno nel centocinquantenario dell’Unità d’Italia>>. Ovviamente siamo orgogliosi di tutto ciò e, nello stesso tempo, increduli e lusingati di questo riconoscimento. Grazie davvero Presidente Napolitano, garante della nostra costituzione, e un augurio per un buon 2011 con meno suicidi nelle carceri.

Leggi il nuovo numero direttamente on line

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Continuità e attualità del Risorgimento

di Vittorio Emanuele Esposito

Giuseppe Garibaldi 1870 Nadar

La proclamazione del Regno d’Italia (17 marzo 1861) segnò la fine di una lunga attesa, la ‘realizzazione di un sogno’, avvenuta in tempi e modi in gran parte fortunosi e largamente imprevisti, ma fortemente voluta da quelli che ne furono i più diretti promotori e ne prepararono le condizioni: il mazziniano Partito d’Azione, la Società Nazionale di Manin, Garibaldi, La Farina, e il conte di Cavour, che ne fu il segreto ispiratore.

La rivoluzione italiana, il processo cui fu dato il nome di ‘Risorgimento’, era, in realtà, iniziata molto prima, alla fine del Settecento, quando i ‘giacobini italiani’, infiammati dalle idee e dai radicali cambiamenti politici e sociali introdotti dalla Rivoluzione Francese, si resero conto dei limiti del riformismo dei principi ‘illuminati’ e compresero che il presupposto necessario della libertà e del progresso, nella penisola, erano l’unità e l’indipendenza del popolo italiano dal dominio straniero: fosse quello dell’Impero austriaco o quello della Repubblica francese.

Il ‘popolo’ italiano, la nazione, l’Italia come idea e sentimento esistevano già da secoli e avevano la loro radice nell’unità di lingua, di cultura e di vita, nella condivisione di un territorio, in una storia comune. Ciò, nonostante la molteplicità e la divisione politica che, per secoli, fu la caratteristica negativa degli italiani e fu avvertita come tale in quanto causa principale di rivalità e di lotte incessanti tra i diversi Stati e della conseguente caduta della penisola sotto il dominio delle potenze nazionali straniere: gli spagnoli, i francesi, gli austriaci.

Fu Machiavelli, nel XVI secolo, a porre il problema della creazione di un unico Stato italiano, che egli voleva modellato sulla Costituzione della repubblica romana e dotato di un esercito di popolo in grado di difenderne i confini, anche se ne affidava la realizzazione ad un “Principe” demiurgo, dotato di eccezionali virtù politiche. Ma si trattava, per il momento, solo di un’ipotesi generosa, nata dalla sua acuta mente di studioso di fatti politici, che si scontrava, tuttavia, con tre forze avverse: le oligarchie politiche, sociali ed economiche dei diversi Stati italiani, le ideologie particolaristiche, la Chiesa, che da quella divisione traeva vantaggio per le sue ambizioni di assoluto dominio sulle coscienze e le sue pretese temporalistiche, fondate sull’inganno della falsa ‘donazione di Costantino’, e, per questo, le alimentava, stabilendo organiche alleanze con il potere politico a danno della libertà.

Fu la Rivoluzione Francese, che, scardinando l’assetto feudale e il regime del privilegio della nobiltà e del clero, all’insegna del trinomio ‘libertà, uguaglianza, fratellanza’ (idee guida di ogni civiltà degna del nome), diede ai giovani ‘giacobini’ italiani l’impulso e la fede in un possibile riscatto e ‘risorgimento’ della nazione. L’unità e l’indipendenza dell’Italia passarono, appunto, dalla sfera del puro desiderio al terreno concreto dei fatti e della lotta politica nel triennio rivoluzionario 1796-99, aiutate in parte e insieme ostacolate dalla presenza delle armi francesi in Italia.
I patrioti di tutti gli Stati italiani, si ritrovarono sotto l’unica bandiera tricolore, che quell’unità spirituale simboleggiava e che fu inaugurata il 7 gennaio 1976 a Reggio Emilia, dove, con l’unione delle quattro città di Reggio, Modena, Bologna e Ferrara, affrancatesi dal dominio ducale e papale, era sorta la Repubblica Cispadana: ‘il primo stato democratico repubblicano della nuova Italia’ (Luigi Salvatorelli).

Contro i luoghi comuni, oggi prevalenti, mentre si prepara una celebrazione dei 150 anni dello Stato italiano, ambigua, epidermica e dai toni populistici – quasi un festeggiamento da mondiali di calcio- il sentimento unitario era, fin da allora diffuso in tutti i ceti e non conosceva limiti regionalistici. La Lombardia, dove si instaurarono prima la Repubblica Cisalpina e poi la Repubblica italiana e il successivo Regno napoleonico d’Italia, fu la regione in cui le aspirazioni nazionali trovarono uno dei principali terreni di cultura. A Milano Melchiorre Gioia vinse il concorso bandito dall’amministrazione lombarda con una dissertazione in cui dimostrava che i tempi erano maturi per la formazione di un solo Stato italiano, indipendente, libero, repubblicano e unitario. E Venezia, dove oggi sembrano prevalere le nostalgie filo- asburgiche, subì un vero e proprio trauma per il tradimento di Napoleone in seguito alla pace di Campoformio, come Ugo Foscolo ci testimonia.

Quanto al Sud, vano e fuorviante è il tentativo di una storiografia giornalistica, tendenziosa e scopertamente strumentale, di accreditare le insorgenze antifrancesi delle popolazioni meridionali come rivolte contro lo straniero. Essere, allora, contro i francesi, significava favorire l’egemonia austriaca. Per uscire dal dilemma l’unica via era quella imboccata dai giacobini, che con i francesi intrattennero un rapporto dialettico, visto che il loro intento principale era quello di rompere il dominio feudale e che, nella breve vita della Repubblica partenopea, impostarono quella eversione del sistema feudale, che non riuscirono a realizzare e che fu poi attuato nel 1806, appunto, dai francesi. Il sanfedismo fu e rimane una reazione oscurantista e retrograda, nonostante l’opinione contraria dei ‘revisionisti’.

Il revisionismo storico, nelle sue espressioni più serie, ha il merito di portare al centro dell’attenzione le ragioni di quanti vengono scavalcati dall’incessante moto di cambiamento della storia. E, nel caso specifico, oggi sappiamo che nella rivolta dei lazzari napoletani e delle popolazioni calabresi, subornate dal cardinale Ruffo, così come nel cosiddetto ‘brigantaggio’ post-unitario, vi erano esigenze di sopravvivenza, di giustizia, di emancipazione, che non possono minimamente essere sottovalutate e conosciamo i limiti intrinseci dei processi innovativi che si svilupparono nel corso dell’Ottocento. Ma le coordinate fondamentali della storia non possono essere oscurate e messe in cantina.
Nessun revisionismo può farci dimenticare che il Risorgimento fu il processo storico attraverso cui, in Italia, venne superato il sistema politico-sociale del feudalesimo con tutto il suo corredo di oppressione morale e materiale delle popolazioni e che il nuovo Stato unitario – che ne fu il maggiore risultato- con tutti i compromessi che furono necessari per realizzarlo, con tutte le insufficienze che hanno condizionato pesantemente, fino ai nostri giorni, la vita della nazione, ha trasformato gli italiani da sudditi in liberi cittadini, uguali di fronte alla legge. Certo l’uguaglianza civile fu solo la prima importante tappa di un cammino che è ancora in gran parte da compiere e che ha ancora, come meta da raggiungere, l’uguaglianza economico-sociale, quella ‘libertà giusta’, cioè, che era nelle aspirazioni di Mazzini e dei democratici realizzare. Ma, intanto, è bene marcare il discrimine tra Risorgimento e l’ Antirisorgimento perenne, che oggi riacquista vigore attraverso il blocco delle forze tradizionali della conservazione mentale e sociale.

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Felice Cavallotti: a cento dieci anni dalla sua morte ne è svanita la memoria

di Giuseppe Candido

Felice Cavallotti - immagine nndb.com
Felice Cavallotti, radicale garibaldino

Un milanese garibaldino, giornalista e radicale dell’ottocento da ricordare: Felice Cavallotti (Milano, 1842-Roma, 1898).  Serve ancora il suo esempio: per la politica e i partiti urge una riforma radicale e democratica.

Felice Cavallotti fa parte di quei personaggi italiani di cui le istituzioni e le forze politiche hanno voluto rimuovere la memoria. A 110 anni dalla sua morte se ne è cancellato il ricordo.

“L’Italia ha bisogno, più che di ingegni, di caratteri…rafforzare la tempra morale…Gridare libertà e democrazia, nomi santi, non basta, se il culto loro si chiude nella cerchia di un indifferentismo passivo, o di una inerzia sdegnosa…Noi abbiamo della libertà un concetto diverso; presumiamo maggiormente della forza, della virtù di espansione che è in lei…ogni riforma, per quanto segni un breve passo sulla via del progresso, sarà da noi propugnata; e massimo progresso reputeremo non quello che porta le idee più in alto, ma benanche quello che meglio e più le diffonde fra le moltitudini”

Nel 1873, eletto per la prima volta in Parlamento afferma: “…Abbiamo una parola d’ordine: onestà;- una religione: giustizia ed uguaglianza, libertà e progresso;- un usbergo: la coscienza delle nostre opere;- un’arma: il coraggio delle nostre opinioni.”

Queste le finalità esplicite de “Il Lombardo”il giornale cui diede vita proprio Felice Cavallotti.

Il nome di Cavallotti non è conosciuto come quelli di Garibaldi e Mazzini, eppure alla fine dell’Ottocento era considerato unanimemente l’erede dei due eroi del risorgimento. Felice Cavallotti era capo riconosciuto della “Estrema Sinistra” nel parlamento dell’Italia liberale pregiolittiana e fu fondatore (insieme ad Agostino Bertani) del Partito Radicale.

Nel 1998, in occasione del centenario della sua morte, il Movimento d’Azione “Giustizia e Libertà” ha ricordato Felice Cavallotti agli uomini liberi e memori. Oggi, a cento dieci anni dalla sua morte, chi sa chi era quest’uomo? Chi lo conosce? Su wiki si trova di tutto e anche su Felice Cavallotti esiste una seria documentazione consultabile on line. Nei tempi della Casta occorrerebbe conoscerlo meglio e ricordare il suo impegno come politico e come giornalista che per primo pose la “questione morale” nella politica italiana.

Così scrisse Carducci in un frammento di poesia del giugno 1860

Garibaldi !

Al tuo nome a mille a mille

fuggon giovini eroi le dolci case

e de le madri i lacrimosi amplessi…

La spedizione dei Mille provocò un sussulto giovanile di partecipazione in tutto il Paese. E tra quei giovani che si unirono a Garibaldi vi fu Felice Cavallotti che si arruolò a Milano all’insaputa dei genitori.

Dopo aver combattuto con i Garibaldini e averne commentato l’azione del L’Unione, giornale milanese dell’epoca, il suo impegno e la sua passione politica nel rivendicare le riforme gli diedero popolarità nella sua parte politica che fu seconda soltanto a quella del Siciliano Francesco Crispi.

Eletto per la prima volta in parlamento a trentun anni nel 1860 fu molto attivo contro gli ultimi governi della destra storica. Ma non solo: fu a capo dell’opposizione anche quando al governo vi fu la Sinistra storica, propugnando la riforma dello Statuto, la più netta separazione tra Chiesa e Stato e l’adozione del suffragio universale.  Un radicale al 100%.

Infatti le origini storiche e ideologiche del partito radicale risalgono, come si capisce dalle biografie di Bertani e Cavallotti,  al Risorgimento e al Partito d’Azione mazziniano e soprattutto garibaldino. È infatti con la dissidenza dal repubblicanesimo mazziniano intransigente che si organizzò, sotto l’ispirazione di Garibaldi, la guida prima di Bertani e più tardi di  Cavallotti, un primo coerente gruppo di Estrema Sinistra.

Dopo l’unificazione del Regno d’Italia, ai tradizionali raggruppamenti della Sinistra subalpina si aggiunsero rappresentanti del Partito d’Azione mazziniano e garibaldino. Si originò così un raggruppamento della Sinistra parlamentare non omogeneo e dalla vita interna assai travagliata (Strano, ma sembra di rileggere la storia di oggi). Ben presto, infatti, si arrivò alla formazione di unaSinistra Estrema, composta da deputati di orientamento repubblicano e radicale, capeggiata da Agostino Bertani prima e Felice Cavallotti poi (accanto a forti personalità politiche come Friscia, Saffi, Bovio, Mario, Imbriani, Campanella). Questa nuova formazione è caratterizzata da forti istanze riformatrici in campo politico, economico e sociale. La Sinistra storica, guidata invece da Depretis e Cairoli, si collocò su posizioni politiche più possibiliste e di governo. Fu appunto questa formazione di Sinistra storica ad assumere la direzione del Paese dopo la caduta della Destra storica (avvenuta con la “rivoluzione parlamentare” del marzo 1876), guidandolo sulla via delle prime riforme significative: abolizione della tassa sul macinato, riforma scolastica, riforma elettorale.

Cavallotti  apparteneva quindi alla sinistra democratico – radicale più nel solco di Garibaldi e di Bertani, che in quello di Mazzini (seguito dai repubblicani puri e intransigenti).

La formulazione più ampia ed organica del programma di democrazia radicale, steso in gran parte da Cavallotti, si ebbe nel 1890 col ‘Patto di Roma‘, al termine di un grande congresso, che indicò analiticamente gli obiettivi della lotta:

nessuna ingerenza della Chiesa nella vita dello Stato,

nessuna conciliazione o concordato, bastando ampiamente il principio della libertà religiosa e le leggi ordinarie;

la consultazione della nazione, quando fossero stati in gioco interessi e decisioni supremi;

l’indennità ai deputati, per permettere anche ai meno abbienti di accedere a ruoli dirigenti;

la possibilità  di convocare il parlamento in casi urgenti o per atti gravi del governo, anche in tempo di vacanze e di chiusura di sessione;

la rivendicazione di tutti i diritti di riunione, di associazione, di stampa;

una legge speciale sulle responsabilità dei ministri, l’esclusione dei membri del governo dal voto di fiducia, il divieto del cumulo dei ministeri nella stessa persona;

il mantenimento al potere centrale (secondo le lezioni di Cattaneo e di Ferrari) solo di poche fondamentali competenze, decentrando tutto il resto, giacché la tutela accentratrice, eccessiva, provoca la paralisi della vita generale;

lo snellimento della burocrazia e l’eliminazione dei ministeri inutili;

l’ideale di una Roma laica e civile, capitale della scienza e della democrazia, con richiami alla ‘terza Roma’ di Mazzini e alla tradizione illuministica e rivoluzionaria (che il grande sindaco democratico Ernesto Nathan cercò di realizzare, spesso riuscendovi, nel primo decennio del Novecento);

l’indipendenza della magistratura, la semplificazione del processo civile, il gratuito patrocinio  per i poveri, la giuria nei processi politici, l’indennità ai cittadini ingiustamente accusati e colpiti;

l’abolizione della pena di morte e la revisione del codice penale; l’educazione gratuita ai poveri e meritevoli dall’asilo all’Università, l’istruzione laica e obbligatoria per i primi cinque anni delle elementari, l’autonomia piena delle Università;

la riduzione della ferma e delle spese militari, considerando tutti i cittadini militi, non soldati;

le otto ore di lavoro, la cassa pensioni per la vecchiaia e gli infortuni, l’istituzione di camere del lavoro e di collegi di probi viri, sanzioni per gli imprenditori imprevidenti, con l’obbligo del risarcimento danni; l’esenzione dal dazio dei beni di prima necessità, l’imposta unica e progressiva (vecchio mito garibaldino);

un vasto programma di lavori pubblici, la bonifica della terra, con la redenzione dell’agro pontino e la trasformazione della valle padana;

un argine agli abusi anche della manomorta laica, espropriando le terre incolte, incamerando quelle mal coltivate, con concessioni dirette agli agricoltori, alle cooperative, alla piccola proprietà; lotta all’emigrazione;

fratellanza latina con la Francia, divenuta repubblica laica e democratica, simbolo degli obiettivi della politica radicale e riferimento delle speranze progressiste, amicizia cordiale con l’Inghilterra;

opposizione all’imperialismo e al colonialismo, alla luce della pregiudiziale sacra alle generazioni del Risorgimento del rispetto delle nazionalità, anche di colore, e della priorità dei problemi interni (bisognava pensare al nostro Mezzogiorno e non all’Eritrea);

gli Stati Uniti d’Europa, che non dovevano escludere l’amore della patria e la difesa accalorata della propria nazionalità “indarno ameremmo l’umanità tutta intera; gelido e sterile sarebbe l’amore se prima non intendesse le care voci e i doveri che gli parlano dal focolare domestico, dalla culla dei padri, e le voci solenni che dai balzi delle Alpi e dalle spiagge dei due mari gli rammentano gli orgogli di una più grande famiglia“;

l’emancipazione della donna, con l’allargamento del diritto di voto ad esse e la lotta contro la prostituzione e le case di tolleranza, nella quale si distinse Ernesto Nathan, il futuro, grande sindaco di Roma.

Il Partito Radicale si costituì formalmente come tale proprio nel 1890, primo dei partiti politici in senso moderno, seguito poi, nel 1892, dal Partito Socialista e, nel 1895, dal Partito Repubblicano, (intransigentemente antimonarchico e antiparlamentare). L’ideale di Cavallotti e dei democratici di estrazione garibaldina è il “Partito delle mani nette”, che vive soltanto delle sottoscrizioni degli aderenti o ‘militanti’, quasi “oboli dei credenti laici”.

F. Cavallotti, deputato radicale fu ucciso in un duello, svoltosi il 6 marzo 1898Roma presso Porta Maggiore, nella villa della contessa Cellere, da Ferruccio Macola, deputato della Destra Storica che venne però politicamente distrutto dall’uccisione di Felice Cavallotti

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Bibligrafia

IL MOVIMENTO D’AZIONE GIUSTIZIA E LIBERTA’ RICORDA AGLI UOMINI LIBERI E MEMORIFELICE CAVALLOTTI

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