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Povertà e miseria (conseguente). Mezzogiorno e migranti i più colpiti

<<Bisogna unire tutte le nostre forze per combattere la miseria per le stesse ragioni per le quali è stato necessario in passato combattere il vaiolo e la peste: perché non ne resti infetto tutto il corpo sociale>>.

Scriveva così, nel 1942, Ernesto Rossi nella sua opera “Abolire la miseria” che torna di grande attualità se, ancora oggi, questioni come povertà, miseria e lavoro restano questioni centrali.

Quel Rossi che dal confino fu autore -assieme ad Altiero Spinelli – del Manifesto di Ventotene per un’Europa libera e unita.

chiare lettere

La fotografia che oggi, 26 giugno 2017, l’ISTAT restituisce al Paese è impietosa: mai tanti poveri in Italia dal 2005.

Sono 1.778.000 le famiglie italiane (il 6,9%) che vivono al di sotto della soglia di povertà assoluta: cioè famiglie in cui la spesa mensile non è sufficiente ad acquistare beni e servizi considerati essenziali. Abbiamo superato i cinque milioni di individui (l’8,4%) della popolazione che vivono in tali misere condizioni.

I cittadini del Mezzogiorno (assieme ai migranti) sono i più colpiti: il 10,3% delle famiglie, l’11,4% delle persone.

Se povertà e miseria non sono la stessa cosa, ma se è dalla prima si alimenta, si rigenera la seconda, è vero che sui dati pubblicati dall’ISTAT bisogna riflettere e agire subito. Affinché la povertà dilagante non si trasformi in miseria e in imbarbarimento culturalmente. Continua la lettura di Povertà e miseria (conseguente). Mezzogiorno e migranti i più colpiti

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Ero in carcere e siete venuti a trovarmi…

di Valter Vecellio

Pubblicato su il Dubbio il 25/03/17

Viene accolto, quel Papa venuto “da quasi la fine del mondo”, al suono
di piatti e stoviglie di metallo, battono le posate su pentole e coperchi.
Di solito, in carcere, la “battitura” è il segno se non di una rivolta, di
un fermento, una protesta, un malcontento che serpeggia. Continua la lettura di Ero in carcere e siete venuti a trovarmi…

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Se la povertà dilaga serve abolire la miseria

“False partenze” è il titolo del nuovo rapporto (2014) della Caritas italiana su povertà ed esclusione sociale; è stato scelto perché, è spiegato in premessa, il precedente rapporto era intitolato “I ripartenti”, ma poiché la ripresa dalla crisi non c’è stata, anzi, il titolo “false partenze” è quello che meglio esplicita la situazione, drammatica, del Paese.
Raddoppiati in un lustro i poveri. Quattro milioni e 800 mila (8% circa della popolazione) nel 2012 contro i due milioni e 400mila (4,1%) nel 2007. E anche la “povertà assoluta” è aumentata. Per l’organismo della Cei, l’incremento degli indigenti totali presenta segnali ancor più allarmanti se analizzato a livello territoriale: se al Nord i poveri assoluti passano dal 3,3% al 6,4% del totale e al Centro fra il 2,8% e il 5,7%, al Sud il dramma raggiungeva il 6% nel 2007 arrivando all’11,3% nel 2012.
Ha stramaledettamente ragione, quindi, il direttore del Garantista Piero Sansonetti a scrivere, nel suo editoriale di sabato 12 luglio, che i dati della Caritas rappresentano una “frustata in faccia” alla politica e alla classe dirigente di questo Paese e che la sua abolizione sarebbe la vera riforma.

Vivere sotto la soglia di povertà assoluta significa non avere livelli nutrizionali adeguati, non riuscire a vivere in un’abitazione dotata di acqua calda ed energia, non potersi vestire decentemente, ma anche non potersi ageguatamente curare.
La Caritas ha spiegato che, chi si trova in tale condizione, non può sostenere le spese minime necessarie per beni e servizi essenziali e quindi non ha uno standard di vita accettabile.
C’è quindi il rischio concreto che questa povertà dilaghi in miseria. Quando la crisi è a uno stadio così avanzato e quando abbiamo 4 milioni e 800mila poveri e quando l’11% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, è evidente che la riforma delle riforme, la priorità assoluta, dovrebbe essere proprio quella di abolire la miseria di così larghe fasce di popolazione.

Papa Francesco, durante il messaggio per la Quaresima aveva ricordato che «la miseria non coincide con la povertà» perché, ha detto, «la miseria è la povertà senza fiducia, senza solidarietà, senza speranza».
Il Pontefice evidenziava tre tipi di miseria: materiale, morale e spirituale.
La miseria materiale è quella che comunemente viene chiamata povertà e tocca quanti vivono in una condizione non degna della persona umana. E’ la miseria che oggi maggiormente dilaga. Poi c’è quella morale che «consiste nel diventare schiavi del vizio e del peccato». Molte persone, ha aggiunto, sono costrette a queste miserie da condizioni sociali ingiuste, dalla «mancanza di lavoro che le priva della dignità che dà il portare il pane a casa».
Anzi « in questi casi — scrive il Pontefice — la miseria morale può ben chiamarsi suicidio incipiente».
Ma ha ricordato che proprio questa miseria morale diventa «causa di rovina economica».

Detta differenza tra povertà e miseria veniva resa evidente nel volume Abolire la miseria (scritto nel 1942, pubblicato nel 1946), nelle cui pagine Ernesto Rossi scriveva che la cosa più intollerabile dei “regimi individiulistici” è

“La miseria di larghi strati di popolazione, in stridente contrasto con l’opulenza di pochi privilegiati, lo sperpero di tante energie umane e di tante risorse materiali per soddisfare la vanità ed i futili capricci di chi si presenta sul mercato con una maggiore capacità di acquisto, il parassitismo di chi vive senza lavorare”.
Per Ernesto Rossi, infatti, “La pecca maggiore dei regimi individualistici, quali si sono storicamente realizzati finora è, …, la miseria degli ultimi strati della popolazione. La condizione delle classi povere, anche nei paesi più progrediti economicamente, è talmente ripugnante alla nostra coscienza morale, ed è così contraria al nostro ideale di civiltà che, se ci trovassimo davanti all’alternativa di accettare tali regimi, così come sono, o di passare a regimi comunistici, in cui la regolamentazione dal centro di tutta la vita economica e il lavoro obbligatorio permettessero una distribuzione egualitaria del reddito sociale, saremmo molto incerti quale preferire, nonostante la nostra ferma convinzione che i regimi comunistici sarebbero necessariamente meno produttivi e potrebbero essere realizzati solo attraverso una tirannide burocratica”.

La povertà sconfina in miseria culturale, in rassegnazione al potente e al potere. Ne discende una società clientelare, un modello individualistico di società in cui ci dimentica l’assenza di sussidi universali. Povertà genera miseria.
E la miseria, ricordava Ernesto Rossi, è una malattia infetttiva.
La povertà, oltre a provocare conseguenze rovinose sul fisico delle persone che ne sono colpite, ha effetti ancora più disastrosi sul loro morale e sull’ambiente in cui vivono.

Fondate sul pragmatismo anglosassone del piano Baveridge, primo sistema di Stato sociale realizzato in Inghilterra e costituito sulla cultura della solidarietà, le proposte contenute nel lavoro di Ernesto Rossi scritte dal confino a Ventotene sono oggi di scottante attualità: in esse si rintracciano e si coniugano concetti di Stato sociale che non riusciamo a realizzare, di mercato del lavoro, di struttura del salario, di dinamica occupazionale e di riorganizzazione della scuola pubblica statale.
Per abolire la miseria, “l’assistenza non dovrebbe diminuire il senso di dignità e di responsabilità delle persone soccorse”.

“La carità privata”, scriveva Rossi, “può servire alle persone religiose per guadagnarsi il paradiso, ma certamente non constitusce un rimedio alla miseria”. E, val la pena ricordarlo, nel progetto per abolire la miseria, “non si deve permettere che i soccorsi vengano sperperati in consumi voluttuari o socialmente riprorevoli, lasciando insoddisfatti i più elementari diritti della vita civile”.

Il concetto centrale, quindi, era garantire a tutti coloro che ne facevano richiesta, beni e servizi alla persona necessari alla vita: lo Stato avrebbe dovuto garantire il cibo, la casa, gli abiti, il mobilio di base. E anche un minimo di salario percepito, però, non come carità, ma ricevuto come diritto, perché ciascuno lo avrebbe acquisito prestando due o tre anni di “servizio del lavoro” obligatorio per tutti, uomini e donne in età giovanile.
Un “esercito del lavoro” per fornire servizi in natura, un sistema di prestazioni gratuite a cui sarebbero stati obbligati tutti i cittadini per una frazione della loro vita.
Quando di materie prime, invece, ce ne sono e quando di persone da impiegare ce ne sono tante, rilanciare la crescita per abolire la miseria non soltanto non è impossibile, ma dovrebbe divenire la priorità per tutti la priorità.
Altro ché la riforma del Senato per trasformarlo in un carrozone di nominati.
Quel volume, abolire la miseria, rappresenta un’analisi attuale e una proposta ancora valida; parla di istruzione pubblica, parla di servizio civile e parla di reddito di sussitenza dato non a sussidio caritatevole o mantenendo aziende improduttive, ma chiedendo ai giovani, in cambio, il lavoro per progetti socialmente utili.
In pratica, i giovani terminata la loro preparazione scolastica sarebbero stati obbligati, anziché alla leva militariasta, a prestare il loro servizio in questo esercito del lavoro che, quindi, diventava anche un modo di formare i giovani alla realtà lavorativa.
E il tutto doveva essere affiancato da una scuola a tutti accessibile (all’epoca ancora non lo era ancora) ma riformata e riorganizzata nel duplice aspetto di formazione della forza lavoro e di solidarietà sociale. Gli esami, sosteneva Rossi, non si sarebbero dovuti fare all’uscita, ma all’ingresso di ogni ciclo scolastico per accertare che il candidato avesse competenze e conoscenze per trarre profitto da quel ciclo di insegnamento scelto. E, abolendo il titolo di studio, per Rossi, si sarebbe elminato l’annoso e ancora attuale equivoco per cui i giovani, molto spesso, vanno a scuola non per imparare ma per prendere il diploma, un pezzo di carta.
Altro che riforma del Sentato, altro che riforma elettorale. Bisogna ridare la speranza. Credo che se per il Paese e, in particolare, per il Mezzogiorno non si avrà il coraggio di intervenire subito il rischio è che la povertà fotografata dalla Caritas dilaghi, come già accade in Calabria da qualche lustro, in miseria culturale, trasformandosi per l’intero Paese in mancanza di una prospettiva di riscatto sociale, in quella miseria morale che, come dice Papa Francesco, non lascia spazio alla speranza.

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Beppe Grillo, l’inaccettabile alleanza con Nigel Farage e l’Italia della tortura

Sarebbe giusto che, in nome della propria indipendenza, una singola nazione possa violare i diritti umani?

Sarebbe migliore un’Europa dove non ci fossero leggi e giurisdizioni sovranazionali che, indipendentemente dalle volontà degli Stati nazionali, facciano rispettare ai singoli Stati quei diritti umani sanciti e da loro sottoscritti nelle Convenzioni internazionali?

di Giuseppe Candido

In pratica: sarebbe migliore un’Europa della Patrie Nazionali (e magari dei nuovi nazionalismi) o, invece, sarebbe necessario completare la costruzione di una Patria europea dei cittadini?

Credo sia questa la vera domanda che dovremmo porci.

#ComicoNazionalista
il #Comico e il #Nazionalista

Dalle politiche del 2013 alle europee dello scorso 25 maggio il M5S ha perso ben 2milioni e 800mila voti, passando dal 25 al 21% circa, per colpa – più che di errori – di veri e propri orrori di comunicazione come quelli sulle liste di proscrizione dei giornalisti, sui processi in rete da fare alle diverse caste e agli slogan del tipo “siamo oltre Hitler” associati ai persistenti, quanto inconcludenti, #vinciamonoi.

Non curante di tutto ciò e senza averlo minimamente preannunciato né in campagna elettorale né sulla rete, il Grillo nazionale pensa adesso di fare gruppo a Bruxelles con Nigel Farage, leader britannico dell’UKIP, che è il partito per l’Indipendenza del Regno Unito.

Le alleanze al Parlamento europeo sono necessarie perché, senza appartenere ad un gruppo, con soli 17 parlamentari, non solo è difficile se non impossibile avere tempo di parola, ma diventa difficile organizzare qualunque attività politica.

Dal suo blog, per spiegare a iscritti e simpatizzanti (tra cui finora, purtroppo, mi annovero pure io) l’adesione all’EFD (Europe of Freedom and Democracy), il Grillo nazionale motiva la sua scelta – tra l’altro non ancora accettata ufficialmente dagli iscritti con votazione in rete – scrivendo che, in nome di una non meglio definita “politica di libertà del voto”, – “a differenza dei Verdi e di molti altri gruppi del Parlamento europeo, il gruppo EFD permette alle delegazioni nazionali di votare come ritengono opportuno secondo la propria ideologia, preferenze politiche e di interesse nazionale.

Voto libero in nome del proprio interesse nazionale. E, in quest’ottica, l’adesione al gruppo, per Beppe Grillo, è solo “un matrimonio di convenienza per il reciproco vantaggio”.

Una furberia?

Il gruppo” – tuona l’ex comico dal suo blog sotto tanto di foto che lo ritrae sorridente con Farage – “è aperto ai deputati che credono in una Europa della Libertà e della Democrazia e che riconoscono la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti umani e la democrazia parlamentare”.

Poi snocciola il programma che il gruppo dell’EFD sottoscrive congiuntamente: al primo punto c’è la “Libertà e cooperazione tra le persone di Stati diversi”. Il secondo punto, in pratica, è uno slogan: “Più democrazia e il rispetto della volontà popolare”. Populista?

Ma l’idea più esilarante, davvero comica se non fosse anche pericolosa, é quella rubricata alla voce: “Rispetto per la storia d’Europa , delle tradizioni e dei valori culturali. Popoli e nazioni d’Europa” – si aggiunge – “hanno il diritto di proteggere i propri confini e rafforzare i propri valori storici, tradizionali, religiosi e culturali”.

Come se gli orrori del Secolo trascorso non fossero mai avvenuti e come se non fossero stati causati proprio da quei nazionalismi ideologicamente sostenuti dai concetti di identità culturali, identità nazionali e tradizioni culturali.

Per fortuna, il 3° punto del programma si conclude, quasi un po’ a giustificare la precedente, con la seguente frase: il Gruppo rifiuta la xenofobia, l’antisemitismo e qualsiasi altra forma di discriminazione.

Al 4° punto il “Rispetto delle differenze e degli interessi nazionali: libertà di voto”.

Grillo conclude la descrizione dell’EFD scrivendo che, “accettando di far propri questi principi nei suoi procedimenti, il Gruppo rispetta la libertà delle sue delegazioni e deputati di votare come meglio credono”.

E per tranquillizzare gli animi di chi ricorda la Storia, Grillo specifica che “l’UKIP” – il partito di Nigel Farage – “è contro la guerra” e che “si è opposto all’intervento militare dell’UE e del Regno Unito in Iraq, Afghanistan, Libia e Siria”.

Ma è giusto non intervenire se i diritti umani vengono violati? Sicuramente non tutte le guerre hanno avuto il fine di salvaguardare diritti umani, anzi. Ma sostenere il principio di non intervento è altrettanto assurdo perché significherebbe ammettere la violazione dei diritti umani in nome proprio dell’indipendenza nazionale.

Poi una lista di motivazioni convincere la rete che il M5S farà bene ad allearsi con il partito più indipendentista d’Europa:

“L’UKIP è un’organizzazione democratica, deputati che infrangono la legge o mettono in imbarazzo il partito possono essere espulsi, (Farage, ndr) non è mai stato un banchiere e non ha nulla a che fare con le banche o servizi finanziari, UKIP si oppone alla dominazione tedesca e al controllo della Troika, Farage è contro la dominazione tedesca dell’Europa attraverso il suo potere politico ed economico”.

E se non bastasse: l‘appartenenza al gruppo EFD consente al MoVimento 5 Stelle di perseguire una propria politica distinta per l’energia, UKIP sostiene la democrazia diretta e si oppone all’Euro.

Insomma, a leggere il Beppe Nazionale, sembrerebbe naturale, quasi scontato, che un Movimento come quello da lui fondato si allei con il Partito per l’indipendenza del Regno Unito.

Prop4Altro che Europa dei cittadini e altro che patria europea: quello che si propone è un’alleanza col partito dell’indipendenza.

Per Nigel Farage, il cui partito ha avuto eletti 24 eurodeputati, se l’accordo con Beppe Grillo funzionasse, “sarebbe magnifico vedere un rigonfiamento nei ranghi dell’Esercito Popolare”.

E aggiunge: “Se possiamo trovare un accordo, potremmo avere divertimento causando un sacco di guai per Bruxelles”.

Divertirsi causando un sacco di guai a Bruxelles? Possiamo quindi stare tranquilli?

Siamo sicuri che sia tutto così tranquillo, pacifico e divertente con un po’ di libertà di voto – a condire il tutto – sulla base di interessi nazionali?

Personalmente ho provato un po’ di paura; un comico e un teorico delle indipendenze nazionali che si accordano per un “matrimonio di vantaggio”.

Dopo averlo votato alle europee credo di percepire, ahi me in ritardo, le stesse sensazioni che, forse, avranno provato quei 2 milioni e 800 mila cittadini suoi elettori alle politiche ma che, per le sue scorribande elettorali a colpi di #vinciamonoi, hanno deciso di non rivotarlo alle europee. Ci sono arrivato in ritardo.

In pratica, anche Grillo pone al centro del suo ragionamento il “principio della libertà”.

Principio secondo cui l’uomo non può essere un mero strumento, ma un autonomo centro di vita e la sua Nazione il luogo dove radicarsi. Detta così chi non sarebbe d’accordo? Libertà di voto e indipendenza da qualunque visione concordata, dunque ognuno secondo i propri interessi nazionali, quando non di partito.

L’indipendenza nazionale e l’Europa della patrie

Altiero Spinelli
Altiero Spinelli, Roma 1908-1986

Bisognerebbe però ricordare che l’idea di un eguale diritto di tutte le nazioni ad organizzarsi in Stati sovrani indipendenti, se da un lato è stata, in momenti specifici della storia, “lievito di progresso” che ha permesso di “estendere alle popolazioni più arretrate le istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili, essa portava però in sé i germi dell’imperialismo capitalista che la generazione passata ha visto ingigantire sino alla formazione degli Stati totalitari e allo scatenarsi delle guerre mondiali”.

Altiero spinelli ed Ernesto Rossi – con il loro manifesto di Ventotene scritto durante il confino nel 1941 – ci ricordano ancora oggi che “la crisi della civiltà moderna” cominciò proprio così.

Fu così infatti che,

“La nazione non era più considerata come lo storico prodotto della convivenza di uomini”, ma presto divenne invece “un’entità divina”, “un organismo” che doveva “pensare alla propria esistenza e al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri potevano risentire”.

E per questo scrivevano che “lo Stato, da tutelatore della libertà dei cittadini” si era trasformato in “padrone di sudditi”.

Anche oggi come allora – magari con l’aiuto della rete ad amplificare le idee del capo – si vorrebbe affermare “l’eguale diritto di tutti i cittadini alla formazione della volontà dello Stato” mettendo pericolosamente in discussione, ancora una volta, la democrazia parlamentare della rappresentanza.

La Resistenza italiana
La Resistenza italiana di Renato Guttuso

Nell’ottica dell’indipendenze nazionali, è ovvio che uno Stato tanto più sarà uno Stato forte quanto più avrà voglia di espandersi, di consumare territorio vitale e risorse ambientali, senza curarsi del danno arrecato agli altri Stati e alla comunità della specie umana.

Oggi invece abbiamo Nigel Farage e Beppe Grillo che, anche a colpa di una Europa federale mai realizzata, inneggiano alle indipendenze nazionali. Dall’altro lato Jean Marie Le Pen con Matteo Salvini.

Bisognerebbe rileggerlo attentamente quel manifesto di Ventotene. Anche oggi possiamo dire che “il potere si consegue e si mantiene non semplicemente con la furberia, ma con la capacità di rispondere in modo organico è vitale alla necessità delle società moderna”.

Dovremmo convincerci che il vero problema dell’Europa rimane ancora “la definitiva abolizione della sua divisione in Stati nazionali sovrani”.

È stata realizzata la comunità economica, abbiamo una moneta unica, abbiamo trattati e patti fiscali, ma non abbiamo ancora realizzato il sogno federalista degli stati uniti d’Europa: un’Europa dei cittadini, con un esercito comune, una politica estera comune e, magari, un presidente eletto che possa nominare dei ministri con competenze concrete. E con diritti umani inviolabili comuni.

ernesto rossi
Ernesto Rossi, Caserta 1897 – Roma 1986

Nel 1941 Ernesto Rossi e Altiero Spinelli notavano come già fosse “dimostrata l’inutilità, anzi la dannosità di organismi sul tipo della Società delle Nazioni (cui pure Grillo evoca oggi quando parla di tutele di diritti umani e di ambiente) che pretendeva di garantire un diritto internazionale senza però avere una forza militare capace di imporre le sue decisioni e rispettando la sovranità assoluta degli Stati partecipanti. Assurdo è risultato” – scrivono ancora nel manifesto per un’Europa libera e unita – “il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni singolo Stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi europei”.

Sì, credo che dovremmo proprio rileggerlo attentamente quel manifesto di Ventotene. Un documento che deve essere conosciuto soprattutto a chi si vuole occupare di Europa.

La federazione europea anche oggi sarebbe

L’ “Unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici e americani si possono svolgere su una base di pacifica cooperazione in attesa di un più lontano avvenire in cui – scrivevano già nel 41 Rossi e Spinelli – diventi impossibile l’unità politica dell’intero globo”.

Altiero Spinelli
Palazzo Altiero Spinelli, sede del Parlamento europeo a Bruxelles

Problemi come quelli ambientali, problemi come quelli del lavoro, dell’immigrazione non possono certo essere affrontati dai singoli Stati nazionali, indipendentemente da interessi comuni alla specie umana, neanche solo all’Europa. Mentre Gaia, il nostro martoriato pianeta, avrebbe bisogno di soluzioni globali, Beppe nazionale si allea con Nigel Farage e il partito dell’indipendenza del Regno Unito. Comico, per non dire tragico.

Credo che anche oggi,

La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale” – non certo oggi nuovissima – “linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico cioè la conquista del potere politico nazionale – e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo, e risorgere le vecchie assurdità – e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale”.

Personalmente sono fermamente convinto che ancora sia così.

Possiamo pensare di governare fenomeni come i cambiamenti climatici e disastri ambientali globali con l’indipendenza nazionale? Con il diritto di ciascun popolo a fare come meglio crede in materia di diritti umani come vivere in un ambiente salubre?

Di cosa parliamo quando, nel presentare programma dell’EFD, Grillo scrive che, “accettando di far propri i principi di indipendenza nazionale, nei suoi procedimenti, il Gruppo rispetta la libertà delle sue delegazioni e deputati di votare come meglio credono”.

L’assenza di una visione di gruppo, di un’idea comune, è sicuramente limitante.

Come possiamo occuparci di immigrazione e di flussi migratori? Con le indipendenze nazionali che neanche il Dalai Lama chiede più per il Tibet?

Pannella, i Radicali e lo scontro tra Stato di Diritto, Diritti Umani e la Ragion di Stato in Italia
Pannella, i Radicali e lo scontro tra Stato di Diritto, Diritti Umani e la Ragion di Stato in Italia

Anche oggi servirebbe portare a compimento quegli Stati uniti d’Europa immaginati da Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, perché ancor oggi necessari – insieme agli stati uniti di Cina e Africa – “alla costruzione di un organismo mondiale” delle democrazie che superi, appunto, il concetto di diritto di veto e del principio di “non intervento”, quando diritti umani considerati inviolabili vengono invece violati proprio dagli Stati nazionali.

Vorrei ricordare a Beppe Grillo, si volesse occupare davvero di diritti umani, quanto diceva sant’Agostino: I regimi politici non rispettano la legge che si sono dati e diventano magna latrocinia.

L’Italia, anche grazie all’indifferenza del Movimento 5 Stelle e del populismo dei suoi leader, continua a rimanere un Paese canaglia, pregiudicato da trent’anni davanti alla Cote Europea, per violazione dei Diritti Umani sanciti nella convenzione e nella nostra stessa Carta costituzionale. Un Paese in cui il ladrocinio del diritto è diventato una prassi.

Come evidenziato nel dossier presentato dai Radicali, le carceri continuano a restare inumane e degradanti, per la mancanza di forze politiche rispettose del messaggio inviato alle Camere dal Presidente della Repubblica e delle numerose sentenze pendenti per la procedura di condanna pilota avviata con la sentenza Torregiani e altri.

Lo scorso 28 maggio è scaduto l’out-out datoci dall’Europa per metterci in regola. Ma noi siamo oltre Hitler. Cosa vuoi che sia una condanna per tortura?

L’Italia non si accorge delle sue Shoah. In questo paese si continuano a massacrare leggi, si continuano a violare diritti umani inviolabili, e non si smette neanche quando tutto ciò viene sottolineato direttamente dal Presidente della Repubblica come obbligo giuridico. Non come un qualunque dovere morale, ma come un obbligo giuridico.

Da militante del Partito Radicale Nonviolento, devo confessarlo, ho avuto un po’ di simpatie non tanto per il Beppe nazionale, ma per i cittadini del movimento perché volevo – in qualche modo – dare un voto utile ad abolire la casta, un voto contro la partitocrazia. L’ho fatto e, lo scorso 25 maggio, quando i Radicali per scelta hanno deciso di non candidarsi perché ritenevano e ritengono illegali e non democratiche queste elezioni. Ho dato fiducia alla cittadina Laura Ferrara, cosentina e avvocato tra i 17 dei 5 stelle eletti a Bruxelles, ma me ne sono pentito; e proprio in virtù di quel principio della libertà di scegliere, scelgo candidamente di abbandonare anche soltanto l’idea che un movimento neo-reazionario, così come si va oggi configurandosi quello dei pentastellati, sull’onda populista possa servire a migliorare le sorti di questo sfortunato Paese.

Paolo di Tarso
Paolo di Tarso

Spes contra spem: contro queste piccole speranze di cambiamento e contro la perdita di ogni speranza, la Speranza vera, quella con la “S” maiuscola, oggi, è più in Pietro che in Cesare, oltreché ovviamente nella continuità dei padri con i figli.

Come sottolinea Marco Pannella da più tempo, abbiamo il Presidente del Consiglio che, su carceri e giustizia, rappresenta ufficialmente una posizione anti CEDU e, soprattutto, contro quel messaggio del Presidente della Repubblica, atto formale fatto anche quale massimo magistrato della Repubblica in termini di diritto.

Volesse Grillo occuparsi di diritti umani in Europa, potrebbe ricordasi delle sistematiche violazioni dell’articolo 3 e dell’articolo 6 della Convenzione europea per i Diritti dell’Uomo e chiedere al suo movimento di rispettarli collaborando varare subito un provvedimento di amnistia e indulto. Non come atto di clemenza, ma come obbligo per lo Stato di diritto.

Per dirla alla Pannella, in questo triste panorama di comportamenti sovversivi contro le massime giurisdizioni europee e nazionali, ci si può aspettare più da questo Papa, il Papa che ha voluto assumere il nome di Francesco e che, in un batter d’occhio, ha abolito il reato di tortura e l’ergastolo dal diritto canonico. Noi, invece, proseguiamo nel violare l’articolo tre della CEDU: tortura!

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Eutelia “Agile”, l’Alcoa e il “capitalismo inquinato”

di Giuseppe Candido

Mentre di mattina volano cazzotti tra i lavoratori dell’”Alcoa” e la polizia che cerca di contenerne la disperazione durante la manifestazione contro il ritiro della cassa integrazione all’azienda sarda, nella serata dello scorso 26 ottobre abbiamo visto i lavoratori di Eutelia, oggi svenduti al costo di un euro alla società “Agile” per essere poi licenziati, manifestare sotto al palazzo del governo mentre i sindacati trattavano sulla sorte per i lavoratori di quell’azienda che Tremonti, ad Annozero, ha definito “un caso di cattiva gestione aziendale”. Ma i casi si susseguono: dal lodo mondadori passando per il caso parmalat e, arrivando all’oggi, con i casi Alcoa e Eutelia-Agile si ha la prova che il problema sia diffuso. Il problema è che in Italia, non essendoci delle ferree regole e dei seri sistemi di controllo delle società di capitali, si è perpetuata per decenni una sorta di deviazione del libero mercato che ha ingenerato quello che, Ernesto Rossi già nel 1952, aveva definito “capitalismo inquinato” prevedendo dettagliatamente le corruttele e gli intrecci tra politica affari e banche, quarant’anni prima, ciò che sarebbe poi di fatto avvenuto con tangentopoli e la fine della prima repubblica. Il caso Eutelia venduta per un euro alla Agile e quello dell’Alcoa, azienda sarda cui si toglierebbe oggi la cassa integrazione per evitare di mantenere un’azienda che non sta più, senza interventi statalisti, sul mercato testimoniano che l’inquinamento non solo persiste, ma anzi, dilaga ed è contagioso. Parmalat vendeva bond senza valore, Eutelia vende un’azienda di 1192 dipendenti ad un euro ad una società che, come le scatole cinesi, si suddivide in otto società “regionali” per poi prevedere il licenziamento dei dipendenti ci dimostrano che si tratta non di “un caso” isolato ma di un sistema diffuso e fallimentare di “non controllo” del libero mercato che, come ricordava quasi sessant’anni or sono lo stesso Rossi, se regolato dal solo desiderio individualistico di accumulare profitti può fare danni anche maggiori di quelli che facevano i regimi collettivistici comunisti. Oggi quel volume la cui ristampa è stata curata da Roberto Petrini (Ernesto Rossi, Capitalismo inquinato, Ed. Laterza, Bari, 1993) e che portava la prefazione di Eugenio Scalfari, meriterebbe forse una rilettura attenta. Un libro scritto nel 1952 ma dimostratosi già previgente e veritiero per gli anni novanta, di un sistema capitalistico distorto foriero di corruzione e di conseguenze nefaste verso gli strati più deboli. Scalfari, nella prefazione all’edizione del ’93, ricorda come Rossi fu “la bestia nera di forze e istituzioni potentissime: Il fascismo prima … e il nemico pubblico numero uno della “grande industria i cui capi, se l’avessero potuto avere dalla loro o ridurre al silenzio chissà cosa non avrebbero dato”. Quello che muoveva le critiche con articoli di giornale contro “I padroni del vapore”, “Non era un comunista, un socialista o comunque un fautore di soluzioni stataliste… Bensì un liberista, un liberal – democratico, un avversario leale del PCI, un amico di Luigi Einaudi e di Gaetano Salvemini, sostenitore della grande riforma roosveltiana del new deal.

Secondo Rossi il capitalismo italiano era (ed oggi dobbiamo constatare rimane) inquinato e la sua analisi, già nel ’52, prevedeva che “il libero mercato, la libera concorrenza e la libertà di accesso al mercato sono condizioni permanentemente a rischio, che debbono essere create e mantenute da apposite regole, il cui rispetto deve essere garantito da organi pubblici dotati di poteri penetranti di vigilanza e di sanzione”. In secondo luogo, l’economia mista, quella cioè fatta da aziende a partecipazione statale che ancora oggi è diffusamente presente nel nostro paese, “si risolve di fatto in una privatizzazione dei profitti e in una pubblicizzazione delle perdite”. Il capitalismo italiano, “a causa della ristrettezza del mercato dei capitali e della struttura duale del paese (nord-sud), è stato fin dal suo nascere fortemente intrecciato ai gruppi politici dominanti e al sistema bancario” ingenerando “una reciproca interdipendenza tra gruppi politici, gruppi industriali e gruppi bancari”. Un’interdipendenza che non solo perdura tutt’oggi ma che, anzi, si è andata aggravando con la presenza, nelle pubbliche amministrazioni e nell’economia legale, della criminalità organizzata che, nel mezzogiorno e la Calabria, rappresenta l’azienda privata più grossa in grado di inquinare il mercato anche con capitali illecitamente accumulati.

Ancora oggi, l’analisi di Ernesto Rossi centra il problema: quello delle regole e delle autorità necessarie a farle rispettare. Il problema, anche in Calabria, è quello delle regole e degli imprenditori onesti sostituiti dai soliti “prenditori” di finanziamenti pubblici, di contributi, di casse integrazioni in una sorta di capitalismo tarocco, inquinato appunto.

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La Patria Europea o l’Europa delle Patrie? Intervista a Marco Pannella a Brussel

di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido

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Incontriamo Marco Pannella con Giuseppe Candido nel suo ufficio al nono piano del Parlamento Europeo in una di quelle giornate dove si sogna il mare calabrese e noi là all’ombra di un costume rosa. Non ci sono energumeni all’ingresso, solo signori beneducati e senza eroici gesta e sprezzo del pericolo ci facciamo avanti …(Continua)Pannella materializzato in una sorte di immagine sacra che ha funzione evangelizzatrice, materia che rimanda quasi al trascendente e invita all’adorazione perché come diceva in mattinata il leader dei socialisti europei, Glean? anche la creatività e l’originalità di Marco esprimono anelito al divino laico; scrutando il suo sguardo scorgiamo il caos e l’ordine, la saggezza e la santità, ma anche il rimprovero severo.
In mattinata si è parlato nell’aula “Spinelli” del Manifesto europeista firmato da Spinelli, Colorni ed Ernesto Rossi. Marco Pannella non è un gran narciso, non, come dice Marcenaro uno insopportabile, prepotente, individualista, logorroico, eccessivo, provocatore. Non è un Urano che divora i suoi figli, un mangiafuoco, un cannibale, un politico dell’antipolitica, un antipolitico della politica, uno che calcola, uno che innalza la Bonino e poi la stronca, che la riinnalza e la ristronca. Non è l’ultimo leninista o l’ultimo stalinista. Non è uno che si è fatto un partito su misura, che lo comanda a bacchetta, che finge di lasciarti le briglia sul collo e al primo strattone ti lacera la bocca da qua a là.
Il nostro obiettivo è approfondire il tema della mattina: la Patria Europea o l’Europa delle Patrie.
Fin dalle prime battute abbiamo la conferma sulla vera figura di Marco Pannella non stereotipata, che stupendamente campeggia nelle sue linee essenziali dove si intravedono i tratti delle sue ardite e originali intuizioni che sanno di spirituale elevazione e di mistico lirismo, espresse in una prosa che è poesia, a volte contemplazione, nutrita di memoria storica, politicamente e socialmente vissuta e testimoniata, oggi come ieri.
A noi non ci sorprende la sua umiltà e la sua eccelsa figura di apostolo della laicità, del socialismo liberale, follemente innamorato di verità, di giustizia e di libertà. Alcune risposte sono estremamente illuminanti e significative, spiritualmente e politicamente conquidenti nell’oggi della nostra vita politica, sociale e civile. Dietro a sé sta trascinando il mondo con la moratoria contro la pena di morte.
Pannella dei paradossi, fariseo settario e cosmopolita aperto, persecutore e apostolo, debole e gagliardo, cieco e veggente che vede tutto quello che mai ad uomo è stato concesso vedere. Povero che arricchisce molti, sconosciuto e notissimo, umile e si vanta, incatenato e libera tutti.
Parliamo di Europa e di Altiero Spinelli ad un secolo dalla nascita, comunista negli anni giovanili. Gli anni del confino sono stati gli anni fondamentali della svolta politica di Spinelli, a Ventotene dov’era stato tradotto in carcere per un’arbitraria condanna a cinque anni di confino fa gli incontri fondamentali della sua vita: Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Ursula Hirchmann (sorella del futuro Premio Nobel per l’economia Otto Albert Hirchhmann e futura moglie di Spinelli).
Nel corso della permanenza sull’isola ha modo di discutere approfonditamente e ” liberamente” con diversi intellettuali e uomini politici delle più disparate matrici culturali ed ha l’intuizione che porterà alla redazione del Manifesto di Ventotene;
il Manifesto è il documento fondamentale del federalismo europeo, redatto nella primavera del 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Il Manifesto ha il grande merito di trasformare le idee di alcuni grandi pensatori a cominciare da Kant, Robbins e Lord Lothian (delle cui opere Spinelli aveva potuto fare conoscenza durante il confino grazie alla trasmissione clandestina di libri che aveva luogo tra Luigi Einaudi ed Ernesto Rossi). Il Manifesto presenta alcuni concezioni politiche nuove, ovvero che la battaglia per la federazione europea è una battaglia da fare subito per creare un Movimento Federalista Europeo su scala sopranazionale.
La pace europea, scriveva Spinelli, è la chiave di volta della pace del mondo. Difatti, nello spazio di una sola generazione l’Europa è stata l’epicentro di due conflitti mondiali che hanno avuto origine dall’esistenza su questo Continente di trenta Stati sovrani. E’ necessario rimediare a questa anarchia con la creazione di un’Unione federale tra i popoli europei. L’Unione federale dovrà avere essenzialmente: un governo responsabile non verso i governi dei diversi Stati membri, ma verso i loro popoli. Un esercito messo agli ordini di questo governo. Un tribunale supremo.
E’ la nostra battaglia, dice Pannella , Spinelli è stato lucido. Era successo che nell’ultimo anno e mezzo, pubblicamente venendo al nostro Congresso, devo dire col suo carattere. Se c’era una persona dura ma anche delicatissima, limpida, era lui, arrossiva; mi prendeva sotto braccio ogni volta che mi vedeva e mi diceva: adesso è il tuo turno. Io al letto di morte con dei testimoni autorevoli che poi sono divenuti eredi di mestiere che non erano granché gli dissi: guarda, arrangiati per fare il miracolo di vivere. Io ero a capo del letto, c’erano 40 persone da una parte, dall’altra parte i familiari, guardandolo perché sapevo che era un dolore vero, ma il dolore è un valore quando è una cosa viva è anche un dovere di non evitare di darlo perché rende vivi il dolore. Sono il dovere, le amarezze, le cose che non vanno. Gli dissi, guarda fai il miracolo, ti rimetti invece di morire. Io la gestione in attesa del miracolo la faccio, ma se è un problema di eredità guarda chi hai attorno, erano anche miei amici.
Chi erano?
Erano tanti, diversi, Dastoli, Bombelli, guarda qui, no, io eredità no. Devo anche dire… lo capisco. Infatti adesso viene fuori di nuovo il rilancio del progetto Spinelliano, concretamente lo facciamo. A quel livello. L’ultima volta che lui prese la parola sull’Atto Unico che era il tradimento di tutte le cose nostre, Spinelliane ecc. proposto da Delors e subito accettato da questo parlamentaccio ch’era divenuto perché il progetto comunista dalla quale faceva parte gli dava la possibilità di intervenire perché io rinunciai al mio intervento perché Altiero potesse parlare.
Nel 1946 Spinelli e Rossi escono dal Movimento Federalista Europeo, ritenendo assai improbabile la realizzazione del loro progetto di Europa Libera e Federata per sviluppare una lotta con altri mezzi e l’azione di Spinelli si rivela decisiva per fare della costituente europea la questione centrale per la creazione della Comunità Europea di Difesa e grazie a questa azione l’Assemblea, allargata alla CECA, viene incaricata di elaborare lo Statuto della Comunità Politica Europea per controllare l’esercito europeo, ma la sua opera venne vanificata dalla Francia. Fu una sconfitta per la lotta federalista ma Spinelli e il MFE rilanciano la lotta federalista per mobilitare l’europeismo in una protesta popolare diretta contro la legittimità stessa degli stati nazionali.
Ecco, la Patria Europea nell’ambito dello Stato Internazionale, quindi di Spinelli resta qualcosa che è attualissimo ed è la risposta per la Cina, il Medioriente e anche per l’Europa nella concezione e nel linguaggio di Ventotene. La battaglia vera è questa. Adesso nel giro di un mese cominciamo ad organizzare, iscriversi per riconoscersi, tra di noi, tra di loro per la Patria contro l’Europa delle Patrie.
Cosa comporta essere, come tu sei filoisraeliano quando Israele fa una politica dove la sovranità nazionale…
Guarda, io mi faccio carico da anni delle inadeguatezze storiche di Israele che fa come dici tu una politica di sovranità nazionale come tutti gli stati nazionali e sono ormai 30 anni che io lotto perché come l’Italia, la Germania, Israele rinunci alla sovranità nazionale di Stato nazionale e faccia parte strutturalmente dell’Europa. La Patria Europea nell’ambito dello Stato Internazionale. La lotta e le battaglie di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.
Senti, però Spinelli in qualche modo ha fallito come dire quello che era il progetto di Trattato Europeo perché frenato e insabbiato dai governi nazionali che nel 1985 varano il meno ambizioso Atto Unico Europeo.
Come ti ho detto prima adesso è venuto il tempo per il rilancio del progetto di Altiero Spinelli perché è attualissimo ed è la vera risposta per una Patria Europea e non per l’Europa delle Patrie.
Parliamo d’altro, esiste la compassione senza la pietà?
C’è Pasolini che ha insistito diverse volte che la Fede senza la Speranza o senza la Carità, la Carità senza la Fede o la speranza produce cose mostruose. E’ una riflessione che riconduce a questo. Per cui l’assistenza che è alla base della compassione che poi alla fine è alla base dell’8 per mille. E’ una industria quella della Com-passione, io mi tengo la Compassione della Cosa Radicale.
Con Pasolini intellettuale marxista?
Ma, quello che risulta dai suoi scritti che sono poi quelli fatti fuori, lui non capiva e non era d’accordo che noi non ci presentassimo alle elezioni, donde quando lui ha mandato il testamento ai radicali lui dice:io sono un intellettuale marxista, lo era a modo giusto suo che vota DC. Oramai da anni avrebbe voluto che i radicali si candidassero. Nel ‘63 io feci una pubblicazione ” Il Voto Radicale”, noi ci presentammo alle elezioni è il primo a scrivere, accettare di dire io voterò PCI e a qualificare il suo voto come voto radicale fu Pier Paolo Pasolini . In quel momento il voto radicale voleva dire proprio Torre Argentina, insomma allora era il 24 Maggio, non è che è come adesso che uno si vergogna di dire Comunista o Verde o altri cazzi, dice Sinistra Radicale.
La Rosa Nel Pugno ha un futuro?
Sai, quando una cosa ha un passato, quasi clandestino… chi si ricorda che Sciascia era eletto con la Rosa nel Pugno, Tortora, Emma. Noi l’abbiamo tutelata e quando l’abbiamo rimesso a disposizione è stato scritto ovunque che era l’unico evento politico nuovo. Io dico che resta l’unico evento politico nuovo perché queste altre cose, Costituente Socialista… io sono Socialista e devo andà a fare la costituente socialista. Magari quelli artri faranno la costituente Liberale, laica, radicale. Mi pare che chi ha un passato ha un avvenire. Chi ha le novità di questa Europa di Guano del 23 giugno di quest’anno.
Faccio tanti auguri, mi auguro di sbagliare però continuo con le mie compagne ed i miei compagni Radicali e quindi doppie tessere e continuo a portare avanti la RnP che è anche storia dell’organizzazione Liberale, Antipartitica e Laica. Sono cose che possono poi divenire sinonimi come Liberale, Socialista, Laico e Radicale.
La nascita della Rosa nel Pugno significa decidere, fare. L’alternanza per l’Alternativa. Un milione di voti presi non può essere considerato un disastro sapendo che l’alternanza venne stabilita solo per 24 mila voti. Abbiamo concorso tutti? Può darsi. Mezzo milione di voti sono nostri o no?Allora noi rivendichiamo la scelta di valutazione politica. Negli anni ‘60 ancora prima di quello che dice Claudio Martelli sul Partito Democratico, con Bettino ne parlammo anche, eravamo per il sistema Americano, Bipartitico, Anglosassone e dicemmo oltre 40 anni fa che dovevamo fare il Partito Democratico. Mo pare che vogliono fare non si sa cosa. Onore alla scelta di Enrico Borselli e agli altri per questa scelta della Costituente Socialista fatta nel momento più difficile.
Oggi la Rosa nel Pugno da una parte e galassia Radicale dall’altra mi pare che sono la prospettiva. Dobbiamo creare una nuova forza. Guido Calogero, Capitini, i Rosselli, Ernesto Rossi, Gaetano Salvemini, storie gloriose e costitutive della civiltà nella modernità. Sono sinonimi: storie socialiste, liberali, radicali, sapendo che la prospettiva deve essere una unica tessera.
Un’ultima domanda: Ignazio Silone diceva che la libertà, la democrazia è libertà di sbagliare, Capezzone ha sbagliato?
Dipende da che punto di vista. Dal punto di vista dei cazzi suoi, no. La Cosa di Silone era proprio la tolleranza ma presupponeva che non c’è una verità e un errare, se no che libertà è? Io gli auguro… gli ho fatto gli auguri, partecipo se vuole visto che i 13 punti sono tutti e tredici manifestamente prodotti dai lombi radicali e questa formula è una formula quella che magari… saremmo stati lieti se nei 5 anni che è stato segretario dei radicali Italiani l’avesse fatta anche lì. Mo pare che gli si sia aguzzato l’ingegno, vediamo se riuscirà a farla. Per quel che mi riguarda l’unica cosa che credo lui oggi a… una bulimia di potere, di potere di esposizione… non gli farà bene purtroppo. Ha dimostrato, una volta eletto Presidente di una Commissione Parlamentare importante come si fa l’opposizione. Se ogni giorno fa il Di Pietro, i Mastella… meglio buoni a niente che essere capaci di tutto. I grandi problemi sono di classe: Welfare to Work, scalone va ragionevolizzato, ma mantenuto.

Abolire la Miseria che vuol dire?

Abolizione vuol dire radicalità.

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QUEI RIVOLTOSI DI “NON MOLLARE”


di Filippo Curtosi e Giuseppe Candido

L’acqua distillata è il laicismo, il credo socialista liberale. Il cantiere è la continuità Salveminiana”

“Non ci è concessa la libertà di stampa? Ce la prendiamo”. Da ottant’anni, questo giornale e questo monito sono leggenda.

Marco Pannella ha dato un giudizio assolutamente positivo del congresso dello Sdi . Si vuole fare l’Unità socialista che non è riuscita prima. “Sembra che le cose vanno benissimo dice Pannella rispetto ad un offensiva vetero clericale”.

imageLa Rosa nel Pugno vive nello spirito. Pannella ha una storia socialista .

Il segretario dei giovani socialisti, quarta componente della Rosa dice: “Il progetto laico, liberale, radicale e socialista non muore. Vogliamo un cantiere più grosso. Volevamo farlo prima e non ci siamo riusciti, adesso dicono si può fare”. Noi vi applaudiamo continua Pannella. Questa sera è una sera di festa perché c’è un canto nel congresso dello Sdi della laicità come alternativa ad un sistema politico italiano che possiamo definire come una cosa traditrice e bastarda. Ringraziamo Enrico conclude Pannella, perché l’Unità socialista è un percorso non craxiano ma che si richiama a Zapatero, Blair e Loris Fortuna. L’acqua distillata è il laicismo, il credo socialista liberale. Il cantiere è la continuità Salveminiana” . Cosa significa ciò? Per comprendere questo passaggio bisogna andare indietro nel tempo.

Anno 1925: La pattuglia dei “salveminiani” che comprende Ernesto Rossi, i fratelli Rosselli, Carlo e Nello, Traquandi, da vita ad un giornale: “Non Mollare”.

Il titolo del giornale lo trova Nello Rosselli che, racconterà Salvemini, ha la meglio su chi propone “Il Crepuscolo”.

Ernesto Rossi di cui quest’anno si celebrano i 110 anni dalla nascita, studioso di economia e insegnante nelle scuole statali, mutilato dalla grande guerra, si professa subito “liberista”; i fratelli Rosselli, ebrei,di famiglia ricca; Tramandi di professione faceva il ferroviere. Si trattava di distinti borghesi dalle radici culturali “risorgimentali” che avevano partecipato al conflitto della grande guerra del 15-18.

Erano rivoltosi perché si mettevano contro il fascismo che aveva soppresso la libertà di stampa. “Volete che sparisca la stampa clandestina”? era la parola d’ordine che questo giornale fiorentino diffondeva. “Rispettate la libertà di stampa”. “Non ci è concessa la libertà di stampa? Ce la prendiamo”.

Da ottant’anni, questo giornale e questo monito sono leggenda. Qualunque semplificazione sta stretta, anche se, come ogni storia complessa come quella di cui “Non Mollare” si fece strada per 22 numeri clandestinamente (usciva quando poteva).

Ernesto Rossi aveva il compito di far recapitare il foglio clandestino a gente che si chiamava Camillo Berneri, Umberto Zanotti Bianco attraverso il ferroviere Traquandi.

Il bersaglio preferito era Vittorio Emanuele III, colluso con Mussolini.

La tiratura era di trentamila copie. Un giornale irriverente, di forte denuncia che veniva definito “Bollettino d’informazione durante il regimee fascista”. Simbolo autentico di resistenza al fascismo. Ernesto Rossi divenne cosi nemico giurato di Mussolini e dovette riparare in Francia in seguito al tradimento di un tipografo, Gaetano Salvemini venne arrestato a Roma prima di andare in esilio per oltre venti anni. I fascisti volevano ammazzare i fratelli Rosselli ma non li trovarono. Li avrebbero trovati dodici anni dopo.

Il “ Socialismo liberale” di Rosselli.

Scriveva Aldo Garosci nel 1967:

“L’anno 1937 si apriva sullo scenario europeo di una guerra civile che, a cinque mesi dal suo inizio, di giorno in giorno appariva come il dissidio tra due civiltà: la guerra di Spagna. In molti tra gli esuli antifascisti italiani, avevano fatto la loro scelta di campo, e tutto nell’animo e nella volontà di Carlo Rosselli lo disponeva all’intervento in questa guerra”.

Settant’anni fa venivano uccisi in Francia i due fratelli antifascisti, socialisti e liberali da tempo sotto stretta sorveglianza.

“Il maggior pericolo viene da Rosselli e, a mio modo di vedere, è assolutamente necessario sopprimerlo” cosi si esprimeva nel 1934 il capo della polizia politica che viene riportato nel volume di Mimmoo Franzinelli: “Il delitto Rosselli. 9 giugno 1937. Anatomia di un omicidi politico”.

Attraverso di esso, scrive lo storico Lucio Villari, l’autore ricostruisce la preparazione in Italia e l’esecuzione per mano francese dell’assassinio dei fratelli Rosselli. Nella prima metà del volume si seguono le trame italiane e le complicità francesi della rete dentro la quale cadrà Carlo Rosselli. “Tenga presente – scriveva Michelangelo Di Stefano numero due del capo della polizia Arturo Bocchini – che il movimento più importante, più pericoloso, più attivo è, per ora Giustizia e Libertà. Ho dovuto persuadermi che il Rosselli è, senza dubbio, l’uomo più pericoloso di tutto il fuorisciutismo (nel lingiaggio fascista si preferiva qualificare con un termine dispregiativo “fuorusciti” gli esuli antifascisti).

Egli è un “piccolo Lenin, figlio di papà” ma crede sul serio al suo ruolo rivoluzionario ed è totalmente sprovvisto di quel minimum di misticismo che spinge il rivoluzionario idealista a non imbruttire mai la propria opera. Per Rosselli tutti i mezzi sono buoni”.

I servizi segreti, scrive ancora Villari,” sapevano anche che la posizione di Rosselli era critica nei confronti dell’antifascismo all’estero e delle sue varie componenti: socialiste, comuniste, liberali, repubblicane, anarchiche, cattoliche.

Gli informatori sapevano che la lotta al fascismo condotta da Rosselli, voleva essere, rispetto a queste componenti, più profonda, più incisiva, più strategica. In una lettera, intercettata, di Rosselli al repubblicano Fernando Schiavetti era detto: “Non occorre che spieghi a te che la nostra concezione non ha nulla a che fare con il vecchio massimalismo. Siamo pronti alla lotta concreta e a tutte le concessioni tattiche, purchè resti energicamente perseguito il fine”. La guerra di Spagna, conclude lo storico” metteva alla prova queste idee. Per il regime fascista occorreva dunque agire al più presto.

Chi sapeva, se non le spie e gli intercettatori italiani del fatto che Carlo Rosselli, tornato dalla Spagna con una grave flebite alla gamba doveva curarsi ai primi di Giugno presso le terme di Bagnoles-del’Orme in Normandia?

Chi altri l’avrebbe potuto chiedere ai “cagoulards” di portare a termine l’eliminazione di Rosselli se non i massimi vertici del fascismo internazionale?

Dopo la morte di Rosselli, un altro grande antifascista italiano assunse compiti impegnativi di carattere politico e organizzativo nell’ambito di “ Giustizia e Libertà”: Bruno Trentin, padre dell’ex segretario generale della Cgil. Scrive Hans Werner Tobler:” Dall’esame del contributo teorico- sociale del Trentin negli anni trenta, visto come una delle componenti del quadro politico di “ Giustizia e Libertà”, proprio in confronto alle concezioni politiche di Carlo Rosselli, emerge la vasta gamma di opinioni che caratterizzava questo movimento.

Per quanto, nel loro tentativo di definire una propria posizione politica, sia Trentin sia Rosselli partano dalla polemica con il marxismo e col socialismo e tendono ad una nuova concezione della società, determinata anche in forma decisiva dall’esperienza del fascismo, e per quanto riconoscano entrambi la realizzazione sociale dei postulati liberali di autonomia come un’esigenza centrale, differiscono poi nel loro orientamento politico.

Le idee di Rosselli che, data la sua leaderschip nell’ambito di “Giustizia e Libertà”, vanno intese anche come espressione fondamentale dell’orientamento di questo movimento, vennero elaborate soprattutto in “ Socialismo liberale” apparso nel 1930. Per Rosselli che aveva fatto parte del partito socialista di Matteotti, Socialismo liberale aveva il significato di un distacco dal socialismo italiano tradizionale e soprattutto dal rifiuto della sua base marxista. Nella prassi politica, Socialismo liberale significava una svolta in direzione della pratica politica della socialdemocrazia europea occidentale e soprattutto inglese.

Socialismo liberale va inteso come critica fondamentale del marxismo.

“Oggi sono in causa” scrive Rosselli nella prefazione, “Le basi fondamentali della dottrina e non più soltanto della sua applicazione pratica. E’ la filosofia, è la morale, è la stessa concezione della politica marxista che non basta più a soddisfarci e ci spinge verso altre sponde, verso orizzonti più vasti”.

Influenzato dall’interpretazione di don Benedetto Croce del marxismo, Rosselli respinge soprattutto la base materialista e l’interpretazione deterministica del processo di sviluppo storico del marxismo. Rosselli critica con Croce “L’assurdo relativismo morale professato dai socialisti”, sente nel marxismo la mancanza delle “integrazioni etiche e sentimentali”, lo trova privo di “giudizi morali, entusiasmo e fede”.

Rosselli interpreta il marxismo in quanto determinismo dogmaticamente cristallizzato, non come una teoria che riesca a ispirare l’attività politica pratica, ma che, al contrario, in determinate circostanze storiche( come al tempo della presa del potere del fascismo) addirittura la paralizza. Marxismo e socialismo non gli appaiono pertanto identici, ma anzi il marxismo può rivelarsi un impedimento per il socialismo. Bisogna dunque- secondo Rosselli – liberare il socialismo dalla sua incrostazione dogmatica- marxista.

La critica del marxismo di Rosselli non è tanto una critica del marxismo genuino quale risulta dalle opere di Marx ed Engels, quanto piuttosto una polemica con la concezione del socialismo e della sua realizzazione adottata dai marxisti italiani. Socialismo non significa più per Rosselli essenzialmente una struttura socialista di produzione. Il socialismo si rivela nel concetto di Rosselli piuttosto un ideale:” Il socialismo non è né la socializzazione, né il proletariato al potere, e neppure l’uguaglianza materiale(…) Il socialismo, più che uno stato esteriore da raggiungere, è per l’individuo, la realizzazione di un programma di vita…Rosselli arriva alla sintesi di socialismo e liberalismo nel suo Socialismo liberale interpretando il nuovo socialismo come l’autentico proseguimento del liberalismo idealista ch’egli contrappone al liberalismo borghese del suo tempo, ridotto a liberalismo economico. Per “Socialismo liberale” intende quindi “una teoria politica che, partendo dal postulato della libertà dello spirito umano, afferma la libertà suo fine supremo, suo mezzo supremo, regola suprema della convivenza umana”.

In definitiva la concezione di Rosselli di un socialismo liberale corrisponde ad una politica di integrazione dell’individuo nello stato di tipo democratico occidentale, basata sui principi del liberalismo politico.

La libertà personale dell’individuo deve essere integrata da una politica di giustizia sociale fino alla compenetrazione dei postulati di socialismo e liberalismo, “giustizia e libertà”.

Quello di cui oggi l’Italia ha bisogno. Per ritornare al congresso dello Sdi possiamo dire che è rinato il Psi ed è nelle cose che Marco Pannella avrà una delle prime tessere, quella che Bettino Craxi gli ha sempre rifiutato. Il 12 maggio a Piazza Navona c’è una festa: “Rosa nel Pugno Pride”. Roma è aperta ai nuovi Garibaldi, ai nuovi laici, liberali, socialisti e radicali.

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