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Povertà e miseria (conseguente). Mezzogiorno e migranti i più colpiti

<<Bisogna unire tutte le nostre forze per combattere la miseria per le stesse ragioni per le quali è stato necessario in passato combattere il vaiolo e la peste: perché non ne resti infetto tutto il corpo sociale>>.

Scriveva così, nel 1942, Ernesto Rossi nella sua opera “Abolire la miseria” che torna di grande attualità se, ancora oggi, questioni come povertà, miseria e lavoro restano questioni centrali.

Quel Rossi che dal confino fu autore -assieme ad Altiero Spinelli – del Manifesto di Ventotene per un’Europa libera e unita.

chiare lettere

La fotografia che oggi, 26 giugno 2017, l’ISTAT restituisce al Paese è impietosa: mai tanti poveri in Italia dal 2005.

Sono 1.778.000 le famiglie italiane (il 6,9%) che vivono al di sotto della soglia di povertà assoluta: cioè famiglie in cui la spesa mensile non è sufficiente ad acquistare beni e servizi considerati essenziali. Abbiamo superato i cinque milioni di individui (l’8,4%) della popolazione che vivono in tali misere condizioni.

I cittadini del Mezzogiorno (assieme ai migranti) sono i più colpiti: il 10,3% delle famiglie, l’11,4% delle persone.

Se povertà e miseria non sono la stessa cosa, ma se è dalla prima si alimenta, si rigenera la seconda, è vero che sui dati pubblicati dall’ISTAT bisogna riflettere e agire subito. Affinché la povertà dilagante non si trasformi in miseria e in imbarbarimento culturalmente. Continua la lettura di Povertà e miseria (conseguente). Mezzogiorno e migranti i più colpiti

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È dal 1975 che si aspetta una riforma dell’Ordinamento penitenziario: un impegno di grande civiltà che chiunque dovesse sedere in Parlamento dovrebbe portare a compimento

Vengo da una famiglia tradizionalmente di destra”.

Esordisce così Mirella, prima di procedere nel racconto del caso di malagiustizia che ha coinvolto la sua famiglia.

Anni fa suo cugino viene incriminato e condannato per un omicidio che non ha commesso. La prova schiacciante è il rinvenimento di macchie di sangue sui suoi vestiti, unico imputato. Il cugino in appello verrà completamente scagionato per non aver commesso il fatto perché le macchie di sangue che lo “incastrano” non sono umane; il caso vuole che lui lavorasse in una macelleria.

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Festa grande alla Provincia con la “generazione Erasmus”, per la Giornata dell’Europa

Cosenza, 10.05. 2017. Iacucci: “La Provincia di Cosenza proseguirà nel piano di internazionalizzazione, in linea con la strategia Europa 2020

È stata una festa grande in cui i protagonisti sono stati proprio loro, i giovani della “generazione Erasmus che nella splendida cornice del Salone degli Specchi della Provincia di Cosenza sono stati interpreti e testimoni del motto dell’Unione Europea “Unita nella diversità”. Bella la testimonianza in video, autoprodotta, di Giuseppe D’Acri, Diego De Bartolo e Francesca Sposato; presentato anche il video prodotto da Euroform in “Viaggio con Marco Polo” – Testimonianze dei protagonisti partecipanti al progetto. A seguire gli interventi dei giovani Silvio Cucumo, Raffaele Capparelli, Alessia Gallo e Domenico Brigante e delle Prof.sse Rosa Maria De Pasquale e Caren Miceli, dell’IIS Cassano allo Ionio. Continua la lettura di Festa grande alla Provincia con la “generazione Erasmus”, per la Giornata dell’Europa

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Ero in carcere e siete venuti a trovarmi…

di Valter Vecellio

Pubblicato su il Dubbio il 25/03/17

Viene accolto, quel Papa venuto “da quasi la fine del mondo”, al suono
di piatti e stoviglie di metallo, battono le posate su pentole e coperchi.
Di solito, in carcere, la “battitura” è il segno se non di una rivolta, di
un fermento, una protesta, un malcontento che serpeggia. Continua la lettura di Ero in carcere e siete venuti a trovarmi…

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UN VAGO SENSO DI CUPEZZA E INQUIETUDINE CHE NON SO FINO A CHE PUNTO SIA GIUSTIFICATO

Di Valter Vecellio

La premessa, necessaria e fondamentale, è che non bisogna tirare conclusioni affrettate; è già capitato , in passato neppure troppo passato che qualcosa di vischioso ed oscuro sia agitato ed enfatizzato per fini diversi da quelli che vengono dichiarati ufficialmente e che appaiono; e non escludiamo che ci sia una buona dose di imbecillità, a monte di tutto; per dirla tutta: può benissimo essere una enorme, ennesima, bufala; ce ne sono state parecchie di mega-maxi-inchieste poi miseramente dissolte come bolle d’aria; a me stesso e tutti ricordo, per esempio quella di quasi vent’anni fa, battezzata “Phoney Money”; vi si applicò con zelo il pubblico ministero di Aosta David Monti; si parlò anche allora di “società occulta devastante che condizionava le istituzioni”, e vi si volle infilare dentro mezzo mondo, fino alla Casa Bianca… Chi ha un po’ di memoria ricorderà poi le inchieste di indimenticabili Agostino Cordova, Alfredo Ormanni, Luigi De Magistris; e fermiamoci a questi tre. Chissà questa, “esplosa” oggi, e di cui con grande enfasi parlano telegiornali, scrivono siti e domani i giornali le riserveranno, immagino, intere paginate. Continua la lettura di UN VAGO SENSO DI CUPEZZA E INQUIETUDINE CHE NON SO FINO A CHE PUNTO SIA GIUSTIFICATO

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#Turchia in #Europa, subito

«Turchia in Europa da Subito» denuncia la decisione irresponsabile della Commissione Juncker che blocca gli ingressi nell’UE fino al 2019

di Mariano Giustino* @MarianoGiustino

Pubblichiamo interessante articolo dalla newsletter n*45 di radicalparty.org

Il 12 novembre si sono svolti a Roma i lavori del primo Consiglio direttivo di Turchia in Europa da Subito, organizzazione transnazionale di cittadini e parlamentari che persegue lo scopo di sostenere e promuovere l’immediato ingresso della Turchia nell’Unione Europea. La riunione è stata preceduta da un incontro tra i dirigenti dell’associazione Turchia in Europa da Subito e il nuovo ambasciatore della Repubblica turca in Roma, S.E. Aydın Adnan Sezgin, l’11 novembre.

Il Consiglio direttivo ha denunciato come scandalosa e politicamente sbagliata la dichiarazione della Commissione europea Juncker, la quale afferma che prima del 2019 non avverrà alcun ingresso nell’Unione Europea. La decisione è stata recepita da tutti i paesi candidati, e dai paesi che aspirano alla candidatura, come un congelamento di fatto dei negoziati.

Ciò significa che i processi di riforma che sono stati avviati tra molte difficoltà, come è avvenuto per la Turchia, rischiano di restare paralizzati fino al 2019 venendo meno il carattere di urgenza delle riforme necessarie da intraprendere per l’allineamento con l’acquis comunitario.

È’ ancora più grave il fatto che la presa di posizione della Commissione Juncker non abbia suscitato alcuna reazione, non solo nel Parlamento europeo, ma anche nel governo italiano, che deve respingere con fermezza questa irresponsabile posizione. L’associazione Turchia in Europa da Subito ne denuncerà la gravità in tutte le sedi istituzionali sia italiane che europee.

È possibile ascoltare integralmente i lavori del Consiglio direttivo di Turchia in Europa da Subito sul sito di Radio Radicale: http://www.radioradicale.it/scheda/426008/consiglio-direttivo-dellassociazione-turchia-in-europa-da-subito

* Direttore della rivista «Diritto e Libertà»
marianogiustino@dirittoeliberta.it
@TURKEYEUROPENOW
@AntennaAnkara

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Beppe Grillo, l’inaccettabile alleanza con Nigel Farage e l’Italia della tortura

Sarebbe giusto che, in nome della propria indipendenza, una singola nazione possa violare i diritti umani?

Sarebbe migliore un’Europa dove non ci fossero leggi e giurisdizioni sovranazionali che, indipendentemente dalle volontà degli Stati nazionali, facciano rispettare ai singoli Stati quei diritti umani sanciti e da loro sottoscritti nelle Convenzioni internazionali?

di Giuseppe Candido

In pratica: sarebbe migliore un’Europa della Patrie Nazionali (e magari dei nuovi nazionalismi) o, invece, sarebbe necessario completare la costruzione di una Patria europea dei cittadini?

Credo sia questa la vera domanda che dovremmo porci.

#ComicoNazionalista
il #Comico e il #Nazionalista

Dalle politiche del 2013 alle europee dello scorso 25 maggio il M5S ha perso ben 2milioni e 800mila voti, passando dal 25 al 21% circa, per colpa – più che di errori – di veri e propri orrori di comunicazione come quelli sulle liste di proscrizione dei giornalisti, sui processi in rete da fare alle diverse caste e agli slogan del tipo “siamo oltre Hitler” associati ai persistenti, quanto inconcludenti, #vinciamonoi.

Non curante di tutto ciò e senza averlo minimamente preannunciato né in campagna elettorale né sulla rete, il Grillo nazionale pensa adesso di fare gruppo a Bruxelles con Nigel Farage, leader britannico dell’UKIP, che è il partito per l’Indipendenza del Regno Unito.

Le alleanze al Parlamento europeo sono necessarie perché, senza appartenere ad un gruppo, con soli 17 parlamentari, non solo è difficile se non impossibile avere tempo di parola, ma diventa difficile organizzare qualunque attività politica.

Dal suo blog, per spiegare a iscritti e simpatizzanti (tra cui finora, purtroppo, mi annovero pure io) l’adesione all’EFD (Europe of Freedom and Democracy), il Grillo nazionale motiva la sua scelta – tra l’altro non ancora accettata ufficialmente dagli iscritti con votazione in rete – scrivendo che, in nome di una non meglio definita “politica di libertà del voto”, – “a differenza dei Verdi e di molti altri gruppi del Parlamento europeo, il gruppo EFD permette alle delegazioni nazionali di votare come ritengono opportuno secondo la propria ideologia, preferenze politiche e di interesse nazionale.

Voto libero in nome del proprio interesse nazionale. E, in quest’ottica, l’adesione al gruppo, per Beppe Grillo, è solo “un matrimonio di convenienza per il reciproco vantaggio”.

Una furberia?

Il gruppo” – tuona l’ex comico dal suo blog sotto tanto di foto che lo ritrae sorridente con Farage – “è aperto ai deputati che credono in una Europa della Libertà e della Democrazia e che riconoscono la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti umani e la democrazia parlamentare”.

Poi snocciola il programma che il gruppo dell’EFD sottoscrive congiuntamente: al primo punto c’è la “Libertà e cooperazione tra le persone di Stati diversi”. Il secondo punto, in pratica, è uno slogan: “Più democrazia e il rispetto della volontà popolare”. Populista?

Ma l’idea più esilarante, davvero comica se non fosse anche pericolosa, é quella rubricata alla voce: “Rispetto per la storia d’Europa , delle tradizioni e dei valori culturali. Popoli e nazioni d’Europa” – si aggiunge – “hanno il diritto di proteggere i propri confini e rafforzare i propri valori storici, tradizionali, religiosi e culturali”.

Come se gli orrori del Secolo trascorso non fossero mai avvenuti e come se non fossero stati causati proprio da quei nazionalismi ideologicamente sostenuti dai concetti di identità culturali, identità nazionali e tradizioni culturali.

Per fortuna, il 3° punto del programma si conclude, quasi un po’ a giustificare la precedente, con la seguente frase: il Gruppo rifiuta la xenofobia, l’antisemitismo e qualsiasi altra forma di discriminazione.

Al 4° punto il “Rispetto delle differenze e degli interessi nazionali: libertà di voto”.

Grillo conclude la descrizione dell’EFD scrivendo che, “accettando di far propri questi principi nei suoi procedimenti, il Gruppo rispetta la libertà delle sue delegazioni e deputati di votare come meglio credono”.

E per tranquillizzare gli animi di chi ricorda la Storia, Grillo specifica che “l’UKIP” – il partito di Nigel Farage – “è contro la guerra” e che “si è opposto all’intervento militare dell’UE e del Regno Unito in Iraq, Afghanistan, Libia e Siria”.

Ma è giusto non intervenire se i diritti umani vengono violati? Sicuramente non tutte le guerre hanno avuto il fine di salvaguardare diritti umani, anzi. Ma sostenere il principio di non intervento è altrettanto assurdo perché significherebbe ammettere la violazione dei diritti umani in nome proprio dell’indipendenza nazionale.

Poi una lista di motivazioni convincere la rete che il M5S farà bene ad allearsi con il partito più indipendentista d’Europa:

“L’UKIP è un’organizzazione democratica, deputati che infrangono la legge o mettono in imbarazzo il partito possono essere espulsi, (Farage, ndr) non è mai stato un banchiere e non ha nulla a che fare con le banche o servizi finanziari, UKIP si oppone alla dominazione tedesca e al controllo della Troika, Farage è contro la dominazione tedesca dell’Europa attraverso il suo potere politico ed economico”.

E se non bastasse: l‘appartenenza al gruppo EFD consente al MoVimento 5 Stelle di perseguire una propria politica distinta per l’energia, UKIP sostiene la democrazia diretta e si oppone all’Euro.

Insomma, a leggere il Beppe Nazionale, sembrerebbe naturale, quasi scontato, che un Movimento come quello da lui fondato si allei con il Partito per l’indipendenza del Regno Unito.

Prop4Altro che Europa dei cittadini e altro che patria europea: quello che si propone è un’alleanza col partito dell’indipendenza.

Per Nigel Farage, il cui partito ha avuto eletti 24 eurodeputati, se l’accordo con Beppe Grillo funzionasse, “sarebbe magnifico vedere un rigonfiamento nei ranghi dell’Esercito Popolare”.

E aggiunge: “Se possiamo trovare un accordo, potremmo avere divertimento causando un sacco di guai per Bruxelles”.

Divertirsi causando un sacco di guai a Bruxelles? Possiamo quindi stare tranquilli?

Siamo sicuri che sia tutto così tranquillo, pacifico e divertente con un po’ di libertà di voto – a condire il tutto – sulla base di interessi nazionali?

Personalmente ho provato un po’ di paura; un comico e un teorico delle indipendenze nazionali che si accordano per un “matrimonio di vantaggio”.

Dopo averlo votato alle europee credo di percepire, ahi me in ritardo, le stesse sensazioni che, forse, avranno provato quei 2 milioni e 800 mila cittadini suoi elettori alle politiche ma che, per le sue scorribande elettorali a colpi di #vinciamonoi, hanno deciso di non rivotarlo alle europee. Ci sono arrivato in ritardo.

In pratica, anche Grillo pone al centro del suo ragionamento il “principio della libertà”.

Principio secondo cui l’uomo non può essere un mero strumento, ma un autonomo centro di vita e la sua Nazione il luogo dove radicarsi. Detta così chi non sarebbe d’accordo? Libertà di voto e indipendenza da qualunque visione concordata, dunque ognuno secondo i propri interessi nazionali, quando non di partito.

L’indipendenza nazionale e l’Europa della patrie

Altiero Spinelli
Altiero Spinelli, Roma 1908-1986

Bisognerebbe però ricordare che l’idea di un eguale diritto di tutte le nazioni ad organizzarsi in Stati sovrani indipendenti, se da un lato è stata, in momenti specifici della storia, “lievito di progresso” che ha permesso di “estendere alle popolazioni più arretrate le istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili, essa portava però in sé i germi dell’imperialismo capitalista che la generazione passata ha visto ingigantire sino alla formazione degli Stati totalitari e allo scatenarsi delle guerre mondiali”.

Altiero spinelli ed Ernesto Rossi – con il loro manifesto di Ventotene scritto durante il confino nel 1941 – ci ricordano ancora oggi che “la crisi della civiltà moderna” cominciò proprio così.

Fu così infatti che,

“La nazione non era più considerata come lo storico prodotto della convivenza di uomini”, ma presto divenne invece “un’entità divina”, “un organismo” che doveva “pensare alla propria esistenza e al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri potevano risentire”.

E per questo scrivevano che “lo Stato, da tutelatore della libertà dei cittadini” si era trasformato in “padrone di sudditi”.

Anche oggi come allora – magari con l’aiuto della rete ad amplificare le idee del capo – si vorrebbe affermare “l’eguale diritto di tutti i cittadini alla formazione della volontà dello Stato” mettendo pericolosamente in discussione, ancora una volta, la democrazia parlamentare della rappresentanza.

La Resistenza italiana
La Resistenza italiana di Renato Guttuso

Nell’ottica dell’indipendenze nazionali, è ovvio che uno Stato tanto più sarà uno Stato forte quanto più avrà voglia di espandersi, di consumare territorio vitale e risorse ambientali, senza curarsi del danno arrecato agli altri Stati e alla comunità della specie umana.

Oggi invece abbiamo Nigel Farage e Beppe Grillo che, anche a colpa di una Europa federale mai realizzata, inneggiano alle indipendenze nazionali. Dall’altro lato Jean Marie Le Pen con Matteo Salvini.

Bisognerebbe rileggerlo attentamente quel manifesto di Ventotene. Anche oggi possiamo dire che “il potere si consegue e si mantiene non semplicemente con la furberia, ma con la capacità di rispondere in modo organico è vitale alla necessità delle società moderna”.

Dovremmo convincerci che il vero problema dell’Europa rimane ancora “la definitiva abolizione della sua divisione in Stati nazionali sovrani”.

È stata realizzata la comunità economica, abbiamo una moneta unica, abbiamo trattati e patti fiscali, ma non abbiamo ancora realizzato il sogno federalista degli stati uniti d’Europa: un’Europa dei cittadini, con un esercito comune, una politica estera comune e, magari, un presidente eletto che possa nominare dei ministri con competenze concrete. E con diritti umani inviolabili comuni.

ernesto rossi
Ernesto Rossi, Caserta 1897 – Roma 1986

Nel 1941 Ernesto Rossi e Altiero Spinelli notavano come già fosse “dimostrata l’inutilità, anzi la dannosità di organismi sul tipo della Società delle Nazioni (cui pure Grillo evoca oggi quando parla di tutele di diritti umani e di ambiente) che pretendeva di garantire un diritto internazionale senza però avere una forza militare capace di imporre le sue decisioni e rispettando la sovranità assoluta degli Stati partecipanti. Assurdo è risultato” – scrivono ancora nel manifesto per un’Europa libera e unita – “il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni singolo Stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi europei”.

Sì, credo che dovremmo proprio rileggerlo attentamente quel manifesto di Ventotene. Un documento che deve essere conosciuto soprattutto a chi si vuole occupare di Europa.

La federazione europea anche oggi sarebbe

L’ “Unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici e americani si possono svolgere su una base di pacifica cooperazione in attesa di un più lontano avvenire in cui – scrivevano già nel 41 Rossi e Spinelli – diventi impossibile l’unità politica dell’intero globo”.

Altiero Spinelli
Palazzo Altiero Spinelli, sede del Parlamento europeo a Bruxelles

Problemi come quelli ambientali, problemi come quelli del lavoro, dell’immigrazione non possono certo essere affrontati dai singoli Stati nazionali, indipendentemente da interessi comuni alla specie umana, neanche solo all’Europa. Mentre Gaia, il nostro martoriato pianeta, avrebbe bisogno di soluzioni globali, Beppe nazionale si allea con Nigel Farage e il partito dell’indipendenza del Regno Unito. Comico, per non dire tragico.

Credo che anche oggi,

La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale” – non certo oggi nuovissima – “linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico cioè la conquista del potere politico nazionale – e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo, e risorgere le vecchie assurdità – e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale”.

Personalmente sono fermamente convinto che ancora sia così.

Possiamo pensare di governare fenomeni come i cambiamenti climatici e disastri ambientali globali con l’indipendenza nazionale? Con il diritto di ciascun popolo a fare come meglio crede in materia di diritti umani come vivere in un ambiente salubre?

Di cosa parliamo quando, nel presentare programma dell’EFD, Grillo scrive che, “accettando di far propri i principi di indipendenza nazionale, nei suoi procedimenti, il Gruppo rispetta la libertà delle sue delegazioni e deputati di votare come meglio credono”.

L’assenza di una visione di gruppo, di un’idea comune, è sicuramente limitante.

Come possiamo occuparci di immigrazione e di flussi migratori? Con le indipendenze nazionali che neanche il Dalai Lama chiede più per il Tibet?

Pannella, i Radicali e lo scontro tra Stato di Diritto, Diritti Umani e la Ragion di Stato in Italia
Pannella, i Radicali e lo scontro tra Stato di Diritto, Diritti Umani e la Ragion di Stato in Italia

Anche oggi servirebbe portare a compimento quegli Stati uniti d’Europa immaginati da Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, perché ancor oggi necessari – insieme agli stati uniti di Cina e Africa – “alla costruzione di un organismo mondiale” delle democrazie che superi, appunto, il concetto di diritto di veto e del principio di “non intervento”, quando diritti umani considerati inviolabili vengono invece violati proprio dagli Stati nazionali.

Vorrei ricordare a Beppe Grillo, si volesse occupare davvero di diritti umani, quanto diceva sant’Agostino: I regimi politici non rispettano la legge che si sono dati e diventano magna latrocinia.

L’Italia, anche grazie all’indifferenza del Movimento 5 Stelle e del populismo dei suoi leader, continua a rimanere un Paese canaglia, pregiudicato da trent’anni davanti alla Cote Europea, per violazione dei Diritti Umani sanciti nella convenzione e nella nostra stessa Carta costituzionale. Un Paese in cui il ladrocinio del diritto è diventato una prassi.

Come evidenziato nel dossier presentato dai Radicali, le carceri continuano a restare inumane e degradanti, per la mancanza di forze politiche rispettose del messaggio inviato alle Camere dal Presidente della Repubblica e delle numerose sentenze pendenti per la procedura di condanna pilota avviata con la sentenza Torregiani e altri.

Lo scorso 28 maggio è scaduto l’out-out datoci dall’Europa per metterci in regola. Ma noi siamo oltre Hitler. Cosa vuoi che sia una condanna per tortura?

L’Italia non si accorge delle sue Shoah. In questo paese si continuano a massacrare leggi, si continuano a violare diritti umani inviolabili, e non si smette neanche quando tutto ciò viene sottolineato direttamente dal Presidente della Repubblica come obbligo giuridico. Non come un qualunque dovere morale, ma come un obbligo giuridico.

Da militante del Partito Radicale Nonviolento, devo confessarlo, ho avuto un po’ di simpatie non tanto per il Beppe nazionale, ma per i cittadini del movimento perché volevo – in qualche modo – dare un voto utile ad abolire la casta, un voto contro la partitocrazia. L’ho fatto e, lo scorso 25 maggio, quando i Radicali per scelta hanno deciso di non candidarsi perché ritenevano e ritengono illegali e non democratiche queste elezioni. Ho dato fiducia alla cittadina Laura Ferrara, cosentina e avvocato tra i 17 dei 5 stelle eletti a Bruxelles, ma me ne sono pentito; e proprio in virtù di quel principio della libertà di scegliere, scelgo candidamente di abbandonare anche soltanto l’idea che un movimento neo-reazionario, così come si va oggi configurandosi quello dei pentastellati, sull’onda populista possa servire a migliorare le sorti di questo sfortunato Paese.

Paolo di Tarso
Paolo di Tarso

Spes contra spem: contro queste piccole speranze di cambiamento e contro la perdita di ogni speranza, la Speranza vera, quella con la “S” maiuscola, oggi, è più in Pietro che in Cesare, oltreché ovviamente nella continuità dei padri con i figli.

Come sottolinea Marco Pannella da più tempo, abbiamo il Presidente del Consiglio che, su carceri e giustizia, rappresenta ufficialmente una posizione anti CEDU e, soprattutto, contro quel messaggio del Presidente della Repubblica, atto formale fatto anche quale massimo magistrato della Repubblica in termini di diritto.

Volesse Grillo occuparsi di diritti umani in Europa, potrebbe ricordasi delle sistematiche violazioni dell’articolo 3 e dell’articolo 6 della Convenzione europea per i Diritti dell’Uomo e chiedere al suo movimento di rispettarli collaborando varare subito un provvedimento di amnistia e indulto. Non come atto di clemenza, ma come obbligo per lo Stato di diritto.

Per dirla alla Pannella, in questo triste panorama di comportamenti sovversivi contro le massime giurisdizioni europee e nazionali, ci si può aspettare più da questo Papa, il Papa che ha voluto assumere il nome di Francesco e che, in un batter d’occhio, ha abolito il reato di tortura e l’ergastolo dal diritto canonico. Noi, invece, proseguiamo nel violare l’articolo tre della CEDU: tortura!

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Abolire la povertà, un dovere per l’Europa di domani

di Anthony Barnes Atkinson (*)

La Stampa 19.5.14

Il grande economista inglese Anthony Atkinson rilancia il progetto di un reddito-base per tutti

Quarantacinque anni fa pubblicai un libro, Poverty in Britain and the Reform of Social Security, in cui avanzavo proposte che puntavano a realizzare nel Regno Unito l’aspirazione del Piano Beveridge del 1942.
Ossia, di «mettere l’uomo al riparo dal bisogno assicurando sempre a ogni cittadino che voglia servire secondo le proprie energie un reddito sufficiente per far fronte alle sue responsabilità».

Antony Atkinson
Antony Atkinson, premio Nobel per l’economia nel 2012

A parte i toni un tantino maschi, questa affermazione della nostra aspirazione a garantire un reddito minimo nazionale appare importante ai nostri giorni come lo era allora.
Oggi, il problema della povertà è urgente allo stesso modo. Nel 1969, il tasso di povertà nel Regno Unito era, secondo gli standard attuali dell’Unione Europea (la quota di persone che vivono con un reddito inferiore al 60% del reddito disponibile mediano equivalente), del 14%. Nel 2011, è stata registrata al 16%. Eppure, la risposta della politica sembra camminare all’indietro.

Nel marzo del 2014, il parlamento britannico ha approvato a larga maggioranza un tetto ai sussidi della previdenza sociale. Il cosiddetto Welfare cap stabilisce un limite, suscettibile di adeguamenti solo in rapporto all’inflazione, alla spesa complessiva di tutte le prestazioni previdenziali (a parte le pensioni statali di base e certi sussidi di disoccupazione) per gli anni dal 2015-16 al 2018-2019. Questo è un provvedimento che va ad aggiungersi alla precedente legge, approvata nel 2012 dal governo di coalizione britannico, per limitare l’ammontare dei sussidi che possono essere percepiti settimanalmente da una singola famiglia. Il tetto alla spesa per il Welfare viene così messo in due modi.
La cosa sconcertante, per me, è che i tetti ai costi globali del Welfare sono stati approvati in Inghilterra avendo scarsa o nessuna considerazione delle conseguenze per gli obiettivi propri che la spesa previdenziale vuole raggiungere. Vuol dire questo che il Regno Unito ha voltato le spalle all’obiettivo di Beveridge di garantire un reddito minimo nazionale? Vuol dire che a una persona che non è in grado di lavorare – ad esempio per un incidente – dovremo dire che non ci sono più soldi nel bilancio del ministero del Lavoro e delle Pensioni? Che i sussidi per l’infanzia dovranno essere tagliati per le ristrettezze di bilancio imposte da altri programmi? […]
Delle nuove forme di previdenza sociale, la più discussa è forse l’idea di un «reddito di cittadinanza» o «reddito di base», che prevede un sussidio universale da pagarsi individualmente a tutti i cittadini, variabile da uno dei paesi membri all’altro a seconda delle loro specifiche circostanze. L’entità della somma potrebbe essere legata ad alcuni parametri determinati da caratteristiche personali, come l’età, ma non sarebbe legata al fatto di essere o no occupati.
Il reddito di cittadinanza è una vecchia idea, che però non è stata adottata come parte della protezione sociale europea. A livello nazionale, è stato in genere molto discusso in tempi di ricostruzione, come dopo la Seconda guerra mondiale, e in questo senso potrebbe essere naturale per l’Ue riprenderla come elemento di un più grande «balzo in avanti» del dopo recessione. Essa tuttavia solleva la questione del fondamento della idoneità. Il reddito di base viene spesso presentato come «incondizionato», ma deve comunque esserci una condizione qualificante. Questa viene di solito individuata nella cittadinanza, ma la cittadinanza non è la stessa cosa che la base per la tassazione e evidentemente non è la base giusta nel contesto della Ue. Il criterio della cittadinanza significherebbe che un lavoratore svedese in Francia riceverebbe il reddito di base svedese, non il reddito di base francese, il che non sarebbe coerente con la libertà di movimento della manodopera.
La razionalità di un reddito di base che varia da paese a paese dovrebbe essere nel fatto che il reddito di base vari in relazione al costo della partecipazione a una società particolare. Un approccio alternativo perciò è di rendere il reddito di base condizionato, ma non alla cittadinanza, bensì alla partecipazione nella società. […]
Proponendo un simile «reddito di partecipazione», piuttosto che un universale reddito di base, sono ben consapevole che esso presta il fianco a due obiezioni: che il suo essere condizionato rischia di escludere persone vulnerabili, e che comporta un notevole impegno amministrativo. Ma il reddito universale è una chimera. Tutti i progetti attuali prevedono una condizione di idoneità e quindi il rischio di esclusione. La cittadinanza sarebbe di tutta evidenza un criterio altamente discriminatorio, e probabilmente contrario alle leggi europee. Le regole esistenti per stabilire l’idoneità a ricevere sussidi si sono rivelate politicamente tossiche, e parecchie difficoltà nascono quando si tratta di applicare le regole a persone che vivono in un paese ma che non vi hanno domicilio per motivi fiscali. Tutti questi elementi evidenziano la necessità di un accordo esplicito sulla nozione di partecipazione a una particolare società. Una volta stabilito un accordo del genere, l’applicazione delle regole richiederebbe naturalmente un apparato amministrativo. Per esempio, la qualificazione di attività non di mercato richiede una certificazione. Ma il sistema esistente di assicurazione sociale richiede un analogo apparato se dev’essere adeguato al XXI secolo, per cui il tema dovrà essere comunque affrontato.
Lanciare un’iniziativa europea per un reddito di partecipazione sarebbe una mossa politica ardita. Proporre un’iniziativa del genere può apparire come una sfida ai decenni di incapacità dell’Ue di fare progressi nell’armonizzazione della previdenza sociale. Ma ci sono due ragioni di ottimismo. La prima è che essa offre una soluzione a problemi con cui i governi nazionali stanno oggi combattendo – esattamente come le prime istituzioni europee offrirono una soluzione a problemi nazionali di ristrutturazione economica. La seconda è che il reddito di partecipazione è – salvo un’eccezione – una forma nuova di previdenza sociale.

Non ci sarebbe il problema di imporre un modello nazionale a tutti gli Stati membri. Non sarebbe un’assicurazione sociale alla Bismarck o alla Beveridge. Sarebbe una strada del XXI secolo verso un’Europa sociale.
C’è un’eccezione all’affermazione che un reddito di base non è ancora entrato nella protezione sociale europea: l’erogazione di un sussidio universale alle famiglie per tutti i figli, magari variabile per età, può essere vista come una forma specifica di reddito di base. Erogazioni del genere sono comuni nei paesi Ue. Se la Ue vuole incamminarsi lungo la strada del reddito universale, il punto di partenza naturale è di cominciare con un reddito di base europeo per i bambini.

Una decina d’anni fa, il Gruppo ad Alto Livello sul futuro della politica sociale in un’Unione Europea allargata fece una proposta simile, come elemento di un possibile «patto intergenerazionale». In termini concreti, ciò può significare un reddito di base in tutta la Ue per bambini, fissato, diciamo, al 10% del reddito mediano pro capite in ciascuno degli Stati membri per ogni bambino. Sarebbe amministrato e finanziato, con clausole di sussidiarietà, da ciascuno degli Stati membri. Un programma del genere – rifinito nei dettagli – permetterebbe all’Europa di investire sul suo futuro.
Quarantacinque anni fa, proponevo riforme al sistema di previdenza sociale britannico che miravano a realizzare l’obiettivo di Beveridge di abolire la povertà. All’epoca credevo che il suo Piano di assicurazione sociale, portato pienamente a compimento, fosse il percorso giusto da seguire. Non è accaduto, e oggi, purtroppo, il problema della povertà rimane – in Inghilterra e in tutta l’Unione Europea.

Quali risposte possiamo dare alla ricerca di riformare il Welfare State europeo oggi?
– La prima priorità è di ri-affermare l’aspirazione a offrire previdenza sociale per tutti;
– Partire da un tetto alla spesa per il Welfare è il modo più sbagliato; abbiamo invece bisogno di partire da obiettivi sociali;
– Il Welfare State deve adattarsi ai radicali cambiamenti del mercato del lavoro e della società;
– Ciò significa ripensare tutto a fondo, e da parte mia propongo un «reddito di partecipazione» e un reddito di base in tutta l’Unione Europea per i bambini.
Sto di nuovo sognando?

Anthony Atkinson ha ricevuto il premio Nobel per l’economia nel 2012 – La Stampa 19.5.14 – Traduzione di Michele Sampaolo – © Eutopia

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L’amica Turchia, ovvero, quello che accadrebbe se l’UE aprisse gli occhi

di Carmelo Puglisi

Secoli fa – non a torto – v’era un certo timore quando i turchi erano alle porte. Ai tempi, esisteva ancora l’Impero Ottomano, uno dei più longevi e temuti imperi della storia, che svolse, forse indirettamente, anche un ruolo positivo, in ambito economico e culturale, fungendo da collegamento fra Europa ed Oriente, almeno fin quando non vi furono le prime scoperte geografiche che ridimensionarono il Mediterraneo e gli scambi che lì avvenivano, facendogli svolgere un ruolo relativamente secondario. Ma questa è storia.

Oggi, con questo lontano passato, esistono ancora delle analogie, e permangono preoccupanti discriminazioni, in gran parte ingiustificate.

Da decenni, la Turchia ha chiesto di poter entrare a far parte dell’Unione Europea, senz’ancora essere stata ammessa.
In precedenza, l’UE mise dei paletti e pose dei problemi assolutamente puntuali e legittimi per consentire l’accesso alla Turchia, e quest’ultima, specialmente negli ultimi tempi, ha fatto dei passi da gigante a livello di riforme e democrazia, proprio grazie alla spinta propulsiva che deriva dalla possibilità di entrare in quell’Unione Europea che oggi barcolla, scossa dalla crisi economica e non solo.

Poi è successo qualcosa. L’ingresso della Turchia sembrava imminente, ma il processo ha subito di colpo un rapido arresto. Forse, chi nei confronti di questo Paese nutre dei timori e pregiudizi, dovuti principalmente all’avversione verso la religione islamica, vedendo che effettivamente la Turchia si stava impegnando a fondo per adattarsi ai requisiti che l’UE aveva imposto, ha tirato il freno a mano; una mossa che ha prodotto diversi effetti negativi.

Infatti, qualora l’UE chiudesse definitivamente la porta in faccia alla Turchia, i successi e i passi avanti fatti negli ultimi anni, rischiano di essere vanificati completamente. Certo, la Turchia ha ancora da lavorare, come ad esempio riconoscere una volta per tutte il genocidio degli armeni, ma non deve assolutamente cadere vittima dei pregiudizi di qualche politico bigotto seduto ai posti di comando.

L’ingresso della Turchia all’interno dell’UE gioverebbe a tutti, e non solo da un punto di vista economico. Nonostante la crisi degli ultimi anni, la Turchia continua a chiedere con convinzione ed interesse di essere ammessa nell’UE, e sarebbe un errore impedire ciò, senza addurre valide motivazioni, che devono naturalmente andare oltre quelle geografiche, che non reggono più, visto l’ingresso consentito a Paesi come Cipro e Bulgaria.

Tuttavia, il tempo scorre. Dopo decenni di attesa, la Turchia ha posto come limite il 2023. Se entro quell’anno, per vari motivi, l’UE non le consentirà l’ingresso, la Turchia rimarrà definitivamente fuori.

Sarebbe uno sbaglio. Vorrebbe dire tirare una linea sulla cartina geografica, e se questo fosse dovuto al fatto che la religione maggiormente diffusa in Turchia è quella islamica, sarebbe ancora peggio. L’Unione Europea non ha, nei requisiti di ammissione, quello di dover professare in larga maggioranza una religione o un’altra.

Se invece qualche politico incravattato guarda ancora alla moderna Turchia come molti guardavano all’Impero Ottomano di un tempo, allora farebbe meglio a girare le lancette del suo orologio e mettersi al passo coi tempi.

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L’ideologia dell’indipendenza nazionale e la fine di Schengen

di Giuseppe Candido

Sottoscritto il 14 giugno 1985 fra il Belgio, la Francia, la Germania, il Lussemburgo e i Paesi Bassi l’accordo di Schengen intendeva eliminare progressivamente i controlli alle frontiere comuni e introdurre un regime di libera circolazione per i cittadini degli Stati firmatari, degli altri Stati membri della Comunità o di paesi terzi.
Successivamente, la convenzione di Schengen firmata il 19 giugno 1990 dagli stessi cinque Stati membri e successivamente entrata in vigore nel 1995, completò quell’accordo definendo “le condizioni di applicazione e le garanzie inerenti all’attuazione della libera circolazione”.
Obiettivi dichiarati della convenzione adottata poi da tutti i paesi membri erano l’abolizione dei controlli sistematici delle persone alle frontiere interne, il “rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne, la collaborazione delle forze di polizia e la possibilità, per esse, di intervenire in alcuni casi anche oltre i propri confini. Inoltre la convenzione prevedeva il coordinamento degli stati dell’Unione nella lotta alla criminalità organizzata di rilevanza internazionale come ad esempio mafia, traffico d’armi, droga e immigrazione clandestina.
Era il sogno degli Stati Uniti d’Europa che avrebbe dovuto concretizzarsi con un esercito degli Stati Uniti d’Europa, un Ministro degli Esteri europeo in un’Europa federale e federalista.
“L’ideologia dell’indipendenza nazionale” si legge nel Manifesto di Ventotene, “è stata un potente lievito di progresso; ha fatto superare i meschini campanilismi in un senso di più vasta solidarietà contro l’oppressione degli stranieri dominatori. Essa portava però in sé” i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha visto ingigantire fino alla formazione degli Stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali”.
Le cose però cambiano, i contesti divergono e l’Europa non è quella che i suoi più alti Padri costituenti avrebbero voluto. Gli Stati nazionali continuano a soffocare la Patria europea. Dopo aver fatto sparire la Bandiera blu con le stelle e dopo aver abolito l’Inno alla gioia come inno europeo oggi assistiamo alla morte della libertà di circolazione. A che punto sia oggi quel trattato, dopo la crisi Italia-Francia per la gestione degli immigrati, è sotto gli occhi di tutti. Non parliamo poi i quel sogno europeo. L’Onda dei migranti apre una crisi nell’Unione europea, è il titolo con cui apre in prima pagina nei giorni scorsi El Pais.
La valanga di migranti provocata dalle rivolte arabe ha aperto una nuova spaccatura nell’Unione europea. L’Italia ha accusato la Francia, sottolinea il noto quotidiano spagnolo, di violare i principi base dell’Unione dopo che le autorità francesi hanno bloccato il passaggio dei treni provenienti da Genova per impedire l’ingresso di tunisini. E che “Parigi blocca i migranti tunisini alla frontiera italiana” se ne accorge lo stesso Le Monde che però si spinge ben oltre nell’analisi.
“Ad una settimana dal vertice Franco-Italiano del 26 Aprile, i due Paesi hanno aggiunto un nuovo soggetto di discordia a quelli che già li oppongono, bloccando la circolazione dei treni tra Ventimiglia e la Costa Azzurra. Domenica, si legge ancora sul quotidiano d’oltre Alpe, Parigi ha provocato la reazione indignata del Governo italiano che ha denunciato questa misura come illegittima.” In causa, ovviamente, è la decisione presa dall’Italia di accordare un permesso di soggiorno provvisorio per circa 20.000 tunisini arrivati a Lampedusa dopo la caduta del regime di Ben Ali. Per il Governo Italiano, spiega Le Monde, questi permessi temporanei, in base agli accordi Schengen, devono permettere agli immigrati, che per la maggior parte vogliono andare in Francia, la loro libera circolazione. Per Parigi, invece, gli immigrati devono giustificare una residenza in Francia, un titolo di trasporto (cioè un biglietto) e delle risorse economiche per l’auto sostentamento.
Domenica scorsa, un centinaio di tunisini muniti di un permesso di soggiorno provvisorio, accompagnati da 250-300 militanti francesi ed italiani, avevano preso posto su quello che Le Monde definisce il “treno della libertà”. Da Genova verso la Francia, con l’obiettivo di “sfidare i blocchi dei governi e garantire il libero accesso al territorio europeo e ricordare che “nessun essere umano è illegale”. Parigi ha però deciso di bloccare il convoglio alla frontiera di Ventimiglia, ufficialmente, “in ragione dei rischi per l’ordine pubblico”. Unica causa per cui l’accordo di Schengen poteva essere sospeso temporaneamente.
Forse, in un momento come quello che oggi l’Italia sta vivendo, parlare di regressione del processo d’integrazione europea e di morte dell’Unione intesa come unione di popoli e non solo unione commerciale, può sembrare inutile, quasi velleitario. Eppure il tramonto di quel sogno, il declino di un’idea d’Europa unita non solo da un’unica moneta e dall’abolizione dei dazi sulle merci, ma anche dalla condivisione di territori, di culture e di tradizioni, proprio nel momento in cui i nazionalismi, dal Belgio alla Finlandia passando per i Paesi Bassi, si affermano e si rinforzano, dovrebbe costituire una preoccupazione seria per classi dirigenti del nostro Paese.

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